I Bats

Privata

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    Si faceva presto a dire "vieni" "parliamo" "facciamo"..
    Mia sorella neanche aveva l'idea di cosa volesse dire per me ritagliarmi un arco di tempo tale da poterci parlare in un giorno settimanale, ma nel momento in cui lo facevo allora perchè faceva ritardo?
    Cercai di non pensarci sedendomi su uno degli spalti del campo da quidditch, per niente interessata agli allenamenti che stavano per finire (anche se dovevano essere già finiti a onor del vero) aprii un taccuino e mi misi a scrivere.
    C'erano diverse cose che avrei approfittato di fare visto che non era una tappa che facevo spesso quella di Diagon Alley.
    Non da meno mi sarei premurata di ordinare al paiolo un tavolo per quattro.
    Non avevo scordato la proposta di kain nè tanto meno il fatto che Dell e Sarah avessero accettato di buon grado.
    Avevo appena appuntato l'ultima nota a piè di pagina quando mi sentii un paio di occhi addosso.
    Incerta se sollevare lo sguardo e dare credito all'intruso oppure no, alla fine optai per "l'ok vediamo chi sei".
    Certo rimasi sorpresa, e si poteva chiaramente vedere sul mio volto, quando davanti avevo niente poco di meno che il maestoso Philip Tudor.
    Che accidenti ci faceva li?
    -Ti serve qualcosa?- gli chiesi pacata - non sapevo giocassi per i Bats, una svolta vedo, come stai?-
     
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    "Cercherà di disdegnare l'offerta della squadra Russa?" dire che non mi aspettavo affatto quella domanda sarebbe stata una sciocchezza, ma guardai la giornalista comunque in modo strano forse, perchè lei sorrise in modo un po' forzato e la piuma incantata smise di agitarsi. "Non lo so, fa troppo freddo per me lì forse, ma l'offerta è davvero interessante" lei mi guarda e mi chiede "Ha a che fare con la fine della sua ultima relazione?" silenzio, sento persino Abby che sta rispondendo a qualche domanda più in là smettere di parlare e voltarsi. Sorrido in imbarazzo "Certo che no, sono un professionista" certo che si, sono un povero stronzo. Le sorrido "Ora devo davvero andare" lei mi ringrazia e io la supero, ignorando il resto degli occhi su di me.
    Il motivo per il quale salgo sugli spalti è che Kelso mi dice che ha lasciato i documenti su una cartellina vicino le pluffe di riserva, e potrei perfettamente usare un incanto di richiamo, ma mi toccherebbe poi trovare un'altra scusa per allontanarmi fisicamente da quel casino di giornalisti.


    Rimango gelato, davanti a lei, a quegli occhi che poco tempo fa e nei miei sogni migliori erano ancora pieni di amore e ammirazione per me, e che ora non nascondevano niente altro che un odio che potevo ricordarle addosso solo quando mi reputava all'inizio un coglione, stupido come un asino, imbecille giocatore di quidditch. Un cerchio che si chiude.
    Mi faccio forza e prendo parla "Presumo non sia qui per me dunque" e quello che faccio cos'è? Una battuta? Ma sto scherzando o cosa? "Cioè intendo dire che Abby è giù con i giornalisti, credo ne abbia ancora per un po'" rimango lì fermo, tenendo le distanze per paura che possa saltarmi alla gola senza testimoni. O forse mi sto illudendo e non le frega niente. "Sono in prestito fino a fine anno" le spiego credendo le interessi davvero.
    La guardo e mi rendo conto che no, non sono andato avanti. Per niente.
    Le budella mi si annodano e tutto quello che abbiamo fatto insieme, mi colpisce in faccia come una frustata da lontano, doppia come un pugno. "Sto pessimamente comunque. E tu?"





