dazed and confused.

Mason

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    Agosto 2018; Barham Court, maniero Middleton

    Erano passati quarantanove giorni e un numero non quantificabile di ore e minuti, che erano sembrati eterni, da quando lui era scomparso. La consapevolezza su ciò che lo circondava si fermava a questa evidenza, il resto era nebbia confusa nelle tenebre. Non aveva idea di quale momento preciso della giornata fosse e se fosse effettivamente giorno e da quanto tempo. Le pesanti cortine, un tempo spalancate e raccolte elegantemente agli angoli delle vetrate che riempivano le stanze di sole, erano state tirate in malo modo con rabbia per esiliare qualsiasi forma di calore e luce, consentendogli di ripararsi dietro l’accogliente abbraccio della serena oscurità. Erano trascorsi quarantanove giorni di un’estate cupa e priva di importanza in cui la scomparsa di suo padre si era appropriata di ogni prerogativa e lo aveva piegato ai meri giochi difensivi della propria mente che, tuttavia, sembrava essersi incartata tra la fase di negazione e quella di rabbia di un lutto indefinito. Sua madre indossava ancora il nero in segno di decoro e rispetto e sapeva in cuor suo che non lo avrebbe mai accantonato; aveva pianto ogni notte tutte le notti da quando il posto al suo fianco nel letto era rimasto vuoto e lo spazio nel suo cuore incolmabile, ma dopo alcune settimane terribili in cui aveva dovuto fronteggiare il dolore suo e quello di Barham, si era rialzata dalla propria valle di lacrime per riprendere in mano le redini di famiglia e fronteggiare una realtà crudele che non si fermava di fronte alla sofferenza di nessuno. Per Barrie qualcosa si era incrinato nel modo sbagliato e non riusciva più a liberarsi da una morsa che lo stritolava per intero e gli impediva di saziarsi, riposare, concentrarsi, maneggiare con la consueta destrezza gli eventi della vita per plasmare il proprio destino. Si era perso, nelle profondità di un limbo che non riconosceva ed i cui confini stava tracciando da solo. Non si palesava pubblicamente e socialmente parlando da quasi due mesi e non era intenzionato affatto a porvi rimedio nell’immediato; riconosceva alle consuete frivolezze mondane, di cui si circondava solitamente, la loro inconsistenza e superficialità. Tutto era vacuo, banale, indegno. Se ne stava ritirato nelle proprie camere o in tutte quelle che aveva ritenuto di occupare liberamente, trascorrendo le giornate a consumare ettolitri di liquori costosi o svariati tipi di sostanze che viravano dall’illecito al letale nello spazio di un grammo. In principio si era convinto che potessero essere un ripiego al proprio schiacciante dolore, una soluzione facile per mantenere il controllo su quelle emozioni che rischiavano di soffocarlo o, ancora, semplicemente un rimedio per anestetizzarsi. E stava funzionando, in parte, se continuava a somministrarsi veleno tutti i giorni più volte al giorno; qualcosa, però, stava iniziando a sfuggire alle regole di quel rituale malsano che era diventato la sua quotidianità: la sua mente, martoriata dal dolore che da solo non si consentiva di affrontare, tentava di ripiegare su altro e una piccola, minuscola, insignificante idea si stava pian piano facendo spazio tra le coltri dell’inconscio. Barham non ne era ancora consapevole, non aveva ancora saggiato la pericolosità di un’idea paranoica, ma iniziava a pensare, di tanto in tanto, a notte fonda quando l’artiglio di drago rappresentava il suo unico compagno di sventure, che c’era qualcosa in quella storia raccontata male, abbozzata, cucita a bell’e meglio e che gli aveva propinato l’Ufficio di suo padre, a cui non doveva credere assolutamente. In quel momento della sua vita, in quella parentesi del proprio oblio, riusciva a rilegare quei pensieri irrazionali solo alla notte e al suo momento di maggiore intensità. In quel pomeriggio stranamente assolato, un’afa insostenibile aleggiava fra i verdi prati che circondavano il maniero; gli alberi maniacalmente curati non agitavano nemmeno una foglia, segno della totale assenza di vento. Nel salotto privato di Barham, al secondo piano della residenza, il giovane se ne stava seduto in maniera assolutamente sgraziata, stravaccato su una poltrona dagli inseriti di pesante velluto color porpora, sorseggiando l’ennesimo bicchiere di whisky incendiario e fumando svogliatamente una sigaretta di pergamena dal dubbio contenuto; non si curava affatto della cenere sparsa ovunque sui mobili e tappeti, del tanfo terribile di fumo che li avrebbe impregnati per sempre né delle bruciature o delle macchie di liquore dovute agli innumerevoli sigarette o bicchieri caduti al suolo sciaguratamente. Le tende dell’enorme finestra a parete erano ovviamente chiuse; nella camera aleggiava un’aria irrespirabile di chiuso e fumo stagnante. Non si poteva essere certi che fosse effettivamente vivo né che fosse assolutamente morto; semplicemente vegetava, senza alcuna speranza né alcun timore di poter restare nel proprio limbo irrisolto. Quando bussarono vigorosamente alla porta, lui nemmeno se ne accorse.

