In my veins

► Reese

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    Rientrare ad Hogwarts non è stato facile. Credevo che l’idea di tornare, di allontanarmi il più possibile dai miei genitori, dalla loro casa piena di orrori, mi avrebbe fatto sentire meglio, ma non è stato così.
    Mi sento come se non meritassi di essere qui e probabilmente è vero. Forse dovrei esser ad Azkaban, come il resto della mia famiglia. Credo sia il solo luogo che mi spetti. Magari sarebbe stato meglio se Harvey ed io non avessimo ripreso quell’uomo in fuga.
    Avrei dovuto lasciarlo andare, permettere che ci denunciasse tutti, che facessimo la fine che in realtà meritiamo.
    Ma non è successo, ed io sono di nuovo qui, nel posto di cui non faccio davvero parte.
    Inutile dire che il weekend passato mi abbia turbato davvero nel profondo, più di quanto voglia ammettere.
    Ho fatto lo stesso sogno per tre notti: un uomo in fuga nella foresta che non riesco mai ad acchiappare e mio padre così furioso che mi crucia per quelle che sembrano ore. Mi sono sempre risvegliato in preda al dolore della maledizione, come se la stessi subendo davvero, scosso e tremante. La seconda notte, ho quasi dato fuoco al mio baldacchino per un attacco di magia involontaria.
    Ho smesso di dormire. Non chiudo occhio da quarantotto ore e so che iniziano a vedersi gli effetti sul mio volto. Vorrei solo smettere di pensare, ma non so come fare.
    Sto persino evitando Reese, perché non ce la faccio. Non riesco a guardarla in faccia dopo quello che ho fatto. Lei è l’emblema dell’innocenza, di quanto più buono potrei mai trovare al mondo ed io... io non me la merito la sua amicizia. Non voglio influenzarla con la mia negatività.
    E non si tratta solo di questo, ma anche della mia vigliaccheria. Guardarla negli occhi significherebbe fare davvero i conti con il fatto che faccio schifo, che sono uno dei peggiori esseri umani del pianeta, ed io questo non riesco ad affrontarlo.
    Non so come io sia riuscito a non rivolgerle la parola per cinque giorni e a permetterle di non avvicinarsi a me. Credo abbia aiutato il fatto che non frequentiamo le stesse lezioni e l’aver cambiato strada ogni volta che la vedevo. A malapena riesco a mangiare, per cui anche evitare la Sala Grande non è stato un problema.
    Ma inizio a sentirmi davvero male all’idea di continuare così a lungo. Lei non capirà nemmeno perché. Mi sto comportando come qualunque altro stronzo entrato nella sua vita e sparito nel nulla senza ragione. Stamattina l’ho vista al suo tavolo, in Sala Grande, credo mi abbia visto anche lei. Forse ha fatto per alzarsi e venirmi incontro, ma sono letteralmente fuggito prima di accertarmene.
    Sto sperando che vada ad Hogsmeade, è sabato ed è una giornata bellissima. La scuola sarà semideserta. Magari qualche amica l’ha invitata, magari oggi non dovrò nascondermi come un vigliacco.
    Aspetto che partano le carrozze in direzione del villaggio, da bravo codardo, per poi lasciare la mia sala comune. Non ho esattamente idea di dove andare, vago senza una vera meta, quasi trascinandomi. Credo che uscirò in giardino, magari della vitamina D mi farà bene.
    Ed è sull’uscire dal castello che quasi mi scontro con la persona che ho evitato fino ad ora. Il mio sguardo spento si accende non appena si posa su Reese, trattengo un sussulto ed indietreggio. – Ehi, Reese... – dico d’istinto. Certo, un bel “ehi” dopo essermi comportato come uno stronzo per quasi sei giorni, è proprio quello che ci vuole. Mi sento messo alle strette, non posso semplicemente voltarmi ed andarmene, ma devo trovare un modo per svignarmela perché non me la sento di parlare con lei. – Tutto bene?
    Continuo a dire cose stupide e me ne vengono in mente solo altre ancora più stupide, per un attimo sono tentato di rifilarle una scusa, tipo che sono stato davvero impegnato a recuperare diverse materie ed è per questo che non sono riuscito a passare del tempo con lei. Ma che senso avrebbe? Lo sa che è una cazzata. – Stavo per uscire ma... non mi sento bene. Penso che tornerò al dormitorio.
