snarchen snarchen

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    “È stata una caduta” con la mano sinistra in movimento conosciuto mi porto una sigaretta alla bocca e me la accendo mentre la bruna mi ispeziona la mano destra, escoriata in più punti sulle nocche e visibilmente utilizzata per almeno sei... sette colpi. Lei non sembra convinta chiaramente “... qualcuno ci è caduto addosso, ma suppongo sia stato il suo ultimo tentativo di furto” e sento Igor sbuffare mal celando una mezza risata.
    Trattengo una risata più indecente perchè so che Karen non la prenderebbe bene, quasi sul personale, ma davvero è qualcosa mai capitatomi al nord, queste sono più cose da drogati Londinesi, più cose che mi aspetto da loro. Mi stavo dirigendo verso l'est della città per un acquisto che mi aveva preso più di tre ore, qualcosa di scandaloso, un freddo che ti feriva il viso, nessun cazzo di accendino e le strade già buie alle tre del pomeriggio. Dovevo essere sembrato una preda piuttosto appetibile, perchè erano solo in due, nemmeno trentacinque anni in due e volevano soldi. Da me, che non ho nemmeno il portafogli, mai avuto. Avevo smesso di colpire il secondo solo quando il primo aveva cominciato a piangere come un bambino, urlando di lasciare in pace il fratello, che se avessi continuato, l'avrei ucciso. "Bu" ed il primo era sfrecciato via alla velocità della luce. Il secondo un po' meno. Forse ci avrebbe messo tutta la nottata, non era più un mio problema.
    La bruna, per niente convinta si congeda andando a prendere l'occorrente dalla credenza nella stanza adiacente, ed io ne approfitto per prendere posto vicino Igor, sul divano, che sorreggeva un grosso tomo dalla copertina bordeaux: "Devi avere una sfiga veramente del cazzo per credere di potermi levare anche solo una sigaretta, non trovi? Un cappotto veramente doloroso credo di averlo avuto a nemmeno sei anni" e annuisco con il capo poi mi fermo "No, è stato quando ho scoperto che mio fratello era un finocchio e dopo pochi mesi il mio migliore amico mi ha buttato fuori casa, si è decisamente questo" mi affaccio nel suo libro ficcandoci distrattamente il naso.
    "Hai verificato quella voce?" gli chiedo senza aspettarmi una risposta positiva, era sicuramente un vociare infondato, ma il fatto che non si disturbi a rispondermi mi sembra audace "L'assassino di Chekvshka è la madre, con il veleno del serpente della riserva del cugino" e via un po' di fumo oltre le labbra: "Ora mi rispondi?"




     
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    Si ritrovò a tossire preferendo poi voltarsi un attimo e seguitare a leggere quello che veniva riportato sul libro che aveva in mano.
    Ichabod era reduce da una aggressione e per quanto volesse credere che la sua fosse stata una caduta i segni sulle nocche urlavano a gran voce che i mal capitati di turno non avevano passato un buon momento.
    Del resto ce ne voleva di coraggio, e idiozia, per prendersela con uno come Blackwood.
    Che anche ammesso non lo sapessero chi fosse, la sua faccia non è che esprimeva ricchezza o bei modi.
    "Che coglioni".
    Abbassò lo sguardo sulla copertina del libro e lesse.
    I fratelli Karamazov, glielo aveva consigliato Karen e lui non amava deludere le aspettative della giornalista.
    In fondo, alla fine, si era anche abbastanza entusiasmato, era curioso di vedere come finisse e non aveva nessuna intenzione di mollare la presa sul libro, neanche quando fu Ichabod in persona ad affiancarglisi e chiedere novità sul suo sosia sfigato Inglese.
    -Mh, mh- disse distratto, lungi dal voler lasciar perdere gli spiattellò la fine di quella zavorra - e che cazzo- si lasciò sfuggire lasciando ricadere il tomo sul tavolinetto - si ho verificato, sta di merda, dicono che le sue visioni sono aumentate, strapazza ogni due per tre e onestamente ha una faccia che al confronto sembri un fiore di campo- lo fissò impassibile - qual è lo scopo?-
     