     
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    Come metabolizzare un lutto? E' un quesito paradossale, un circolo di cui Mason è stato protagonista quando ancora troppo innocente per lasciarsi soggiogare dai contorti meccanismi di una mente compromessa da un trauma. Non c'era abbastanza malizia per capire, solo un'ingente dose di crudeltà che ha plasmato il ragazzo schivo ed arrabbiato col mondo che tutti conoscono oggi. Un lavoro magistrale messo su da se stesso quanto da Hubert, in definitiva. E' in queste differenze che risiede l'incapacità di comprendere del Chesterfield, nella confusione del non avere idea di come una mente ormai cresciuta possa assimilare una perdita di tale importanza. Barrie sembra averla presa parecchio male, ma gli occhi di Mason non hanno ancora incontrato i contorni di devastazione dell'amico nei suoi picchi peggiori. Fase di negazione, fase di disperazione, sospiri, lacrime... tutto un insieme di dettagli entro cui non si è ancora appropinquato. Non con Barrie. Mai con nessuno, in realtà. Cerca per tal motivo di addentrarvisi in punta di piedi, apponendo un insolito rispetto - non poi così assurdo visto il rapporto che lo lega al Middleton - nell'approccio cauto, pacato e mai invadente che gli riserva. Dopo giorni di silenzio si è deciso ad agire, ad imporre la propria presenza in quel trancio d'esistenza morta in cui il ragazzo sembra essersi rinchiuso. Detesta avere a che fare con le rese, specie se ad esserne protagonista è qualcuno che fa parte della sua vita come una costante ormai immancabile. Barrie lo è. Si presenta a casa sua in un pomeriggio afoso, l'aria resa quasi irrespirabile dall'assenza di brezza alcuna. Un calore insolito per l'ambiente londinese, cui fatica ad adeguarsi nonostante i vestiti leggeri messi su. L'accoglienza è misera, smorta come in fondo si sarebbe aspettato. Si muove per i corridoi della casa come fosse la propria, ma non vi riconosce le fattezze serene che l'hanno caratterizzata durante ogni visita precedente. Solo i passi impressi sui gradini delle scale sembrano suggerire sussurri di vita, là dove tutto sembra essersi ormai fermato. Così, anche i pugni, assai più forti ed assenti di delicatezza, si gettano con forza sulla superficie della porta del salotto al secondo piano, a segnare una presenza che pare stonare con l'ambiente circostante. Non si impone abbastanza da risvegliare chiunque sia intorno dal torpore luttuoso sparso ovunque e per questo, dopo pochi tentativi che hanno messo a dura prova la sua labile pazienza, si decide ad oltrepassare l'uscio, ad immergersi in quel quadro di disperazione che lo scenario disordinato e macchiato di cenere ed alcol suggerisce crudelmente. Storce il naso, mentre avanza verso il fantasma del Barrie che è abituato a conoscere. Non è la presenza estrema di alcol a cui sembra essersi attaccato a sorprenderlo; le sbronze sono sempre state il loro punto forte, nonché un immancabile supporto per risollevarsi dalla noia quotidiana. E' l'effetto che tutto il contesto sembra aver avuto su di lui a metterlo in agitazione, seppur si riveli quasi nullo ed impercettibile nel viso calmo e diffidente del Chesterfield. Una facciata atta a nascondere ogni traccia d'emotività, come di consueto. 'Oh, se volevi sbronzarti potevi farmi un fischio. Ti avrei trascinato da qualche parte ad acchiappare, doppio guadagno.' Un monito superficiale che stemperi la tensione e che sia al contempo d'ausilio per riportare l'altro alla realtà. Forse un'immagine troppo pretenziosa, visto quanto il Middleton sembri ritrovarsi immerso nel proprio asfissiante dolore. E' uno schifo vederlo così, una visione insopportabile. Non tarda per tal motivo ad arrivare una pacca non così leggera sulla sua spalla, seguita da diversi schiaffi sul viso come per richiamarne l'attenzione. 'Terra chiama Middleton! Ti alzi o no?'


