I guess I kinda liked the way you helped me escape

Privata.

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    Avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto piuttosto che lì, un concetto abbastanza offensivo considerando che era stato lui quello ad inviare un messaggio alla danese ricercando la sua compagnia, accennandole anche di avere delle notizie di cui sarebbe stato meglio parlare a voce. Un male probabilmente, se fosse stato lui il ricevente di un messaggio così criptico come minimo si sarebbe convinto Erika stesse, in ordine 1. Morendo 2. Fosse incinta? 3. Pronta ad imbarcarsi in un viaggio dall'altra parte del mondo per cui non avrebbero più potuto vedersi, neanche con la magia, perché troppo occupata a studiare per un corso auror? fare qualsiasi cosa facessero le giovani studentesse d'accademia con già un piede fuori dalla scuola, pronto ad approdare nel mondo degli adulti. Come Alexander. A differenza sua. Un pensiero che non lo rendeva per niente apprensivo. Davvero. Uhm.
    Così come non lo faceva l'essersi ficcato in quella situazione, il dover rivelare alla sua- ex-ragazza di starsi per sposare, ex ragazza con cui le acque erano sempre state un po' meno limpide di quanto avrebbero dovuto riguardo i sentimento che provavano l'uno per l'altro. Cosa mai sarebbe potuto andare storto.
    Non sorprendeva quindi si fosse infossato in uno degli anonimi, seppur già ricolmi di ghirigori natalizi, tavolini di un locale il cui calore all'interno l'aveva salvato dall'aria gelida dell'inverno, stata occupata a pizzicargli il volto acutizzando solo il pensiero già solo lasciare il castello fosse stata una pessima idea. Un locale diverso da quello dell'ultima volta in cui si erano visti proprio tra le stesse stradine di Hogsmeade, uno che non portasse alla mente quel bacio appena accennato che non aveva pienamente rifiutato, sebbene immaginasse scappare valesse come un messaggio ugualmente chiaro sui suoi intenti.
    Certo, che fosse stato quello l'accaduto l'ultima volta che si erano visti e adesso lui volesse sganciarle una bomba di quel tipo - matrimonio - addosso gli appariva quasi crudele, come se si stesse preparando a sparare a un piccolo animaletto morbido e colorato dritto al cuore quando quello gli si avvicinava invece per ricevere una semplice carezza tra le orecchie.
    Un po' si odiava, non c'era che dire. Ma al contempo non vedeva grandi alternative, come non ferirla? Una domanda la quale le risposte gli sfuggivano, forse perché semplicemente inesistenti, c'erano solo modi più o meno coraggiosi di farlo, e il dirglielo di persona era il minimo che le dovesse. Mai, anche se spaventato, si sarebbe potuto abbassare a farglielo sapere via lettera, o semplicemente una volta a passo già compiuto.
    E poi era stato sincero quando aveva detto ad Alexander di non sapere come avrebbe reagito, Erika era sempre stata uno scrigno di sorprese, lo consolava potersi aggrappare a quel filo di speranza che le cose una volta ogni tanto riuscissero a non ribaltarsi nel disastro. Difficile, a tratti improbabile a suo parere quando si trattava di se stesso e questioni di cuore delicate, ma poteva se non altro illudersi di essere ormai cresciuto abbastanza. Sebbene con il rischio fosse la peggiore delle prospettive a cui appellarsi quella, forse.

    Avrebbe mentito se avesse detto che rivederla non avesse ancora un particolare effetto su di lui, osservarla infilarsi dentro la porta di quel posto nel suo turbinio di colori sgargianti in grado di rallegrare qualsiasi luogo, i piccoli cambiamenti che gli veniva facile scorgere in lei quando erano così rade le volte in cui avevano occasione di vedersi, il modo in cui poteva osservare l'effetto che aveva la vita su di lei. Il suo essere un insieme di esperienze e vissuti in cui lui alla fine era incluso solo in minima parte, una piccola macchia di bianco su una tavolozza di tutti i colori dell'arcobaleno. Alle volte se lo chiedeva ancora perché le fosse mai piaciuto, come facesse a trovare ancora gradevole la sua presenza.
    Pensieri che scivolarono via, slegandosi piano piano, quando le fece un cenno con una mano e finalmente la sua attenzione si puntò su di lui, mentre abbandonava la sua sedia per andarle incontro.
    Quanto ci avrebbe messo prima di intaccare anche quella volta la - presunta. - pace della ragazza?
    'Hey, ciao.' L'unica piccola costante era che anche con qualcuno che conosceva da così tanti anni i convenevoli non smettevano mai di inibirlo, questa volta però esitò solo per una manciata di istanti prima di avvilupparla in un abbraccio. Quasi temeva qualcosa si sarebbe spezzato per sempre tra di loro una volta che la verità sarebbe venuta fuori.
