Call you mine

Helena

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    Troppi interrogativi, incognite, incertezze di cui è ormai stufo. Aleggiano attorno alla sua testa, incidendo circolari vortici di insoddisfazione che lo catapultano nel vuoto, uno in cui galleggia senza meta alcuna. Nessun colore, nessuna definizione che lo tenga al sicuro. E' tanto vittima di tale condizione quanto fautore, un attento sostenitore delle sospensioni, di disegni che non abbracciano neanche minimamente la concretezza di cui adesso sente di aver bisogno. Lui come chi fa parte stabilmente della sua esistenza. Qualcuno che non ha ancora deluso o che, per meglio dire, abbia scelto di restare nonostante tutto, un valore anche più rilevante. Essenziale. Helena sembra esserlo ormai diventata. Dopo le prime settimane scolastiche che li hanno visti separati tra il polo inglese e quello scandinavo, legati da un solo filo di pensiero espresso tramite celeri riflessi in uno specchio di fittizia vicinanza, si è palesata l'estrema mancanza che scava voragini di vuoto e solitudine ogni volta che lei non c'è. Una visione estrema a cui non può fare a meno di dare rilevanza, dopo tutto ciò che hanno passato insieme, che per quanto sia spaventosa non può che trovare risoluzione in un fattore unico: mettere in chiaro le cose. Tra loro. Si è presentato con abbondante anticipo all'area in cui il battello di Durmstrang è solito attraccare. E' il primo weekend libero che la Haugen si è concessa e la scelta comune di approfittarne per rivedersi è stata un sollievo. Vuole accertarsi che stia bene, vedere con chiarezza se ci siano elementi che turbino la sua quiete di recente, sebbene al castello abbia l'opportunità di sentirsi al riparo - almeno è questo ciò che il Chesterfield spera - o se i sorrisi suggeriti dallo specchio, dai più o meno stanchi, fossero riconducibili ad una condizione reale di cui essere lieto. Guidato da una pazienza straordinaria, appena due o tre sigarette accese nell'attesa, resta poggiato ad un muretto lì vicino. Si raccolgono genitori o parenti di ogni tipo, probabilmente per prelevare i più piccoli degli studenti, regalandogli quadretti familiari che lo rendono nervoso, riportando a galla alcuni dei doveri e delle situazioni sospese che si è lasciato alle spalle, prima tra tutte le scoperta dell'esistenza degli Hollingsworth e l'accentuata probabilità non siano a conoscenza della sua sopravvivenza. Un concentrato dolce e amaro al contempo, su cui rimugina fino a quando i suoi occhi non si posano finalmente sul battello avvistato all'orizzonte. Un percorso lento che segue con attenzione, fino al palesarsi della tanto attesa ragazzina in divisa e del grosso batuffolo arancione che regge tra le braccia almeno inizialmente. Rivolge loro un cenno, attirando l'attenzione di chi dimostrerà stupore nel vederlo lì. E' Pinky la prima a scalpitare, saltando giù dalle braccia della padrona per scorrazzare sul terreno freddo sino ai piedi del Chesterfield, prontamente chinatosi per ricevere quel concentrato d'eccitazione e festeggiamenti affettuosi. Si risolleva quando è Helena ad avvicinarsi, una smorfia spavalda disegnata sul volto, nel ritorno a quelle abitudini che ha intenzione di ristabilire. 'Ma che carina, una bimba appena uscita da scuola!' La canzona senza traccia alcuna di scherno, attirandola a sé in un sussurrato "non mi dai un bacio?" prima di poggiare le labbra sulle sue, di godere per un po' di quella ricongiunzione, con la naturalezza di chi non ha nulla da nascondere, neanche agli occhi di chi vi assiste. E' stufo di porsi dei freni anche nell'unica breccia di libertà che la vita gli ha finalmente concesso. La tiene ancora stretta a sé, il braccio fitto sulle sue spalle per trattenerla, le dita leggere a carezzarle distrattamente la nuca. 'Non mi andava di aspettare al rifugio.' Il rifugio, quel progetto accantonato per mesi su cui ha da poco ripreso a lavorare, non confortevole quanto la loro baita ma ormai rimesso a nuovo e dotato di ogni necessaria comodità. Sminuisce la sua voglia di vederla, non per orgoglio, ma solo per non stuzzicare eccessivamente le paure dell'altra, ancora non particolarmente sciolta in quel genere di decise rivelazioni ed effusioni. Si muove cautamente in quelle acque, deciso a preservarne ogni aspetto finché il tempo glielo concederà. 'Ci incamminiamo? Comincia a gelarmi il culo.'


     
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    Ricominciare la scuola poteva annoverarsi come un dramma, soprattutto per Helena, soprattutto in quel periodo. Aveva dovuto fare i conti con novità che l'avevano bruciata ed incapace di tirarle fuori, le aveva tenute per sé. Lo stress era stato così pesante da sopportare che la sera prima dell'inizio della scuola, prima della partenza, le sue condizioni avevano richiesto un ricovero. L'ennesimo. A volte sembrava che quella maledizione, nonostante le terapie a cui si sottoponeva, corresse più di quanto lei o i guaritori fossero capaci di starle dietro. Il nuovo attacco epilettico e la scarica di magia involontaria che ne era derivata, sembrava averla prosciugata di gran parte della sua energia. Ne era uscita debilitata. Il suo fiato da allora le sembrava sempre così corto tanto da dover ricorrere di sovente, e comunque quando nessuno poteva vederla, ad un inalatore testabolla, in grado di farle recuperare nel giro di qualche minuto il fiato perso.
    Aveva comunque finto benessere nonostante si sentisse stanca. Perennemente.
    L'idea di poter venir fuori da quell'inferno per rivedere Mason, se da un lato le risollevava l'umore, dall'altro la incupiva. C'erano stati momenti in cui il suo umore aveva vacillato e questo l'aveva spinta a riversare su di lui il suo malessere. Anche quello le capitava spesso. Si chiedeva quanto l'altro potesse sopportare.
    Eppure lo vide lì.
    Il gesto che l'altro attuò mentre lentamente si avvicinava a lui, la colse di sorpresa. Le tolse il fiato, e stavolta in modo positivo.
    Le sue guance dovettero imporporarsi mentre ricambiava il suo bacio. «Coglione.» Lo colpì con un pugno flebile al petto mentre chinava lo sguardo. Pinky ai loro piedi, saltellava felice cacciando versi entusiasti per attirare l'attenzione.
    E non si mosse, non subito.
    Restò contro di lui qualche istante quando il mondo sembrò girarle intorno. Si aggrappò alle sue braccia ma non disse nulla. Cercò di non far trasparire nulla. Soltanto quando il giro al capo le sembrò essersi calmato, si mosse. Lo raggirò per saltare sulle sue spalle.
    «Ecco, sì. Ora possiamo andare.» Gli disse aggrappandosi fortemente. Probabilmente camminare a lungo fino al rifugio non le avrebbe fatto bene e lei voleva evitarsi il peggio. Voleva evitarlo a lui.
    Poggiò quindi il proprio mento nell'incavo del suo collo, guardandolo da quella prospettiva. «Sembri... sereno.» Gli disse, sorridendogli.
    «Hai fumato senza di me?» Aggiunse poco dopo, rilasciandogli persino un leggero pizzico sul fianco, prima di tornare a reggersi a lui con convinzione.
    «Possiamo annoverarlo come un crimine, sai?» Annuì fintamente seria. «E a proposito... spero tu abbia abbastanza erba con te.»
     
