Repair it any way I can

#Echo

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    Ha aspettato con pazienza fuori dalla sala comune Serpeverde, vagando per i sotterranei con un accenno di preoccupazione nel volto all'apparenza rigido e distaccato. I suoi occhi vitrei hanno continuato a puntare imperterrite le fiamme delle torce disposte nei corridoi per portare un po' di luce in quell'ambiente cupo, poco accomodante per le sue necessità. C'è qualcosa di più forte, un'impellente esigenza, che l'ha però spinto a perseverare nell'attesa, nella muta testardaggine che gli ha suggerito che per incontrare un volto tra gli studenti vestiti di verde e d'argento girovagare in quel luogo avrebbe comportato, prima o poi, un avvicinamento certo. Ed è ciò in cui spera fino all'ultimo secondo, sotto gli sguardi curiosi, attoniti ed in parte malevolmente canzonatori degli studenti che si ritrovano ad osservare quella presenza insolita nei paraggi del dormitorio, trovando poi con immensa soddisfazione riscontro positivo nelle ipotesi avanzate. Quando oltre l'uscio del dormitorio il viso familiare di Echo fa finalmente capolino, si spinge con rigidità verso la ragazza, sollevando una mano per salutarla mentre lo sguardo si posa sul suo per un frettoloso attimo, prima di tornare a vagare per l'ambiente circostante. 'Ciao!' Pronuncia vistosamente, assai entusiasta di averla finalmente incontrata. 'Bentornata al castello. Spero le tue vacanze siano state liete.' Inconsueto per lui ricercare la compagnia altrui, specie se immersa in una marea di presenze sconosciute facili a ledere il suo controllo precario. Forse, se la faccenda lo riguardasse limitatamente al personale, non si premurerebbe di trovare una soluzione al problema che lo affligge. Considerata l'intromissione della sorella per forza di cose si rende necessario però trovare una via di fuga per combattere i disagi che scalfiscono la sua tranquillità. Non è un bene per la sua salute sottoporsi a così tanto stress e l'Haugen non ha più voglia di rimanere con le mani in mano mentre a lei tocca affrontare i propri drammi da sola. Ha promesso di proteggerla: si impegnerà perché accada.
    qCUvvEN
    'Il dottor Wright mi ha concesso qualche minuto per occuparmi di una faccenda personale.' Snocciola in modo quasi impersonale, come per sminuire quei dettagli che in realtà lo agitano parecchio. Le sue mani, nell'affrontare quel genere di discorso, hanno già preso ad intrecciarsi tra loro con fare spasmodico, ansioso. 'Quindi ho pensato di approfittarne per chiedere aiuto a te.' Espone la propria idea con innata semplicità, di quella che spesso scatena dubbi in chiunque si ritrovi ad averci a che fare. Ogni comportamento del ragazzo risulta spesso velato d'interrogativi ed è anche più singolare che si spinga a ricercare l'ausilio altrui. L'ausilio di lei. 'Sei libera?' Chiede infine, sperando vivamente in un responso positivo, nonostante la sua faccia non sembri dimostrarlo eccessivamente, come di consueto.

     
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    Il suo precedente anno a Hogwarts era stato qualcosa di estremamente nuovo per lei, qualcosa a cui pensava che non si sarebbe mai abituata. Eppure, diversamente da tale pensiero, si ritrovava ora a frequentare il castello con una totale normalità. La magia era ormai parte integrante della sua vita, con l'unica pecca che non era ancora un granché quando si trattava di praticarla. Aveva compiuto diciotto anni quell'estate, una stagione nel quale non erano finite le sorprese. Aveva trovato suo fratello, ma non era esattamente come se l'aspettava. Più che altro, ancora faticava a credere che Caleb fosse proprio quel.. tipo. Quello a cui aveva fatto perdere un affare, con la quale aveva battibeccato fin dal primo istante in cui si erano rivolti la parola. Il coglione tatuato, come lo aveva definito dopo il loro primo incontro nel quale tutto avrebbero potuto aspettarsi tranne che un giorno si sarebbero rincontrati scoprendo di essere una famiglia, di avere lo stesso sangue materno. Con Seira era stato molto più facile, forse perché nel suo caso era stata sua sorella a trovarla, dimostrandosi fin dal primo momento intenzionata a riparare l'errore del padre. Con Cal era diverso, più complicato. Comunque sia, nonostante le notizie che continuavano a piombarle addosso, Hogwarts era per il momento l'unico punto normale di tutta quella storia.