    'Come stai?' La lasciò però andare altrettanto velocemente, usando come scusa lo scortarla fino all'angolo privato dove aveva occupato un tavolo per entrambi, come se starle troppo vicino richiedesse uno sforzo emotivo esagerato. Solleticasse affetti che a discapito della loro natura gli stringevano sempre un po' il cuore. 'Come va in Accademia? Ti trovi bene?' Continuare in quei discorsi innocui anche mentre tornava a prendere posto e le faceva segno di fare altrettanto era una stabilità a cui non voleva rinunciare, in un interseco desiderio di rimandare il più possibile la vera ragione per cui l'aveva invitata lì, per cui aveva spezzato le promesse che si era fatto sul volerle stare il più lontano possibile per evitare di farla stare male di nuovo. Non la prima volta nel corso degli anni.

     
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    Quando il suo gufo aveva picchiettato ritmicamente, con una certa urgenza, sul vetro della sua finestra nella camera dell’Accademia, aveva aperto di corsa, facendo attenzione a non far del male al piccolo volatile nello sfilare la missiva dal piccolo nastro che la teneva legata alla zampetta del rapace. Automaticamente aveva sorriso senza neppure pensarci su, convinta fosse l’ennesima lettera di Hunter, le cose andavano … Meglio, certo, all’inizio, al loro secondo inizio, la Brooks si era mostrata molto meno pronta a lanciarsi in quel rapporto che già l’aveva scottata ma poi, come ogni buon figlio di Godric, il coraggio aveva prevalso e dopo qualche mese le cose era tornate ad una parziale forma di normalità.
    Continuavano a non potersi vedere così spesso ma, sicuramente, il fatto di non stare più in due nazioni diverse le aiutava non poco a mantenere vivo l’interesse, si scrivevano spesso in compenso, mandandosi piccoli regali o semplicemente, dicendosi a vicenda, ciò che facevano durante la giornata, quelle lettere le tenevano compagnia quando tutto il resto intorno a lei le pareva troppo grande per essere affrontato da un esserino così piccolo come lei.
    Il sorriso che si era aperto sul suo viso regolare si gelò d’improvviso, gli occhi scattarono da un parte all’altra delle poche righe che l’emissario le aveva scritto di proprio pugno, avrebbe riconosciuto la grafia anche solo dalla prima lettera, e quel nome usato: Erika, solo lui la chiamava così senza che la cosa le provocasse un’irritazione che partiva dalla base del collo e andava alle viscere.
    Jude.
    Jude.
    Jude.

    Si trovò a ripeterlo a bassa voce tre volte, mentre i muscoli del collo scattavano e la costringevano a seguirli con un movimento involontario della testa verso destra. Jude doveva parlarle e ricordava bene com’erano andate le cose l’ultima volta che si era recata ad Hogsmeade con il Corvonero. Avrebbe dovuto dirlo ad Hunter o forse no, forse era meglio lasciarla all’oscuro ma sapeva di non poter mentire, sarebbe stato inutile ma avrebbe pensato a come dirglielo successivamente all’incontro con il Niven.
    Era l’incontro in se per se a lasciarla perplessa, non perché non ne provasse un sadico piacere che teneva nascosto perfino a se stessa, quanto più perché era certa, dopo quell’ultima volta, certa che lui non si sarebbe mai fatto vivo, non prima di almeno dieci, vent’anni. Le era parso sufficientemente categorico, per quanto poco potesse esserlo Jude. Era confusa, lo era davvero e neppure troppo velatamente preoccupata, cosa poteva essergli capitato? Magari lui e Alexander si erano lasciati di nuovo? Ma no, no, non avrebbe chiamato lei, non di nuovo. Non dopo … Tutto. E forse una parte di lei sperò quasi che il cuore del Corvonero avesse cambiato direzione favorendo lei. Una stupidaggine, davvero stupida che però ebbe il potere di farle divenire i capelli rosso fiammante.
    [….]
    Si era guardata allo specchio circa sei volte, sette forse, aveva controllato che il trucco, per niente sobrio, e pieno di glitter fosse al proprio posto, che i capelli di un pallido rosa se ne stessero nelle pieghe gentili dei suoi boccoli, che il vestito bianco di maglia se ne rimanesse ben incollato alla coscia e non salisse oltre il limite della decenza e poi , usando una delle porte dell’Accademia, si era ritrovata nel pieno della piccola cittadina che già pareva essere piena di ogni sorta di luce natalizia. Il danzare fluttuante delle luci la fece sorridere, c’era qualcosa di magico in quel periodo dell’anno, di magico più della magia stessa, qualcosa che le riusciva a scaldare il cuore facendole sentire di meno la mancanza dell’abbraccio materno.