     
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    La sorpresa gli si poteva leggere negli occhi, a differenza mia che cercavo in tutti i modi di mantenermi zen. In fondo erano passati mesi, tanti mesi, senza sapere niente di lui.
    Nè lui si era mostrato interessato a tornare sui suoi passi.
    -Avrei dovuto?- secondo quale scienza astrale io mi sarei dovuta prendere la briga di cercarlo?
    Questa volta non potei negarglielo un sorrisino di scherno - no, sono qui perchè me lo ha chiesto Abby, pare abbia qualcosa di importante da dirmi-
    Con lo sguardo corsi verso il campo, dove effettivamente c'erano dei giornalisti che non le avrebbero dato tregua; nonostante tutto non sembrava essere il giorno migliore per fare due chiacchiere tra sorelle.
    -Beh, buon per te, immagino. I Bats sono una grande squadra, anche Abby pare abbia valutato l'ipotesi di accettare la loro offerta- me ne aveva parlato e tutto sommato non avevo avuto nulla da obiettare, a maggior ragione se questo voleva dire averla più vicina.
    -Ora sto meglio, grazie- risposi alla sua domanda - ma sono stata male, anche troppo per i mie gusti- visto che Abby ne avrebbe avuto per la prossima mezz'ora almeno decisi bene di alzarmi, per andarmene - fammi un favore, dille che son dovuta andare via, non mi va che mi vedano qui - soprattutto non mi andava di rispondere alle loro domande qualora gli fosse venuto in mente di farmene.
     
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    "Mi fa piacere" quando di essere stata troppo male per i suoi gusti, sapevo perfettamente a cosa si riferisse, e quanto probabilmente le fosse costato fare questa affermazione. Non avrebbe avuto lo stesso peso dirle che continuavo a svegliarmi nel cuore della notte di tanto in tanto pensando a che diamine fosse successo e come sarei potuto essere mai di nuovo felice un giorno. Pensavo di non aver potuto nemmeno salutare Dean per bene, di dargli il regalo di compleanno che era chiuso nell'armadio e che come uno stupido avevo comprato con così tanto anticipo perchè mi dicevo, niente sarebbe potuto andare male.
    E non le avrei detto nemmeno che avevo finto per circa altri tre mesi di essere ancora accompagnato da lei, in modo che nessuna potesse seccarmi in alcun modo. Insomma non aveva lo stesso peso perchè tra i due il debole ero sempre stato io, per me sarebbe stato facile dirlo, eccome. Lei per dirmi che era stata male, probabilmente aveva attirato a sé tutte le energie richieste.
    Quindi rimango lì un po' imbambolato, dimenticando persino che fossi salito a fare sugli spalti.
    No, non la far andare via, dille qualcosa, qualcosa, qualsiasi.
    Faccio un passo a sinistra bloccandole l'uscita, e non mi muovo, deglutendo e tenendo il suo sguardo.
    "Ti va se vengo via con te?" mi è uscita un po' male "Cioè intendo, se ti offro qualcosa, magari in città, o da me" e pure questa non mi è uscita benissimo "Magari se vogliamo stare un po' più tranquilli" ora mi alza le mani, ora lo schiaffo me lo da, eppure un po' scioccamente, il viso non lo sposto.
    Se davo atto a lei del fatto che le era costato troppo dirmi certe cose, il coraggioso qua dei due era lei, e per me, chiederle "Avrei davvero bisogno di parlarti"non era una sciocchezza "Perchè io non sto ancora meglio, ci deve essere qualcosa che ho sbagliato".


     
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    Ero pronta ad andarmene quando lui mi bloccò il passo.
    Ci misi più di un attimo a decidere cosa rispondergli.
    Se mi andava che venisse via con me? Chiaramente no.
    Ma tutto sommato forse l'idea di parlare per provare quanto meno a chiarirsi non sembrava male.
    In fondo non era scappando che si risolvevano le questioni in sospeso.
    -In città andrà benissimo- e questo era il massimo che gli potessi concedere.
    E non perchè avessi paura di stare in un luogo privato con lui, forse un pò anche quello, ma se potevo evitare certe situazioni era meglio.
    -C'è più di una cosa che hai sbagliato- gli dissi tagliente mentre gli passavo oltre conscia che da li a poco ci sarebbe stato il famoso "chiarimento" delle parti.

    Londra era molto silenziosa, tra i babbani c'era il nuovo virus che non stava dando tregua.
    Lampante come non toccassero i maghi ma confidavo che i due ministri si stessero dando da fare per trovare un accordo comune.
    Tutto sommato anche in quel locale scelto c'era la dovuta tranquillità.
    Se si aspettava che mi sarei messa a parlare per prima aveva capito proprio male.
    Ero li, lo avrei ascoltato.
    Che parlasse.
     