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    Difficile non vedere al di là della mia espressione vacua l'ombra di un sorriso, di quelli che la sanno lunga, perchè se i miei calcoli fossero stati giusti e le voci veritiere, allora il povero soldatino si trovava davvero in una situazione di merda. Chissà se almeno ne valeva la pena, se per amore, per il potere, o se perchè era un povero coglione e aveva venduto l'anima al diavolo. E quello si era all'improvviso ricordato di lui.
    "Eccellente" la ruga di espressione che mi corre dalla narice all'angolo del labbro si piega leggermente, pensando a quanto avremmo potuto davvero trarre rispetto a quella situazione. "Lo scopo?" e aggrotto le sopracciglia un po' sorpreso "Non lo vedi? E' un soldatino del sistema in balia di una situazione veramente di merda" aspetto, credo abbia capito ma vorrei fosse più sicuro di quello di cui sto parlando. Prendo una boccata di sigaretta e sputo il fumo in corrispondenza del tomo sul tavolino "Immagina questa scena, se un leone rimane ferito mortalmente nella savana chiederebbe aiuto persino ad una iena pur di sopravvivere" quell'esempio faceva più bene a me, che a lui.
    "Dovresti trovarmi qualcuno disposto a essere le nostre mani, non ho voglia di sporcarmele troppo, e soprattutto, dovresti capire che guaio ha combinato il povero soldatino per essersi ridotto così".
    Mi rialzo con una spinta di reni dal divano, il giusto per ciccare nel portacenere di vetro. Poi torno a mio posto, mi prendo una pausa così lunga che mi stupisco del fatto che Karen non sia ancora tornata, doveva aver mangiato la foglia.
    "E inoltre..." chiedo "... adozione legale di maggiorenni. Sai cos'è?" il rumore che fanno i miei palmi massaggiandosi uno contro l'altro fa venire i brividi nel silenzio della stanza scandito solo dall'orologio di legno scuro.




     
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    Igor lo vide soddisfatto, aveva un'espressione estasiata, che poche volte negli ultimi tempi riusciva a scorgere nel suo volto.
    Così come pure sembrava aver bisogno di una mosca bianca all'interno degli affari inglesi.
    In quell'uomo vedeva la via più breve per adempiere a un duplice scopo, non da meno quello che più gli interessava, la sublime vendetta di deriderlo mentre strisciava ai suoi piedi e gli chiedeva aiuto.
    Si rilassò sulla spalliera del divano mentre la sua mente già lavorava sul chi e come assoldare come intermediario quando a momenti non gli venne un colpo.
    -So cos'è- disse chiedendosi se non avesse avuto intenzione di riconoscere quella che a tutti gli effetti era sua figlia, maggiorenne.
    Poi gli venne in mente che non ne aveva bisogno non da meno non era necessario lo dicesse a lui, ma allora... quel lieve dissenso fu sostituito da un'espressione di pura incredulità a quella di pura goduria -parli.. di me?- il cervello gli si era già messo in panne e Igor non sapeva neanche come esternare quel momento così particolare e strano al contempo.
    -Beh, devi superare la mia età di diciotto anni per poterlo fare, lo sapevi?- questa la prima cavolata che disse e intanto si faceva i conti, quanti anni aveva Ichabod Blackwood?
     
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    L'idea che non avesse colto subito, mi lasciò pensare che probabilmente non aveva mai preso in considerazione l'idea. Non mi aspettavo che viste le sue origine avesse in mente una relazione familiare degna di rispetto. E a ben pensarci, nemmeno guardando le mie di radici potevo vantare di una qualsivoglia occasione di sbandierare le Blackwood capacità. Eravamo bravi a fingere, tutti, un sacco. A fingere non devianze, orientamenti sessuali discutibili, eravamo a fingere intere relazioni pur di salvaguardare il nostro nome. Il fatto che non fossi pronto a fingere per lui doveva dirla lunga.
    Poi arrivò la domanda. Quella, mi lasciò un piccolo spiraglio di speranza, probabilmente, un po' ci aveva pensato.
    "Non nelle Terre Scandinave" lo correggo seccamente, quasi interrompendolo prima che potesse concludere la frase. "Nelle stupide terre inglesi e blandoeuropee esiste il principio secondo il quale ci debba essere necessariamente, per iscritto e ufficializzato da un burattinaio legale, un legame di sudditanza tra me e te" non certo che abbia capito proseguo "Dovrei per forza dimostrare di poterti mantenere, e che tu possa essere mio... figlio, o quelle cose lì" mi rendo conto che parlare mentre Igor mi guarda non è come aprire dei tomi legali, cercare nelle biblioteche stralci di righe notarili, mi fa sentire in parte scoperto. La bruna non è tornata, o meglio, credo che stia ascoltando e abbia scelto di non calpestare un nostro spazio.
    "Qui la questione è diversa, si parla di nuclei familiari, senza specifiche relazioni. Nel mio al momento ci rientra solamente Night" e ora, chiedere di farci rientrare anche lui sarebbe troppo diretto. C'è una pausa così lunga che fatico a riprendere a parlare, e la quantità di spazio che lui mi lascia sembra infinita. Tiro una boccata così lunga di sigaretta che sento il cuore accelerare "Se volessi farne parte, intendo, per me andrebbe bene" meglio di così, non avrei saputo fare nemmeno una proposta di matrimonio.
    "Anche solo perchè a te chiederei una cosa del genere" una sorta di patto di sangue, e di morte. Abbasso la voce così tanto che farà fatica persino a sentirmi "Fai sparire Makenzie".