    Spinse la porta del locale dove il Niven le aveva dato appuntamento sperando solo di non trovare brutte sorprese, che poi, cosa si aspettava di trovare? Non lo sapeva neppure lei ma voleva solamente che non fosse troppo diverso da come lo ricordava ed in effetti, quando l’altro si alzò venendole incontro, si rese conto che le sue preghiere erano state parzialmente esaudite. Si era alzato ancora di qualche centimetro, tanto che per abbracciarlo dovette alzarsi sulle punte dei piedi, un abbraccio che durò troppo poco ma che le ricordò casa per un momento solo. I capelli ricci erano decisamente più lunghi di quanto li ricordasse e le parve quasi che anche i suoi occhi fossero di una tonalità di blu più profonda, nuova, brillante.
    'Come stai?'
    Lo seguì verso il tavolo e, lasciato il cappotto appeso allo schienale, prese posto stando attenta a rimanere composta, si sentiva … rigida, non perché Jude non stesse tentando di far sembrare il tutto normale, quanto più perché lei sapeva che quel tutto normale non lo era neppure un po' e , evidentemente, lo sapeva anche il suo collo, che, di nuovo, scattò verso sinistra stavolta
    << S-Scusami, il solito problemino>> sussurrò imbarazzata
    << Sto bene, e tu come stai ?>> le pareva quasi stupido che stessero li a scambiarsi quel genere di cordialità senza un vero scopo ma non osò dir nulla per non rischiare di rompere la piccola bolla di sapone che pareva essere quel possibile riconciliarsi dopo così tanto tempo
    'Come va in Accademia? Ti trovi bene?'
    Annuì di fretta, sorridendo
    << Si, il mio corso mi piace tanto … A volte ho difficoltà a farmi capire, sai la lingua e l’accento e il mio problema del cervello stupido ma … Si, direi che mi trovo bene >> a grandi linee ma non erano lì per quello in fondo, non credeva certo che Jude l’avesse fatta arrivare lì per chiederle come andavano i suoi studi, sarebbe stato bello ma non avevano quel tipo di confidenza da parecchi anni ormai e la tristezza le strinse un po' lo stomaco, costringendola a far rotolare gli occhi sulla superfice del tavolo
    << Tu ad Hogwarts? Quanti anni ti mancano al diploma?>> chiese per poi mordicchiarsi l’interno della guancia, indecisa se tirare subito fuori la questione oppure starsene lì a godersi ancora un po' quella fittizia normalità, quel fingere che niente fosse passato, che tutto fosse presente
    << Sono belle le luci, non trovi? A me il Natale piace tanto >> sospirò sognante mentre guardava intorno a sé quel locale già stipato di persone
    << Non credevo che mi avresti cercata così presto … Non dopo l’ultima volta, spero non sia nulla di irrimediabile>> la loro situazione o il motivo per cui l’aveva chiamata lì? Non specificò nulla ma lasciò che Jude avesse il tempo di decidere come risponderle.


     
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    Era passato del tempo da quando ricordava i piccoli tic in cui le emozioni di Erika si esprimevano essere stati così marcati, un segno immaginava a palesare non fosse l'unico dei due a sentirsi come se l'ansia gli avesse appena spinto la testa sott'acqua, tenendolo sotto la superficie senza possibilità di uscirne. Non senza prima aver tentato di pronunciare anche in quelle condizioni quelle due piccole paroline magiche che solo allora gli avrebbero garantito la libertà, mi sposo. Una promessa che per quanto si rifiutasse di soffermarsi a considerarla davvero così sapeva apparire anche come una condanna, in quel caso perlomeno. Un segreto che una volta fuori avrebbe apposto un punto incancellabile tra di loro, ponendo la parola fine se non al loro intero rapporto almeno a quelle sfumature irrisolte di sentimento che tendevano a ricomparire quando si ritrovavano da soli, in lui in particolare, lontano dal monopolio a cui il suo cuore cedeva nei confronti di Alexander, non riusciva ad evitare di sentire una particolare morsa di malinconia alle alternative che si sarebbero disintegrate per sempre tra le sue mani. Non aveva mai rimpianto l'aver scelto Alexander fin dal primo momento, ma.
    Ma era difficile scordarsi i modi in cui Erika l'aveva fatto sentire, quella gioia spensierata che forse per le loro età, forse per i loro caratteri, non si era mai instaurata con la stessa naturale immediatezza con il compagno. Ad esclusione di quando era stato lui stesso ad affondare la lama di una delusione nella ragazza, erano sempre stati molto... Felici assieme. Un dettaglio di cui scordarsi gli era impossibile, pronto a portare a galla i suoi ricordi di quegli istanti condivisi con lei nei momenti più scomodi. Come quello. Non pensava che rinunciando a lei avrebbe rinunciato anche all'essere felice, ovviamente, eppure erano sentimenti così diametralmente opposti quelli che aveva provato per lei rispetto a quelli molto più disordinati per Alexander che in alcuni istanti, prima che la logica raggiungesse le sue sinapsi, ne aveva quasi l'impressione.
