I feel like I'm drowning

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    Erano stati giorni difficili.
    Per quanto si sforzasse di non farlo, la sua mente tornava alle parole dei guaritori e alle evidenze che a volte le sembrava impossibile nascondere. Qualcosa stava cambiando nel suo corpo. Stava cambiando lei. Persino i suoi capelli pativano il peso del suo disequilibrio, mutando con incostanza e in modo del tutto inaspettato.
    Aveva comunque finto di star bene. Ci stava provando. Aveva mandato giù le pozioni prescritte ed aveva indossato il suo sorriso migliore. Aveva deciso di godersi i giorni di libertà fuori da Durmstrang e di farlo con Mason con cui, dopo tanti screzi, si sentiva finalmente in sintonia. Era ben conscia ci fossero ancora delle questioni irrisolte tra loro, primo tra tutti il dubbio sempre presente che il Chesterfield avesse ripreso ad avere rapporti con suo padre, ma per il momento aveva deciso di accantonarli.
    D'altro canto non era certo l'unico ad avere dei segreti.
    Helena mentiva continuamente. Sulle proprie condizioni fisiche e quelle psicologiche. Su quel che le accadeva. Ad esempio, non aveva raccontato a nessuno della crisi che aveva avuto durante una lezione, quando un suo compagno l'aveva appena sfiorata. Nè aveva detto a nessuno di quella lettera ricevuta e che ora aveva portato con sé. Rileggere quel nome aveva scavato ancora più a fondo nella propria psiche instabile. Ancor più lo aveva fatto il suo contenuto.
    Per quell'occasione, aveva indossato un vestito decisamente distante dal suo genere e comunque poco adatto ad una notte da passare in riva al lago. Un vestito alle ginocchia, sopra gli scarponi neri. Bianco, leggero.
    La felpa di Mason l'aveva tenuta a caldo fino a quando, all'alba, non aveva deciso di liberarsene.
    Quando il sole cominciò a brillare con più insistenza da lontano, mentre il ragazzo riposava dopo una notte insonne, la Haugen aveva sentito il bisogno di alzarsi.
    Aveva passato la notte con lui, semplicemente tra le sue braccia. Avevano parlato di cavolate, godendosi la frivolezza della loro età. Avevano fumato guardando le stelle e promettendosi l'alba, ed era stato bello.
    In un modo quasi malinconico. Per Helena almeno.
    Così, durante la notte, durante quei momenti, si era formato nella mente della Haugen il desiderio di pulire la sua testa da pensieri osceni, e dall'angoscia.
    Per questo aveva afferrato la busta contenente quello stupido anello, e si era arrampicata su una parete rocciosa abbastanza alta che dava sullo specchio d'acqua pacato. Lì, dall'alto, avrebbe voluto liberarsi di quell'anello, di quella lettera, come della tristezza che le toglieva il respiro. Avrebbe voluto urlare e sfogarsi, così da poter godersi liberamente quei momenti, che in cuor suo cominciava a pensare fossero gli ultimi.
    Lo sforzo fatto però le costò il ritmo del suo respiro. La stabilità delle sue gambe.
    La sua vista si offuscò e prima di riuscire a reggersi a qualcosa, scivolò giù dalla parete. Un tonfo sonoro risuonò nella radura silente, mentre Helena veniva inghiottita dall'acqua ghiacciata. L'anello ancora nel palmo della mano.