    E questa forse è persino peggio della scusa che volevo imbastire poco fa. Ma nemmeno riesco a guardarla in faccia, continuo a far vagare lo sguardo altrove, come potrei fermarmi a parlare con lei? Sarebbe tutto più semplice se potessi dirle la verità, ma dirle la verità significherebbe perderla definitivamente ed è una cosa che non riesco ad accettare. – Ci vediamo in giro, eh? – è appena un sussurro, non so nemmeno se lo senta. Sento le gambe fremere e l’impellente bisogno di allontanarmi di qui il più velocemente possibile.
     
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    E' un dolore perpetuo che non sembra mai potersi quietare. Un ciclo continuo e ripetitivo fondato su basi uguali da cui scaturiscono situazioni simili, complementari tra loro. Una storia che si ripete senza darmi tregua, alimentando quell'insieme di atroci dubbi su me stessa che chiunque attorno a me continua, consapevolmente o meno, direttamente o no, a cucirmi addosso. Apro il mio cuore e nel farlo, vengo rigettata l'istante dopo. Non è una novità, no? Quante volte fino ad ora ho elaborato questi stessi, identici, invasivi pensieri? Tante. Troppe, forse, o magari non abbastanza, se davvero è questo ciò che mi merito. E' stato difficile rassegnarmici, ma dopo anni passati a leccarmi le ferite inferte da chi si è professato mio amico o qualcosa in più, credo di aver raggiunto un limite che fino ad ora non ho mai realmente toccato. Mi sono illusa di aver oltrepassato i confini della mia pazienza e della mia ingenuità ed alla fine è stato qualcun altro a strapparmela via di prepotenza. Il contorno ha fatto il resto. Sono stanca. E parecchio delusa. Mentirei se dicessi che mi aspettavo un trattamento come questo da chi me l'ha riservato in precedenza, ma come avrei mai potuto immaginare che persino Dexter si abbassasse a certi livelli? Non ci avrei creduto neanche se l'avessi visto con i miei stessi occhi in una palla di cristallo. Eppure, così frustrata ed abbattuta, pervasa da una solitudine che mi fa sentire come se il mondo fosse contro di me, cerco di incastrare una solida consapevolezza tra le incertezze che vagano nella mia mente fratturata: Dexter è un serpeverde. I serpeverde non sono decisamente gente di cui fidarsi. Gli stereotipi, invece, si dimostrano adesso più convincenti persino per me, che ho sempre cercato di dare seconde, terze, infinite possibilità a tutti. Ho bisogno di cancellare la mia ingenuità o gran parte di essa. E forse adesso che ho toccato il fondo, riuscirò a procedere. Ci proverò. Ho passato le ultime settimane chiusa nella mia stanza al dormitorio, venendone fuori solo ed esclusivamente per affrontare le ultime lezioni dell'anno e concedermi pasti sempre più inconsistenti. Ho tentato con sempre meno entusiasmo di attirare l'attenzione di Dexter, sfuggente come se gli avessi fatto un torto imperdonabile. Lontano... come tutti. Nonostante il tepore dell'estate incombente, mi sono liberata della divisa leggera. Niente gonne a balze o canottiere dai colori pastello. Le gambe coperte da jeans, una camicia legata in vita ad annullare ogni traccia di curva possa finire sotto l'occhio altrui ed infine una t-shirt morbida sul torso a completare un look completamente diverso dai miei standard. Va così da un po', ma probabilmente nessuno se n'è reso conto. Perché dovrebbero? In fondo è una scelta casuale, completamente priva di importanza. Già, lo è. Ed io stessa non sono poi così importante per nessuno da lasciare che si rendano conto di... beh, di ogni cosa. Forse lo preferisco.