    'Tutto bene. Meglio del solito.' In realtà la scuola lasciava a desiderare, ma non c'era bisogno di rivangare i suoi fallimenti nello stare dietro a tutto da quando la spilla da prefetto gli pesava con le sue responsabilità sul petto. Ed in ogni caso, le vacanze invernali che si avvicinavano appianavano le solite ansie legate a quel frangente. Quindi sì, anche se faceva strano pure a lui, non stava mentendo. Immaginava le cose avrebbero potuto cambiare velocemente.
    Le rivolse un piccolo sorriso la cui luce non raggiunse davvero le sfumature di contentezza, sarebbe stato più facile se non avesse sentito quei convenevoli racchiudere in sé una piccola clessidra che si stava svuotando, portandoli sempre più vicini al momento in cui quegli istanti di calma, seppur palesemente tesa pure a lui che stava cercando di fare finta di niente, si sarebbe spezzata.
    'Sono al quinto anno quindi solo un paio, ormai ho... quasi finito. Quasi.' Accennò appena una risata, stropicciando tra le dita un risvolto della tovaglia del tavolino. No, non stava andando liscia quanto avrebbe sperato. Tra di loro, non con la scuola. 'O comunque mi piace convincermene, immagino di essere solo stanco di vedere gli altri andare avanti. Come te.' Come Alexander, un nome che aveva troppo peso perché potesse semplicemente lasciarlo cadere così nella discussione. Sebbene fosse la ragione principale per cui si torturasse come mai aveva fatto prima sul tempo che gli rimaneva chiuso tra le mura del castello. Ancora così tanto.
    Un cruccio che lasciò si dissipasse nel velo di leggerezza che tentò di offrirgli lei stessa, sebbene immaginasse fosse inadatto definirlo così, quanto più una delle estemporanee perle di sincerità che lasciavano spesso le labbra di Erika. Un'altra caratteristica che aveva sempre apprezzato di lei, a discapito di quello che potesse pensarne il mondo.
    'Vero? Mettono allegria.' Avrebbe anche potuto soffermarsi a decantare le doti dell'atmosfera Natalizia, quasi migliore della festa stessa, ma si sentiva sporco a farlo sapendo quanto poco gioiosa avrebbe potuto diventare quella chiacchierata. Il lieve pungolare alla ricerca di spiegazioni in cui si produsse la ragazza poco dopo solo a rimarcare quel concetto, e a dargli al contempo un'apertura per intavolare la vera ragione di quell'incontro. Avrebbe voluto tirarla per le lunghe, chiederle se non volesse ordinare qualcosa più di quello che aveva consumato lui nell'attesa - era stato terribilmente in anticipo. - ma non sarebbe solo stato crudele? Voleva poter godere ancora di quegli istanti in cui tutto non era ancora diverso, ma non credeva di averne il diritto. Non sopra il benessere altrui. Le doveva che lo strappo di quel cerotto fosse veloce, nella speranza potesse anche essere indolore.
    'Non è niente di... brutto.' Non lo era! Eppure l'esitazione grondò in ogni singola parola, iniziava a credere di essere stato troppo impulsivo a dire ad Alexander non solo le avrebbe dato la notizia, ma l'avrebbe pure invitata. Solo adesso iniziavano a delinearsi davanti ai suoi occhi le prospettive più negative.
    'Sei molto importante per, e lo sarai sempre. Sei una tra le persone a cui tengo di più al mondo.' Va bene, con un preludio simile iniziava ad essere ovvio ci fosse una fregatura. Forse avrebbe dovuto tentare di essere meno gentile, aveva la sensazione di star già sbagliando tutto. Non che di solito fosse diverso.
    'E quindi- mi sembrava giusto dovessi dirtelo di persona. Scusami se ti ho fatta venire fin qui, ma era- è importante.' Evitò il suo sguardo soffermandosi su un ricamo della tovaglia a forma di alberello di natale, passandoci sopra le dita mentre la fronte gli si corrugava, il labbro tremava appena nel peso di quelle parole, tornando solo a sparo avvenuto a puntare gli occhi nei suoi. 'Io e Alex ci sposiamo.'

     
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    Tutto bene. Meglio del solito.
    Si rigirò quelle parole nella testa, lasciò che stuzzicassero le sue sinapsi che si ritrovarono ad arrovellarsi nel comprendere, davvero, quella risposta. Meglio del solito, vuol dire che di solito faceva schifo ma ultimamente andava meglio o , al contrario, che andava meglio ma in quel momento andava ancora meglio? Tempo prima avrebbe arricciato il naso scoppiando a ridere a quei pensieri, buttando fuori dalle labbra quel pensiero, ne avrebbero riso entrambi ma non era più quel tempo; lo sguardo malinconico e allarmato del Niven pareva volerle riconfermare quanto, quel tempo, fosse morto e sepolto, quanto non trovasse ormai spazio nel presente.