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    Stare insieme, le braccia intrecciate, l'orecchio di lei all'ascolto dei battiti di lui, i sospiri che riempiono il loro silenzio di familiarità. Il calore di un abbraccio che segni un ritorno atteso, un desiderio di unione incolmabile quando si ritrovano separati da una distanza obbligata. Un vuoto che si riempie di tutto, di loro anche solo dopo pochi secondi di sguardi e battute che sferzano l'aria di un'acidità finta. Un equilibrio di tira e molla ironici, dove non c'è più bisogno di nascondersi ed entrambi si ritrovano nella completa sintonia a cui solo pochi mesi prima avevano paura di cedere. Questo ciò che succede, mentre semplicemente si salutano. Gesti di routine in cui loro non si sono mai ritrovati, adesso pregni di quel reciproco benessere che solo loro, in fondo, riescono a percepire del tutto. Si bea dell'infantilità dell'altra, accogliendola con spontaneità a seguito del tentativo di arrampicarsi sulla sua schiena, trasportandola con un entusiasmo poco marcato, ma persistente, celato da sorrisi accennati ed espressioni fintamente affaticate e disturbate. Un disaccordo che faccia scena, impostando il clima di complicità di cui hanno bisogno. 'Non mi serve sempre l'erba per stare bene.' Rivela, in una confessione dolce dissimulata con smorfie superbe. Da un po' di tempo ha capito che gli basti lei per stare meglio, ma lascia quella consapevolezza implicita, concentrandosi piuttosto sulla superficialità di quelle chiacchiere di circostanza. 'Come se non mi conoscessi.' Soffia infine, avviandosi verso il rifugio.

    La mette giù solo una volta attraversata la porta. Un'occhiata celere all'ambiente minimale ma piacevole. C'è un angolo con un comodo cucinino, una stanza adibita ad un bagno ed un separatore dietro cui ha sistemato un ampio letto. Pinky si adopera già alla riscoperta dei nuovi pezzi di mobilio, curiosando come per trovare un nuovo posto preferito in cui accoccolarsi per lunghi pisolini o sessioni di carezze e giochi. Mason si libera della giacca, avviando con un gesto svelto della bacchetta la stufa installata per l'occasione, non molto lontana da un divano piccolo ma comodo su cui invita Helena a sedere. 'Fa ancora un po' schifo, ma è sempre meglio di quando c'erano solo un divano lercio, un tavolo e tre sedie.' Quattro in origine, prima che una di quelle facesse una pessima fine per mano di Mason stesso. Rovista in un cassetto di un comodino vecchio, tirandone fuori un po' della richiesta avanzata dalla ragazza poco prima. Una bustina che le sventola sotto il naso, prendendo posto sul divano l'attimo dopo per accingersi a costruire quel piccolo pezzetto di leggerezza a cui affidarsi. 'Me lo prometti di non esagerare?' Un sussurro premuroso, che spera non venga colto nel modo sbagliato dall'altra. Non è solo la preoccupazione a seguito delle ultime occasioni in cui si è ritrovata a fare i conti con quel genere di eccessi, quanto l'idea che ci sia altro a turbare la sua quiete da aggiungere ad una lunga lista di problematiche che finge non esistano. Lo percepisce dal suo sguardo, dalla disattenzione che sembra averla catturata più volte nel corso del tragitto e che tuttora pare alienarla anche se per pochi attimi fugaci. 'Insomma, hai me per divertirti. A che ti serve questa?' La pone su un piano altrettanto superficiale, intento ancora una volta a mettere su quel teatrino di finzioni, di verità celate sotto un atteggiamento che non risulti opprimente, né disagevole per l'altra. In fondo, non desidera altro che vederla felice, vederla stare bene. Di certo, non ha più voglia di vederla soffrire a causa sua e dei suoi atteggiamenti sconvenienti. Un impegno a cui cerca di tener fede, mentre striscia la lingua in un sigillo definitivo alla cartina retta tra le mani. Le passa la sigaretta ancora spenta, prima di accingersi a rollarne una per sé. 'C'è qualcosa che non so?' Azzarda infine, tastando con sensi delicati le fattezze di quel probabile malessere.


     
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    Restò avvinghiata a lui fino a quando non misero piede all'interno del loro rifugio. C'erano tanti ricordi legati a quel posto e non tutti positivi, ma una volta entrata lì si sentì comunque come a casa. Posò i piedi sulle assi di legno del pavimento e le sembrò di poter tornare a respirare con più facilità. Si guardò attorno sorpresa dei cambiamenti effettuati. Non era la prima volta che Mason ne attuava nei posti in cui erano, ed ogni volta era in grado di stupirla. La sua attenzione per i dettagli era straordinaria. A parti invertite forse non avrebbe mostrato lo stesso impegno.
    «Extreme makeover Mason edition.» Lo prese in giro, superandolo per raggiungere il divano prima di lui. Si accomodò su di quello, liberandosi subito degli scarponi. Doveva sembrare davvero una bambina a volte, soprattutto in quel momento che indossava ancora la divisa di Durmstrang.
    Lo accolse accanto a sé con un sorriso, arricciando il naso poi alle sue parole.
    «Sì, mamma.» Fece una vocina dinanzi alla sua raccomandazione, prima di spingere delicatamente la testa contro la sua spalla così come avrebbe fatto un gatto.
    Ed ovviamente quella battuta avrebbe potuto aspettarsela. Immaginava nascondesse più però di semplice ilarità. Lo percepiva dal suo sguardo preoccupato. «Quanto ego nascondi sotto la maglietta?» Lo prese in giro, cercando di smorzare i toni, mentre si sdraiava poggiando la testa sulle sue cosce.
    Rimase a guardarlo dal basso per un po', ignorando per qualche istante la sua domanda. Era ben conscia di quanto sarebbe stato inutile e controproducente nascondergli delle verità. Prima o poi sarebbero comunque venute a galla e se non le avesse condivise, probabilmente sarebbero venute fuori nel modo peggiore.
    «Ho un paio di novità.» Cominciò mentre giochicchiava con una ciocca dei suoi capelli, lo sguardo ben puntata su di essa. «Ma temo che se te ne parlassi potremmo finire con il litigare ancora. E non ho molta voglia di farlo ora.» Aggiunse poco dopo, quasi senza rendersene conto.
    E forse avrebbe dovuto evitarselo ma visti i precedenti non aveva potuto.
    Morse il labbro inferiore, puntando poi lo sguardo sul suo. L'espressione si distese, tramutandosi in una più vera espressione di rammarico. Paura.
    «L'ho rivisto Non lo affermava con rabbia. Era come arresa a quel destino. Quasi come se una rappresaglia se la fosse aspettata. E a dire il vero, se ne aspettava ancora. «Lui e i suoi amici stronzi tormentano mio fratello quando finisce il suo turno al San Mungo. Ed è chiaro lo faccia per me.» Aggiunse poco dopo, scuotendo il capo e chinando lo sguardo. «Forse questa non basterà. Ci vorrà qualcosa di più pesante.»
     