     
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    Quando suo padre non era rientrato da un lavoro, che lo aveva tenuto lontano da casa per qualche settimana, avevano tutti pensato che qualche imprevisto di poca rilevanza lo avesse trattenuto; quella deviazione inattesa però aveva preso una piega più duratura di quanto fosse accettabile per un imprevisto e qualcuno aveva iniziato a vociferare che fosse morto in missione. Occorsero un paio di settimane affinché un ministeriale in completo nero polvere si palesasse in via ufficiale al cancello di ferro battuto della dimora Middleton mostrando una busta da lettere con sigillo in ceralacca e tutto il presagio di sventura che esso poteva rappresentare. La parola “scomparso” suonava terribilmente ambigua e ambivalente nel caso specifico di suo padre; sulla sua infausta vicenda e il triste destino che lo aveva visto protagonista, in una sequela di eventi poco nitidi, imperava una coltre di mistero insoddisfacente. Tutti nel mondo magico avevano accettato il bisbiglio sulla presunta morte di lord Middleton come una verità che non creava scalpore; tutti si erano aspettati che venisse seguito il protocollo consono alla situazione: si sarebbe tenuta una cerimonia ufficiale e discreta, riservata alla famiglia e ai membri selezionati del ministero; sua madre avrebbe indossato il nero e avrebbe osservato il lutto secondo prassi, si sarebbe ritirata a vita privata per un tempo non maggiormente definito occupandosi della gestione domestica e di mansioni di minor rilevanza, se lo avesse ritenuto opportuno. Tutti, nel mondo magico e non, immaginavano che il buon nome di famiglia e il titolo di barone sarebbero stati ereditati dal giovane Barham che, in tempi brevi, si sarebbe ripreso dall’agghiacciante notizia della prematura morte – o, meglio, scomparsa – del padre sostituendo il suo ruolo sociale e di capofamiglia. Aveva assolto ai suoi doveri, almeno in principio: aveva indossato un completo scuro al funerale senza salma di suo padre, aveva stretto mani alle sterili condoglianze che gli avevano rivolto, aveva accettato con riluttante educazione gli sguardi colmi di pietà che avevano rivolto a quell’orfano senza risposte, aveva mentalmente organizzato l’agenda e gli affari di suo padre e poi si era snodato la cravatta per tutte le sere a seguire dimenticando le proprie prospettive sul fondo di un bicchiere in compagnia del suo miglior amico. La porta dello studio privato di suo padre era rimasta chiusa, inviolata e inespugnabile, senza che riuscisse ad abbassare la pesante maniglia intarsiata; Barrie non aveva mai esitato, non si era mai lasciato intimorire dalle sfide della vita, eppure la mano gli tremava incerta quando provava ad aprire la porta. Gli tremava l’anima al pensiero che non lo avrebbe trovato seduto sulla poltrona dallo schienale imperiale mentre bofonchiava tra sé con la pipa tra le labbra. Aveva gradualmente preso ad evitare l’ala del maniero in cui riusciva solo ad immaginare il fantasma di suo padre; le uniche stanze in cui militava erano la propria camera da letto, il salotto adiacente e la cucina ove si palesava solo quando era certo di non trovarvi anima viva. C'era una quiete inamovibile e irreale in tutta la casa, i rumori indefiniti provenienti dalla sua stanza si sollevavano i momenti inaspettati della giornata e solitamente potevano essere riassunte in bicchieri che si frantumavano, posacenere lanciati contro il muro, musica assordante che faceva vibrare le finestre. Nei momenti in cui si circondava del solo suono del proprio respiro riusciva a concentrarsi esclusivamente su quello e, ovviamente, su tutto il whisky o l’assenzio che aveva ancora a disposizione. 'Oh, se volevi sbronzarti potevi farmi un fischio. Ti avrei trascinato da qualche parte ad acchiappare, doppio guadagno.' Un’eco distante, ovattata, che si insinua con difficoltà oltre la barriera di una mente che si rifiuta di ascoltare. Barham mosse a malapena il capo in un cenno di vita, riconoscendo a stento la presenza dell’altro al suo fianco; per quanto Mason si fosse palesato con rispettosa discrezione – e non era mai stato una persona che necessitava di presentazioni ufficiali o di essere annunciato quando entrava in una stanza – dovette ricorrere a maniere più decise per ridestare il piccolo lord dal proprio torpore mentale. ‘Terra chiama Middleton! Ti alzi o no?’ Uno, due, tre colpi furono la soluzione che ritenne più consona. Le palpebre di Barrie sbatterono più volte prima di tornare a richiudersi ancora per qualche istante; con moderata lentezza un occhio si aprì pigramente sull’ambiente circostante. Sobbalzò sulla poltrona al saluto personale di Mason, perdendo la presa sulla sigaretta ormai consumata dal tempo. ‘Ma cosa... cazzo stai facendo?!’ Si strofinò il volto con il dorso della mano, biascicando quelle parole che gli uscirono con una voce gracchiante di chi non ha proferito sillaba per secoli. Si risistemò a sedere cercando di sollevarsi il meno possibile per evitare di cascare a terra. ‘Dovevamo vederci e non lo ricordavo?’ Chiese distrattamente mentre cercava con lo sguardo il bicchiere che credeva di aver lasciato sul tavolino di cristallo di fronte alla poltrona. C’era la stessa probabilità che lui avesse rimosso l’impegno preso con l’amico e che quest'ultimo si fosse palesato in completa autonomia; per Barrie non aveva assolutamente importanza per quanto, qualche mese prima, si sarebbe preso come minimo la briga di farsi una doccia e indossare dei vestiti che sapeva quando fossero stati lavati l’ultima volta. ‘Se devo spostare il mio nobile derrière da qui sappi che non accadrà quindi tanto vale che ti metti comodo.’ dichiarò sventolando eccessivamente la mano sotto l’influenza dei movimenti involontari dati dalla quota alcolica in circolo nelle sue vene. ‘Serviti pure da bere, sai dove trovare gli alcolici.’ asserì prima di abbandonare di nuovo la testa poggiandosi con la nuca al voluminoso poggia-braccio della poltrona.