    Provò nostalgia, o almeno credeva fosse quello il nome della sensazione che dovrò sbrigarsi a ricacciare nello stomaco, prima che i suoi capelli virassero su toni scuri che avrebbero svelato a Jude il proprio, reale, stato d’animo. In effetti, di novità, la danese, ne aveva tante da raccontare, prima tra tutte la sua capacità, dopo anni, di controllare i suoi poteri da metamorphomagus ma le pareva stupido dirlo in quel momento, fuori luogo, seppur non stessero parlando poi di niente di diverso in effetti ma lei che, si era sentita fuori posto sempre, riusciva a fiutare lontane un miglio quelle conversazioni velate d’imbarazzo scomodo e preferì non aggiungervene ulteriore, era già complicato così.
    'Sono al quinto anno quindi solo un paio, ormai ho... quasi finito. Quasi.'O comunque mi piace convincermene, immagino di essere solo stanco di vedere gli altri andare avanti. Come te.'

    Storse appena le labbra, mettendo su un’espressione accigliata… Da quando le era divenuto così difficile interpretare Jude? Le era sempre sembrato che parlassero la stessa lingua, a volte, stupidamente, si era convinta che si sarebbero capiti anche se lei avesse cominciato a parlare danese e lui avesse continuato a parlare inglese ma ora , invece, pareva che ogni sua frase avesse un sotto-testo che a lei continuava a sfuggire. Che senso c’era in quel “andare avanti. Come te”, andare avanti nella vita? Lasciare indietro lui? O banalmente si stava riferendo unicamente alla scuola, al percorso scolastico?
    Astrid sospirò, rivelando con un piccolo gemito il suo surriscaldamento cerebrale
    << Non so se tu intenda al livello persona o semplicemente al livello scolastico ma , se fosse personale, beh , sei stato tu ad obbligarmi ad andare avanti >> e la lingua tirò la stoccata esattamente com’era nella sua testa, senza filtri, alle solite e, come sempre, Astrid si ritrovò a divenire paonazza e a tentare di scusarsi della propria irriverenza
    << P-Perdonami, non intendevo offenderti …>> E negli anni che aveva passato a vivere come paladina della verità, non di certo per scelta propria, si era resa conto di quanto la verità offendesse e ferisse per la maggior parte delle volte. Se, da bambina, non riusciva a capire il motivo per cui i suoi genitori la sgridavano per quel difetto, da grande si era resa conto di quanto , anche la verità, un concetto che si pensa totalmente oggettivo, fosse , in realtà , totalmente soggettivo. Ognuno ha la sua verità, ognuno si racconta la propria sincera versione della verità e forse il ritrovarsi sbattuta in faccia la verità di qualcun altro era pesante, quasi insopportabile. Non ne aveva idea ma provo a cambiare argomento
    Vero? Mettono allegria
    Annuì con convinzione, a lei, sicuramente, ne mettevano ma non poteva dire facessero lo stesso effetto su Jude. Continuava a sembrarle qualcuno che correva sui carboni ardenti, non di certo qualcuno che si godeva la beatitudine del clima natalizio
    << Ad alcuni mette malinconia , a me no, mi manca la Danimarca e anche mia mamma, però durante il natale, non so, mi sento meno sola >> e davvero non aveva idea della motivazione per cui a lei, al contrario di tutti, facesse quell’effetto.
    Le sarebbe piaciuto continuare quella conversazione in eterno ma quella conversazione non era la loro solita conversazione leggera, quelle si che l’avrebbe sentite in eterno, questa pareva solamente nascosta dietro quell’apparenza ma in realtà all’interno pareva celare spigoli che sentiva graffiarle lo stomaco ad ogni secondo che passava, forse per questo si decise a dare la possibilità al Niven di spiegare.
    - Non è niente di brutto-
    La danese trasse subito un gran sospiro, per un po' aveva temuto il peggio, tutto quel mistero sul loro incontro l’aveva davvero allarmata e aveva lasciato spazio al suo cervello di produrre le teorie più strampalate
    << Bene, allora non può essere nulla di terribile>> sorrise, come a dare all’altro un breve incoraggiamento, pareva decisamente servigli

    'Sei molto importante per, e lo sarai sempre. Sei una tra le persone a cui tengo di più al mondo.
    No.
    Solamente questo pensò, e scosse appena la testa ripetutamente, senza neppure che ancora la notizia le fosse stata data ma quel preambolo le ricordava la loro ultima conversazione e lei ricordava perfettamente come si era sentita dopo, non le era piaciuto, non voleva riprovarlo ma cosa c’era di peggio di quanto già non fosse successo?
    La fantasia ad Astrid non mancava di certo eppure la verità che si schiuse sulle labbra di Jude fu qualcosa che si stupì di non aver mai neppure lontanamente considerato come realtà da affrontare, anzi con cui scendere a patti.