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    'Perché, vorresti darmi torto?' La punzecchia di rimando, non potendo fare a meno di sorridere mentre la lascia adagiare con la testa sulle proprie gambe, il corpo comodamente disteso sui cuscini del divano, lo sguardo ancora luminoso nell'accostarsi ai nuovi dettagli di quell'ambiente colorato, lontano dal grigiore dei tristi momenti vissuti tra quelle mura fragili, per lasciar posto a prospettive più liete e formulare ricordi migliori a cui appellarsi in futuro. Basi più solide su cui fare affidamento, che è intenzionato ad impostare per lei, per loro. Mantiene la calma nell'osservare il suo volto adombrarsi di una malinconia strana, rassegnata, ben diversa dai moti rabbiosi che Helena è solita mostrare, come avesse rimosso dalla sua pelle da guerriera l'armatura che l'ha sempre posta con diffidenza persino nei riguardi del ragazzo. Un indice di fiducia maggiore, che in circostanze migliori allieterebbe il Chesterfield, non si ritrovasse improvvisamente costretto a soccombere alla consapevolezza scaturita dalle amare parole dell'altra: parlare di loro stessi è spesso finito in agguerrite tragedie. Non può biasimarla, per quanto angosciante sia dover dar credito a quei timori per niente infondati. 'Faccio il bravo, promesso.' Un tentativo poco convinto di smorzare la tensione, di spingerla a tranquillizzarsi per quanto poca certezza sia insita in quella rivelazione. Mason è imprevedibile, così impulsivo da essere un'incognita totale persino per se stesso. Nessuno saprebbe definire se e quando la prossima sfuriata si staglierà nel calendario della sua tumultuosa esistenza; di fatto può bastare davvero poco per accendere la sensibile miccia che lo porti ad esplodere nel più devastante dei caos. Helena lo sa benissimo. Lui, però, le ha fatto una promessa, una che è stato costretto a rinnovare più e più volte prima di poter decidere di tenervi fede impegnandosi con tutto se stesso. E' stata la tristezza dell'altra, quella profonda sofferenza ben marcata nei suoi occhi lucidi, ogni scia rossastra che ha macchiato la pelle delle sue cosce di insostenibile esasperazione... è stato tutto quello a metterlo in allarme, a mandare in frantumi le briciole d'orgoglio che lei era nonostante tutto incredibilmente riuscita a scalfire. Una preoccupazione così radicata in lui, in quell'affetto che lo lega così tanto all'altra, da indurlo a sforzarsi in modo immane. Ed eccezionalmente ci riesce, concentrando tutta la furia che il solo sentirla riferirsi a quel viscido del Volhard scatena nei pugni chiusi, stretti attorno al tessuto del divano come unica scappatoia ad un malessere di cui è intenzionato a placare l'esplosione. Dopo lo stupore iniziale, a mascella serrata ed occhi puntati verso l'indefinito dinanzi a sé, sospira. Respiri profondi che lo aiutino a metabolizzare le informazioni ricevute, così dannatamente simili a ciò che lui ha seminato per anni da dargli la nausea. 'Quando l'hai visto? Ti ha fatto del male? Detto qualcosa?' Si attacca prepotentemente alla speranza di un responso negativo, tornando a tenersi impegnato nella creazione della nuova canna ancora scomposta. Le dita tremanti a dimostrazione della scarsa capacità d'autocontrollo, non gli sono d'ausilio nell'operazione, non necessaria quanto più una distrazione per non cedere ad alcun eccesso. 'Maledetto vigliacco.' Si lascia sfuggire in un soffio, il pensiero subito dopo rivolto amaramente alla figura indifesa di suo fratello. Poche le informazioni che aveva raccolto sul suo conto, ma abbastanza da farsi un'idea di quanta infamia sia presente nella mentalità del Volhard e di chi dà corda alle sue malefatte. Atrocità in cui non si rivede. Non del tutto. 'E tuo fratello? Cosa fanno, lo insultano, lo pestano...?' Scarica infine quel moto di rabbia e preoccupazioni miste nella sigaretta finalmente pronta, stretta tra le labbra per essere accesa, diversamente da quella di Helena ancora spenta, sospesa in un limbo d'interrogativi, un po' come lei stessa. 'Senti, sono stato fermo abbastanza mentre lui ha continuato a distruggere te e la tua famiglia.' L'aria scocciata, la prima boccata di fumo soffiata con decisione oltre le labbra spiegazzate in smorfie contrariate. 'Lasciami intervenire. Lascia che vi aiuti, almeno stavolta.' Una richiesta avanzata quasi come una supplica, gli occhi puntati sui suoi per marcarne la cospicua volontà.


     
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    Sbuffò, cercando di allontanare il malessere che la coglieva ogni qualvolta si ritrovava a pensare a quel che Otis aveva dovuto sopportare a causa sua. Avrebbe voluto tramortire quei pezzi di merda a suon di cruciatus, ed invece non ci era riuscita. Si era come immobilizzata dinanzi a Lorence. Quel verme le aveva tolto tutto, anche la capacità di combattere. Ed ad ogni esperienza vissuta, con o senza il Volhard, sentiva di aver perso. Perdeva ogni giorno in ogni fronte. «Lo spaventano principalmente. Lui non risponde alle provocazioni.» Scosse il capo, mordendo il labbro inferiore.
    Anche se l'altro provava a contenersi, poteva sentire perfettamente quanto quella notizia lo innervosisse. Dopotutto in quella storia, seppur con fare indiretto, aveva a che fare anche lui. Lorence aveva rovinato anche la sua di esistenza, facendogli persino beccare gli arresti domiciliari. Era chiaro ne fosse così turbato.
    E tuttavia, alla sua richiesta, Helena non potette fare a meno di guardarlo, preoccupata.
    Faticosamente si rimise a sedere, poggiando una mano sulla sua ancora stretta a pugno tra i cuscini del divano. A capo chino si prese qualche attimo, deglutendo a fatica quel groppo venutosi a creare alla gola.
    La cosa giusta da fare, sarebbe stata quella di chiedergli di lasciar perdere. Farsi da parte. Ed invece l'aveva trascinato a fondo lungo il baratro dei suoi problemi.
    Ora però sapeva che chiedergli di tirarsi indietro avrebbe comportato innalzare un muro nelle loro vite. Pretendere di porre un freno a quella storia, mettere un limite a tutto quello, avrebbe comportato una sorta di allontanamento che non era disposta a prendersi. Fu per quello che si ritrovò a cedere. «Solo se mi prometti di non finire nei casini per colpa mia.» Gli disse, stringendo appena la presa sulla mano dell'altro. Sperò sul serio Mason le avrebbe dato ascolto. «Vuole ferire te quanto me... farà di tutto per riuscirci.» E dopotutto, quella di concedergli la possibilità di un riscatto era doverosa, soprattutto per coerenza visto quel che Helena si era spinta a fare senza chiedergli nulla.
    Si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, chinando lo sguardo per un attimo.
    «C'è anche un'altra cosa di cui vorrei parlarti.» Gli annunciò dopo poco, già convinta del fatto che quello che avrebbe voluto dirgli avrebbe potuto scuoterlo forse anche più delle notizia di Lorence.
    Prese un respiro profondo. «Sono tornata a casa dei tuoi cugini. Volevo... cercare qualcosa per aiutarti.» Storse il muso in una smorfia di disagio mentre gli raccontava quel che credeva fino a quel momento avrebbe tenuto per sé.
    «Peró uno dei due fratelli, quello più piccolo, mi ha beccato.» Lo guardò, continuando a stringere la sua mano, quasi potesse bastare quello ad evitargli qualsiasi reazione eccessiva. «Lo so. E' stata una cazzata ma ho rovinato la festa. Cercavo un modo per porre rimedio ai miei errori.»
     