     
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    E' una stasi piacevole, il ristagno di tutte le sensazioni positive che si sono mostrate sporadicamente negli ultimi periodi, a formare adesso un concentrato di tranquillità a cui attingere per scacciare via i contesti ostici delle loro vite. Sparisce tutto quando Mason gode della compagnia di Helena. Hanno imparato a stare bene insieme, a compiacersi anche solo nel vedersi, nell'accogliere opportunità, fugaci e non, per beneficiare l'uno della compagnia dell'altra, anche e soprattutto fuori dalle lenzuola. E possono così essere felici. Lui lo sembra. Gli basta posare gli occhi sul volto fresco e disteso dell'altra, della sua ragazza, per sentirsi bene, soddisfatto. Corona così quella nuova accezione di lei e del loro rapporto riempiendo gli attimi condivisi di leggerezza, delle più semplici delle alternative di cui essere protagonisti, sì da eludere il contorno disgraziato delle loro vite, rendendole una vignetta sfocata da lasciare in disparte. Una gita al lago. E' sembrata l'ideale per riempire il tempo di loro stessi, della loro gioventù difficilmente goduta nel quotidiano. Una notte sotto le stelle, le sagome talvolta sbiadite sotto la coltre grigiastra del fumo espirato, la soave placidità della natura ad inglobarli e rilassarli. Un contrasto netto il risveglio brusco a cui il ragazzo è costretto alle prime luci del mattino. Un tonfo quello che spalanca i suoi occhi, lo scrosciare innaturalmente insistente delle acque a porlo sull'attenti, l'assenza di Helena al suo fianco a farlo scattare dietro imprecazioni figlie dell'improvvisa paura provata. Si guarda attorno durante la corsa a perdifiato sulla riva dello specchio d'acqua dolce, sino a raggiungere l'epicentro di quel nuovo principio d'agitazione. Scorge appena un lembo del vestito candido che la ragazza aveva indosso venir risucchiato dal vortice irrequieto della superficie limpida e non tentenna un solo attimo mentre, occhi puntati sul fulcro di quella tragedia, si libera del maglione. 'Non è possibile, cazzo!' Vane speranze di non ritrovarsi ad assistere all'irrimediabile, mentre l'adrenalina lo spinge dritto nelle acque ghiacciate del lago. Una pessima idea, un impaccio non indifferente contro cui si oppone sino all'ultimo secondo, il desiderio di portarla in salvo ad assisterlo fino a quando, braccia strette attorno al corpo esanime di Helena, non la trascina in superficie, poi oltre la riva erbosa su cui la poggia in fretta. 'Avanti, Hel, svegliati.' Tenta a fatica di asciugare la sua pelle diafana col maglione, ancora pregno del suo calore. Richiamarla non sembra sortire alcun effetto ed è questo che lo spinge ad attuare provvedimenti più decisi, qualcosa a cui non è mai stato abituato e per cui, rischiosamente, improvvisa pur di porre rimedio ad un'evenienza a cui non ha voglia di rassegnarsi. Le mani pressate sulla sua gabbia toracica si alternano al respiro soffiato nella sua bocca. Una manovra ripetitiva in cui spera ogni istante di più. 'Svegliati, cazzo! Non farmi questo!' Avanzano i tentativi, non batte la fiacca e non è certo sia il suo intervento a porre fine a quegli attimi di frenetico terrore, ma quando finalmente i primi colpi di tosse segnano il suo risveglio, anche lui sembra tornare immediatamente a respirare. 'Fanculo. Tu e i tuoi fottuti scherzi.' Sospira, non in tono d'accusa, solo come risultato dei residui di paura che gli opprimono tuttora il petto. Continua a tamponare le gocce d'acqua che scorrono sul suo corpo, a carezzarle il volto, a richiamare la sua attenzione con delicatezza, prima di recuperare la felpa prestatale per tutta la notte per rivestircela nuovamente. Ancora in preda all'agitazione, la stringe a sé. Il gelo del timore lascia il posto al freddo che gli permea la pelle umida. Trema appena, ma non se ne cura. 'Stai bene? Che è successo?' Non prima di essersi accertato che lei si sia ripresa. 'Respira.' Di recente sembra affaticarsi persino in quello.


     
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    Non ricordava di aver mai provato nulla di simile. Una sensazione orribile di oppressione al petto, mentre il freddo si faceva più intenso, il corpo più pesante. Aveva gli occhi chiusi, ma immaginava di essere circondata da una coperta di buio che l'avrebbe mandata in panico. Aveva paura eppure era calma. Incapace di muoversi e ribellarsi al freddo che la attanagliava. Forse era quella la morte. O forse no.
    Non avrebbe saputo dirselo. Forse avrebbe soltanto dovuto lasciarsi andare per smettere di sentire quella sensazione terribile di mille spine ghiacciate che le si conficcavano nel petto.
    E forse ad un certo punto, stava cominciando a farlo.