    - Io e Alex ci sposiamo –
    E li sentì i suoi occhi, anche senza vederli dato che, in quel momento fu lei a tenere lo sguardo basso, ma li sentiva gli occhi chiari del Niven scrutarla, cercarne una reazione, forse sperando che il fisico la tradisse come al solito ed in effetti uno scatto netto del collo la costrinse a fare una piccola smorfia di dolore
    << Non voglio saperlo>>
    No.No.Non volevo dire questo. Non dovevo dirlo.
    Ma se mettere in ordine quel caos di parole era cosa difficile già in momenti normali figurarsi come poteva esserlo in quel momento. La reazione istintiva fu quella di rifiutarsi di accettare la notizia, come se il continuare a scuotere la testa la rendesse meno vera, potesse convincere il Niven a riprendersela e a riconsiderare il tutto.
    << Non cambierai idea, io lo so, ma non voglio saperlo, non volevo saperlo … Anzi si volevo saperlo ma rimani uno stronzo >> e le si inumidirono gli occhi ma non per il dolore di saperlo perso per sempre quanto più per la frustrazione di non poter soppesare le proprie parole, per la consapevolezza che da lì in poi si sarebbe susseguita una specie di mitragliata di parole affilate che però non avrebbe voluto arrivassero a lui.
    << Io non sono felice, Alexander non ti merita e lo sai anche tu nel tuo profondo , tu me lo hai detto solo perché vuoi che io decida per te. Tu non sei sicuro che sarai felice mentre eri sicuro di esserlo con me, perche hai detto si? Stupido, stupido >> strinse i denti sulle labbra tanto da farsi male, nel disperato tentativo che le parole smettessero di andarsene per conto loro
    << Perché mi fai questo, tutte le volte?>> e quella domanda fu l’ultima prima che , un nuovo scatto innaturale del collo le facesse uscire un gemito di dolore, e che le mani andassero letteralmente a tappare la bocca.



     
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    Avrebbe dovuto capirlo subito sarebbe stato un disastro.
    Avrebbe dovuto strappare prima, molto molto prima, i fili che ancora li univano come delle bamboline cucite assieme a metà tra l'errore di fabbrica e la predestinazione di essersi trovati in un mondo che con la sua crudeltà aveva solo rimarcato quanto... giusto sapesse essere il loro rapporto. Quanto bene stessero incavati l'uno nell'altro, il modo in cui infiniti futuri gli avrebbero attesi, stagliandosi davanti a loro con l'onnipresente promessa di felicità e benessere.
    Il genere a cui si era aggrappato per troppo tempo, alle volte così lievemente da non accorgersi nemmeno di avere ancora stretto tra le dita il desiderio, per quanto flebile, di potersi rifugiare in quell'alternativa.
    Se la vita fosse stata imparziale, l'avrebbe fatto.
    Se il cuore fosse stato un giudice giusto, avrebbe dato ad Erika tutto quello che si sarebbe meritata. Che si era guadagnata con il suo costante supporto, con le sue parole gentili, la sua dolcezza, il suo amore palpabile in ogni filo d'aria che vibrava tra di loro quando erano assieme. Non detto. Non visto. Solo presente.
    Ma niente di tutto quello era semplice quanto un'equazione. Liste di pro e contro, - formulate non sempre solo nella sua mente - caratteristiche personali che si sposavano meglio con altre, bisogni che venivano soddisfatti o non soddisfatti in un certo modo invece che un altro.
    Se c'era un'unica, singola cosa che aveva imparato in quegli anni, era quanto l'amore fosse caparbio. E al contempo ingestibile. Ci aveva provato a ridirigerlo sulla figura colorata della Danese, a sforzarsi di sentire l'assolutezza che nel bene quanto nel male Alexander riusciva a far prendere ai suoi sentimenti. Renderla una figura a cui fosse in grado di attribuire la sensazione che se privato di lei sarebbe soffocato tra le spire della vita, rimuginando per sempre sulla propria perdita, incapace di andare avanti, volendo usare un termine di paragone tirato fuori da Erika. E sebbene a conti fatti non fosse sicuro di averlo mai fatto del tutto neanche con lei, quel riuscire a passare oltre, era rimasto Alexander l'unico in grado di ricoprire quel ruolo nella sua esistenza. Quello che dava vita al suo cuore.
    Forse il segreto del divario tra di loro, Erika ed Alexander, era racchiuso nell'interseca eccezionalità del primo amore. Forse si stava aggrappando a qualcosa di sciocco, come un drogato che dopo l'esaltata beatitudine delle prime dosi continua a perseverare ricercandola anche quando si trasforma in una dipendenza e diventa chiaro non la proverà più, quella scintilla di perfezione che per una volta l'aveva fatto sentire come se avesse avuto il segreto della vita tra le mani. Eppure neanche una volta aveva pensato di fare un passo indietro, a discapito delle sue insicurezze, dei timori che aveva instillato in Alexander, della crudeltà interseca verso Erika di quella realtà, aveva sempre saputo sarebbe stato Alexander o nessun altro.

    Non può essere nulla di terribile.
    Lo fu. Ovviamente lo fu.