    Ho approfittato della desolazione da weekend per fare due passi. Solo io e la mia tristezza, trascinandoci per corridoi vuoti popolati da più quadri che studenti. Eppure non rivolgo la parola neanche a loro. E non ho la chitarra con me. Vago, come se fossi lo spettro di me stessa e la colpa non è mia. O forse lo è? Me ne resto un po' nella tenuta esterna al castello, ma non mi sento meglio. I suoni idilliaci della natura non si prestano al mio umore, né zittiscono i miei pensieri. Alimentano anzi quella solitudine che mi sono ricercata in parte, isolandomi, ma di cui non posso certamente essere felice. Nulla mi rasserena in questo momento, a dire il vero. Ed è per questo che decido di tornarmene dentro, in cerca di una meta che colmi i vuoti che vado indirettamente ricercandomi. Procedo verso il portone del castello, ma la situazione precipita all'improvviso. Nel momento in cui i miei occhi si posano su Dexter, finalmente vicino a me, ma solo perché ci siamo frenati per un pelo dallo sbattere l'uno contro l'altra, riesco a sentirmi incredibilmente peggio. Perché forse per un attimo ci ho sperato, che le cose potessero finalmente tornare come prima, che lui si decidesse a parlarmi e mi aiutasse a capire cosa fosse successo. Ovviamente, ciò che ricevo, è un rifiuto. L'ennesimo. Stesso copione. Stesso dolore. "Certo, ci vediamo di sicuro mentre sei impegnato ad evitarmi, no?" Quasi mi stupisco di come queste parole siano venute fuori dalla mia bocca. Eppure è la realtà. Non mi è mai successo prima d'ora, non con così tanta prepotenza. Ma sento la tristezza infuocarsi, trasformarsi lentamente in esplosioni di rabbia che non riesco a controllare. Ed anche se non mi aiutano a sentirmi meglio, non posso fare a meno di lasciarmi contagiare da queste orribili sensazioni. "Epure stavolta sono abastanza certa di non aver fato niente per meritarlo!" Il mio tono di voce si incrina, cominciando a spezzarsi verso il pianto che più mi contraddistingue. Però c'è dell'altro. La mia espressione è diversa, curva di disperata esasperazione. Il mio cruccio è evidente e per un po', di quelle lacrime che mi salgono sino agli occhi, non viene fuori neanche una goccia. "Non è colpa mia, vero? Non lo è mai." Riprendo le sue parole, lo faccio con astio. Sottolineo quanta ragione avessi a non credere alle sue rassicurazioni, nonostante ci abbia sperato fino all'ultimo secondo, racchiusa tra le sue braccia che non mi sembrano più un porto sicuro. "Però ve ne andate sempre tuti." Constato infine quel dato di fatto, incrociando le braccia e puntando lo sguardo lucido verso il suo, sfuggente e disattento. Quel tremore emotivo resta ancora intrappolato sotto le mie palpebre. "C'è un perché?"
     
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    Le ho già dato le spalle quando la sua voce giunge pungente alle mie orecchie. Reese non mi ha mai parlato con questo tono. O forse sì, quando eravamo bambini e le facevo i dispetti, ma crescendo, diventando più complici e andando facilmente d’accordo, sono state rare le occasioni di discussione. Forse anche perché, prima del mio arrivo ad Hogwarts, avevamo solo l’estate da poter passare insieme.
    Mi blocco e sospiro. Non so cosa dirle, una parte di me vorrebbe smentire, l’altra sa che sarebbe inutile. È palese che la stia evitando, mentire peggiorerebbe solo le cose.
    Mi volto di nuovo verso di lei, verso la sua espressione offesa e ferita... questa volta per colpa mia. Provo una serie di emozioni contrastanti: senso di colpa per averla fatta stare male, ma anche irritazione per la velata accusa che mi rivolge.
    Mi sento messo sullo stesso piano di Hyram e Youth e questo mi disturba molto, non immagina nemmeno quanto. E sì, probabilmente mi sto comportando come fece Youth con lei, ma non per lo stesso motivo, lei non c’entra niente. – Sì, Reese... ti stavo evitando, ma non è come pensi.
    Vorrei provare a spiegarle, anche se non so esattamente cosa dirle. Non posso confessare ciò che fanno i miei genitori, né che vi partecipo (seppur contro la mia volontà) e nemmeno dirle qual è il motivo per cui mio padre mi ha punito. O forse posso raccontarle una mezza verità. Però non riesco ad aggiungere altro, lei butta fuori un altro paio di frasi astiose e allo stesso tempo ferite con la voce che le trema.
    L’irritazione che provavo poco fa è niente in confronto ad adesso. – C’è un perché e tu non c’entri niente, ma tanto non ci crederesti, giusto?! Perché il mondo gira intorno a te, Reese! Se qualcuno si allontana è perché TU non vai bene, è questo che pensi, no?