    Lasciò la presa sulla propria vita mentre le labbra le diventavano viola e i pugni si rilassavano. Fu qualcuno a combattere per lei. A tirarla fuori dal baratro in cui si era lasciata scivolata. Ne venne fuori con un sospiro e continui colpi di tosse, mentre sputava fuori l'acqua che le era entrata nei polmoni. Si aggrappò a Mason dinanzi a lei. Gli occhi vacui sebbene colmi di panico, il corpo tremante e non solo per il freddo.
    E non si sentì meglio quando l'altro la coprì.
    Il suo respiro ancora mozzato, le strappava fischi anomali. Si guardò attorno, alla ricerca della borsa. Allontanandosi per raggiungere la borsa, cercò a mani tremante quel che avrebbe potuto aiutarla a star meglio. Afferrò l'inalatore-testabolla, portandolo alla bocca. Soltanto dopo il terzo click le sembrò di poter ricominciare a respirare. E faceva male.
    Restò ferma sulle ginocchia, gli occhi lucidi e la bocca aperta. Aveva ancora fame d'aria ma era viva. E ne era così felice e spaventata che avrebbe potuto piangere da un momento all'altro. «E' un inalatore.» Confessò al testimone lì accanto. Lo sguardo lontano dal suo, le spalle basse. Non riuscì a lasciare la presa su quell'inalatore, quasi temesse di averne nuovamente bisogno.
    E solo in quel momento si rese conto della mano ancora chiusa a pugni contro quel che la stava uccidendo. Non solo metaforicamente.
    Riaprí lentamente la mano, osservando l'anello ancora adagiato sul suo palmo.
    «Sono...» La voce già roca, grattò contro la sua gola per uscire. Era turbata e ogni tratto del suo viso lo mostrava. «Sono caduta. Credo.» Aggiunse, mettendosi in piedi.
    Lasciò cadere l'anello tra l'erba della riva, facendosi forza sulle ginocchia deboli. Tentennò, azzardando qualche passo, prima di ricadere sulle ginocchia.
    Troppo vicina a quell'anello, a quel baratro che non le dava respiro. Le sembrò il suo fiato tornasse a farsi corto.
    «Voglio andare via.» Biascicó, una mano stretta tra i fili erbosi. Il capo chino. «Portami via!»
     
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    Nuovi interrogativi vengono allo scoperto, dubbi che le evidenti dimostrazioni di malessere fisico della ragazza sollevano inevitabilmente. Una sofferenza che non può essere celata sotto movenze diffidenti ed atteggiamenti fuorvianti, sotto gli occhi di Mason che assiste a quella disperata ricerca d'aria che prende forme spaventosamente concrete. Segue quel percorso d'esasperazione con sguardo attento, riavvicinatosi alla ragazza abbastanza da visualizzare l'inalatore di cui parla e di posare gli occhi preoccupati sul dettaglio scivolato sul manto erboso, quello che sembra adesso stimolare con ulteriore carico d'ansia l'agitazione della Haugen. 'Va bene, va bene, ma ora sta' calma.' Le intima, parecchia la decisione nel suo tono di voce, minima ed impercettibile l'attitudine a rimproverarla sotto le spoglie dure che lo caratterizzano di norma. Un impegno continuo che le riserva per tener fede alle promesse rivoltele, mentre rivestitosi del maglione stringe le braccia attorno al suo corpo minuto per sollevarla ed obbligarla ad un riposo forzato, incamminandosi verso il rifugio nordico. Prima ancora, in un celere sotterfugio, ha però recuperato l'accessorio abbandonato sul terreno per nasconderlo nelle tasche dei jeans.

