New Vision.

libera

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    Lavorare per una rivista locale inosservata, esser pagato su commissione per una passione svalutata, era stata la parentesi temporale più lunga che avessi vissuto. Una tregua, il rifugio sicuro in cui battere parole s'una macchina da scrivere, aspirando tiri d'insoddisfazione da una sigaretta interminabile.
    Me l'ero fatto andar bene: un po' perchè mi serviva, un po' perchè l'impegno d'una responsabilità più grande richiedeva che io fossi del tutto stabile. Presente a me stello, pulito, capace.
    Avevo raggiunto quel traguardo mesi prima e d'allora le mie prospettive future avevano accolto nuove suggestioni, facendosi corrompere dall'alone di sogni sbiaditi.
    La scrittura era il mondo al mio servizio. Avevo buttato giù un paio d'idee per una rivista indipendente, una novità da proporre alle edicole magiche che da tempo stampavano di peggio.
    Era ambizioso, certo ma ero stanco di vivere all'ombra delle mie possibilità, ancor più se inespresse.
    Avevo preso appuntamento settimane prima, il prototipo d'un giornaletto stampato sottobraccio, una camicia troppo stretta addosso, le lenti abbassate sul naso.
    Portavo con me qualche pezzo battuto e stampato, indignazione e esaltazione cucite in un paio di versi, l'azzardo delle posizioni svelate e d'una censura svelata. Era così che immaginavo il mio spazio verbale: libero, formale ed informale al contempo.

    Strano a dirsi, ma le sale d'attesa mi erano sempre piaciute.
    Mi piaceva chi le abitava: le borse piene di speranza e inventiva, il nervosismo delle prime volte, il vantaggio d'una buona prima impressione.
    Vivevo dove la gente viveva ed amavo ciò che la gente amava nella sua forma più primitiva: la caccia.
    Ad un nuovo inizio, al profitto maggiore con lo sforzo minore, al desiderio più grande, alla realizzazione, alla vetta economica, a quella idealista.
    Conoscere loro era conoscere un'altra parte di me, magari quella che oggi si era infilata in un paio di scarpe tirate a lucido.
    La mia disgraziata avventura cominciava s'un nome: Utopia.


    Aperta per chiunque possa occuparsene.
    Giornalisti, editori, chi li gestisce :)
     
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    Layla Serizawa, Guaritrice, Giornalista, Mamma

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    Proprio mentre stavo per dire all'infermiera della strega accoglienza "Tranquilla, faccio anche il prossimo ricovero, ho tempo!" mi era arrivato un messaggio dalla mia adorabile stagista che con la sua precisione maniacale mi riportava alla realtá al di fuori del San Mungo. Dove sei? Tra 10 minuti hai l'incontro con quel giornalista indipendente di cui ti ho parlato! e picchiandomi il palmo della mano sulla fronte mi ero scusata con l'infermiera e mi ero catapultata fuori dall'ospedale con ancora il camice addosso per smaterializzarmi il piú in fretta possibile.
    A quel punto la ragazza mi aveva dato al volo il suo block notes con le informazioni che aveva raccolto nei giorni precedenti sull'uomo che stavo per incontrare e mi aveva letteralmente strappato di dosso il camice proprio nel momento esatto in cui varcavo la soglia della sala d'attesa con la coda alta decisamente un po' scombussolata e un male ai piedi terribile!
    Il signor Pleskun, giusto? Il sorriso che gli rivolgo é enorme, come se da solo bastasse a nascondere le occhiaie che durante l'estate hanno ripreso a segnarmi il volto avendo di nuovo i gemelli a casa, ancora piú pronti a litigare che mai. Sono Layla Serizawa, redattrice della compagnia, scusi il ritardo! Gli strinsi con decisione la mano, poi gli indicai la porta a pochi passi da noi sul corridoio con la targhetta riportante il mio nome. Vogliamo entrare? Gli feci quindi strada accompagnata dal ticchettio classico dei miei tacchi che imperterriti battevano sul pavimento decisamente piú veloci di quanto ultimamente le mie mani scorressero sulla macchina da scrivere e lo condussi all'interno dell'ufficio verso una parte piú confortevole che avevo liberamente rubato al vecchio ufficio di Chase: divanetto morbidissimo e due ampie poltroncine davvero super pink in stile moderno. Gradisce un thé? Caffé? Acqua? Sul tavolo che separava divano e poltroncine del resto la ragazza aveva giá sapientemente ordinato tutto secondo i miei gusti personali, con tanto di vassoio di cioccolatini al centro! Dire che l'amavo a quel punto era davvero poco! Non riuscivo piú ad immaginare la mia vita senza di lei e il pensiero che a fine anno avrebbe potuto andarsene mi dava il tormento!
    Ho saputo dalla mia assistente che aveva delle proposte per noi, la prego, la ascolto! Accavallai le gambe elegantemente, per poi porgermi un po' in avanti verso di lui poggiata lateralmente al comodo bracciolo del divanetto. Avrei voluto avere piú tempo per sfogliare gli appunti di Kate, ma ormai era fatta, avrei comunque potuto darci un occhio poi qua e la durante la conversazione, del resto il destreggiarmi tra i miei vari ambienti lavorativi mi aveva quanto meno resa molto flessibile e agile ad usare ogni istante utile a mio vantaggio!
     
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