     
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    Odia essere vittima dei sentimenti, solitamente reclusi in una scatola di cedimenti a cui mai avvicinarsi neanche per sbaglio. La preoccupazione che l'avvolge nel posare gli occhi su Barham è dura da fronteggiare, un ostacolo che si costringe a reprimere come di consueto sotto maniere rozze e per niente pacate o comprensive. Ben conscio, d'altra parte, che l'approccio migliore da adottare col ragazzo sia quello di fingere indifferenza, come se tutto fosse al proprio posto e nessun azzardato scompiglio abbia rimescolato il distacco che si riservano a vicenda, piuttosto che lasciar curvare l'espressione in una morsa salda di pena e dispiacere. Si chiede se sarebbe in grado di percepirla, qualora vi si lasciasse sopraffare, visto quanto distante appare il suo sguardo, languido d'alcol e stanco di una battaglia interiore di cui solo il Middleton conosce le sfaccettature, oltre le valide e palesi fondamenta che risiedono in quell'inaccettabile lutto. 'No, testa di cazzo, sono settimane che non ci vediamo, fare irruzione qui in casa è il minimo, mh?' Nessun appuntamento concordato, nessuna offesa ricevuta; le parole dell'altro sono solo un alimentarsi della frustrazione provata, nella scarsa possibilità di comprendere quanto quella sofferenza abbia compromesso la sua lucidità mentale, affogata sotto litri di alcol che abbracciano il suo alito in un olezzo inconfondibile. E andrebbe bene, se si trattasse solo di quello. Sarebbe normale, nel loro piccolo mondo, mettere a tacere ogni cosa per un po' di malsani danni procurati al fegato. Un'abitudine cattiva, tra le tante che cibano il loro animo quotidianamente. 'Quella poltrona ormai avrà lo stampo del tuo "nobile derrière", alza il culo.' Un ulteriore incentivo dalla valenza sconosciuta, potenzialmente bassa o nulla, visto l'atteggiamento di resa a cui Barham sembra soccombere. Un'immagine disturbante agli occhi del Chesterfield, forse dotato di troppa poca sensibilità per potersi infilare tra le trame del malessere dell'altro con la necessaria dose di comprensione ed empatia. Nonostante i vissuti che marchiano ancora traumaticamente la sua psiche, è stato abituato a mettere da parte quel genere di sofferenza sin dall'inizio. Non ha avuto scelta. Ed è su questa stessa malsana convinzione che si muove per istigare l'altro ad un cambio di prospettiva, su cui forse stringerà ancor più la presa quando le prime tracce di razionalità torneranno ad imprimersi sul volto del Middleton. 'Dai, cazzo, che senso ha startene rinchiuso qui? Sbronza per sbronza, almeno trovi una figa con cui svuotare i coglioni.' Continua su quella scia rozza, indelicata, riservandogli qualche altro colpo di bassa potenza alla testa ciondolante. Sposta senza cura alcuna una seconda poltrona lì vicino, per porla dritta di fronte a quella su cui Bahram sosta come un cadavere. Sospira pesantemente, prima di raccogliere ogni briciola di scarsa pazienza che alberga in lui. I gomiti poggiati sulle ginocchia, le nocche pressate contro la mascella posata sui pugni chiusi. 'Che ti prende?' Un'alternativa ad uno scomodo "vuoi parlarne?" che seminerebbe disagio laddove non serve altro che una muta, flebile comprensione.