    È tutto sbagliato, non è questo che vorrei dirle, non è con questo tono che vorrei parlarle. Saremmo dovuti essere insieme, come al solito, a parlare del più e del meno, come al solito. Avrei dovuto dirle che è bellissima anche con abiti semplici, anche con quel viso un po’ spento e triste. Invece no, siamo qui, irritati e feriti per diverse ragioni, a darci addosso. Ed io non riesco a fermarmi. Tutta la frustrazione del fine settimana passato si sta riversando su di lei ed era anche per questo che la stavo evitando, per non farlo accadere. – Hai notato che lo scorso fine settimana sono stato via? Non hai collegato che potrebbe essere successo qualcosa e magari avessi bisogno di stare da solo?! Perché devi pensare che c’entri qualcosa tu?
    Vorrei riuscire a fermarmi. Vorrei riavvolgere il tempo ed evitare di dire queste cose. Ma non posso rimangiarmi ciò che ho detto e non posso smettere di farlo.
    Se solo sapesse che non ce l’ho davvero con lei, che è solo tanta rabbia e ansia accumulate che mi stanno facendo scoppiare ora. O forse una parte di me ce l’ha anche con lei, per avermi creduto capace di metterla da parte come hanno fatto gli altri. – Io sono anche questo. Forse non lo sai, perché non ci siamo mai davvero frequentati di persona, prima che arrivassi qui, ma ho bisogno di stare da solo e dei miei spazi quando qualcosa non va!
    È sempre stato così, almeno con il crescere, ho imparato a chiudermi il più possibile quando sto male, ad evitare chiunque, persino Harvey. In parte perché so che potrebbe finire così, come adesso, che me la prendo con qualcuno che in fondo non c’entra niente, in parte perché non voglio essere compatito. Faccio un respiro profondo, serro la mascella e guardo altrove, come se potessi appigliarmi con lo sguardo a qualcosa che mi faccia calmare. Mi mordo le labbra e riporto gli occhi su di lei. – Ti voglio bene, non ho mai mentito su questo. Quindi non insinuare più che io me ne sia andato o qualunque altra idiozia ti sia passata per la testa.
     
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    Mi dico che dovrei apprezzare la sincerità di Dexter nell'ammettere di avermi volutamente evitata nei giorni scorsi, ma chi sarebbe davvero felice di sentirsi messo da parte con così tanta facilità? Non riesco a capacitarmi di come sia potuto succedere ancora una volta. Mi ritrovo sempre vittima di trattamenti simili e non capisco se dipenda dalla conoscenza minima dell'altra persona, causata da un'ingenuità senza pari, o se ci trovino gusto ad usarmi come bersaglio per sfogare le loro impellenti necessità di fare del male alla gente. Perché sì, anche Dexter mi ha fatto male e non mi aiuta a compiere un passo indietro accusandomi di pormi come fulcro dei problemi altrui. Mi dipinge di un egoismo che non mi appartiene ed anche questo lo trovo ingiusto. Benché sembri credere l'opposto, no, stavolta non mi sento colpevole di nulla. "Stai usando le mie insicureze per darmi contro? Davero, Dexter?" Ho posto la mia fragilità tra le sue mani, credendo erroneamente potesse essere tenuta al riparo stretta tra dita confortevoli e comprensive. Stare qui a vederla sgretolarsi sotto le sue mani, osservarne i cocci crudelmente calpestati dai piedi puntati in un'imponenza che sembra volermi sovrastare, fa anche più male. Avremmo potuto discuterne in modo più pacifico e forse non avrei comunque creduto di non essere parte del problema che lo affligge, ma mi sarei messa da parte nel tentativo di tirarlo su, di aiutarlo così come lui è stato in grado di fare con me. Invece mi sembra di sbattere costantemente contro un muro, dove io, come un libro aperto, sono la trasposizione fisica di tutto ciò che mi succede e che provo, mentre gli altri si chiudono nella propria aura sofferente tenendomi alla larga. Cercano di proteggermi, probabilmente, ma spesso ottengono l'effetto totalmente opposto. In questo caso, è andata proprio così. "Avresti potuto dirmelo! Avrei aspetato con pazienza, ma forse sei tu a non credere ale mie