    Il nuovo anno scolastico era iniziato senza troppi problemi a barrarle la strada, persino le lezioni si erano rivelate da una parte più semplice dell'anno prima, seppur dall'altra più complicate essendo non più argomento di primo. Ma mancava ancora qualcosa, o qualcuno, in quella sua quotidianità. E quel qualcuno si presentò proprio di fronte al dormitorio, sorprendendola non poco. Otis Haugen l'aveva appena salutata, con quel suo modo di fare sempre un po' strano ai suoi occhi, attendendola fuori dal suo dormitorio. Di certo non era così che pensava l'avrebbe incontrato; si era immaginata di rivederlo presto alla sua prima visita in infermiera di quell'anno, che di sicuro non sarebbe mancata vista la sua abitudine di finire nei guai. "Doc, ciao!" Rispose con un sorriso che, allo stesso tempo, non aiutò a nascondere lo stupore sul suo viso. Insomma, se non per quel rapporto ladra-vittima e dottore-paziente che avevano, cosa mai lo spingeva ad andare nei sotterranei per vederla? Una domanda a cui, forse, stava già per arrivare una risposta. "Ti ringrazio. E si, le mie vacanze sono state lietissime.." Rispose, imitando quel modo di parlare che a lei proprio non apparteneva. "Ma, a parte ciò.. che ci fai qui? Ti sei perso nei sotterranei o cosa?" Chiese, assottigliando un po' gli occhi e aspettando una risposta sensata da parte di Otis. Il ragazzo le spiegò quindi del permesso che gli era stato concesso dal Dottor Wright, ma quando poi aggiunse il fatto che era sceso lì sotto per chiedere aiuto a lei, Echo rimase interdetta per un momento. Le sopracciglia corrugate, una mano poggiata su un proprio fianco e lo sguardo fisso sull'altro. Poi, quando realizzò, con la mano libera finì semplicemente per indicare se stessa. "Me?" Chiese, confusa. Perché mai avrebbe dovuto chiedere aiuto proprio a lei? "Bhe, si, potrei essere libera. Dipende da cosa ti serve." Gli disse, non ancora convinta di volergli offrirgli davvero il suo aiuto. Non per niente, ma lei non era esattamente il tipo di persona da cui la gente andava nel momento del bisogno. Peccato che dire a uno come Otis un 'potrei', non funzionava poi molto. Per quel poco che lo conosceva, si aspettava solo che ora gli mettesse davanti le due uniche possibili opzioni: o era libera o non lo era. Potrei non aveva alcun senso. "Intanto spostiamoci da qui, siamo praticamente davanti all'ingresso." Già più di un suo concasato si era infastidito per la loro presenza così ferma all'entrata della sala comune. O almeno lei, visto che lui, per un po', non aveva fatto altro che muoversi. E così, iniziando poi a camminare, gli fece la domanda più importante. "Quindi? Qual è il problema?"
     
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    'Non sono ancora un "Doc" a tutti gli effetti.' Suggerisce alla ragazza, incapace di trattenere la propria razionalità per adattarsi a quel giudizio prospettico. Si chiede se Echo sia riuscita a capirci qualcosa delle dinamiche inflessibili che muovono l'Haugen, ma ad ogni occasione che si presenta lei sembra sempre ricadere negli stessi errori, figli di un'ingenuità che non lo disturbano, ma di fatto degli sbagli su cui non riesce a sorvolare e che tenta disperatamente di correggere. Nessun astio nel proprio tono di voce, quanto l'apatia che regna sovrana nei suoi momenti di calma. Nonostante i timori che cova nel cuore, questo lo è. Conversare con la serpeverde è piacevole, più di quanto si sarebbe aspettato non solo da una studentessa che veste quei colori, ma anche da un qualsiasi estraneo che non fa parte della sua routine quotidiana. Forse Echo ha cominciato ad esserlo. Forse Otis sta lentamente plasmando attorno alla sua figura una delle certezze da piantare stabilmente nelle proprie giornate. E' ancora strano pensarci, a tratti spaventoso, ma a rischiare ha imparato proprio dalla sorella e come prospettiva gli risulta meno ostica del previsto. Adattarsi ai cambiamenti è un segno di crescita personale. E lui vuole migliorare, ogni giorno di più, per la propria famiglia. Per se stesso.
    fdddmdu
    'Potresti? Significa che non lo sai?' Deve chiaramente essere quello il significato, non esistono scappatoie per il ragazzo, e lei sembra effettivamente confermare quell'ipotesi, in preda ad una confusione che intravede appena con la coda dell'occhio, lo sguardo ancora incatenato alle fiamme della torcia lì vicino. Affascinante. La torcia, non il fuoco. 'Mi serve un consiglio.' Esordisce, il volto marcato di un'incertezza che risorge improvvisamente, costringendolo a sommare una postilla alle proprie intenzioni. 'Forse più di uno.' Gesticola appena, prima di ficcare la mano nelle tasche e limitarsi ad accartocciare tra loro le dita per stemperare la tensione. E' uno dei limiti più fastidiosi, quello di non sopportare minimamente la certezza, di considerare sfumature che siano diverse dal bianco o dal nero, due certezze che non ammettono repliche. Mettere in discussione se stesso fa parte della terapia; imparare che non sia spaventoso, uno step ancora in apparenza invalicabile. Segue il suo consiglio di buon grado, interrogandosi ulteriormente sulla risposta dubbia ricevuta, mentre si sposta di qualche passo dall'ingresso alla sala comune sotterranea. I suoi occhi continuano a tuffarsi con interesse nelle torce presenti sul loro cammino, mentre la affianca a passi pacati e ricolmi di abituale rigidità. 'Dei bulli, credo lo siano, mi infastidiscono.' Un dato di fatto che pronuncia con calma, quasi con indifferenza. Il fulcro della sua preoccupazione, in fondo, è un altro. 'Il problema, però, è che infastidiscono anche mia sorella.' Annuisce vistosamente, lanciando un'occhiata apprensiva ad Echo, svelta, fugace, di appena una manciata di secondi. 'Non lo sopporto.' Rivela amaramente, sentendo parte del proprio autocontrollo scivolare via. Di nuovo, la mano stretta dentro la tasca prende ad agitarsi. Vi si concentra prepotentemente, pur di non lasciarla correre sino alla testa in un'evidente agitazione che vuole placare di fronte alla ragazza. Di fronte a tutti, in definitiva. 'Non so proteggerla.' Esordisce infine, prima di richiedere concretamente il suo aiuto, a seguito del chiaro quadro tracciatole sulla situazione che tanto lo affligge. 'Come posso fare?'