     
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    Igor lo ascoltò e più Ichabod parlava più si riscopriva divertito, non era il solo ad essere a disagio lì, ma era un disagio bello, di quelli che quando capitano.. ben vengano.
    Molte cose neanche le stava capendo, ma era certo che prima di proferire parola Ichabod si fosse informato.
    Gli stava chiedendo se voleva far parte della sua famiglia, del suo nucleo familiare.
    E lui non aveva nulla da obiettare. Anzi..
    -Vorrei farne parte- decise di porre fine all'imbarazzo in cui era caduto Ichabod, per una volta tanto si era voluto godere il momento.
    Quindi distese le labbra in un sorriso ma non aggiunse altro.
    Ichabod specificò altro e Igor si ritrovò a ripensare a quegli occhi di ghiaccio e alla pelle d'alabastro che tanto aveva voluto e tanto ora odiava .
    -Ancora ci pensi?- gli chiese – è la madre di Night, ci hai pensato che potrebbe non perdonartelo?- crescendo, sapendo, ascoltando le varie campane.
    -Non mi tirerò comunque indietro, spiegami il tuo piano-
     
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    Lo sguardo neutro non credo riesca a nascondere la tensione. Incredibilmente, stupidamente, dico "Grazie". Un po' la fiducia accordata, in parte la fedeltà che mi ha sempre dimostrato. Persino nei momenti più terribili, dove tutti sono scappati, e dove gli altri si sono lasciati attanagliare dai dubbi, lui è rimasto. Dico "E' importante per me" dove è rimasto poco e niente della mia vita, lui c'è stato e c'è.
    Non mi sono mai fatto un cruccio sul fatto che sarei potuto perfettamente sopravvivere da solo, ce l'avrei fatta perfettamente, senza Night che puntualmente mi sveglia perchè deve rubare il mio cuscino, senza Karen che cucinava i pancake la mattina con parti di pastella cruda, senza Igor che non era nemmeno un fratello. Un fratello per lo più ti rimane vicino perché la genetica e l'obbligo vi lega, ma chissà se potendo scegliere rimarrebbero tutti. Igor era là, davanti a me, e credo che avesse rinunciato a molto più di quanto ammettesse per me.
    Forse a più di quanto avrei rinunciato io mai.
    La sigaretta perde una piccola parte di cenere sul divano, che soffio via.
    "Non se la verità che racconteremo sarà solo in parte aderente alla realtà" un po' il male del mondo attuale e comune, piegare la verità un po' al nostro volere, dire che ci siamo meritati qualcosa, dire che la colpa delle nostre azioni è dei nostri genitori, dire di amare qualcuno ma tradirlo ugualmente. Non avremmo fatto niente di diverso da quello che facevano tutti tutto il giorno, tutti i giorni. "Non credo sia il momento per parlarne" Guardai la bruna rientrare con la coda dell'occhio, stringendo un bauletto a destra e la bacchetta a destra, mi chiede se sono pronto, e con uno sguardo terribile, guardo Igor mentre rispondo a lei "Come sempre".