parole." E' orribile sentirsi disegnare in modo totalmente diverso da ciò che si è sempre creduto di essere. La mia autostima misera non fa che accumulare fori di devastazione che le parole altrui scavano profondamente. E' davvero un meccanismo egoista quello che mi spinge a rimuginare sul dolore che questi concetti mi provocano? Qualunque cosa faccia, dica o anche solo pensi in questo preciso istante mi sembra inesorabilmente sbagliata e comincio a dubitare persino di me stessa, della mia mente, delle mie volontà e dei miei diritti. Mi rema tutto contro. E vorrei davvero agire adeguatamente per risolvere i crucci di Dexter, ma adesso non me ne sento in grado. Spalle al muro nella metaforica gabbia delle mie insicurezze, mi ritrovo inerme, angosciata. "Ero preocupata per te. Tu che avresti fato al mio posto? Saresti stato felice di vedermi ignorarti per i coridoi dopo averti consolato per aver subito lo steso tratamento?" Passo nervosamente le mani sulle mie guance, catturando le scie umide che vi scorrono su tra dita pesanti, talmente rabbiose da sentire i polpastrelli incidere violentemente la mia pelle. Sono stufa di tutto, di tutti, persino di me. E ciò che mi esaspera oltre ogni limite è la mia incapacità di trattenere le lacrime del disagio provato. "Smeterò di starti adoso alora, se è questo ciò che vuoi." Sbuffo disperata, mentre rovisto nelle tasche della tracolla per recuperare un fazzoletto. Tentativi vani di riparare quel danno ormai palesato, mentre tampono le guance col tessuto bianco di cui non riesco ad avvertire il profumo. Si fa tutto privo di colori, odori e sapori, incline al mio stato d'animo sempre più spento, che Dexter non sembra aver notato, troppo impegnato ad evitarmi. "Stavo male anch'io, sai? Però non te ne facio una colpa, anche se mi sono sentita sola." Gli confesso, quasi sull'orlo di un pianto isterico che, settimane fa, sarebbe già sorto con una spontaneità senza pari. Adesso sento il bisogno di trattenermi più possibile e lo faccio attraverso questa calma piatta che farebbe quasi paura, in assenza delle lacrime come sintomo di tristezza. Poco a poco, mi spengo senza rendermene conto. "Non insinuerò più nula. Anzi, sai che c'è? Credo che molerò la presa, perché la mia unica colpa è preocuparmi tropo per gli altri e mai abastanza di me stesa." Un pessimo modo di rigirare a mio favore i consigli che Dexter mi ha rivolto qualche settimana prima per consolarmi. Dovrei farlo davvero, ma so benissimo che in questo momento sia un'incontrollata rabbia a parlare e che probabilmente mai riuscirò a dedicarmi quel tipo di premure che mi inducano a tornare felice. Qualcosa, dentro di me, si è decisamente rotto e non c'è possibilità di tornare indietro. Questo però Dexter non lo sa. Così mi comporto allo stesso modo, faccio come lui, mentre sfogo le mie frustrazioni più intime - quelle di cui ancora io non riesco nemmeno a rendermi conto - contro il suo petto. Lo fronteggio, gli occhi ancora lucidi e grondanti di devastazione puntati con disappunto contro i suoi. Le mani si protraggono inaspettatamente in avanti. Non riesco a controllarmi ed impedire di tirargli una spinta, frutto di quel cambiamento interiore che mi fa incredibilmente paura. "Sono stufa di esere il vostro bersaglio, danazione! Stufa, stufa, stufa!" Continuo a ripetere, mentre ad ognuna di quelle parole corrisponde un nuovo spintone. Non ho idea di cosa stia succedendo, ma una cosa è sicura: della Reese che Dexter ha sempre conosciuto, non pare esserci traccia in questo momento.
     
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    Non riesco a nascondere il disappunto ed il disdegno quando dice che sto usando le sue insicurezze per darle contro.
    Mi sembra terribilmente ingiusto, sa che non potrei mai farle una cosa del genere e questo non fa che accrescere la mia frustrazione. Il mio cuore batte così forte che inizio a credere che non sarò in grado di calmarlo. Di calmarmi.
    Inspiro pesantemente, visibilmente scosso, e cerco di parlarle sopra. – Io non sto...