     
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    Lo sguardo accidioso di Barham si era posato a malapena sulla figura del giovane Chesterfield figurarsi se fosse stato in grado di esaminare lo stato brado di caotico abbandono in cui esisteva – come un gatto di Schrodinger, tra la vita e la morte – e che lo circondava in quella che un tempo era stata un fiore all’occhiello delle proprie stanze. Il suo salotto personale era la camera in cui solitamente accoglieva i propri ospiti ma in quel pomeriggio arido era solo lo specchio manifesto della propria disperazione. La testa che ciondolava dal bracciolo della poltrona gli sembrò piacevolmente leggera al punto da sorridere al soffitto; questo prima che la scomoda posizione determinasse un certo afflusso sanguigno che si tramutò in un vorace dolore alle tempie, alimentato come sempre in quel periodo dall’alcol in circolo. Fino a quel momento era rimasto fermamente convinto di possedere ancora un certo controllo e contatto con la realtà ma l’osservazione del suo miglior amico – in merito al tempo trascorso dall’ultima visita – fece timidamente breccia nella sua barriera ematoencefalica con la posata lentezza di un’eco, mettendolo di fronte ad una spaventosa verità: aveva perso l’ultimo filo invisibile che lo teneva in bilico tra il mondo e l’oblio dettato dal conteggio dei giorni. Erano settimane che non vedeva Mason. Quindi quando aveva sporto il proprio naso fuori dal cancello del maniero l’ulima volta? Quando si era alzato da quella poltrona nel suo passato più recente? E quando aveva appesantito il proprio stomaco con qualcosa di diverso dal liquido ambrato o vitreo di un liquore costoso? ‘Eppure ho un ricordo così vivido di te che mi rompi i coglioni come al solito’ osservò pigramente con un certo tono sarcastico. 'Quella poltrona ormai avrà lo stampo del tuo "nobile derrière", alza il culo.' Il torace di Barham sussultò sommessamente mentre una risata spropositata prendeva il sopravvento; in tutta risposta però, quando quell’ilarità immotivata andò scemando, il giovane Middleton espresse tutto il proprio disaccordo a quella proposta mostrandogli un elegantemente dito medio sollevato. 'Dai, cazzo, che senso ha startene rinchiuso qui? Sbronza per sbronza, almeno trovi una figa con cui svuotare i coglioni.' C’era un certo senso di urgenza nella voce di Mason e, se Barham fosse stato sufficientemente lucido, ne avrebbe riconosciuto tutto il disagio che il giovane stava provando in quel momento. L'amico aveva avuto sempre una certa riluttanza e soprattutto difficoltà nelle situazioni anche vagamente emotive; sapeva che se si fosse trattato di chiunque altro avrebbe già intrapreso la via dell’uscita. Era stupefacente che uno scheggiato come Mason cercasse di tenere insieme uno indistruttibile come Barham. Tuttavia la mente annebbiata del giovane baronetto riuscì solo a registrare i consueti modi triviali dell’amico, di cui sperava ancora di correggerne il linguaggio sboccato, e gli rivolse un’espressione nauseata. ‘Miseria, Mason. Sembra di sentir parlare un contadinotto di periferia.’ A ben pensarci era esilarante che trovasse la forza di propinargli una ramanzina; se fosse stato padrone della propria razionalità come di consueto avrebbe specificato che avrebbe sempre trovato l’energia per rimproverarlo, solo da morto probabilmente avrebbe smesso. ‘E comunque non mi serve una donna, a meno che non sia verde e con le ali e sia stampata su una bottiglia d’assenzio’ Puntualizzò, agitando il dito nella sua direzione. 'Che ti prende?' Di nuovo un tono irrequieto, un’alternativa pratica per svestirsi di un disagio che però sentiva fin dentro le ossa; poteva percepire le sfumature di serietà ed apprensione che difficilmente leggeva tra le righe delle loro conversazioni. Barham si sollevò con estrema lentezza, si mise a sedere compostamente, e – per quanto vi riuscì - puntò lo sguardo languido sull’amico cercando di tenere testa al suo. ‘Vuoi sapere cosa mi prende? Vuoi saperlo davvero? – la sua voce si sollevò inaspettatamente, rinvigorita da un improvviso siero di rabbia; fece per mettersi in piedi, con non poca fatica considerando l’equilibrio capriccioso, e si allungò verso alcune delle bottiglie vuote sparpagliate sul pavimento, afferrandone il collo prima di scagliarle contro una parete della stanza – Succede, mio caro amico, che mia madre continua a intercedere nei miei ordini per i miei personali rifornimenti di liquori quindi sono rimasto con poche bottiglie a disposizione, le scorte di erballegra e polvere di drago quasi ultimate e nessuna intenzione di uscire da qui per procurarmeli di persona.’ Urlò tra il fragore del vetro che esplodeva contro il muro riversandovi tutto il rancore che non sapeva spiegare e che sperò Mason comprendesse.