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    Mantenere la calma si fa sempre più complicato. Più informazioni Helena aggiunge a quella faccenda, più tensione si accumula nel corpo rigido del Chesterfield, preda del nervosismo figlio di tutto ciò che hanno dovuto passare a causa del Volhard, ritrovandosi spesso a soccombere sotto i dettami della paura della Haugen e delle sue disperate richieste di non aggravare qualcosa che alla fine è inevitabilmente andato a peggiorare. Prova con tutto se stesso a non cedere, facendosi forza tramite tiri intensi alla sigaretta stretta tra le labbra. Il tocco dell'altra sulla propria mano, sempre più imponente, stretto, lo frena a sufficienza, ma è sentirla accettare la sua proposta, seppur con voce pregna di vago timore, che affievolisce la sua agitazione quasi del tutto. E' innegabilmente sorpreso e lo fa ben presente con lo sguardo stupito, piantato in quello di lei che lo fissa di rimando, come stessero stringendo un patto anima con anima, più forte di quel che appare dalle loro parole. 'Starò attento.' Promette, sbuffando parte del proprio nervosismo all'unisono con un'altra boccata di fumo. 'Non riuscirà più a farlo.' Un'altra promessa, l'ennesima, che vorrebbe essere assolutamente certo di poter mantenere. Sono sempre meno le sicurezze che sente di stringere tra le mani. Persino Helena che lo è stata fino ad ora, sembra sempre più lontana, quasi destinata a svanire da un momento all'altro, soffiata via dal vento di una maledizione troppo grande per lei e per chiunque sia incaricato di fermarla. E' un pensiero che di recente si fa sentire sempre più forte, probabilmente per via di tutto ciò che i suoi occhi hanno scorso nei loro ultimi incontri. La paura più grande che provi al momento. Lo accantona, di nuovo. Non ha il permesso di lasciarsi soggiogare dai timori e farlo significherebbe inoltre bruciare quel che nel presente gli è ancora concesso, insieme con la speranza di un improvviso colpo di scena che li spinga verso il lieto fine. A volte ci crede di più. In altri momenti, non ci crede per nulla. Stringe di rimando la sua mano, intrecciandola a quella dell'altra per trovare ulteriore calma, ma anche in questo caso non serve molto perché i suoi tentativi vadano in fumo. Dinanzi alle sue ultime rivelazioni, scatta sull'attenti. 'Cosa?' E' impossibile nascondere l'ira che saetta dai suoi occhi a quelli di Helena, il tono di voce agitato e duro al contempo a sottolineare l'inevitabile ritorno alla rabbia che ha tentato di placare fino ad ora. Può davvero biasimarlo? 'Ma sei impazzita? Hai idea di che razza di gente sia quella?' Non del tutto. Sono troppi i dettagli appresi in merito agli Hollingsworth che Mason non ha rivelato alla ragazza, nella paura di vederla andare via di nuovo sconvolta da quel genere di vita, così lontano da ciò a cui lei è abituata. Si tratta di pura criminalità, niente con cui lei debba fare i conti. Eppure l'ha trascinata giù con sé, macchiandola irrimediabilmente della tossicità radicata nella sua esistenza. Come può mantenere la calma a seguito di ciò che potrebbe trasformarsi in un massacro, di qualcosa che potrebbe portargliela via? 'E pensi che il modo giusto per farlo fosse esporsi con gente che in un modo o nell'altro ha avuto a che fare con Hubert? La capisci la gravità della cosa?' Gli sembra chiaro, limpido come l'acqua, ma se riuscisse ad essere razionale capirebbe che lei non possa realmente comprendere. Una ragazza come lei non dovrebbe comprendere, eppure sembra aver fatto di tutto per rimanere immischiata in quella faccenda ostica, pericolosa. Libera in fretta la mano dalla presa dell'altra, sussurrando imprecazioni più che percettibili. Pressa le dita contro le palpebre chiuse, con forza tale da procurarsi persino delle fitte da mal di testa. Uno sfogo fisico alla pressione provata, prima di passare i palmi sul viso e sospirare pesantemente. Ma non si tira in piedi, né riversa quel nervosismo su ciò che ha intorno. Non c'è violenza nei suoi gesti, solo l'esasperazione di chi non sa cosa fare, né pensare. Riporta lo sguardo su di lei, la mascella serrata, il rimprovero dipinto sul volto. 'Era solo il piccoletto?' E diverse linee di premura che quell'atteggiamento delinquenziale nasconde magnificamente. 'Sa il tuo nome? Ti ha fatto qualcosa?' Ma è una preoccupazione acuta la sua, che spera le risposte della ragazza non accentuino ulteriormente. Eppure, ci crede poco.