    Ha approfittato del momentaneo allontanamento oltre il separé lì presente per indagare su un oggetto che non fa fatica a riconoscere. Moti di nervosismo lo accendono irrimediabilmente mentre quel nome inciso nel minuscolo cerchio argenteo scorre con arroganza sotto i suoi occhi. Reazioni azzardate non farebbero che peggiorare quella situazione abbondantemente precaria. Dopo diversi sospiri, riappare nella stanza principale del rifugio, l'asciugamano strofinato frettolosamente attorno ai ricci umidi, per sedere al fianco di Helena, vestita di abiti asciutti, la stufa accesa accostata al divano. 'Volhard ti molesta ancora?' Il deludente peso del fallimento curva le sue spalle verso il basso e serra la mascella rigida in un disappunto avvilente. Ha agito nel tentativo di esserle d'ausilio, ma lui non c'era e la situazione, per quanto parzialmente risolta, torna costantemente come un tormento ancora più insistente per rendere la loro esistenza un inferno. Sopportarne gli effetti si fa sempre più complicato. 'E perché ti serve un inalatore?' Anche quella è una faccenda che lede alla propria autostima, sebbene Helena non sia al corrente dei tentativi silenziosi a cui si è dedicato per aiutarla a stare meglio. Pretese infantili, sciocche agli occhi di un Chesterfield amareggiato dalla propria - così la definisce - incapacità. Ed è quella l'amarezza che traspare dal suo sguardo sfuggente, che non è in grado di celare come vorrebbe. E' sempre stato il loro punto forte: interessarsi, esserci, senza soccombere all'oppressione di un affetto spropositato che, preso il sopravvento, avrebbe reso la delicata situazione della Haugen un calvario per entrambi. 'Non sei obbligata a dirmi tutto, ma certe cose preferirei saperle.' Ora, però, che il loro consolidarsi ha scelto di imporsi sulle loro intenzioni iniziali, combattere contro le preoccupazioni dettate dal cuore è un'utopia irrealizzabile.


     
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    Si aggrappò a lui come se ne valesse della propria stessa vita. In parte sentiva essere quella sensazione vera. Nascose il viso contro il suo petto, celando allo sguardo del ragazzo i propri occhi lucidi. L'espressione adirata.
    Era furiosa, arrabbiata con se stessa più che con il mondo. Odiava tutto di lei in quel momento. Le sue gambe, il suo respiro ancora leggermente affannato, il freddo che sentiva. Odiava sentirsi così debole, affaticata anche dal reggersi al corpo dell'altro.
    Era così arrabbiata che per un attimo pensò che forse tenere duro non sarebbe servito a nulla. Forse, sarebbe stato utile lasciare la presa. Lasciarsi andare.
    Lo fece solo quando Mason la aiutò a sedersi sul divano.
    Si raggomitolò, nel vano tentativo di trattenere il calore e non l'aiutò, non subito, l'ausilio della stufa lì accanto. Le punte dei suoi capelli erano rimaste bianche, pallide come il suo volto, ora contratto in una smorfia indecifrabile.
    Provò ad ignorare la sua iniziale domanda. Imporgli quel silenzio però sarebbe stato ingiusto. Lo era già costringerlo alle proprie debolezze. «Già. Probabilmente non ha ancora trovato una nuova preda.» Commentò, fissando la fiamma all'interno della stufa. Si impegnò fortemente nel guardarla, quasi quello potesse essere una buona opportunità di evasione. Lo era in parte.
    Lo fu fino a quando Mason non tornò a parlare.
    Helena provò sul serio a mantenere la calma, ma non ci riuscì. «E cosa dovrei dirti di preciso, Mason?» Sbuffò, scuotendo il capo. Gli occhi lucidi rivolti al soffitto. «Dovrei dirti che sono stata tre giorni ad Yggdrasil perchè non riuscivo a respirare, così che tu possa guardarmi con quello sguardo pietoso e sofferente?» Scosse di nuovo il capo, chinando la testa mentre stringeva ancor di più le braccia intorno alle ginocchia.
    Sospirò. Ci provò. A volte, di recente, le sembrava impossibile riempirsi a pieno i polmoni. Arrancava. Come nella sua vita. Provava a restare a galla ma sentiva sempre l'acqua arrivarle alla gola. Toglierle il fiato.
    Passò una mano sul viso, rendendosi conto della spiacevolezza delle sue parole.
    Mason non aveva alcuna colpa in quello e vederlo così preoccupato le faceva male. Le metteva dinanzi la realtà ossia quanto fosse stato sbagliato illudersi di poter vivere qualcosa di normale. «Lo fai già e non è quello di cui ho bisogno.» Biascicò, mordendosi il labbro inferiore. E si prese qualche altro attimo prima di liberare il volto dalla sua mano. Lo fece solo quando le sembrò di poter sostenere quella maschera ricercata. «Sto bene. A volte mi stanco e l'inalatore mi evita di stramazzare a terra. Non sto morendo. Non... non è niente.» Annuì. Mentì.