     
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    E' un confine sottile quello che separa il Middleton da un breakdown che non sembra poi il primo di cui essere vittima, quanto l'ennesimo di una sequela di cedimenti che lo hanno costretto alla resa, tramite molesti pensieri che vanno ben oltre la sua volontà. Un modo tutto suo di affrontare i drammi che lo tormentano su cui il Chesterfield non riesce a mettere giudizio, principalmente perché si tratta di un amico, una rarità a cui riservare rispetto nella cerchia già ristretta di importanti conoscenze che si è costruito negli anni. Non servono fronzoli da aggiungere a quella condizione apparentemente minima; nell'universo di Mason è già un miracolo poter godere di una definizione simile. E' questo che lo guida verso una pazienza appena più salda, nonostante i primi accenni di insofferenza per la situazione affrontata facciano capolino oltre l'espressione non più così apatica del ragazzo. La resa di Barham è inaccettabile, per quanto parzialmente comprensibile. Uno sfogo da concedergli, sebbene lo stia guidando verso la distruzione più di quanto il Middleton non sia realmente in grado di comprendere. 'Fanculo.' Ribadisce al rimprovero ricevuto per il linguaggio sfoderato, non che sia un richiamo serio per cui lasciarsi trasportare da sentimenti di seria offesa. Semplicemente, si riadatta ai battibecchi a riguardo che li contraddistinguono, dove il giovane Middleton passa il tempo a comportarsi come un principe ed il Chesterfield assume comportamenti degni di un pezzente di strada. E' che il riflesso dei loro mondi, delle realtà opposte entro cui sono cresciuti, prima di ritrovarsi magnificamente riuniti in un'empatica sfera che li ha vestiti di verde e argento e blu e bronzo, legandoli indissolubilmente. Un aspetto straordinario del loro rapporto, che spinge Mason ancora di più ad insistere affinché quell'incontro trovi esito in un ravvedersi dell'altro, che sia liberandosi di tutto l'alcol che circola dentro sé o cedendovi per poi risvegliarsi a seguito. Non vuole nient'altro che riavere indietro il suo amico, forte come è sempre stato prima. 'Coglione.' Scuote il capo, sbuffando quell'opinione lontana dalla pura sincerità. Solo un'imprecazione sussurrata a denti stretti, a marcare il fastidio che il non reagire dell'altro - o il farlo nel modo sbagliato - gli provoca inevitabilmente. Una fiamma di dissidio che divampa nel suo petto, al punto tale da aver probabilmente scavato più a fondo di quanto potesse credere nell'animo compromesso dell'altro che, in tutta risposta, sembra finalmente essersi deciso a mettersi in piedi. Un epilogo infelice quello a cui il Chesterfield assiste, tracciando sotto gli occhi i contorni devastati di un ragazzo abbandonatosi alle più primordiali delle sensazioni provate. Un sollievo parziale, contro la necessità di intervenire prima che quello spettacolo finisca con il ferire uno dei due. Più verosimilmente, Barham stesso. 'Ok, ok... Ok!' Pronuncia quelle fittizie rassicurazioni all'unisono con gli sfoghi improvvisi che l'altro ha scelto di urlare, in un eco di devastazione che incrina l'ambiente attorno a loro, così come all'infrangersi della sua calma anche le bottiglie lanciate contro il muro non diventano che frantumi esplosi per tutto il pavimento della stanza. 'Basta! Falla finita, porca puttana!' Gli è addosso, pochi istanti dopo avergli concesso quello sfogo violento che lo liberasse almeno in parte, anche solo nella breccia di una fugace illusione, del dolore che si porta dentro. A quel punto non ha più senso rimanere un apatico spettatore di quel disastro. Le dita affusolate, coperte di tintinnanti anelli che cozzano tra loro, vanno a stringersi con prepotenza sui polsi dell'altro. Tentativi uno dietro l'altro di bloccare il suo percorso, di impedirgli di abbandonarsi a quella furia e lasciarsene trasportare senza possibilità di auto-preservazione. Una presa salda, fitta, che spera possa essere recepita nella più premurosa delle possibilità, sebbene sembri tutt'altro. Barham potrebbe capirlo, ma la sua scarsa lucidità gli sarà d'ausilio in questo? 'Ti aiuto io, ok?!' Il tono di voce più alto si innesca come padrone di quel momento, col desiderio di lasciar soccombere il Middleton alla propria prepotenza. Un'arroganza riguardosa, con cui gli suggerisce la propria presenza, qualunque siano le sembianze che gli toccherà assumere. Una spalla, un ascoltatore, persino un rifornitore. Lo farebbe, per lui, seppur con modi che mai ricalcano il disegno di quelle amicizie pregne d'affetto che tutti bramano. Non hanno bisogno di cadere in comuni convenevoli per capire di poter contare l'uno sull'altro. 'Ti aiuto io, in qualunque modo tu voglia.' Ribadisce, la presa ancora salda sui suoi polsi, la fronte prepotentemente poggiata sulla sua, lo sguardo risoluto duramente puntato contro quello rotto dell'altro. 'Non sei solo, brutto pezzo di merda.' Non lo è mai. Spera solo che riesca a ricordarsene.