    "In un'altra vita abiterò in un cazzo di posto caldo, così caldo che dovrò cambiarmi tre mutande al giorno. Voglio che mi sudi tutto, porca puttana" biascico mentre mi trema la mano accendendo la sigaretta. Il termometro segnava -2°, lampeggiava come a voler insistere che non era il caso di restarsene lì, su quella panchina, al buio di mezzanotte, stringendo una sigaretta, e schiarendosi la gola in un posto nascosto, tanto che Karen non potesse ascoltare nemmeno lontanamente.
    "Dopo che Barbie se n'è andata, ho contattato una veggente, sulle colline boschive, mi avevano detto essere una delle migliori veggenti su piazza, e lo è. Mi ha detto che Night, all'età di quattro anni mi verrà portata via da una donna bruna dagli occhi color oceano, alla bambina conosciuta. Ed io non vedrò mai più mia figlia. Non voglio rischiare che sia davvero la migliore su piazza, quindi, dal momento che ogni profezia è facilmente arginabile e modificabile, Makenzie deve morire. Night non conosce altre donne che rispecchino la descrizione" non potevo permettere che me la portassero via, mai, piuttosto, mi sarei lasciato morire di stenti stavolta.
    Guardo Igor, dopo anni lo capisco, anche se non spiccica parola "Non è lei, non lo farebbe mai. Makenzie si. Ma deve essere un incidente, non voglio rimetterci" Sarei stato il primo indiziato, ma Igor poteva tenermi fuori dai giochi con chiunque ormai.


     
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    Era in attesa che Ichabod arrivasse, fuori al freddo che comunque non lo tangeva a guardare il cielo stellato.
    Improvvisa e senza motivo gli era venuta in mente una cantilena che aveva udito quando era a Durmstrang, la canticchiava spesso una ragazzina, la più piccola del corso.
    Ricordava che non le arrivava neanche alla vita, e che comunque gli incuteva soggezione.
    -Eri il mio soldatino- ora che c’era voleva vedere se se la ricordava.
    -Ora un principe oscuro, ma anche per te c’è una luce- gli occhi puntavano ancora il cielo e lentamente si stava rilassando; si mise con le braccia conserte e proseguì – non hai ucciso il tuo sergente, non ti scordar di me, veglierò su di te-
    La ripetè completa un’ultima volta si fermò solo quando si avvicinò Ichabod.
    Lui odiava il caldo, l’uomo lo sapeva, anche se negli ultimi tempi aveva imparato ad apprezzare anche quello.
    Purchè non fosse eccessivo.
    Una veggente, un’altra.
    Igor odiava questi soggetti, così come odiava il fatto che Ichabod si facesse condizionare dagli stessi.
    -Sai come la penso, le profezie siamo noi con le nostre azioni a portarle a compimento- voltò il capo verso di lui – ci usano come soldatini- già che gli era venuta questa parola in mente la utilizzò, calzava proprio bene.
    Inoltre era decisamente in errore, non esisteva solo Makenzie con quelle fattezze, c’era una donna con gli stessi colori proprio in quel momento, nella sua casa.
    -Che ne sai, Ichabod, che non è lei? – chiese comunque.
    -Andrò a Londra, inizierò a sondare il terreno per lei e per l’altra questione, ma ti chiedo di pensarci per bene.
    Le profezie vanno lette con attenzione, se proprio vuoi dargli un credito-
     
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    "Perchè non mi farebbe del male"e lo dico in modo così convincente da stupirmene persino io. Ogni persona che avevo conosciuto nella mia vita, che fossimo legati dal sangue, dal sesso, dall'amicizia, quando aveva potuto, appena aveva avuto l'opportunità di scegliere, mi aveva accoltellato così forte dietro le spalle da rendere la mia schiena una costellazione di cicatrici e variopinti ghirigori.
    Lei era stata l'unica a non approfittarsi di quell'unico spazio di pelle bianco rimasto, lei e Gabriel. Non avevano mai infierito, e non mi avevano mai venduto, non avevano mai rinnegato niente ed erano ad oggi, le uniche persone, ad oggi a guardarmi senza volere niente in cambio. Igor mi ha insegnato che il rimorso a volte è davvero solo rimorso, ed è per questo che vorrei entrasse a far parte della mia famiglia.
    Ma sono certo che lei del male non me ne farebbe. Tra me e lei, preferirebbe me.
    "Se ami davvero qualcuno non credo vorresti mai fargli del male. E lei mi ama" e Night, nella mia vita aveva avuto un peso, un peso grande "E per quanto valga, nemmeno io voglio farle del male". Credo abbia capito, guardiamo entrambi davanti a noi, oltre la panchina, nel mio desiderio che un'improvvisa folata di vento caldo ci sbrini. Un desiderio destinato a congelare con noi.
    "Soldatino?" e mi giro verso di lui con espressione corrucciata "Ma che cazzo di parola è, come ti viene" sembro distaccato. Ma la verità è che un brivido lungo come un orgasmo ha cominciato a correre lungo tutta la spina dorsale. Se guardasse dietro le mie pupille, vedrebbe lui stesso quella scena. Non piangere soldatino. Non piangere.