    Mi interrompo perché non so cosa voglia dire esattamente. O meglio, lo so, ma a cosa servirebbe? Se le dicessi che non voglio darle contro, che non lo sto facendo, ci crederebbe?
    Lei non c’entra niente, se solo sapesse cosa ho dovuto sopportare, quanto sia turbato ma soprattutto spaventato. I miei genitori si aspettano che io sia qualcuno che non sono. Mio padre non era mai arrivato a farmi così tanto del male e questo mi fa capire solamente che le cose peggioreranno se non mi impegno ad accontentarli. Ho la sensazione di essere una bomba pronta a scoppiare. È troppo per me, non riesco a sopportarlo.
    Ed ora... questa discussione con Reese, che io ho causato, perché sono un idiota. Basterebbe chiederle scusa, dirle che non ero capace di andare da lei a chiederle di lasciarmi solo per qualche giorno, che avevo paura di affrontarla faccia a faccia.
    Basterebbe questo, ne sono certo, e le cose si calmerebbero. Ma più lei parla, più mi vergogno di me stesso e l’idea di essere incapace a rimediare a questo errore mi fa sentire ancora più frustrato. – No, Reese, non sarei stato felice se tu mi avessi evitato senza darmi una spiegazione – esclamo. Dovrei aggiungere che mi dispiace di averla fatta preoccupare e stare male, ma l’unico bisogno che sento ora è di continuare a sfogare la mia frustrazione prendendomela con lei. – Ma è vero anche che tu stai sempre male. Stai male per ogni singola cosa! Ti saresti sentita meno sola se ti avessi detto che volevo stare per conto mio?! Saresti stata male comunque, ti conosco. E a quel punto il problema sarebbe stato che... non so, magari che ti sentivi sola perché non mi sono sfogato con te parlandoti del mio problema o chissà che altro!
    Mi sta sfuggendo tutto di mano. Ogni parola che pronuncio è sbagliata, esce dalle mie labbra con il solo desiderio di trasmettere il mio dolore a lei, ma senza volerlo davvero. Forse sono davvero come i miei genitori: meschini, senza sentimenti, egoisti, che non si preoccupano degli altri. Dovrei smetterla di opporre resistenza al mio destino ed arrendermi a ciò che sono davvero.
    Ma se davvero sono come loro, perché mi fa così male vedere il suo sguardo ferito, perché quello che mi dice mi fa venire voglia di urlarle che si sbaglia, che non ha idea di quanto conti per me? – Quindi è questo che fai?! Molli la presa al mio primo errore?! Ti sono sempre stato vicino, ti ho sempre sostenuta, non ti ho mai chiesto niente in cambio. Ma non appena io faccio una cazzata tu te la prendi così e decidi di scaricarmi!
    Una parte di me sa che, probabilmente, non dice sul serio. Reese non sarebbe capace di arrivare a tanto, si è fatta rimorsi su Youth e Hyram, non posso credere che si libererebbe di me in questo modo. Eppure allo stesso tempo non posso fare a meno di cedere al panico. Lo stesso che avverto ogni volta che devo separarmi da Harvey. Non posso perdere Reese. Sento il cuore rimbombarmi nelle orecchie. – Io non ti sto usando come bersaglio! – urlo al limite della sopportazione. Ed è nel momento in cui pronuncio l’ultima vocale che succede: il vetro della finestra davanti cui ci troviamo esplode. Una miriade di minuscoli pezzetti ci investe, come se fossero pioggia. Chiudo istintivamente gli occhi, proteggendomi il viso con un braccio. Rimango così, immobile, per una manciata di secondi. Respiro in modo affannato, mi tremano le mani. Ho perso di nuovo il controllo. Non appena supero il lieve shock iniziale, mi ricordo di Reese che, come me, è stata presa in pieno dalla pioggia di vetri. Le afferro le spalle, con fare allarmato. – Stai bene?!
    Le scosto i capelli dal viso, senza neanche pensarci, controllando che non sia ferita. – Mi dispiace... mi dispiace – sussurro togliendole alcuni pezzetti incastrati tra le sue ciocche.
    Mi guardo attorno, con la paura che il rumore possa aver attirato qualcuno. Non voglio che un professore o la preside vengano a saperlo. Non voglio essere cacciato da scuola e tornare a studiare a casa, non lo sopporterei.