     
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    C’era stato un momento, designabile nello spazio tra l’infrangersi dell’ennesima bottiglia contro il muro e il trillare di un coccio di vetro sul pavimento, in cui l’intera stanza era stata avvolta dalla pesante consapevolezza di un silenzio di angosciante attesa. Una pausa infinitesimale in cui ogni elemento si era cristallizzato e l’aria era stata satura solo del respiro pesante di Barham e della tensione muscolare palpabile del suo spettatore inerme. Era stato breve, indescrivibile eppure tangibile e determinante; un momento minuscolo e intenso in cui le sorti erano state rovesciate. Barham sentiva addosso ancora la freschezza dei propri agiti discontrollati e poco appaganti che lo avrebbero portato, con somma probabilità, a ribaltare l’intero mobilio della stanza se non vi fosse stato quell’attimo in cui gli era parso di poter distinguere il suono sordo del proprio battito e il ronzare invisibile del rimuginare dell’amico. Il suo torace si dimesticava nelle sue consuete operazioni meccaniche per la salvaguardia del flusso di ossigeno e continuava ad articolarsi con foga per assecondare una fame d’aria data dall’improvviso dimenarsi di un corpo che aveva larvato troppo a lungo. Se si fosse visto dall’esterno si sarebbe ravveduto immediatamente per il terribile spettacolo di sé che stava mostrando ineluttabilmente. Il viso pallido ed emaciato era ora imporporato dalla collera e dall’agitazione, l’espressione sgraziata e gli occhi allucinati lo rendevano pressoché inguardabile. Povero Barham, cosa ne era stato del baronetto imperturbabile che tutti avevano imparato ad accettare con indulgenza? Svestito della sua elegante armatura di disinvoltura e compostezza che lo rendevano alle volte così terribilmente – ma mai clamorosamente – snob; così diverso seppur, al contempo, complementare con tutto ciò che rappresentava il suo miglior amico. L’unico degno di essere investito di tale titolo, con tutti gli oneri e decori che ne susseguono. Ed eccolo lì, nella sua sottile figura sinuosa come la Serpe che era stata, ad adempiere ai propri doveri, pronto ad assolverlo dai suoi peccati e alleggerirgli l’anima dai suoi crucci; e come una Serpe muta all’occorrenza, snoda le proprie spire e abbandonata la sua accogliente alcova per agire con decisione, Mason affrontò quel momento e quello spazio che lo tenevano separati dal Middleton e gli fu subito vicino, di fronte, addosso descrivendo un contatto che spezza ogni nomenclatura, provando ad imprimersi come un marchio a fuoco nella sua mente, a convincere lui e se stesso che non c’è resa possibile finché combatteranno insieme. E Barham lo sapeva, lo sentiva, lo percepiva in ogni fibra del proprio intorpidito essere che reagì a quel modo di comunicare essenziale, virile, filiale, che esprime un affetto puro e libero di qualsivoglia ghirigoro. ‘Basta! Falla finita, porca puttana!’ è un tuono che squarcia le tele dell’afflizione, la voce di Mason; la sua presa salda ai polsi di Barham è una morsa ferrea che gli garantiva la fermezza di cui si ritrovava mancante. Il giovane Middleton ancora si dimenava, incapace di trovare giovamento nel concedersi una pausa dal suo dolore, e furente gli rivolse un’occhiata che fendette l’aria, le sue narici fremettero, la mascella si serrò e i denti quasi digrignarono. ‘Ti aiuto io, ok? Ti aiuto io, in qualunque modo tu voglia.’ Aggressivo e irruente come suo stile prevede, il giovane Chesterfield riuscì a vincere sui turbamenti dell’amico che, finalmente, attonito poté concedergli l’ascolto che disperatamente Mason reclama. La lingua attorcigliata di Barham sfiorò il palato, rilassandosi; il fragore di Mason lo fossilizzò il tempo necessario per metabolizzare ciò che gli stava offrendo. Aiuto. Fronte contro fronte eppure accanto al suo spirito in quella battagli interiore che lo corrodeva; Barham socchiuse gli occhi e annuì debolmente, rilasciando i pugni serrati che aveva stremato fino a quel momento e riprendendo padronanza di un respiro regolare. ‘Non sei solo, brutto pezzo di merda’ Lo era davvero? Era questo il dilemma che lo affliggeva: in fondo non si finiva per ritrovarsi soli insieme? Ognuno avvolto da quelle inconsistenti consapevolezze e da frangibili certezze con cui fare ammenda delle ore più oscure dell’esistenza. La sua mente stanca e annacquata si arrovellava per risolvere quel rompicapi esistenziale a cui non avrebbe trovato risposta forse mai in un’intera vita, figurarsi sul fondo di una bottiglia di liquore o alla fine di una striscia di polvere di drago. Cosa gli restava allora? La fede, forse? La fede in quelle parole di conforto, in quell’amico inaspettato che il destino gli aveva regalato anni addietro, in quella che era ben poca cosa per appianare l’oscurità che lo divorava. Eppure scelse di abbracciare quella rassicurazione. ‘Ok. – accennò, arrendevole come mai prima, scoprendo che la voce gli si era incrinata – Va bene, maledetto bastardo. Facciamo come dici tu.’ Facciamo che mi fido, facciamo che mi affido, avrebbe voluto dirgli. Tentò rapidamente di ricomporsi, si passò una mano sul viso e vi trovò le ciglia umide; aveva forse pianto? O era stato l’alcool a rendergli gli occhi lucidi? In ogni caso non se ne curò. Sfilò le dita tra i capelli poi passò al colletto della camicia pietosamente sgualcito che giaceva lezioso e sbottonato da chissà quanti giorni al suo collo. ‘Ho bisogno che tu beva con me, adesso.’ Sentenziò prendendo brevemente distanze da Mason e raggiungendo la cristalliera con i distillati con un passo incerto che ormai lo accompagnava da settimane. ‘Poi potrei anche pensare di commissionarti qualche acquisto essenziale.’ continuò mentre armeggiava tra le bottiglie ormai quasi tutte a secco e ripescava un gin babbano che gli era costato un occhio della testa. Ispezionò rapidamente intorno a sé alla ricerca di un bicchiere pulito che, prevedibilmente, non trovò. ‘Temo inoltre, mio caro amico, che ci dovremmo arrangiare per brindare.’ E così dicendo gli allungò la bottiglia appena stappata, si prodigò per rimediare la propria – abbandonata poco lontana e che aveva smesso da un pezzo di riversare il proprio contenuto sul tappeto arabo che occupava il centro del salotto – e soprattutto per mantenere una stabilità sulle due gambe flebili. ‘A noi, canaglia, e alle nostre solitudini che si fanno compagnia!’ Esclamò sollevando la bottiglia, reggendola per il collo, e cercando quella di Mason contro cui farla tintinnare.