     
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    Un po' si sentì persa quando Mason pose fine al legame delle loro mani. Lo guardò a fiato corto, aspettandosi il peggio. Il fatto che non fosse accaduto non la tranquillizzò. Non del tutto.
    «No. Io...» Deglutì, schiarendosi poi la voce. Sapeva di dover regolare il proprio umore, di doversi sforzare almeno. Ogni picco avrebbe potuto incidere sull'equilibrio precario delle proprie condizioni fisiche ed un altro dramma non era ciò che voleva. Si concentrò sul proprio respiro quindi, mentre si imponeva autocontrollo.
    «Volevo saperne di più. Credevo non sapessi nulla di loro.» Si diceva di non aver fatto nulla di male. Dal proprio punto di vista era così. Certo, forse era stata irruenta. Aveva rischiato di mettersi nei casini ma alla fine tutto si era risolto per il meglio. E lo avevo fatto tanto per lei quanto per l'altro. Voleva sì trovare sollievo al proprio senso di colpa, ma ancora dare una mano a lui e alle sue ricerche. Voleva aiutarlo a stare meglio.
    «Guarda che è andata bene. Sono viva.» Gli disse annuendo ed allargando le braccia come a mostrargli la veridicità delle sue parole. Ed era vera. Se quel ragazzo fosse stato pericoloso così come Mason lasciava intuire, forse non ne sarebbe uscita integra.
    Rimuginò appena sulla sua domanda, corrugando la fronte. «Non lo so.» Fece spallucce. Non ricordava di essersi presentata, sarebbe stato stupido. L'altro però l'aveva beccato in modo assurdo, quasi come se sapesse dove trovarla.
    «E no. Non glielo avrei permesso.» Aggiunse poco dopo, mostrando un po' di quella corazza dura che aveva un tempo.
    Poi, il silenzio.
    Prese un bel respiro profondo prima di convincersi a continuare. «Gli ho detto che sei il mio ragazzo.» Quella rivelazione tardò ad arrivare e solo perchè dubitava in una reazione pacata. Non che non sarebbe stata giustificata dopotutto.
    «Volevo capire se conosceva il tuo nome. E la sua reazione è stata strana. Quasi come se avessi detto qualcosa di spaventoso.» Si apprestò ad aggiungere, tirando su il proprio sguardo sull'altro. «Okay, lo so. Sembra una cazzata. Ma ciò che conta è che sto bene. Siamo al sicuro. Non c'è motivo di agitarsi.»
     
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    Vorrebbe sentirsi in grado di lasciar spazio alla gratitudine che i tentativi dell'altra sollecitano, ma la paura non fa che sovrastare ogni altro sentimento nascosto sotto una faccia tesa, colma di quella collera che non ha voglia di mettere in evidenza con l'ennesima esplosione. Non è in grado di minimizzare come cerca di fare lei, nonostante sia quasi certo si tratti solo di tentativi avanzati per smussare gli angoli della discussione, prima che si trasformi in una catastrofe come è solito accadere. Si impegnano entrambi, insomma, per evitare il peggio. Eppure per Mason quella forza di volontà sembra quasi non bastare dinanzi ad ogni rivelazione che l'altra pronuncia. Di nuovo, a seguito di vari sforzi per mantenere la calma, apprendere quanto in là Helena si sia spinta, lo induce a scattare. Le lancia un'occhiata funesta, cedendo per un attimo all'ondata d'impulsi che gli attraversano il corpo e che gli annebbiano la mente. 'Gli hai fatto il mio nome?!' Si tira in piedi, sussurrando una dietro l'altra altre imprecazioni, come stesse tentando di bloccare con prepotenza gli ingranaggi di un meccanismo a molla fortemente sollecitato. 'Porca puttana.' Sibila a denti stretti, concedendosi un solo eccesso, una scappatoia a quel malessere che gli corrode lo stomaco. Nello spegnere il mozzicone retto tra le dita, la pressione dei polpastrelli tanto acuta da pizzicargli la pelle, dà una manata al posacenere, spingendolo via dal tavolino di supporto adiacente il divano. Si limita a quello, sbuffando con la furia di un toro inferocito dinanzi al drappo rosso. Sospira, scuote il capo, le mani continuano a scorrere ripetutamente sul suo viso, ad intricarsi tra i ricci per sfogare in quelli parte della propria agitazione. Sembra fuori controllo, ma immagina Helena riesca a vedere quanto ancora, nonostante tutto, stia trattenendo l'onda di distruzione che normalmente avrebbe già messo a soqquadro l'ambiente. Si prende qualche istante per rimuginare sulla necessità di mantenere calma la situazione, di non lasciarle vedere ancora una volta fino a dove la sua ira possa spingerlo. Così, dopo diversi attimi di silenzio, con un tremore leggero ad agitare le sue mani ed il cuore al galoppo quasi potesse sfondargli il petto, le si rimette di fronte. Calmo, almeno in apparenza, rigido per non cedere al caos. 'Siamo al sicuro? Come lo eri quando gli uomini di Hubert ti hanno trovata e rapita? O quando ti hanno attaccata per rifarsi su di me?' Soffia con amarezza, un sorriso aspro posato sulle sue labbra a sottolineare il nervosismo di cui è preda. Inevitabile. 'Perché credi che mi sia agitato così tanto quella sera? Perché mi hai rovinato la festa?' Torna a sedere al suo fianco, le mani congiunte a torturarsi come scappatoia alla mancanza di urla e rimproveri, i piedi intenti a battere con concitazione per scaricare la tensione. 'Hai attirato l'attenzione su di te, mio cugino ti ha vista e tu ti sei fatta beccare anche dall'altro e ti sei esposta.' Solleva lo sguardo duro verso il suo. 'Ci hai esposti.' Eppure puntare gli occhi in quelli così dispiaciuti dell'altra, rallenta la sua collera. Frena parte dell'agitazione provata, inducendolo a preservare il benessere di chi sembra avere il volto ricoperto di frustrazione, angoscia ed, allo stesso modo, paura. Non dev'essere stato semplice per lei infiltrarsi in quella casa, ma ci ha provato. L'ha fatto per lui. E sebbene ancora smosso da tumulti di timore che non gli danno pace, non può fare a meno di affidarsi al senso di gratitudine che quel gesto, più forte di qualunque altra vaga premura mai ricevuta in vita sua, persino da Hubert, riporta a galla. 'Che succede se ti riconducono a me? Se ti vengono a cercare per indagare su di me o... se ti fanno del male per attaccarmi?' Non può permetterlo ancora, però tutto ciò che li riguarda, ciò che vivono l'uno per l'altra non fa che riportarli a rischi grossi, che non fanno altro che correre per proteggersi, per salvarsi a vicenda. Sbuffa nervosamente le ultime tracce di collera insite nel suo animo, mentre le afferra entrambe le mani per stringerle tra le proprie. 'Cazzo, non lo capisci che se ti succede qualcosa a causa mia io impazzisco?' Impazzirebbe sul serio. L'idea di perderla, comunque avvenga, è un tarlo che divora la sua sicurezza. La mente non fa che perdersi spesso in quelle paure negli ultimi tempi, sottolineando la coscienza di ciò che sono diventati, dopo quasi un anno dal loro primo incontro. Qualcosa che gli viene ancora difficile spiegare o, come da principio, etichettare. Ma l'evidenza è forte, palese sotto la presa fitta delle loro mani e gli sguardi incollati che comunicano meglio di quanto le parole riescano a fare. 'Ci siamo dentro insieme, ma sto cercando in tutti i modi di tenerti fuori da questa merda! E tu...' Lei, imperterrita, resta al suo fianco. Combatte con lui, per lui, ed è quanto di più nobile una ragazza di soli sedici anni possa fare. Con la fronte poggiata contro la sua, il respiro pesante ad investire la sua pelle, sussurra la sua preoccupazione e quel velo di lusinga che la avvolge impercettibilmente. 'Non fare mai più una cosa del genere.' Sussurra infine, guidando le mani in una lenta risalita sulle guance dell'altra e posando le labbra sulle sue. Un bacio lento che sa di riconoscenza, una che non riuscirebbe a spiegare altrimenti. Il preludio di qualcosa che non ha più senso nascondere e che le rivela dopo pochi istanti, come le stesse confidando un segreto di inestimabile importanza. In parte lo è. 'La mia ragazza è proprio cazzuta.'