     
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    Come fanno gli altri a lasciarsi scivolare tutto addosso? Come fanno ad affrontare discussioni come questa reprimendo l'impulso di piangere? A mettere una dietro l'altra le parole giuste per difendersi ed uscire con orgoglio da situazioni di questo tipo? Le supposizioni di Dexter mi arrivano contro come pugnalate violente ed una volta infiltratesi sotto la mia pelle, vanno a scavare nelle profondità della mia autostima lacerandone i pochi brandelli rimasti. La stessa persona che mi ha detto di essere una bellissima persona, sta adesso tirando fuori una sfilza di realtà da cui mi sento inevitabilmente toccata. Anche se ha provato a convincermi del contrario, mi sento come se tutti i tentativi precedenti stessero andando in fumo, come fossero bugie necessarie per evitarmi di frignare ulteriormente. Adesso, non posso non sentirmi nuovamente investita da tutte le pessime sensazioni provate in precedenza, a cui si somma l'ennesima realtà scomoda che odio ammettere a me stessa: sto male per tutto. Dev'essere vero. Devo essere io il problema e non c'è niente, soprattutto adesso, che riuscirà a riportarmi sulla strada del convincimento dalla parte opposta. Trafitta da quelle consapevolezze, con le spalle curve e le braccia incrociate al petto, non riesco a non credere alle sue parole. E allora mi chiedo come si faccia, perché non riesco a capirlo. Come si fa a crescere? "Sono pesante, eh?" Pronuncio in un sussurro poco convinto, sperando quasi che lui non sia riuscito a sentire. Voglio solo che tutto questo finisca e che Dexter la smetta di darmi addosso, adesso. Provare a farmi valere è stata una pessima idea. Non sono adatta ai confronti e questa è la realtà più evidente di tutte, insieme con tutto ciò che il serpeverde sta tirando fuori sul mio conto. Fa male crederci, perché sento di non avere alternativa. Passi la vita a ricevere così tanti di questi giudizi negativi, che alla fine non puoi fare a meno di affidartici. Hyram aveva ragione. "Non ho parlato di scaricarti! Solo di esere meno... oprimente!" Ma non credo riuscirebbe comunque a convincersene, perché scatta come una molla ad ogni mia parola e questo mi è sempre più evidente. Fa paura. E fa anche schifo. "Perché mi dai contro per ogni cosa che dico?" Il mio tono è già più basso, ormai talmente disfatto da tremare sotto la prepotenza delle lacrime che mi scorrono giù per il viso. Vorrei poterle fermare, ma non ci riesco. E so bene che anche quelle potrebbero essere un punto a favore della sua rabbia, ma non le controllo e questo sembra non lo capisca mai nessuno. Forse sono l'unica al mondo ad essere così pateticamente piagnona. Per certi versi, lo spero: non augurerei a nessuno di essere come me. Mi stringo ancor più in me stessa nel sentirlo urlare e nel pieno della paura, l'ambiente attorno a noi sembra rivoltarmisi contro insieme a lui. Una finestra vicina va in frantumi, con uno scoppio così improvviso e fragoroso da indurmi a lanciare un urlo impaurito. Adesso sono davvero terrorizzata e quando alcuni pezzi di vetro mi raggiungono la pelle del viso, nonostante mi sia impulsivamente piegata sulle ginocchia, altri rantoli di dolore e timore vengono fuori dalle mie labbra istintivamente. Mi tiro su poco dopo, il viso ancora coperto dalle mani e dai capelli. Il soccorso e le scuse di Dexter arrivano celermente, ma dinanzi al suo tocco, reduce di pensieri atroci che hanno martoriato la mia mente nelle ultime settimane, non reggo la pressione di quel contatto. "No! N-non mi tocare!" Sollevo lo sguardo e per un attimo, solo una frazione di secondo fugace, mi sembra di vedere le iridi chiare di Hyram sovrapporsi agli occhioni di Dexter. Indietreggio ulteriormente, il fiato corto dimostra crudelmente quanta paura io provi in questo momento. Se solo riuscissi a capire che la finestra e la lite c'entrino ben poco... "Lasciami stare." Sussurro, mentre lacrime pungenti mi scottano la pelle, scivolando sui graffi che i cocci mi hanno provocato. Bruciano esattamente come ciò che sento dentro. Ma continua ad essere difficile ammetterlo. Ho bisogno di scappare. "Lasciami sola." Lo imploro alla fine, mentre le mani tremanti cercano di liberarsi dei pezzi di vetro ancora incastrati tra i miei vestiti e i miei capelli. E mi allontano in fretta, perché non voglio lui mi segua. Credevo la solitudine mi pesasse terribilmente, ma ora sento la necessità di isolarmi. Il mondo mi fa troppa paura adesso per viverci in mezzo.