     
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    Sapeva che Otis non era ancora un dottore a tutti gli effetti, ma quello che lui considerava razionalmente un abbreviazione della parola doctor, per lei non era altro che un semplice appellativo. "Giusto, hai ragione. Doc." Ripeté nuovamente, insistendo a chiamarlo in quel mondo solo per il gusto di farlo. Si era più volte resa conto, quando lo vedeva, che c'era qualcosa di diverso in lui - seppur non avrebbe saputo definire cosa lo portasse a comportarsi in quella maniera -, e sapeva quanto facilmente si agitasse nel momento in cui qualcosa non andava nel modo in cui voleva. Il carattere stesso di Echo, i suoi atteggiamenti, tutto ciò che la riguardava non pareva essere esattamente adatto ad un ragazzo come lui, eppure eccolo lì, a chiedere aiuto proprio a lei. E per quanto avesse più volte rischiato di farlo impazzire - riferimenti puramente casuali alla storia del portafoglio -, lei continuava a mantenere quell'atteggiamento nei suoi confronti. Erano così diversi, eppure c'era una sorta di connessione tra loro e proprio perché entrambi erano se stessi. Echo non cercava di adattarsi perché lui si sentisse più a suo agio, continuava semplicemente ad essere.. Echo, e questo stranamente funzionava. "E vorresti chiedere consigli a me? Sono la peggiore in questo!" Seriamente, non era mai stata brava con i consigli. Capirai, non sapeva consigliare nemmeno a se stessa la cosa giusta, figuriamoci per qualcun altro che, oltretutto, aveva una visione della vita e un carattere completamente diversi dai suoi. Sospirò, arrendendosi comunque all'idea. Nonostante tutto, non riusciva a dirgli di no. Lontani dall'entrata della Sala Comune e da studenti invadenti, Otis cercò di spiegarle il problema, rivelando che c'erano dei bulli che lo infastidivano e che non aveva idea di come affrontare la cosa. Più che altro, tutta quella situazione riguardava sua sorella. Si, i bulli se la prendevano principalmente con lui, ma era quando poi facevano lo stesso con la sorella che il suo fastidio diventava più grande. Tutto girava intorno a lei e a quella impotenza che Otis sentiva nel proteggerla. "Picchiali." Disse semplicemente, usando un tono e un'espressione che urlavano un evidente "non è ovvio?". Poi, però, la logica si fece spazio in lei; non era di certo da un'aspirante dottore ricorrere alla violenza. Ma che consiglio mai poteva dargli, lei che aveva vissuto per strada per anni e l'unico modo che aveva imparato per difendersi era quello? "O se vuoi dimmi chi sono, dove trovarli e li picchio io." Aggiunse poi, più convinta di quanto potreste mai pensare riguardo ciò che stava dicendo. Ne avrebbe avuto il coraggio, eccome se ne avrebbe avuto. "Okay, non dico che debba essere per forza usata la violenza, però credo che spaventarli non sia poi un'idea così cattiva." Quando era più piccola, sia le suore al centro per bambini che le famiglie affidatarie, avevano cercato di isnegnarle che il modo migliore per affrontare i bulli era parlarne con un adulto. Lei non aveva mai creduto al funzionamento di questo metodo. Cosa avrebbero potuto fare? Fargliela pagare con una chiacchierata e qualche punizione? Alla fine, sarebbero comunque tornati di nuovo e avrebbero ripreso a fare bullismo. E ancora, come affrontare invece il bullismo in età adulta? Ah, questo non lo spiegavano mica. "Il fatto è che i bulli si nutrono di paura, fragilità. Se tu ti mostri in questo modo, gli darai solo più potere." E per quanto difficile da credere a vederlo, era certa che in fondo anche Otis potesse avere le capacità di alzare la testa e gonfiare il petto se avesse voluto. Bastava un po' di coraggio. Certo, poi magari ti beccavi qualche livido di troppo in faccia, ma almeno ne era valsa la pena. "E poi sei un fottuto dottore. Okay, non ancora, ma sei su quella strada! Tu curi le persone, le aiuti a guarire, le fai sentire meglio. Sai quanto coraggio ci vuole per svolgere un lavoro simile?" Non era di certo un lavoro che avrebbe potuto fare chiunque. Echo, all'improvviso, si avvicinò a lui, indicandogli il petto e sfiorandoglielo senza però toccarlo. "Tira fuori le palle, Otis. Come fai quando indossi il tuo orrendo camice bianco." Gli disse, per poi aggiungere: "In alternativa la mia offerta di picchiarli è sempre valida eh!" Scherzò, ma non scherzava.