    La sensazione la confessione che le fece fosse un proiettile rimase aggrappata ai suoi sensi, con solo l'aggiunta del concretizzarsi della certezza si fosse anche trattato di un colpo mortale.
    Si riscoprì lo stesso però, sotto le ondate di angoscia che il dolore della ragazza gli provocarono, ad essere sollevato. Non se l'era aspettato, eppure gli si era appena delineato davanti il tassello che tanto aveva cercato. Quello con cui salvarla. Il dolore. Aveva passato così tanto tempo a cercare di evitarglielo, fallendo miseramente ogni volta, che non aveva realizzato lasciare scorresse invece di lasciarle sempre qualcosa a cui aggrapparsi sarebbe stato il modo migliore per liberarla da sé. In fondo, le avrebbe solo fatto un favore. Non sarebbero stati in quella situazione, riflessa di un malessere in cui erano già passati almeno altre centinaia di volte, se solo avesse avuto il coraggio di farlo molto tempo addietro.
    Ma era ovvio ci fosse una differenza enorme tra il ferirla involontariamente e quell'illusione sarebbe mai stato capace a farlo di proposito, e forse, in parte, stava solo tentando di ammorbidire la durezza del colpo che le parole di Erika gli inflissero.
    Boccheggiò nel disagio, gli occhi a scappare da quelli altrui, dall'assistere al suo accartocciarsi nel dolore, puntandosi invece sulle proprie mani prese a stropicciare con una certa insistenza agitata un angolo della tovaglia.
    'Lo so.' Tutto quanto. Il suo essere uno stronzo, lei non ne avrebbe potuto mai essere del tutto felice e Alexander non lo meritasse, perlomeno non ritracciando all'indietro quanto dolore gli avesse causato a confronto di lei. Ma era altrettanto vero non avrebbe cambiato idea, né era d'accordo con il resto della puntigliosità delle parole di lei che lo fece irrigidire sul posto, il fastidio a mischiarsi alla delusione di aver sbagliato di nuovo tutto. Sputarglielo addosso però non gli era mai stato affine.
    'Non ho mai voluto tu scegliessi per me. Te l'ho sempre detto la scelta sarebbe stata sempre lui.' Troppo schietto, se ne rese conto con una smorfia, in bilico sul ricercare una qualche stabilità tra onestà e desiderio di consolarla. A quel punto però, non era sicuro esistesse qualcosa con cui farlo.
    'Continuo a farlo perché mi-' piaci? Riduttivo, non la scelta giusta di parole. '-perché ti voglio bene.' Umiliante doversi spiegare, svelare la semplicità per cui il proprio cuore aveva seminato distruzione in quello altrui. La propria mancanza di coraggio. Sarebbe bastato così poco perché tutto quanto fosse potuto essere evitato, eppure, anno dopo anno, la ricercava.
    'E non riesco a lasciarti andare.' Andare avanti. Mai definizione avrebbe potuto essere più lontana dai suoi modi, aveva invece l'impressione di rimanere inchiodato a ogni evento degno d'attenzione che accadeva nella sua vita. A qualsiasi cosa strizzasse il suo cuore in un sentimento diverso dalla diffidenza e della paura.
    'Mi dispiace.' Era vero. Ogni volta. 'Almeno questo risolverà le cose.' Un'ammissione formato soffio, a tratti una semplice speranza la drasticità di sposarsi l'avrebbe fatto. Non che avesse detto di sì ad Alexander per quello, era da anni che gli ripeteva il desiderio di volerlo fare, la necessità di qualcosa che li legasse definitivamente l'uno all'altro. E dire che un tempo era dovuto unicamente al bisogno Alexander smettesse di sfuggirgli tra le dita per rincorrere qualcun altro, non certo perché la responsabilità della paura finissero con lo sfaldarsi gravasse sulle spalle di entrambi. Se non altro, si erano ribilanciati in posizioni simili. A differenza che con Erika, dove aveva l'impressione di continuare solo a sminuirla.
    'E' meglio così per tutti, o comunque lo sarà.' Continuava a rifiutarsi di guardarla in viso, di tuffarsi negli occhi ricolmi d'espressività di lei. L'onestà involontaria e costante di Erika basta ed avanzava per fargli pesare ogni singolo granello delle sue parole.
    'E' stato crudele non- allontanarmi prima. Lo sai tu come lo so io.' Si stropicciò il viso con una mano, la fronte ad aggrottarsi appena in un velo di pensierosità causato da fili di riflessioni che finì a discapito delle sue reticenze a tirare fuori.
    'Non sei comunque... sollevata? Io lo sono.' Una domanda mischiata a un'ammissione che suonò terribile da porle, eppure perseguì, perché in fondo si stava convincendo a tempo debito lo sarebbe stata di poter abbandonare tutte quelle situazioni in cui continuava ad incastrarla. 'Almeno così sarai di nuovo libera.' Da sé stesso. Un punto irremovibile quello che avrebbe posto tra di loro quel matrimonio. Uno che perlomeno avrebbe messo fine al tormento a cui l'aveva sottoposta.