     
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    Non so cosa stiano elaborando quei due, ma quando parlano tra di loro in questo modo allora automaticamente c'è qualcosa di losco sotto.
    Li lascio stare, perchè tanto non ne caverei comunque un ragno dal buco, ma immagino che Mr Ichabod Blackwood mi dovrà più di una spiegazione una volta di rientro.
    Se mi escludono dal discorso vuol dire che già sa che non mi piace.
    Sono una donna paziente, evito di andare via e resto con Night tutto il tempo che gli serve per discorrere.
    Alla fine rientra, non posso dire che sia passato poi tanto tempo.
    Eppure la sua faccia, che mi aspetto rilassata, è tutto fuorchè questo.
    E' pensieroso, è preoccupato.
    Forse stravolto è il termine più appropriato.
    -Cos'è successo?- gli chiedo guardandolo mentre sono ancora seduta sul divano con Night che dorme tra le mie braccia.
    Allora mi alzo, la porto in camera da letto, la adagio tra le coperte e torno da lui - Chab, ti va di parlarne?-
     
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    Il quadretto che si palesò davanti il mio sguardo una volta riaperta la porta per qualche motivo mi sembrava talmente conosciuto che non mi infastidì né turbò, Night dormiva con le labbra socchiuse e con la guancia poggiata sul petto asciutto di Karen. Sembrava beata in quel pigiama bianco che le conferiva un’aria angelica.
    I grossi boccoli dorati erano stati spostati dalla mano di Karen dietro un minuto orecchio pallido, e gli occhi chiusi l’avevano trasportata in un modo di sogni.
    Non rispondo al che è successo, mi dirigo direttamente verso il grosso frigo e mi verso da bere, la piccola e tozza bottiglia fredda tintinna contro la mensola di plastica e il vischioso liquido chiaro ambrato si versa nel bicchiere senza resistenza. Bevo un sorso lungo, il tempo che mi senta sufficientemente stordito, e rintronato dall’amaro e dal sapore forte.
    Lei si alza con la bambina in braccio e si accinge a superare la stanza da letto padronale per portarla nella sua. La stanza di Night era stata riarredata e sistemata da me e Igor, spostando sapientemente l’entrata della porta in modo che chiunque volesse entrare nella sua camera, doveva per forza passare dal salone e poi dalla mia. Ancora più importante, fu togliere le finestre e rimpiazzarle con un incanto che desse l’illusione che ci fossero, era stato ben sistemato l’incanto persino da Karen, che dicesi completamente contro all’idea, aveva messo dei vasi fioriti come illusione e delle tendine chiare con una fantasia fanciullesca.
    Quando la guardo tornare, mi rendo conto che ho voglia di spiegarle che succede, e che non l’ho fatto con Igor fingendo che fosse una parola divertente, quel soldatino.
    Quel soldatino che non aveva ucciso il suo sergente. Igor non poteva sapere che a sparare, deturpando all’epoca l’espressione dell’uomo di guerra non fui io. Quella era la versione che avevo raccontato per anni a tutti, persino a me, pur sapendo la verità.
    Ora scopro che a Igor non l’ho detto per vergogna, la sua risposta sarebbe stata che mio fratello minore non meritava niente, e che ero stato un coglione a coprirlo per tanto tempo, ad essere polvere di me stesso solo per tenere fede ad una promessa fatta ad un padre lontano. E la verità era che aveva ragione.
    Ma Karen era diversa, avrebbe capito. Aveva già capito che qualcosa non andava. La guardai in silenzio oltre il bicchiere pieno di alcool e nonostante tutto. Nonostante il suo sguardo, nonostante la sua preoccupazione. Nonostante avessi potuto parlare sapendo di essere accolto, di ricevere il giusto peso, le giuste parole, il giusto aiuto… l’abitudine ebbe la meglio.
    Rispondo “E’ tutto ok”.