     
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    Appare inutile controbattere o anche solo avanzare sino allo sfinimento la propria teoria. Gliel'ha spiegato spesso, Helena, quanto non sempre ciò che si dice sia attribuibile all'effettività con cui lui riveste ogni cosa. Le persone in genere affibbiano cosiddetti "nomignoli" agli altri, come per una forma di divertimento che l'Haugen non si spiega, ma a cui, tra i suoi progressi, ha deciso alla fine di adattarsi. Questi gli insegnamenti che utilizza come monito mentale, rispondendo all'ennesimo richiamo dell'altra con una scrollata di spalle, un'occhiata celere appena ridente tra la soggettiva rigidità che lo accompagna di consueto. Restano altri i dettagli su cui concentrarsi, ben più importanti e mirati per garantire l'incolumità di una persona che ama, ancor più della propria. Un piano che sembra utile alla causa, sebbene Echo si dimostri già piuttosto scettica nei confronti della richiesta del ragazzo. Nulla di biasimabile, sebbene sembrino essere altri i crucci che si sollevano nella sua mente, dubbi che accerchiano il perché abbia scelto lei per farsi indicare una direzione da prendere. 'Il mondo è pieno di persone. Stento a credere che sia proprio tu la peggiore consigliera tra tutti.' Un quesito risolto in una spiegazione celere, partendo da una radice di verità che pone già Otis stesso in svantaggio rispetto a chiunque altro. Non che si sia mai giudicato incapace di dare consigli, peccando forse di principi di arroganza nell'affermare che ciò che viene fuori dalle sue labbra sia sempre imprescindibilmente giusto - deve ancora lavorare parecchio sull'accettazione dei propri errori, possibilità molto più plausibili di quanto non sia disposto a credere. Si tratta qui però di analizzare l'approccio alla vita, una in cui lui non si è mai ritrovato al pari degli altri. Una parte dipende inevitabilmente da se stesso, da tutti quei limiti che cerca di combattere e che, nonostante per la maggior parte ormai abbattuti, risultano ancora vividamente presenti. Dall'altra è il mondo che non sembra essere mai stato pronto ad accettare lui ed è forse la consapevolezza che più installa nel suo animo la paura, insita in pensieri e remissioni a cui cede di consueto, sebbene si impegni piuttosto ad affermare il contrario, in un guazzabuglio di noncuranza che non corrisponde alla realtà. E' uno sguardo accigliato quello che si tuffa verso l'altra, dinanzi al suo consiglio. Ci mette diversi istanti a non concordare con il giudizio da lei testé avanzato su se stessa, girare i tacchi e decidere di ricorrere ad altri consigli. Eppure riesce ad evitarlo. Si decide, in via del tutto eccezionale, ad affidarsi alle sue parole, a trarne quasi un senso di premura che nessuno, all'infuori della sorella e del Wrona ai tempi di Durmstrang, gli ha mai rivolto. 'Oh, no. Non sono favorevole alla violenza e vorrei che neanche tu te ne servissi per conto mio.' Non la ringrazia, considerando quell'offerta comunque poco consona al tipo di soluzione che egli ricerca. Tuttavia, se solo Echo lo conoscesse abbastanza, sarebbe semplice scorgere in lui diversi principi di interesse che riguardino la sua incolumità, il desiderio timido e poco evidente - ma presente - di non permetterle di cacciarsi nei guai o ferirsi a causa sua. Particolari fin troppo sottili per essere colti, a cui persino Otis stesso non riesce a dare credito, né spessore. 'Di solito sono gli altri a spaventare me, non io loro.' Fin troppo semplice da credere, da leggere e comprendere persino nella sua meccanicità, l'evidenza più plateale di tutti i limiti che in tal senso lo caratterizzano. Volge ancora lo sguardo verso l'altro mentre le orecchie restano intente ad ascoltare le parole di Echo. Riesce di tanto in tanto a lanciarle un'occhiata, il solo scopo di lasciarle comprendere sia all'ascolto, seppur incredibilmente silente perché incapace di rispondere. E' più semplice non proferire parola in questi casi, piuttosto che avanzare ipotesi rivestite di titubanza. Si sentirebbe ulteriormente svantaggiato e conserva comunque troppo spirito di autopreservazione per cedere ai dubbi in merito. Lo è, almeno finché una nuova freccia d'ironia non viene scoccata dritto contro la sua incapacità di coglierla.