    Non voleva dirgli bugie. Voleva solo smettesse di preoccuparsi o di darsi colpe che non aveva, perchè era chiaro lo facesse. «Davvero. Fidati. Sto bene. Sono qui.»

     
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    'Giuro che gli strappo le palle e gliele metto come tonsille.' Un commento che non trattiene, mentre la mano nervosa incespica nella tasca per nascondere meglio l'anello. Non finisce qui. Si appresta poi a recuperare una sigaretta, accesa a qualche metro di distanza dalla ragazza per non affaticare ulteriormente il suo respiro. Sono tentativi che uno dietro l'altro avanza al fine di mantenere la calma, ma le parole di lei non lo aiutano per niente, per quanto ne comprenda almeno in parte la natura, l'esigenza di non affrontare le cospirazioni di un infame destino come se si fossero già realizzate. Pretendere che il Chesterfield non rivesta un ruolo similare a quello della sua famiglia però è azzardato. Alla luce dei loro vissuti, delle esperienze condivise che li hanno resi ciò che sono adesso, dimostrare impassibilità come agli albori della loro conoscenza è un'irrealizzabile fantasia. 'E se finissi io in ospedale per qualche giorno, saresti felice di non saperlo?' E' una retorica da cui non si aspetta alcuna risposta. Un dettaglio scontato che sottolinei la propria volontà di essere aggiornato su ciò che le accade. In parte, sente di averne il diritto. 'Come vuoi.' Sbuffa al termine dei suoi discorsi illogici, bugiardi, con la rassegnazione di chi non sa ancora come adattarsi a quelle dinamiche tanto spaventose. 'Ma mi fai troppo stupido se pensi che io non mi accorga di niente.' Tronca di netto quel discorso, avanzando la propria necessità di silenzio per qualche istante, mentre si tira in piedi raggiungendo il bancone da cucina lì accanto. Aspira dosi di calma, labbra strette attorno al filtro, le mani intente a recuperare l'occorrente per preparare una bevanda calda. Silente, si prende quei pochi minuti per rimettere insieme i cocci infranti della propria pazienza, tornando solo dopo con una tazza fumante di tè da porgerle. 'Bevilo, ti scalderà.' Siede al suo fianco, carezzandole le mani, poi la guancia altrettanto fredda. 'Sei ancora gelata' Constata apaticamente, prima di metterla a sedere tra le proprie gambe e stringerla a sé. La giacca aperta ad avvolgere entrambi col proprio tepore, le braccia attorno al suo corpo per proteggerla. Fionda le labbra nell'incavo del suo collo, rilasciandovi qualche bacio tra i capelli e la pelle e vi resta poggiato col mento per diversi istanti, prima di tornare a parlare. 'La vuoi sapere una cosa davvero assurda?' Esordisce all'improvviso, lasciandosi sfuggire una risata amara. In quella storia, però, non c'è niente di divertente. 'Merc è innamorato di me.' Non si è mai realmente soffermato a parlare spontaneamente di se stesso e di ciò che gli capita. E' un dettaglio che non si è ancora consolidato nel loro duo, un susseguirsi di omissioni e silenzi che li ha sempre indotti a sfociare in nervose e violente esplosioni esasperate, giunti al limite della propria sopportazione. Lei però c'è sempre stata. Chiederle aiuto, anche solo di ascoltarlo, è un progresso che ha decisamente voglia di sperimentare. 'Si è dichiarato e adesso vuole andare via dalla stanza. Ed io non posso fare niente per impedirglielo.' Deglutisce a fatica, come avesse un groviglio di nauseante senso di colpa che gli opprime la gola, il petto, lo stomaco. Un macigno di colpevolezza che non trova giustizia, perché in fondo la sua unica colpa è quella di non aver aperto gli occhi per tempo. L'incapacità d'empatia che prova per le persone a cui tiene, lo avvilisce. 'Come ho fatto a non capirlo?' Annega nell'afflizione, sospirando la propria frustrazione mentre nasconde il volto contro la spalla di lei. Non ha bisogno di un reale consiglio in merito. Voleva soltanto distrarla e condividere un peso che non si fiderebbe a rivelare a nessun altro. Una soluzione forse non esiste. E se anche fosse contemplata, non dipenderebbe probabilmente da lui.