     
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    Chab deve capire una cosa, con me il silenzio e le risposte a monosillabi dicono più di mille parole.
    Possibile che dopo tanti anni ancora non lo ha capito?
    Oppure semplicemente lo fa per abitudine, che non lo escluderei comunque.
    Ripongo delicatamente Night nel suo letto e lo raggiungo.
    Mi verso dell'acqua, bevo, mentre continuo a guardarlo.
    Poi lascio il bicchiere e la mia mano si poggia sulla sua.
    -Non è vero- rispondo al suo “è tutto ok”.
    -E nonostante ora potrei lasciarti nel tuo silenzio e andare di la a prepararmi per la notte, resterò qui, a tediarti con la mia sola presenza finchè non ti ricorderai che davanti a te hai una donna che ti ama, e che vuole ascoltare i tuoi pensieri, le tue sensazioni.
    Una donna che vuole sapere cosa stai provando e soprattutto che non si accontenta di una palese bugia-
    gli sfilo via il bicchiere dalla mano, dopo che ha finito di bere, e le stesse mani le avvolgo attorno al mio corpo che ora aderisce perfettamente al suo – allora, Chab, riproviamoci.
    Cos'è successo?-
     
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    Ci misi diversi secondi per ricomporre le mie sensazioni. Le sopracciglia si erano limitate a diventare una linea retta sugli occhi arruffati, le labbra strette verso il centro, e l’idea che uno dei miei peggiori incubi potesse diventare realtà.
    Di contro, davanti a me, Karen aveva assunto quell’espressione di comprensione che raramente avevo visto in altre persone, forse solo mia madre e Professori nella scuola. Era un’espressione contro la quale si poteva fare ben poco, la potevi guardare, studiare, comprendere e alla fine, lottare per non cedervi. Il suo corpo raramente passava inosservato nella mie mani, oggi era un giorno di quelli.
    “Qualcuno vuole portarmi via la bambina” nego con la testa prima che possa rincuorarmi in qualche maniera che niente di brutto accadrà a Night. “Non so che cosa accadrà ma stanno succedendo cose strane, c’è qualcuno che mi sta col fiato sul collo” nel mio immaginario il più grosso sbaglio della mia vita era biondo, con una lingua lunga e affilata e l’espressione di una svampita stronza. Ma forse, date le condizioni non era lei il peggiore errore mai fatto.
    “Nella mia condizione non sono in pochi a volermi portare via quello che mi appartiene” la rotondità con la quale la parola appartenenza fa capolino, la porta a capire che in ciò che è mio non rientra solo la bambina. Il palmo della mano si chiude e scopro l’avambraccio con un segnaccio che aveva preso il posto del vecchio e scuro tatuaggio nero. Un altro errore di gioventù, ad oggi non saprei dire quale fosse peggiore.
    “A quanto pare c’è qualcuno nelle isole del Nord, e qualcuno a Londra che vuole qualcosa di mio” la lealtà che trasudava da ogni sua piega del viso non avrebbero spinto nessuno a mentire, non era necessario, né richiesto. Eppure la guardai, ed io, marcio dentro di me, impaurito dissi “Non so chi voglia portarmela via” ma ricordai quello che era successo con Silas, e l’idea di perdere di nuovo qualcosa che mi apparteneva tanto, mi dissi, stavolta mi avrebbe ucciso. Non ci sarebbe stato niente in grado di salvarmi, l’ultima parte di mio cuore ancora in grado di battere per qualcosa, si sarebbe lasciata andare. Mi ero chiesto più e più volte se non fosse stato un errore madornale lasciare delle briciole tanto grosse dietro di me, al punto da rendermi indifeso, vulnerabile.”Forse dovrò andare a Londra per qualche giorno” non seppi dire se l’irrigidirsi dipendesse dal viaggio prossimo o dal fatto che non fosse stupida.
    Mi riavvicinai il bicchiere di alcol, senza berlo. Ne guardai il fondo come avrei fatto con me stesso se avessi mai potuto “Ho paura”.