     
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    Nonostante le premesse fatte, se l'aspettava una reazione simile. Eppure non potette comunque fare a meno di irrigidirsi nel vederlo tirarsi in piedi e sfogare la propria frustrazione contro il posacenere. Il rumore dell'oggetto che toccò il pavimento rimbalzò da un punto all'altro della propria scatola cranica, allertando il proprio timore. E seguì le sue parole, il suo discorso, con agitazione. Tesa come sul punto di esplodere a sua volta. Le mani già chiuse a pugno, il volto in fiamme.
    «Posso difendermi da sola.» Provò persino a ribattere, tiratasi sulle ginocchia, mentre cominciava a farsi largo in lei l'idea, già presente, di essere inutile. Di combinare soltanto casini e soprattutto di ferire di continuo le persone che aveva intorno. Le tornò, con prepotenza, la voglia di urlare. E forse lo avrebbe fatto se, d'un tratto, quello che sembrò l'incipit di un tornado non si placò.
    Ne restò spiazzata ed ancora turbata, tanto da non riuscire a ribattere alle sue ultime parole e all'inizio, nemmeno al suo bacio. Le ci volle però solo qualche secondo per sciogliersi. Gli occhi presero a pizzicarle di meno e le spalle si ammorbidirono.
    Si lasciò andare finchè durò, e quando fronte contro fronte, l'altro prese a pronunciare le sue ultime parole, il cuore di Helena le tamburellò nel petto con troppa audacia. Dovette imporsi un equilibrio per tornare a respirare e fu anche per dissimulare il suo imbarazzo che lo colpì alla spalla. «Fottiti.» Biascicò ancora a disagio, tirandosi indietro per superarlo. Eppure, mentre portava una ciocca di capelli ora appena più rossi dietro l'orecchio, non potette fare a meno di sorridere.
    Afferrò il proprio zaino, allontanandosi fino a raggiungere il separè dietro cui sostò.
    Voleva liberarsi di quella stupida divisa per indossare qualcosa di diverso ed approfittare di quel momento di pausa per elaborare quella verità. Stavano insieme ed anche se indirettamente se l'erano detti. Ormai era passato quasi un anno da quando quel loro rapporto indecifrabile era iniziato e dopo tutte le promesse che si erano fatti per non arrivare a quel punto, c'erano. L'idea se da un lato la rendeva entusiasta, felice... se da un lato la faceva sentire, finalmente, amata, dall'altro la inquietava.
    Fu tuttavia facile mandar via quei pensieri in un momento come quello. Si liberò della camicia che lanciò sul bordo superiore del separè e della gonna a cui concesse la stessa sorte. Tirò via le calze, sfiorando distrattamente le cicatrice ancora rosse incise sulle sue cosce. E poi per un po' restò così, in quell'intimo forse troppo infantile, a guardarsi allo specchio che aveva di fronte. Era da un po' che non le capitava di farlo. Erano tante le cose che non faceva più di recente. Eppure, dopo quelle parole che continuavano a rimbombarle nella mente, le sembrò potesse tollerarlo un po' di più il suo corpo, nonostante fosse segnato dalla maledizione e dalle sue cicatrici. Sistemò i capelli, tirando un respiro profondo, mentre decisa si sporgeva oltre quel separè. «Se non hai anche tu rivelazioni da fare, puoi raggiungermi.» Gli disse, guardandolo con convinzione. C'erano state non poche difficoltà nel loro rapporto di recente, soprattutto per quanto riguardava l'aspetto fisico. Persino quando era capitato di stare insieme le era sembrato tutto troppo da sopportare, come se non lo volesse davvero e non certo perchè non voleva lui. In quel momento però sentì forte di nuovo il desiderio di avere un corpo caldo a cui aggrapparsi. Il suo. «Magari prima che mi cambi del tutto.» E forse dopotutto, poteva annoverarsi come un passo in avanti. L'ennesimo da fare insieme.
     
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    Era chiaro a entrambi ormai da un po', anche se solo ora si ritrovano a sorridere. Si è accesa da tempo la consapevolezza di quel desiderio condiviso, di un'unione inattaccabile, di una catena indistruttibile nonostante le scalfitture collezionate. Però adesso cedono all'accettazione, buttano giù ogni muraglia protettiva per godere di una chiara visione delle cose e non osservarle più con timore da uno spiraglio inconcludente. Vederla calmarsi è una liberazione, osservarla allontanarsi col sorriso stampato sul volto uno spettacolo, il più bello mai visto. E ciò che ne segue, ha il potere di stupirlo e rasserenarlo al contempo. Osserva la divisa poggiarsi con irruenza sul separé, soffocando risate compiaciute espresse in soffi contenuti. Vede Helena sporgersi oltre il limite della protezione in vimini e si rende conto di ciò che sta incredibilmente attraversando la mente della ragazza, dopo mesi di negazione ed appigli ad alternative che rendessero meno ostici quei tentativi. Un pensiero puro, candido. Nessuna alterazione dei sensi ad accenderne la libidine, l'assenza di pressione alcuna da parte dell'altro. Sembra naturale, i toni meno accesi di quelli che rivestivano i moti adrenalinici che si concedevano mesi prima, ma non per questo meno accattivanti. Non è in fondo l'atto del sesso ad attirare come una calamita la mente non più immatura e perversa del Chesterfield, quanto piuttosto la voglia di avere lei, a seguito dei profondi sentimenti nati nel tempo, coltivati sino alla loro accettazione e custoditi sì da racchiudersi nel rapporto dall'ufficialità appena sbocciata. Non che fosse un segreto, eppure tale consapevolezza è sempre stata conservata come se lo fosse. Ora è tempo di crescere, per entrambi, abbastanza da cancellare la paura. Ed è Helena a compiere il primo passo, ma Mason non attende un solo secondo per andarle incontro a sua volta. 'Mi piacciono.' Rivela, occhi vigili sull'intimo insolito da lei indossato. Sincero. Arreso al proprio cuore, si lascia trasportare da ciò che sente, ciò che preme nella sua gabbia toracica con prepotenza per venir fuori. Nel suo tono di voce non c'è però arroganza alcuna, né malizia. La singolare dolcezza che gli accarezza le corde vocali, raggiunge le orecchie dell'altra con delicatezza, una concessione sospirata a pochi centimetri dal suo volto. 'Sei bellissima.' Non aggiunge altro, non serve ornare quella semplicità di fittizie esagerazioni, né di screzi da ragazzini. Solleva le mani, in una lenta risalita che ha termine all'altezza del suo collo, le dita impresse sulla pelle diafana per lasciarvi carezze gentili. La bacia ancora, la foga crescente a mozzargli il respiro concitato, l'addome poco a poco più vicino a quello di lei, libero dopo pochi istanti della maglia che raggiunge la divisa abbandonata in cima al separé. Guida Helena verso di sé, come un invito fervente, non un'imposizione, e la trascina fino a quando il materasso dell'ampio letto non blocca la sua avanzata. Vi si siede lentamente, concedendo occhiate curiose e pregne di desiderio al corpo dell'altra. Non lascia trasparire alcuna smorfia di preoccupazione nel posare lo sguardo sulle sue cicatrici, quelle figlie della malattia che la consuma e le tracce rossastre del dolore che ne deriva inevitabilmente. Significherebbe ricordarle ciò che l'aspetta, omologarsi ad un giudizio che l'ha da sempre fatta sentire peggio e non è ciò che vuole. Non adesso. In silenzio, procede nella sua avanzata verso quella reciproca volontà cupida. Le labbra schioccano percorsi più marcati sull'addome di lei, le mani tracciano linee d'esplorazione sulla sua schiena, sui fianchi, sui glutei. Un azzardo celere oltre l'intimo, prima di richiamare il volto di Helena al proprio ed attirarla a sé per lasciarla sedere cavalcioni sulle proprie gambe. Le suggerisce di prendere le redini del controllo, di avanzare come più lei preferisce. Lo sguardo la implora di portare a termine quel ritorno alla loro consuetudine e ristabilire il loro paradosso di ordine caotico.