     
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    E' questo il motivo per cui l'ho evitata questi giorni. Perché sapevo che non sarei stato in grado di tenerla fuori dai miei problemi.
    Non volevo arrivare a ciò, non volevo coinvolgerla, tanto meno farla sentire colpevole o di troppo. Reese non è mai troppo per me, non è pesante come afferma di essere, è l'unica boccata di ossigeno che ho tra un problema e l'altro.
    E' l'unica a non farmi sentire sbagliato e sono stato capace di rovinare anche questo.
    E' doloroso vedere le sue lacrime, i suoi occhi arrabbiati ma pieni di tristezza e sapere che ne sono la causa, che mi sono unito alla lista di quelli che l'hanno fatta soffrire.
    Mi ero ripromesso che non l'avrei fatto, che l'avrei sempre protetta e fatta sentire bene, ma faccio schifo a mantenere le promesse, soprattutto quelle fatte a me stesso
    Non merito la sua amicizia, così come non merito molte cose.
    Ed è mentre annaspo non trovando niente da rispondere a ciò che mi dice, che inizio a pensare che dovrei lasciarla andare. Che sono stato fin troppo egoista a tenerla legata a me.
    Forse ne soffrirebbe all'inizio, ma si abituerebbe. Troverà amicizie migliori, più sane, sarà solo un bene per lei.
    Invece di trascinarsi il peso dei miei problemi, oltre che dei suoi. Se questo è solo l'inizio di quello che potrebbe esserci tra noi, ogni volta che qualcosa sconvolge la mia tranquillità, mi chiedo cosa potrebbe venire dopo. Diventerebbe sempre peggio. E' giusto che lei debba lottare con ciò? No, non lo è.
    Prima di lasciarla andare devo rimediare a questo disastro, però. Deve sapere che non l'ho fatto apposta, sa che non controllo la mia magia, ma devo ribadirlo... deve sapere che io...
    E le mie mani si bloccano a mezz'aria, nel vederla così impaurita da quanto è appena successo, nel sentire i suoi lamenti spaventati.
    Quando mi intima di non toccarla, sento il cuore come sul punto di scoppiare. Indietreggio, abbassando le braccia, lasciandole inermi lungo i fianchi. - Mi dispiace, Reese, mi dispiace davvero... - balbetto nel panico. Ha davvero paura di me? Teme che potrei davvero farle del male? Credo che niente potrebbe ferirmi più di questa consapevolezza. Non voglio che mi veda come un pericolo, non potrei tollerarlo. Eppure il suo sguardo pieno di paura parla chiaro e non posso fare a meno di sentire una morsa dolorosa all'altezza dello stomaco. - Lo sai, non la controllo... non l'ho fatto di proposito...
    Parole mormorate al vento. Lei aggiunge altre poche sillabe, lapidarie: devo lasciarla stare, lasciarla sola. Se mi avesse colpito con un pugno avrebbe fatto meno male. Le rivolgo uno sguardo carico di shock, ma non dico niente. Non riesco a dire niente nemmeno quando mi da le spalle e si allontana. Non mi muovo, non la richiamo, non le chiedo di aspettare.
    Avevo deciso di liberarla definitivamente della mia presenza in fondo, no? Solo che farlo in questo modo fa davvero male. Non voglio che se ne vada con l'idea che avrei potuto farle del male, non voglio che abbia paura di me...
    Ma forse doveva andare così e forse, consapevole di ciò, è per questo non provo nemmeno a fermarla.
    Mi sento improvvisamente vuoto e nauseato. Quasi non mi rendo conto di essermi mosso in direzione dei sotterranei, per raggiungere la mia sala comune. Ho bisogno di stare solo.
     
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