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    “Mi manchi” è la prima cosa che le dico, prima ancora delle scuse, ne osservo le reazioni, rimango fermo pensando a quanto avrei dovuto dirle, a quanti discorsi mi ero creato in mente, sotto la doccia, flussi di coscienza lunghi mezz’ora, ore, spiegazioni su quanto fossi stato sciocco, impulsivo, quanto fossi stato stupido a decidere per lei che io non fossi abbastanza, e quanto fossi ferito dal fatto che non avesse preso le nostre parti davanti a October, facendomi credere che avessi tutti i motivi per chiedermi che ci facesse lei con me.
    Erano passati mesi, era stato l'anno peggiore della mia vita, e sono certo che se avessi potuto spiegarglielo avrebbe capito che non stavo in giro a bighellonare, mi ero guastato, e avevo ricevuto bastonate per le quali non fossi certo nemmeno del perchè potessi continuare a stare in piedi.
    Avevo decantato poesie e ipotesi, avevo pianto convinto non mi avrebbe perdonato e riso certo che alla fine ci saremmo baciati e sarebbe passato tutto. Ora sono qui davanti a lei, che mi guarda dietro il suo bicchiere, e tutto quello che so dire, ripetere è “Mi manchi da morire” il tono è piatto e sussurrato, come avessi paura che qualcuno nel café potesse udirmi.
    L’ambiente era silenzioso e tranquillo, qualcuno ticchettava sul proprio cellulare o pc, alle spalle di Rya c’erano due anziani che si dividevano un cornetto, lei sorrideva al marito, che si curava di fare due metà perfette. La cameriera si era velocemente accontentata delle nostre ordinazioni, e avevo notato le unghie talmente lunghe da chiedermi se fosse davvero riuscita a scrivere o se facesse finta.
    “Non è per giustificarmi ma ti assicuro che mi è sembrata una cosa immensa, la prima storia seria, con te, con mille occhi puntati addosso e zero esperienza” questo era qualcosa che nei miei pensieri c’era vicino “Mi sono sentito intimidito è vero, persino dalle parole di October, ma l’idea di perderti mi terrorizzava” la guardo e riabbasso la voce di nuovo “Ma non avevo calcolato che perderti davvero è stato molto peggio. Sono distrutto, ancora” era come se avessi scritto un gobbo da seguire e se improvvisamente qualcuno me l’avesse strappato davanti gli occhi costringendomi ad andare a caso, ricordando parole e frasi qui e lì, come se lei dovesse alzarsi da un momento all’altro e andarsene ed io dovessi arrivare subito al sodo senza perdere tempo.
    “Mi dispiace Rya” non avevo seguito il copione nemmeno un po’ e cominciai a sentirmi frustrato, ma in fondo è un po’ diverso quando hai lei lì davanti a guardarti, dovrei essere giustificato.


     
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    Le sue parole colpirono, e tanto.
    Mi ritrovai a pensare tante cose, ad esempio mi verrebbe da chiedergli " te ne accorgi solo adesso?" o anche "avevi bisogno di vedermi per ricordarti che ti manco?".
    Ma non dissi assolutamente niente, nè gli feci presente quanto lui fosse mancato a me nei primi mesi che avevo passato a chiedermi cosa fosse successo, perchè si fosse sentito in dovere di arrivare a tanto.
    Pensarci ancora mi faceva male.
    Comunque stavamo affrontando una conversazione in modo civile, tanto valeva esprimere i concetti, tutti quanti, in modo chiaro.
    -Posso capire tante cose, Philip. E le ho capite le tue parole, sebbene non le abbia condivise, mai.
    E ancora oggi non capisco perchè tu abbia deciso di lasciarmi, mentre ancora dicevi di amarmi.
    Non avevi motivo, gli altri parlavano, va bene, e allora? Parlano di continuo. Mi hai lasciata perchè tu per primo pensavi fossi superiore in qualcosa.
    "Troppo"
    E ora cos'è cambiato?
    Ora ti manco, e allora è cambiato il tuo modo di vedermi? Di pensare? -
    lasciai il bicchiere sul tavolo e tornai con lo sguardo su di lui - dispiace anche a me Phil, ci tenevo a noi. Tuttavia ora c'è un altro uomo nella mia vita-
     