     
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    «Grazie.» Afferrò la tazza che l'altro le porgeva, immergendosi per un po' nel caldo tepore dato da quella bevanda. Si lasciò coccolare dai suoi gesti, stringendosi a lui. In quel momento si sentiva così piccola ma le andava bene. Sentiva di non aver bisogno altro che di perdersi in quell'abbraccio. Si accoccolò contro il suo petto, lasciandosi scappare persino un sorriso spontaneo. Ed avrebbe potuto passare tutto il suo tempo in quella posizione. Avrebbe voluto farlo perchè in quel momento nessuno dei problemi che l'aveva afflitta fino a quel momento sembrava avere importanza. Il suo interesse però, venne attirato dalle parole dell'altro.
    Lo guardò a sopracciglio inarcato, chiedendosi se fosse serio ma era chiaro lo fosse.
    «Uhm.» Si lasciò scappare infine dopo qualche attimo di silenzio. Si sporse per posare la tazza lontana, prima di tornare a lui, guardarlo mentre mordeva una guancia. «Che gusti di merda.» Aggiunse presto un sto scherzando. Il suo, era stato un vano tentativo di alleggerire i toni. Immaginava però non sarebbe bastato. Era ovvio che quella notizia avesse turbato l'altro. Temeva di perdere un amico. Forse anche lei ne sarebbe stata così preoccupata.
    «Magari lui non voleva lo capissi.» Cominciò, alzando lo sguardo per puntarlo in quello dell'altro. Di sicuro, immaginava, doveva aver combattuto con se stesso per evitare di esporsi. Doveva averlo fatto fino a quando nascondersi era diventato impossibile. Poteva capirlo. «Forse si sentirà di merda adesso. Forse ha paura che tu possa giudicarlo.» Fece spallucce, continuando a tirar fuori le proprie ipotesi che era ben conscia non avrebbero potuto aiutare l'altro. Dopotutto non gli stava proponendo metodi d'azioni. Non ancora. «Dovresti dargli tempo ma al contempo fargli capire che per te è importante.» Fu l'unico consiglio che riuscì a dargli, e non seppe nemmeno dirsi se fosse un valido consiglio.
    «O almeno credo. Sono sempre stata una merda nel rapporto con gli altri.» Aggiunse poco dopo. «Fai di tutto per non perderlo. Gli amici sono importanti.» Annuì. Era quello il punto. Doveva davvero far di tutto per tenerlo con sé. Aveva bisogno di un amico. Soprattutto quando le cose sarebbero peggiorate, Helena avrebbe voluto saperlo con qualcuno al proprio fianco. Quello però non glielo disse. Si sbrigò a tentar di mandar via quell'amarezza, tirando fuori un argomento più leggero. «Sai... a breve sarà il mio compleanno.» Lo guardò, rivolgendogli un piccolo sorriso. «Voglio guidare la tua moto per allora.»