     
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    La resa. Prese salde su convinzioni irrazionali che finalmente si allentano, lasciando il posto ad una scappatoia diversa da quella che il Middleton sembra aver stipulato nella propria mente. Una modifica parziale, dove il dolore non va chiaramente annullandosi del tutto, quanto adattandosi alla consapevolezza di non doverlo affrontare completamente da solo. Questo ciò che traspare, quasi come una richiesta d'aiuto talmente velata da non risultare comprensibile nemmeno allo stesso Barham, cui però Mason sceglie di rispondere imponendosi, infiltrandosi di prepotenza attimo dopo attimo in una faccenda da cui non vuole essere cacciato. Partecipare del dolore altrui sì da dimezzarlo, questo il suo scopo. In fondo avrebbe apprezzato una possibilità del genere quando è stato lui a doversela cavare da solo, a combattere contro un cambiamento così grande da sconvolgergli l'intera esistenza. Pezzi diversi di un puzzle dall'immagine unica. Esperienze complementari che si riassumono in un cambiamento necessario, uno che se privato anche del minimo supporto potrebbe stravolgere irreparabilmente chi ne è vittima. Il Chesterfield non vuole che accada. E nel suo tentativo d'impedimento, continua ad imporre con fermezza la propria presenza dinanzi all'altro ed al contatto duro a cui l'ha forzato. Solo per il suo bene. 'Ok.' Ribadisce di fronte alla sua resa, gli occhi duri puntati nello sguardo lucido dell'altro, con la sola voglia di veder sbiadire ogni traccia di quell'annientamento auto-inflitto. Sospira, indietreggiando appena, lentamente, dandogli spazio per respirare nel momento in cui ne hanno abbastanza di quel contatto estremo. I cocci sparsi per la stanza come pezzi dell'anima di Barham, scricchiolano sotto i loro piedi, come consapevolezze che stridono fastidiosamente. Cerca di ricomporsi, il Middleton. Mason lo osserva farlo, silenziosamente, in attesa dell'epilogo di quella devastazione. Osserva l'altro rimettere insieme i pezzi di se stesso, farlo affidandosi finalmente a prospettive meno solitarie di cui il Chesterfield può essere co-protagonista. Come un capitolo a lieto fine, uno in cui muoversi insieme con picchi di comprensione assai più acuti di quanto solitamente non si riserverebbero vicendevolmente. Questo lo spinge ad annuire alle sue richieste, canalizzando nella mente ogni servigio da portare a termine per conto del ragazzo. Tutti dettagli che conosce fin troppo bene, a cui fare ricorso solo per andare in suo soccorso. Pesa di meno svolgere quel tipo di commissioni, quando è l'amicizia a dettarne la necessità. 'La prossima volta lasciami la bottiglia del whisky.' Pronuncia sardonico, un concentrato d'arroganza insito nella sua voce quanto nell'espressione accigliata e fintamente infastidita che gli rivolge, prima di afferrare la bottiglia di quello che pare essere un gin di qualità e seguire l'esempio dell'altro. Il principio di un percorso condiviso, del momento in cui quel patto di solidarietà si va a consolidare ufficialmente. 'Alla nostra, pezzo di merda.' Soffia infine, marcando quell'insulto rude per riconfermarsi presente, ma mai diverso. Barham non ha bisogno di compassione in un momento come quello, ne è abbastanza certo. Basterà la sua presenza ed insieme si risolleveranno, così com'è giusto che sia. Il tintinnio delle bottiglie segnano un brindisi di buon augurio, un ritorno alle vecchie abitudini che li uniscono come null'altro al mondo. Un legame indissolubile, uno per cui festeggiare costantemente. Ora e sempre.


     
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