    qCUvvEN
    '... Intendi dire... figurativamente?' Una speranza marcata, davanti all'orrore che l'ipotesi di "tirar fuori le palle" - che ha imparato ad associare all'immagine anatomica corretta, dopo diversi anni - ha scatenato in lui. Arriva piuttosto celermente l'evidenza di quel nuovo incomprensibile gioco di parole ed è a quel punto che, quietatosi, cerca di dare risposta all'altra ed ai suoi tentativi di essergli d'aiuto. 'Prima di tutto, il mio camice bianco è bellissimo, non orribile.' Puntualizza, sollevando il dito per marcare l'appunto necessario da rivolgerle. Torna a puntare lo sguardo altrove, mentre le rivolge quelle nuove confessioni con naturalezza altrettanto eccezionale. 'E poi... Non so se te ne sia resa conto, ma non mi piace essere toccato. E non mi piace neanche toccare le persone, se non si tratta di curarle.' Annuisce vistosamente, mettendo in evidenza dettagli che non è del tutto certo l'altra sia riuscita a cogliere. Far chiarezza è strano, qualcosa che non ha mai avuto modo di suggerire a nessuno prima. D'altro canto... nessuno se n'è mai interessato. 'Ho dei limiti.' Pronuncia in uno slancio di coraggio, offrendole più fiducia di quanto non gli sia mai capitato in passato. Un nuovo progresso da mettere in atto, sebbene sotto tentennamenti per nulla biasimabili. 'Non hai mai notato nulla?'

     
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    Divertente come prima ancora di chiederle il consiglio stesso, Otis aveva detto di stentare a credere di essersi andato ad affidare alla peggiore consigliera tra tutti. Soprattutto contando che, alla fine, dalla bocca di Echo era letteralmente uscito il consiglio meno adatto a un ragazzo come lui. Di certo ora non poteva lamentarsi di questo, visto che lei lo aveva avvertito. "Di solito, di solito, di solito." Ripeté con una vocina che sarebbe stata capace di infastidire anche se stessa. "Questo è il punto! Devi cambiare le carte in tavola o la situazione resterà sempre la solita, solita, solita." Cantilenò le ultime parole. Quando poi Otis chiese se riguardo il tirar fuori le palle intendesse figurativamente, Echo rimase per un momento di sasso, finché non scoppiò in una fragorosa risata a cui fece difficoltà a resistere. "Me lo hai chiesto davvero?" Disse tra una lacrima e l'altra. "Effettivamente no, Otis, intendo tirarle fuori davvero. Proprio ora, qui, davanti a ogni studente di passaggio." Non sapeva quanto usare il sarcasmo in questo momento fosse d'aiuto, visto che per farle una domanda simile doveva davvero faticare a non prendere alla lettera ogni parola che gli veniva detta. Ma tanto, non è che lo avrebbe fatto davvero, no? Anche se avesse preso la risposta di Echo per realtà, di certo non lo avrebbe comunque fatto per questione di dignità. Anche se doveva ammetterlo, sarebbe stato fottutamente divertente! "No il tuo camice fa cagare." Ribatté velocemente, mettendo su una faccia estremamente - ma fintamente - seria. "Anche se penso che con un po' di sangue intriso su quel bianco potrei iniziare a reputarlo figo." Annuì convinta. Per quanto riguardava il fatto che non gli piacesse essere toccato, certo che se ne era accorta, semplicemente a volte non ci pensava. "Certo che l'ho notato, ecco perché poi mi sono gentilmente offerta di picchiarli io. Ma ehi, a te non sta bene neanche questo!" Incrociò le braccia sul petto, delusa che non gli venisse data l'occasioni di sfogarsi un po' con dei poveri imbecilli. "E proprio per questo tuo.. limite, subito dopo ho detto che potresti spaventarli senza per forza usare la violenza. Sei un mago oppure no? Sfodera la bacchetta di nascosto e mettili in imbarazzo! O fagli qualche dispetto magico che abbia abbastanza capacità di farli scappare. O fagli dimenticare della tua esistenza o di quella di tua sorella. Che ne so!" Non erano esattamente consigli decenti questi, no? Ma poi, questi bulli erano maghi o babbani? Mica glie l'aveva specificato. Certo, se fossero stati babbani magari usare su di loro la magia era meglio evitare, ma lui aveva ormai l'età per metterli al loro posto senza essere scoperto, mica aveva ancora la traccia magica. Che poi non era nemmeno certa di come funzionasse il tutto, faceva parte della comunità magica ancora da troppo poco per conoscere ogni dettaglio riguardanti le leggi. "Senti io te l'avevo detto che ero la peggiore in quanto a consigli."