     
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    L’amore è un campo di battaglia, sul cui terreno, in quel momento, era il suo il corpo riverso.
    Non l’aveva mai vista sotto quella prospettiva così nefasta, tutt’altro; aveva creduto sempre, con ogni fibra del suo essere, che l’amore fosse qualcosa che sapeva risollevarti, che aveva in se il potere di poter cambiare la sorte di chiunque, ed invece, solo in quel momento, ne vedeva il lato più miserabile. Lo aveva già subito quel lato, sempre da Jude, ovviamente, ma non era mai stato così definitivo, c’era sempre un altro incontro, l’ultimo, in effetti la loro storia era costellata di ultime volte che non lo erano state affatto ma fu di fronte all’ineluttabilità di quella decisione che la danese ricominciò a dare una forma nuova al sentimento che provava.
    'Non ho mai voluto tu scegliessi per me. Te l'ho sempre detto la scelta sarebbe stata sempre lui.
    E fece male come uno schiaffo ma capiva perfettamente che le proprie parole, per prime, erano state taglienti e scagliate via con forza, concepiva quindi che la risposta a quelle fosse altrettanto dolorosa, era sempre così d’altro canto, chi subiva il male poi sentiva quasi l’obbligo di far precipitare nella stessa pozza di dolore l’altro, e il loro rapporto aveva appena preso quella piega, era tossico, tossico e basta; divertente pensare che quello era esattamente l’aggettivo che fino a qualche minuto prima avrebbe dato ad Alexander e Jude, non di certo a lei e al Niven
    << Credevo che per un momento, anche solamente uno, avessi preso almeno in considerazione l’idea di stare con me >> fu un sussurro, un qualcosa a cui , ora , era in grado di rispondersi da sola e che, non avesse avuto quel neurone cretino a farle compagnia dalla nascita, probabilmente, avrebbe evitato anche di dire. Un nuovo scatto del collo la costrinse ad assumere una posizione innaturale, in modo da non sforzare eccessivamente i muscoli
    “ Continuo a farlo perché ti voglio bene e non riesco a lasciarti andare”
    Le lacrime le rigavano il volto eppure l’espressione di Astrid era totalmente in contrasto con ciò che provava: il viso era contratto in una smorfia mista tra dolore e rabbia, gli occhi ridotti ad una fessura, le dita a stringersi intorno al perimetro del tavolo, nel tentativo , forse inutile, di non farle muovere
    << Anche io te ne voglio, ma così non va bene >> e dovette sforzarsi a far uscire la voce date le contrazioni del collo
    'E' meglio così per tutti, o comunque lo sarà.'
    Per tutti chi? Lei non riusciva proprio a vedere il punto dal quale fosse meglio così. Meglio niente, a lei pareva di poter star solo peggio all’infinito. Non le era difficile immaginarsi mentre si trascinava nella propria vita , non perché volesse ma perché era ciò che ci si aspettava facesse e pensò che in realtà tutta la sofferenza del mondo, probabilmente, derivasse proprio dal non essere stati amati da qualcuno: genitori, fidanzati o quant’altro e in un altro momento avrebbe reso Jude partecipe di quei pensieri strampalati ma non era quello il momento, non lo sarebbe stato mai più.
    'E' stato crudele non- allontanarmi prima. Lo sai tu come lo so io
    Lo avrebbe definito egoista forse ma non crudele. Jude non lo era, per quanto lei volesse davvero credere alla versione peggiore
    << Non sei cr-crudele >> sfiatò mentre il collo, finalmente, le lasciava un po' di tregua e gli occhi ritornavano verso quelli dell’altro
    << Sei egoista, come tutti , tutti vogliamo essere felici , il punto è che quasi mai ci basta>> ma questo non era insito solo in Niven, purtroppo era un difetto dell’essere umano o cos’ almeno l’aveva sempre pensata la danese
    Non sei comunque... sollevata? Io lo sono. Almeno così sarai di nuovo libera”
    Avrebbe voluto dirgli tante cose. Avrebbe voluto dirgli che no, non si sentiva libera, che se una persona la porti dentro è come divenisse immortale, probabilmente il ricordo di Jude in lei sarebbe sopravvissuto anche a Jude stesso, che quella libertà l’aveva persa nel momento stesso in cui il suo cuore, volontariamente, si era legato a quello di lui, che niente di ciò che lui avrebbe fatto o scelto o detto, avrebbe mai potuto davvero liberarla ma non disse nulla perché lo amava e la forza con cui lo amava era così tanta da desiderare, solamente, che almeno lui fosse felice, almeno lui avesse quel sollievo
    << Hai ragione, sarà un sollievo per entrambi, ciao Jude >> sfiatò solo questo mentre le gambe scattavano e correvano fuori dal locale.



     
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