     
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    «Vaffanculo.» Non potette fare a meno di rispondere a quel modo ai suoi complimenti. A disagio, finiva sempre con il ritirare quel genere di parole quando si sentiva in imbarazzo. E lo era. Dubitava ormai della sua bellezza. Il proprio corpo era diventato il suo peggior nemico, e credere quindi a quel che Mason le diceva sarebbe stato difficile. Eppure, contrariamente a quanto fatto nell'ultimo periodo, non si allontanò. Non si ritrasse alle sue carezze, ai suoi baci. Anzi si spinse contro di lui come desiderosa di riceverne altre, quasi in trepidante attesa. E fu per quello che non perse tempo quando Mason si sedette su quel letto. Comprendendo le sue intenzioni, lo assecondó, salendo cavalcioni sulle sue gambe. Baciando il suo collo, stringendo il suo corpo mentre il proprio bacino ancora coperto dall'ultimo sostava su quello dell'altro. Fu così fino a quando giocare le sembrò inutile ed impellente diventò il bisogno di andare oltre. Di scoprirsi. Entrambi.

    Aveva sussurrato contro le sue labbra il desiderio ingabbiato in quei mesi, mentre Mason la conduceva a quelle vette che Helena sembrava aver dimenticato.
    Si era resa conto di averlo desiderato per giorni senza avere il coraggio di esporsi. Di mettersi di nuovo alla prova, intimorita forse dal cambiamento del suo corpo, anche dalle cicatrici sulle cosce. Eppure niente sembrava essere cambiato.
    Mason non aveva preso a guardarla diversamente e se possibile quell'unione era stata anche più intensa delle precedenti.
    Stanca e ancora ansante, si lasciò cadere tra le lenzuola coprendosi con delle coperte in modo scomposto. Trascinò Mason con sé adagiando poi il capo sul suo petto. Restò ad ascoltare il ritmo del suo respiro nel tentativo di calmare il suo appena più mozzo. Di sicuro dopo l'attacco d'asma avuto che l'aveva costretta persino ad Yggdrasil, affrontare quel genere di attività fisica, le aveva richiesto un impegno ulteriore. Eppure, sebbene più affaticata, si sentiva bene. Stava bene.
    Per un po' non disse nulla.
    Restò in quella posizione, le dita incrociate a quelle dell'altro.
    Ad un certo punto però, un tarlo si impossessò della sua mente, e fu difficile per lei trattenere le domande che le si erano appena formate.
    «Perché non mi hai detto che sei stato con Daphne?» Chiese tirando su lo sguardo per poterlo guardare. E per quanto scomodo potesse sembrare quel quesito, non c'erano accuse.
    «É la mia migliore amica.» Aggiunse poco dopo, abbassando poi lo sguardo con un sorriso appena più malinconico. «Lei è davvero bellissima.»

     
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    Quando gli sembra di aver sfiorato le vette più alte del loro rapporto, si ritrova sempre a ricredersi e lasciare il posto a qualcosa di anche più bello, come fossero destinati ad un miglioramento costante in barba agli intoppi di cui sono spesso vittime. Respira ogni parte di lei, godendo del suo profumo come fosse la prima volta. Sembra esserlo a seguito della rigidità intrisa nei loro ultimi incontri, falsati da ausili tossici o interrotti da timori che accapponavano la pelle di lei. E' incredibile fare ritorno alla loro naturalezza, a quell'unione spontanea che li rende un tutt'uno, che ricongiunge quella squadra sotto il ritmo scandito dai loro respiri, da apici di passione raggiunti all'unisono a coronazione della loro intimità ristabilita. Crollano tra le coperte sfatte di quel nuovo letto, inaugurato in tempo record dalla loro frenesia. Un nuovo angolo di pace che sia solo loro, dove essere uniti, sereni, finché il destino sceglierà di concederglielo ed entrambi si impegneranno a permanere in quella quiete ricercata. La accoglie contro il proprio petto, avvolgendo le sue spalle col braccio. Poggia le labbra sulla sua testa per rilasciarvi un bacio cauto ma intenso, mano intrecciata alla sua, gambe incastrate tra loro. Si gode quell'attimo di respiro, di realizzazione di ciò che è appena stato, prima che un nuovo fantasma del passato si intrometta tra loro in tentativi possibilmente inconsistenti di turbare il loro equilibrio. Sono fattezze sbiadite che assumono pian piano la forma della Mikkelsen, sorprendendo il Chesterfield che si ritrova a sobbalzare nel sentire Helena pronunciare il suo nome. 'Te l'ha detto lei?' Bocca larga. D'altra parte il ragazzo non è mai stato perfettamente consapevole del rapporto tra le due, emerso appena al career day indetto dall'Accademia ed accentuatosi appena di più alla festa a villa Hollingsworth. Apprendere che si tratti di un'amicizia così tanto consolidata e forte, lo destabilizza in parte. La pazienza precaria della ragazza negli ultimi periodi poi rappresenta un nuovo incipit di preoccupazione. Sembra calma, almeno adesso, ma è evidente l'amarezza che quel "lei è davvero bellissima" reca con sé e non promette nulla di buono. 'Beh, non era importante.' Suggerisce con sincerità, carezzandole una spalla con l'indice come per calcare il proprio tentativo di rassicurazione. 'Ti avrà anche detto che si trattasse di un fidanzamento combinato, no?' Nessun briciolo d'amore, né un'attrazione che andasse oltre la voglia di intrattenersi in passatempi carnali che i loro reciproci begli aspetti suggerivano inevitabilmente. Non è mai stato importante ed è questo ciò su cui Mason vuole porre l'attenzione. L'essere rimasti in buoni rapporti, non è che la prova di quanto insignificante la loro rottura sia stata, come provare a lanciare una pallina di gomma contro un muro. Non puoi rompere qualcosa di così molle ed inconsistente. 'Non sapevo foste tanto amiche. Come vi siete conosciute?' Domanda curioso, prima di sciogliere l'intreccio delle loro mani solo per sollevare il mento di lei ed indurla a guardarlo, guidandola più su verso una risalita che porti i loro volti più vicini, i loro occhi sullo stesso livello, puntati gli uni negli altri. 'E' passato. Non ti dà fastidio, giusto?' Chissà se anche un responso negativo non indurrebbe comunque la piccola Haugen a rimuginare con costanza su quel dettaglio persino nei giorni a venire. Ultimamente sembra tutto così imprevedibile da spaventarlo. Non è abituato, in fondo, a prendersi carico di tutta questa sofferenza, non è mai stato in grado nemmeno di badare alla propria. Ma ha promesso di impegnarsi per lei e continuerà a farlo. Ne vale la pena.