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    Credo che Philip non mi ci avesse chiamato nemmeno la prima volta, faceva così distaccato, così poco esclusivo, come se ci tenesse a mantenere le distanze e soprattutto farlo notare. Se avesse potuto e se non fosse sembrato del tutto assurdo, forse mi avrebbe chiamato per cognome.
    “Mi sono reso conto che sarebbe davvero stupido rimanere separati perché sono un idiota, in primis, e poi perché si, insomma l’inesperienza mi ha punito. Credevo saremmo stati molto meglio separati, ma non è questo il caso, o sicuramente non è il mio caso” ora, nelle mie fantasie, lei mi da torto, mi dice che anche lei è infelice, che ha passato un anno orribile cercando di rimanere a galla, che le manco e che si, sono un idiota. Lo dice mentre sorride un po’, quel sorrisetto beffardo di chi sa di aver avuto sempre ragione, e quel sorrisi no vale più di ogni te l’avevo detto. Poi lo dice. Ma non dice quello. Per niente. Non mi perdona, parla al passato. E quando parla di un altro uomo la mia prima reazione è un sorriso di stupore. Stupore totale, ho appena firmato un lasciapassare per farmi cadere addosso un trilione di mattoni, lì in quel bar davanti a tutti. Prima che il mio sorriso viri ad un sorriso di un prossimo suicida, gonfio le labbra e sollevo le sopracciglia. “...Fantastico” unisco le mani giungendole sul tavolo e intreccio le mie dita sul bicchiere di cartone fumante, sorrido ancora più forte, sorrido così forte dall’assurdo che penso mi cadrà la faccia tra poco.
    “Non stai parlando di Dean vero?” Ti prego dimmi che parla del figlio, lo accetterei, direi, certo gli ho comprato anche un bellissimo regalo per il compleanno. Ve lo venite a prendere, insieme, eh? Che ne dici? Ma no, non parla del figlio.
    Improvvisamente il sorriso idiota e imbarazzato scompare dalle mie labbra, lentamente, sempre di più, più stringo il bicchiere, più cala il silenzio, più scompare. Rimane una linea quasi invisibile sulle mie labbra e deglutisco visibilmente per cacciare giù un nodo grosso come un pugno. "Ho capito..." sento una nausea montarmi all'improvviso perchè non dice che sta scherzando, che sono sciocchezze, e non posso fare a meno di notare che posso asserire con una certa sicurezza che si, è l'anno più brutto della mia vita, e superati i trenta i numeri non giocano a mio favore. Si pensi un po'.
    "Spero che tu sia felice... lo sei?" sollevo leggermente le spalle. Non dice che è uno scherzo, non credo lo sia, ed era giusto pensare che il mondo si fosse fermato solo per me, che i giorni erano diventati uguali, uno uguale all'altro, e che improvvisamente ero finito a guardare le foglie rosse cadere. Non ricordo nemmeno un raggio di sole a scaldarmi la pelle, ricordo di una capriola alle sciarpe, cappelli e allenamenti serali al freddo. Il tempo si era fermato. Ma solo per me, e prima ingerivo la pillola, meno difficile sarebbe stata mandarla giù. "Se mi dici che lo sei, che non c'è niente che io possa fare per tornare indietro, se mi dici che sei stata male ma che sei andata avanti e non vuoi essere disturbata ancora, non mi vedrai più nemmeno per errore, rientrerò dalla grotta dalla quale sono uscito" il tepore del calore del caffè nei miei palmi stava lentamente svanendo "Guardami e dimmi che sei davvero passata oltre. E che non c'è niente che io possa fare".