     
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    Non riesce a sorridere alla battuta dell'altra, seppur non se ne senta comunque offeso. Apprezza quel tentativo di rendere meno ostica una situazione tanto pesante, inondata di interrogativi ed incertezze, ma nulla sarebbe sufficiente a calmarlo adeguatamente. Solo il ritorno di Mercury ed una pace chiaramente restaurata cancellerebbero l'insieme di pessime sensazioni provate in questo momento, ma è un'immagine che si figura più come un'utopia che come una possibilità. Troppi gli elementi negativi a crucciare il suo volto di angoscia, un abbattimento estremamente profondo che non trova riscontro se non in distrazioni momentanee che lo lascino concentrare su altro, perché qualunque parola pronunciata a riguardo non fa che sottolineare l'incapacità di reagire dinanzi a prospettive simili. 'Pazienza e comprensione: due mie grandissime doti.' Sbuffa amaramente, l'ironia calcata dal tono di voce brusco ed avvilito. Si sente impreparato ed estremamente inadatto a quel genere di cose, specie perché piombate nella sua vita come un fulmine a ciel sereno, un cambiamento improvviso che ha squarciato violentemente la stasi che aveva trovato con una persona che potesse considerare davvero amica, l'unica al di fuori di Helena. Ed il pensiero di farne a meno lo riempie di tristezza, una che non è capace di spiegare ma che la ragazza ha per fortuna recepito da sé. E' uno degli aspetti più belli del loro rapporto: capirsi anche senza proferir parola. Così continua a rifugiarsi in quel contatto, aggrappandosi al corpo dell'altra tanto per proteggerla quanto per beneficiarne, mentre lascia scemare i più evidenti dettagli dell'amarezza legata allo Schroeder per far posto ad una notizia da accogliere con particolare attenzione. 'Davvero? Diventi una bimba grande?' La punzecchia, rispondendo al suo sorriso con il proprio, acceso di un entusiasmo crescente al pensiero di poter essere presente in quell'occasione. Una felicità trasparente, che sparisce poco dopo sotto una nuova ondata d'ironia che non riesce a risparmiarle e le finte proteste di chi non ha voglia di accondiscendere alla sua richiesta. 'No, no, no! Non se ne parla, non accartoccerai il mio gioiellino, piccola teppistella di strada.' Si innesca la leggerezza del loro perpetuo stuzzicarsi, una serie di risposte contrastanti che si rivolgono per tentare di raggiungere un accordo, le implorazioni di lei da una parte, le negazioni di lui dall'altra. Solo un time-out dalla razionalità, prima di lasciar intromettere pensieri più seri, a seguito di un rimuginare attento da parte del Chesterfield, sino al raggiungimento di una risposta concreta, sincera. 'Prima fai delle prove.' E prima che lei possa esultare, aggiunge un chiarimento celere. 'Con me da passeggero.' Una prevenzione necessaria, che non ha bisogno di spiegazioni che lascino piombare nuovamente tra loro il clima d'angoscia presente fino a pochi minuti prima. E' chiaro non voglia che le succeda qualcosa, seppur il destino non sembri che scandire ogni giorno di più gli ultimi attimi della vita della ragazza. Così si velano di timore i passi da compiere l'uno al fianco dell'altra e ancora di più i momenti di lontananza, relegati in terre distanti che li recludono in vite impossibili da sopportare. Cela questi particolari sotto un'espressione forzatamente serena, una concentrata sugli aspetti più superficialmente lieti di quell'evento e dei contorni che lo avvolgono con morbidezza. Carezza i suoi capelli, mentre dimostra ulteriore attenzione per le sue volontà. 'E cos'altro ti piacerebbe fare?' Chiede interessato, pronto ad appuntare mentalmente ogni dettaglio che possa renderle lieta quella giornata. 'Hai un bellissimo cavaliere a disposizione per esaudire tutti i tuoi desideri, ti conviene approfittarne.' Farà in modo di renderla memorabile, se lei glielo permetterà.


     
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    Esordì con un mugugno di disappunto. Non aveva bisogno di una balia, questo glielo aveva ripetuto più volte, anche se in fin dei conti lui finiva sempre con il tirarla fuori dai casini, proprio com'era successo in quell'occasione. Ed in definitiva non si stava realmente opponendo alla sua proposta. L'idea di averlo accanto, non la spaventava più come un tempo. Anzi, non poteva farne a meno. «E se cadiamo e ti fai male? Vuoi rovinarti il tuo bel faccino da bad boy?» Lo prese in giro, arricciando il naso e mostrandogli persino una linguaccia.
    Gli rifilò una spintarella, pur restando fermi. «Non ne vedo di cavalieri qui.» Aggiunse poco dopo, sminuendolo ma per scherzo. Dopotutto non aveva le fattezze di un cavaliere. Non di quelli canonici almeno, né nell'aspetto né nei modi. Era tutt'altro che un gentiluomo di altre epoche. «Vedo solo un cretino.» Rise, poggiando la testa contro il suo petto e restando lì, accoccolata contro di lui a bearsi del calore, e della sua vicinanza. Nonostante il dramma appena vissuto, le sembrava che quella fosse vera felicità. Starsene tranquillamente accoccolati ad una persona di cui si fidava. Sentiva di non dover temere nulla in quel momento, una sensazione che non le capitava di provare da davvero troppo tempo.