     
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    Si ritrovò a pensare a quanto le fosse mancato tutto quello. Non il sesso in sé, quanto le dinamiche che venivano a crearsi. Quella complicità naturale che la faceva sentire di nuovo viva, spoglia delle paure che invece quotidianamente si trascinava dietro. Si sentiva di nuovo donna. Di nuovo sua.
    Si strinse di più a lui, chiudendo gli occhi, lasciandosi andare. Non le era capitato spesso negli ultimi mesi, non in quelle condizioni. Dormigli accanto, e sempre vestita, non la vedeva mai del tutto tranquilla. I suoi sogni erano comunque adornati di incubi tremendi quando prendevano sopravvento sull'insonnia. In quel momento sentì di poter lasciarsi andare, anche se il discorso non la vedeva del tutto serena.
    «No.» Gli rispose scuotendo appena il capo. Non aveva voluto indagare, a dire il vero, sull'entità di quel rapporto. Era rimasta così scocciata da quella rivelazione, che aveva semplicemente voluto andare oltre. Non che ci fosse qualcosa di male. Immaginava Mason avesse una storia sentimentale molto movimentata alle sue spalle. Era il confronto con le altre che, in quel periodo, la poneva in estrema difficoltà. Forse anzi, le avrebbe sempre provocato un certo fastidio.
    «A Durmstrang. Ci odiavamo a morte. E poi siamo diventate best friend.» Gli spiegò velocemente poco dopo, tirando su il capo per guardarlo, lasciandosi scappare persino un piccolo sorriso nel mentre.
    Durò poco.
    Alla sua nuova domanda, arricciò il naso e le labbra in un'espressione che in fin dei conti poteva annoverarsi come buffa. «No, figurati.» Mentì. In parte era vero ma d'altro canto era anche chiaro provasse una nota di fastidio. Non sarebbe potuto essere altrimenti. Per quanto si fosse sforzata di evitare di legarsi all'altro, doveva ammettere di non esserci riuscita. Ora le veniva difficile immaginare se stessa senza l'altro, persino a ritrovo nel proprio passato. E l'idea che Mason avesse potuto godere di una parentesi felice anche senza lei, azionava in Helena un naturale e spontaneo istinto alla competizione. Quel tratto estremamente competitivo e forse a tratti infantile, non l'avrebbe mai perso. «O a te dovrebbero dar fastidio i miei ex. Che vedo quotidianamente a scuola.» Gli disse, mostrandogli un mezzo sorriso. E sì, era chiara l'intenzione di stimolare vicendevolmente un po' della sua gelosia, o anche solo il suo interesse. «Come Reid ad esempio. Lo hai incontrato alla festa-» Annuì, distogliendo lo sguardo, sogghignando. «Ma non ti dà fastidio, giusto?»
     
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    Sbuffa impercettibilmente il disagio suggerito da quella rivelazione. Dettagli tediosi quelli che sono giunti alle orecchie di Helena, per mano della Mikkelsen come di Mason in questo preciso istante. Non riesce a leggere totale serenità nel volto della ragazza, sebbene sembri impegnata a contenersi con tutte le sue forze pur di non crollare in mille pezzi per l'ennesima volta, complice probabilmente il senso di pace innescato dal momento appena condiviso. Si dimostra paziente, lui, calmo in volto come nei gesti, le dita delicate a carezzare la pelle della sua schiena, poi alcune ciocche dei capelli lunghi e morbidi tornati al loro castano naturale, a dimostrazione dell'assenza di emozioni fortemente avverse. Si ritrova a rimuginare con poca attenzione su quell'assurda coincidenza, dicendosi di essersi probabilmente concesso fin troppa libertà negli anni con le ragazze; una fonte di preoccupazione per la Haugen che non può controllare in alcun modo e per cui si pente in parte, sebbene il passato non abbia valenza rispetto al loro presente. Darebbe meno importanza a quei dettagli, se dall'altra parte non ci fosse Helena ad esserne così toccata. 'Siete così diverse che mi stupisce siate riuscite a diventare amiche che non il contrario.' Esordisce alla fine, intenzionato a mettere un punto a quella faccenda. E' la ragazza, però, a muovere la loro discussione su un palcoscenico adiacente ai dubbi appena sorti tra le sue preoccupazioni. Non riesce a trattenere una smorfia di fastidio, abbastanza buffa quanto quella da lei poco prima intrapresa, nel sentirle dire di essere ancora più o meno a stretto contatto con tutti i suoi ex. E no, la fiducia provata nei suoi confronti non gli permette di sollevare seriamente moti d'agitazione in sé, ma riportare alla mente la scena ben chiara tra i suoi ricordi di "quel Reid" che ha incollato le proprie labbra su quelle della ragazza alla festa in piscina ha il potere di stuzzicare fastidiosamente la sua precaria pazienza. 'Oh, mi dà molto fastidio invece.' Soffia con espressione accigliata, mostrandosi più o meno fintamente scocciato dalla prospettiva appena offertagli. C'è un fondo di verità in quegli accenni di gelosia che le concede, ma molta meno preoccupazione di quanto non voglia lasciar trasparire. 'Ma va bene, ti basta ricordare a Reid e a tutti gli altri che adesso sei mia.' Le rilascia quell'affermazione con convinzione, un sorriso a distendere le sue labbra di un misto di boria e possessione, entro limiti accettabili e ben lontani dalla malsanità di cui è stata precedentemente vittima. Non è una costrizione quella che le suggerisce. Solo l'incontenibile voglia di averla, di farla sua anche all'infuori delle coperte di un letto. 'Tutta mia.' Stare insieme, promettersi di esserci e di poter contare l'uno sull'altra sotto ogni aspetto.


     
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