     
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    'Che cantilena adorabile.' Commenta alle parole dell'altra, un vago sorrisetto a sbucare dalle sue labbra nel sincero divertimento provato per il ripetersi di quei termini. Sono probabilmente i modi della ragazza a divertirlo, poco a poco sempre più perché gradevoli, confortevoli, staccandosi dall'associazione fino ad ora avanzata alla sorella. Comincia a formarsi Echo in tutta la sua interezza sotto i suoi occhi ed è piacevole, interessante. Si staglia come evento positivo nella rarità delle conoscenze mai instaurate in vita sua. Sebbene i colori serpeggianti della sua divisa, il carattere della ragazza si dimostra imparagonabile a ciò cui Durmstrang l'ha abituato. Il dialogo è un lusso che non gli è mai stato concesso prima. In particolar modo da una ragazza. Ed è questo a sollevarlo appena dalle sabbie mobili di inadeguatezza da cui è solito lasciarsi risucchiare. Attende lentamente di raggiungere il fondo, apatico ed incapace di agire, e marca così il proprio stato, più di quanto la natura degli eventi non faccia da sé. Echo invece sembra avergli teso la mano, in modi che probabilmente neanche immagina. Fatica Otis stesso a figurarli nella propria mente, avvertendo piuttosto un benessere che scioglie a malapena le sue inibizioni. Un passo avanti più grande di quanto chiunque possa arrivare a comprendere. Uno ancora destinato a tentennare dinanzi all'ironia della ragazza, persa in una risata evidentemente divertita ed in inviti che, per quanto privi di logica e lontani dagli intenti che paiono suggerire, destabilizzano almeno inizialmente l'Haugen. Un breve attimo di indecisione, prima di tastare con mano i contorni di quel nuovo modo di dire, incassarne il significato e memorizzarlo per non incappare in futuro nello stesso errore. Impara poco a poco come vivere. Si impegna affinché avvenga e lei, di nuovo inconsapevolmente, lo aiuta a riuscirci. 'Hai una strana ironia.' Confessa ingenuamente, lasciando scorrere gli occhi su tutt'altro dettaglio. Qualunque, purché non siano i suoi occhi, ancora. 'Ma a quel punto sarebbe sporco! Che orrore!' Si sbilancia in quello sprazzo di sincerità, l'espressione appena inarcata nello sgomento ed in un leggero disgusto, difficile da decifrare se quelle parole non l'avessero accompagnata. Il suo volto resta l'enigma più complesso che possiede. Con quella stessa apparente apatia, segue per filo e per segno il discorso di Echo, i suoi consigli, i moniti ad agire pur senza provocare dolore, solo cercando di dare una lezione a chi la merita. Quanto di più semplice esista al mondo... o almeno lo sembra. Ma il mondo di Otis è diverso. La sua vita si compone di due estremi inestinguibili: strette limitazioni o incontrollabili eccessi. E ciò che ha accompagnato l'entrata in scena di quei ragazzi, è stato il secondo caso. Un'immagine complessa da figurare, che la serpeverde non immagina di sicuro. Non potrebbe. E di norma, neanche il ragazzo si dimostrerebbe propenso a fornire opinioni ed informazioni non richieste. Eppure... sente di farlo. Di aprirsi un po' di più con chi ha avuto la pazienza di ascoltarlo, la voglia di aiutarlo, il desiderio di risolvere i suoi problemi, anche se in modi poco consoni alle sue volontà. Un gesto semplice, che il suo inconscio ha già segnato nella sua... bellezza.
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    'Li ho quasi soffocati con un incarceramus.' Interviene, lo sguardo ancora sollevato verso la parete alle spalle di Echo mentre le racconta per sommi capi l'accaduto di cui lui ed Helena sono stati protagonisti. 'Io e mia sorella li abbiamo incontrati non molto tempo fa. Volevano farle del male, quindi ho usato la magia, ma l'ho fatto in modo violento.' Spiega linearmente, nessuna ombra sul suo volto, né alcun timore o vergogna. Confessarsi però gli provoca una strana sensazione allo stomaco, quasi come rivivere quegli istanti, avvertire sulla propria pelle il senso d'incapacità che gli fa più male di ogni altra cosa. 'A volte perdo il controllo e non mi piace.' Conferma, prima di avanzare un'ipotesi abbastanza plausibile. 'Probabilmente stai per suggerirmi di riprovare in modo più innocuo, ma non ci riesco. Quando si tratta di mia sorella, non riesco a resistere.' Da solo, avrebbe probabilmente incassato ogni insulto ricevuto ed ogni colpo rivolto al suo addome o al suo viso. O sarebbe scappato, in silenzio. O si sarebbe nascosto, come a scuola. Avere Helena al proprio fianco ed essere testimone della sua paura e di troppa sofferenza, ha scatenato le più imprevedibili parti di sé. E le motivazioni, chiare e semplici, giungono l'attimo dopo alla portata di Echo. 'Ho sempre voluto proteggerla e non l'ho mai potuto fare.' E ci prova adesso, giorno dopo giorno, studiando per poterla salvare. Il percorso ancora lungo ed il progredire della malattia però rendono il terreno su cui cammina assai traballante. 'Lei è la mia unica amica.' L'unica ragazza. Ne conta due. La sorella ed un ex compagno di scuola valgono comunque come una cerchia ristretta, assai limitata. Non rappresenta un cruccio, ma delinea la solitudine che lo circonda sin dalla nascita. Averci a che fare è difficile; le sue condizioni però non sono una colpa. 'Ed è la persona più cara che ho.' Nell'ammetterlo, non può fare a meno di puntare gli occhi, per una sfuggevole manciata di secondi, su quelli della ragazza. Perché sottolinea la propria sincerità. E perché forse lei un po' di fiducia la merita davvero.