    «Quest'anno sono poche le cose per cui festeggiare quindi credo mi eviterò una festa, le candeline, i tanti auguri...» Gli confidò dopo un lungo silenzio, mordendo distrattamente il labbro inferiore. Ci aveva pensato a lungo. La vecchia Helena non si sarebbe mai concessa di perdersi un'occasione simile. Avrebbe indetto la festa più divertente e glamour dell'intero mondo magico, dai toni del rosa. La verità però era che aveva perso la voglia di festeggiare. Non si sentiva più, per certi versi, la pink viper che si era sempre vantata di essere. «Voglio solo sia un giorno normale. Di un anno normale. Di una vita normale.» Aggiunse poco dopo, tirando su lo sguardo per incrociare quello dell'altro.
    «Puoi avere l'onore di stare con me quel giorno.»
     
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    'Una cicatrice mi renderebbe solo più sexy, se possibile.' Schiocca un occhiolino verso il suo profilo, adesso vittima di pizzichi e solletichi accennati, la cornice di un'intimità vicendevolmente ricercata. Basta davvero poco per stare bene, ficcarsi in un'illusione di tranquillità mentre tutte le negatività restano accantonate, come accessori riposti in una scatolina da aprire all'occorrenza. Ci sono momenti in cui è accettabile cullarsi nell'incanto dell'indifferenza, temporeggiando nella stasi di un abbraccio, di un contatto concesso tra i cuscini di un divano sghembo, tra ricordi di devastazione e rabbia ormai plasmati in un rifugio fisico e metaforico. Così anche Mason ed Helena, cocci di esistenze precarie e conflittuali, restano vicini, incollati con la più adesiva delle forze: quella dell'amore, taciuto nelle bocche, esalato nei respiri unisoni. Neanche le rivelazioni amare della ragazza riescono a far traballare quell'unione. Scatenano piuttosto le stesse dosi di apprensione e timore nel Chesterfield, ritrovatosi improvvisamente a rimuginare, come avviene di consueto da qualche mese a questa parte, sulla caducità della loro vita, di quell'"insieme" che il fato vuole straziare e ridurre ad un ricordo malinconico. Uno con cui solo lui si ritroverà a fare i conti. Terrificante. Ma Helena, al contrario, continua imperterrita a prendersi le proprie rivincite su quella presunta sconfitta, sì da uscirne vincitrice nell'orgoglio, nella sfera di quella voglia di sopravvivere che si dimostra prepotente quanto lei. L'inglese non riesce a storcere il naso dinanzi a quel desiderio di normalità; la ammira piuttosto per la caparbietà con cui si ostina a dare valore a dettagli che contano sul serio, di cui non ci si accorge finché non ci si ritrova appesi ad un filo, privati del diritto di possederli. E' un punto forte su cui riflettere. 'Allora sarà la giornata più "normale" che tu abbia mai passato.' La asseconda con apparente superficialità, lasciando scorrere nella propria mente le serie considerazioni che quell'appunto ha lasciato fiorire in un campo arido di certi sentimentalismi. Nella sua situazione, è ormai scontato. Si passa la vita ad attendere i momenti speciali, per poi rendersi conto che a qualcuno basterebbe la normalità, la vita, la certezza di poter chiudere gli occhi la notte e risvegliarsi all'alba per molto tempo ancora. Navigare nell'imprecisione del destino, nella sua imminente e catastrofica risoluzione, non stabilita entro una data precisa, dev'essere una tortura, un'avanzata lenta verso un patibolo che ti accoglierà quando meno te lo aspetti. E' come camminare verso la morte da ciechi. Sai di andarci incontro, ma non puoi prepararti all'istante in cui ti porterà via. Ci pensa spesso, Mason, da spettatore inerme di quel dramma insoluto, incontrastabile nonostante gli sforzi compiuti. In fondo, non c'è niente di più forte a questo genere di cose. Niente riesce a sconfiggere la morte. 'Che compleanno sarebbe senza il delinquente più attraente sul pianeta terra?' Forse però, insieme, possono conquistarsi qualche vittoria contro di essa.


     
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9 replies since 25/10/2020, 22:44   187 views
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