     
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    Il mio intento non era ferirlo, quando ho parlato di un altro uomo, volevo semplicemente metterlo a conoscenza del fatto che ho provato ad andare avanti.
    Non che ci sia riuscita, ma Phil non sa che ho chiesto del tempo a Kain.
    Come non sa che questo tempo serve solo a me, per capire quanto io sia disposta a rischiare conscia di poter alterare gli equilibri di una famiglia bellissima quale è quella di Kain.
    Per questo le sue parole non mi convinsero, chiaramente per lui non era fantastico un bel niente, ma non potevo neanche illuderlo che tra me e l'auror non ci fosse nient'altro che amicizia.
    Quando alluse al fatto che l'uomo in questione potesse essere Dean neanche gli risposi, era l'ennesimo tentativo da parte sua di non prendere sul serio le mie parole.
    Sebbene non dovessi mi sentivo comunque in colpa.
    L'immagine di Kain comparve nella mia mente, mi sentivo bene quando stavo con lui? Ero felice?
    Mi riscoprii ad annuire.
    Sebbene nulla ci sia stato ancora tra di noi il pensiero di lui mi dava serenità, mi faceva sentire protetta, al sicuro.
    Sentivo che con lui mai avrei rischiato di essere lasciata per il mio passato, per tutti gli anni che la vita mi aveva dato per forgiare quello che sono.
    Una donna, un auror, una preside.
    Sento che non ci saranno mai sentimenti di inferiorità tra di noi.
    Da nessuna delle due parti.
    -Sono stata male, mi hai fatto male, ma ho capito, così come capisco che avevi ragione.
    Tra di noi non sarebbe potuta funzionare, neanche se non ci fosse stato un altro uomo nella mia vita.
    Perchè io sono così, ingombrante, e non parlo di fisico. Parlo del bagaglio di esperienza che mi porto dietro, parlo del fatto che sono una donna dura, inflessibile, poco incline allo scherzo, parlo del fatto che per te ho cercato di cambiare, e non è servito a niente.
    E non voglio più cambiare per un uomo.
    Mai più-
     
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    Mai avrei immaginato che mi avrebbe dato ragione, che confermasse alla fine una idea stupida, che era sembrata stupida persino a me. Quando avevo detto che non andava, che era troppo, che non ne saremmo usciti, non avevo minimamente immaginato che potesse essere infondata. Che stare senza di lei ogni giorno sarebbe stato peggio, che quel disfattismo sereno mentre dentro ero distrutto mi avrebbe ucciso. Invece adesso, era lei che la pensava così, aveva confermato qualcosa che ritenevo una mera paura.
    Forse alla fine lo pensava anche lei che fosse un’idea giusta, che non avessimo niente in comune, che per me aveva persino cambiato il suo modo di agire. E allora si potevo dirle che era una stupidaggine, che eravamo fatti eccome per stare insieme, che a lei piaceva ridere, e che quando sorrideva per qualche scemenza era la donna più bella che avessi mai visto. Potevo dirle che proprio perché si credeva dura, inflessibile, austera, aveva bisogno di me. Aveva bisogno di leggerezza, di risate, di prendersi meno sul serio, di rilassarsi e di pregarmi di no ridendo mentre veniva trascinata in qualche angolo della città solo per uno sbaciucchio veloce.
    Aveva bisogno di implorare perdono per qualche sciocchezza per non essere abbattuta con del solletico che smetteva solo dopo urla disumane. Aveva bisogno di uno stupidotto come me, e bisogno di pensare se fossi normale o meno circa tre volte al giorno. E di che scherzare sul fatto che io e Dran avessimo talvolta la stessa età mentale. Lei aveva bisogno di me, di sapere che con me poteva essere umana, divertente, di fare battute terribili e di essere presa in giro su qualcosa di davvero sciocco.
    Avrei voluto dirlo, dire questo e molto altro, ma non lo feci. La guardai.
    A lungo, prima di parlare:”Mi fa piacere tu sia felice adesso” perché la verità era che sarebbe stata ingombrante per tutti, ma che io ero stato forse l’unico stupido a dirlo, pensando potesse aiutarmi a superarlo insieme. Le parole mi uscirono insicure e barcollanti.
    Mi chiesi all'improvviso se l'avessi mai rivista. Che avrei fatto una volta alzatomi da quella sedia, dopo ogni mia speranza e possibilità si era infranta.
    Ero stanco, e ferito. E odiavo dover pensare in quel momento che c’era di peggio in quel momento nella mia vita solo per non mettermi a piangere come un bambino.
    “Penso che dovrei proprio andare adesso” e bevo un lungo sorso dal mio bicchiere lasciando il contenuto a metà, un po’ disgustato e con lo stomaco sottosopra. E mi dissi che in fondo i compartimenti stagni e il classismo che divide giocatori, ministeriali, studenti, guaritori ha senso di esistere, anche se è una gran stronzata. “Vuoi fare un tratto insieme?”




     
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