     
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    Adorabile? Adorabile? Chiunque in quel corridoio avrebbe potuto percepire quel brivido che percorse ogni centimetro interno del corpo di Echo, e non di certo un brivido piacevole. Qualcosa che lei aveva fatto era stato definito adorabile, era un vero e proprio scandalo. Sorvolò solamente per quel sorrisetto che Otis aveva accennato, dimostrandosi lievemente e stranamente divertito, cosa che forse si poteva definire un qualche passo avanti. Rise ancora di fronte alle sue stesse parole, invitandolo a tirare fuori letteralmente le palle, per poi sentirsi dire di avere una strana ironia. Probabilmente aveva ragione, ma più di lei era anche più strano chi faticava a cogliere ironie palesi come le sue, che già solo dalla sua faccia parlavano chiaro. "Chi ha detto ero ironica, stavolta?" Disse improvvisamente seria. Fece spallucce, proseguendo poi la conversazione che, fermandosi solo per qualche secondo sul camice di Otis, si indirizzò poi in un qualcosa di inaspettato. Otis iniziò improvvisamente ad aprirsi con lei, dopo che Echo si era lasciata andare a consigli scontati e poco d'aiuto. In realtà fu abbastanza sorpresa di quello che il ragazzo le raccontò, e lo lasciò intravedere molto chiaramente dal suo sguardo mentre, seria e a braccia conserte, lo ascoltava. Otis aveva davvero quasi soffocato quei bulli? Lo stesso Otis Haugen che ora era di fronte a lei e che nemmeno riusciva a guardarla negli occhi mentre le parlava? "Sul serio? Forte!" Disse un po' troppo entusiasta, lasciandosi scappare un sorriso pieno di stupore e, al contempo, pura fierezza. Peccato che lui non sembrava provare quella stessa fierezza per ciò che aveva fatto a quei ragazzi. Al Doc non piaceva quando perdeva il controllo in modo violento, il che da una parte Echo pensò fosse pure normale; era lei quella strana, in questo caso. La Davis non era una persona cattiva, ma aveva delle idee.. diverse. Pensava che la violenza era utile in certi casi, che alcune persone semplicemente lo meritavano. Ma lo tolse poi quel sorriso, svagando nella speranza che Otis non desse troppo conto a quella reazione positiva di fronte a un racconto che per lui era fin troppo negativo. Era meglio evitare di mostrarsi sincera in quel momento. "Cioè, voglio dire.. Cavolo, mi dispiace, deve essere davvero spiacevole perdere il controllo così." Recitò quelle parole mostrandosi davvero dispiaciuta e in qualche modo capace di capirlo. E no, non gli stava per suggerire di riprovare con un modo più innocuo, perché tutto le stava passando per la testa tranne che qualche altro suggerimento da dargli. Sinceramente stava ancora metabolizzando il fatto che Otis potesse diventare violento. Da una parte lo invidiava anche. No, non per gli scatti di violenza, ma lo invidiava per il rapporto che aveva con sua sorella. Lo invidiava perché i due erano cresciuti assieme e sembravano pronti a tutto pur di proteggersi a vicenda. Almeno questo le era sembrato di percepire. Echo negli ultimi anni aveva ritrovato ben due fratelli, ma non era ancora pronta a dargli tutta la sua fiducia. Il legame con loro era ancora in fase di sviluppo, il suo aprirsi davvero a loro era ancora uno scenario molto lontano, e sebbene da parte sua stesse nascendo un sentimento di bene nei loro confronti, dentro di lei c'era ancora quell'esagerata e persistente paura di essere abbandonata di nuovo. Se suo padre e sua madre lo avevano fatto, perché non avrebbero potuto anche i suoi fratelli? "Lo stai facendo, ora. Ci stai provando. In fondo è per questo che sei qui da me, a chiedere consigli." Nonostante non fosse davvero molto in grado di darglieli. "Tua sorella è più fortunata di quanto pensi." Ci fu un momento di sincerità anche da parte di Echo, finalmente. Le recite erano state messe da parte per un momento e tutto grazie a quello strano infermiere che aveva di fronte e che era finito per sfogarsi lievemente con lei. Che poi, Echo capiva il venirle a chiedere un consiglio, su quello niente di troppo strano.. Ma aprirsi con lei? Inaspettato, si, come anche quello sfuggevole sguardo che per un momento finì dritto nel suo. "Era. Era la tua unica amica." Gli disse infine, cercando di tornare al suo solito atteggiamento e alzando brevemente un sopracciglio. "Dopo questa conversazione, pretendo di essere definita tale anche io, eh." Gli sorrise, ma non sapeva se aspettarsi una reazione negativa o positiva di fronte a ciò che aveva appena detto. Non che Echo desiderasse chissà quanto sentirsi definire sua amica, ma Otis era stranamente interessante e avere a che fare con lui a volte sembrava una vera e propria sfida. E a lei le sfide erano sempre piaciute. Otis era diverso dalle persone che frequentava di solito e, a dire il vero, la divertiva pure più di tanti altri. Voleva provare a conoscerlo meglio e il passo più importante per farlo era che lui la considerasse sua amica.