     
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    Le sue parole mi lasciano pensierosa.
    Chi è che vorrebbe portargli via la bambina? Il primo nome accompagnato da un volto che mi viene in mente è Makenzie.
    Alla fine non ne abbiamo mai parlato e probabilmente non lo faremo neanche oggi, ma il suo tenere lontano la bambina da quella che è la sua madre naturale non è una saggia idea.
    Eppure se si affida alla legge le probabilità che riesca a portargliela via sono effettivamente reali e concrete.
    -Di cosa parli?- dice che qualcuno gli sta sul fiato sul collo, sulla base di cosa lo dice? Chi gli sta addosso?
    Mi racconta qualcosa. Stralci di episodi che per una che è estranea alle vicende dicono davvero poco.
    L'unica cosa che posso dirgli è – per portartela via devono prima superare un enorme ostacolo- ovvero lui.
    Di cosa ha paura? Da quando ha perso la sicurezza di essere invincibile?
    -Non da meno quello rappresentato dal tuo secondo e da me- non che io sia la nuova Xena, ma non sono neanche l'ultima ruota del carro.
    Se devo so come difendere ciò che amo.
    -Pensi sia saggio?- andare a Londra dico.
    Lui non è ben voluto lì, un solo passo falso e si ritroverebbe addosso l'intero corpo auror.
    Sapevo dove voleva andare, come era venuta in mente me lei, era venuta in mente anche a lui.
    -Cosa vorresti dirle?-
    Avere paura era normale, ma per come la vedo io basterebbe fare un passo in dietro e la questione si potrebbe risolvere velocemente.
    Oltre che facilmente.
    -Cosa ti fa veramente paura?-
     
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    Quelle parole appena pronunciate mi spaventarono talmente tanto da farmi rabbrividire. E’ come quando non provi dolore, finché non dici di esserti fatto effettivamente male.
    Cadi dalla bici, prendi un pugno, e riesci ad andare a casa sulle tue gambe, nonostante il sangue, nonostante il dolore, leggero come se il vento ti trasportasse, non senti poi così tanto dolore, ti dici, potevo farmi più male, sarei potuto finire all’ospedale. Arrivi a casa e ti lasci osservare da tua madre, è solo a quel punto che piangi e ti accorgi del sangue sulle ginocchia, delle stelline dietro la retina, del dolore che ti avvolge con calore ed entusiasmo.
    E’ quando dico di avere paura, di rendermi conto di non riuscire a rispondere, di combattere contro il brivido che mi scatta lungo la schiena, del tremolìo delle gambe, dell’idea che finire ad Azkaban dopo aver strangolato quella lurida non era peggiore del vedermi portare mia figlia, la mia bambina. Non sarebbe successo di nuovo, e allora rimango in silenzio, lottando contro la voglia di tapparmi le orecchie davanti, per non dare l’idea che sarei morto più che ammettere di nuovo che ero terrorizzato dall’idea di perderla, che sparisse così com’era sparito Silas.
    La verità, era che avevo visitato quella divinatrice perché pareva essere la migliore Obliviatrice delle Isole nordiche, avrebbe messo fine al mio dolore, a quell’idea che forse, forse prima o poi sarebbe tornato. La verità è che non sarebbe tornato più, non avrebbe più fatto ritorno a casa, e chiunque assoldassi per ritrovarlo, aveva qualcuno che probabilmente pagava di più e dava di più per smettere e fermare la ricerca.
    Non c’era altra soluzione e non c’erano altre possibilità. Il grande Ichabod ridotto pubblicamente ad una spilletta da fiera magica, una figura animata dietro la scatola di una cioccorana, un puntino nell’Universo, senza poteri e senza niente, non muoveva nemmeno più la pietà di un Mangiamorte, né di una prostituta ripulita che chissà da chi si è fatta coprire.
    Di questo avevo paura. Oltre me, lei, Gabriel ed Igor non mi era rimasto altro potere. Potevamo la voce grossa quanto volevamo, ridurci ad una catena umana intorno a Night, ma ci sarebbero stati uomini e donne troppo più potenti per non schiacciarci come fastidiosi scarafaggi.
    Deve essere questo quello che prova un genitore quando il figlio torna in lacrime a casa, si accorge di non essere onnipotente, non del tutto. Quindi rimango in silenzio, non le rispondo, se non piegandomi sotto il peso dei miei stessi pensieri. Le ginocchia cedono lentamente fino a accompagnarmi a terra, e trascino lei per un polso, chiedendole silenziosamente di non lasciarmi lì da solo.
    La stringo talmente forte da credere di farle del male, la tengo attaccata al mio petto, forte, fortissimo. “Sono stato alle Isole Fær. Ma è iniziato prima” e racconto tutta la storia. Obbligandola ad ascoltarla ferma nelle mie braccia, senza possibilità di guardarmi in viso.



     
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