     
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    'Nessuno. Ma se eri seria, allora mi spiace informarti che non lo farò.' Ci sono limiti colloquiali che non riesce ancora a superare, particolari a cui forse la ragazza non si è ancora abituata. Chi ci riuscirebbe, conoscendo l'Haugen così poco ed essendo totalmente all'oscuro della sua condizione? Si staglia più come un'utopia che come un elemento atto alla concretizzazione. Eppure sembrano incastrarsi tranquillamente l'uno all'altra, smussando poco a poco gli angoli delle loro evidenti differenze per permettergli di collimare, di sopportarsi a vicenda. Perché se è vero Otis non si sia mai reso un soggetto facile e simpatico alla compagnia altrui, neanche le altre persone hanno superato con facilità l'approvazione del ragazzo. E' poi il motivo per cui i suoi amici si contano sulle dita di una singola mano ed includano largamente i propri familiari stretti. Echo suona come una novità gradevole, dall'atteggiamento un po' sopra le righe per i gusti dell'altro, ma nonostante ciò sufficientemente capace di rendere i loro incontri abbastanza belli da lasciargli desiderare di viverne ancora. Magari chiederle consiglio, vista la propensione alla violenza che dimostra e quell'entusiasmo marcato per i gesti estremi a cui il ragazzo è giunto, non sfiorerà più i suoi intenti. Passarci il tempo solo per godere della sua presenza, per quanto assurdo viste le sue abitudini, appare fattibile. In prospettiva, gradevolmente realizzabile. 'Moltissimo.' Commenta ancora apparentemente impersonale, sottolineando il latente dispiacere per essersi lasciato andare ad una ferocia di cui la ragazza, in fondo, non conosce nulla. Entrare nei dettagli significherebbe comunque offrirle uno scorcio diretto di ciò che Otis non gradisce sia messo in mostra ad occhi esterni; questo il motivo per cui si limita a quella considerazione, evitando di apporre ulteriori spiegazioni che Echo non ha richiesto. Le parole successive suonano invece come una melodia armoniosa, una sorta di premura che sì, anche in questo caso, il mondo gli ha sempre negato all'infuori dell'ambito familiare - e talvolta destinata a fallire persino in quello. La gentilezza con cui quelle considerazioni vengono avanzate, è rara. Accarezza i suoi sensi in modi meno invasivi di quanto un abbraccio di conforto non farebbe. E' un approccio che con l'Haugen funziona e che lo lascia impietrito solo perché estraneo a quel genere di carineria nei propri confronti. Oltre agli insulti dei bulli ed agli insegnamenti durante il percorso terapeutico, nessuno ha mai scelto di rivolgergli la parola. Di certo non così.
    qCUvvEN
    'Credo tu abbia ragione. Anche se non è molto fortunata per alcune cose, lo è perché ci sono io.' Si dipingono quindi di positività i suoi pensieri, una carica in più a credere in se stesso, a ricordargli gli obbiettivi per cui il suo adorato camice lo riveste. Ed ancora più piacevoli sono le considerazioni successive, quelle che la ragazza usa per definirsi sua amica. Una che, per quanto inserita da Otis su sua richiesta in quella che in apparenza potrebbe sembrare una meccanica semplice lista, potrebbe in realtà avere in serbo per lui più di quanto il ragazzo stesso possa mai immaginare. Una richiesta così schietta non l'ha mai ricevuta. 'Oh, va bene. Se è questo ciò che vuoi, allora...' Di nuovo, si sofferma per qualche secondo con lo sguardo in quello dell'altra. Evidenzia la fiera sincerità che ci tiene a rivolgerle, mentre gli ultimi rimasugli di un sorriso altrettanto sentito attecchiscono alle sue labbra. '...sei mia amica anche tu.' E poterne contare tre, adesso, è quanto di più gratificante gli sia capitato. Scorre l'attimo dopo sull'orologio da polso che indossa il suo sguardo, riportandolo bruscamente agli schemi entro cui gli tocca muoversi. 'Adesso, se vuoi scusarmi, dovrei proprio tornare in infermeria. Mi restano...' Un calcolo svelto, preciso, prima di proseguire. '...sette minuti e cinquantatré secondi prima che la mia pausa finisca.' Annuisce, indietreggiando con aria più sollevata rispetto agli istanti precedenti. 'Grazie per l'aiuto.' Pronuncia entusiasta, lasciandole un ultimo cenno prima di voltarsi e tornare in infermeria. 'Ci vediamo presto, amica.'

     
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