Wish I Was Better

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    «Respira.» Glielo avevo ripetuto più volte durante quel ricovero. Col tempo le crisi di Mason erano migliorate ma c'erano momenti in cui gli attacchi di panico tornavano e la violenza di cui era frutto, quella che inconsciamente traspariva da ogni suo gesto e parola, finiva sempre con il lasciare un segno.
    La parte più colpita di Helena era la sua psiche.
    Era provata. Stanca ed a volte si sentiva sul serio sul punto di lasciar perdere, convinta ed afflitta dall'idea che forse non ci sarebbe stato davvero modo di aiutarlo. Non più di quanto non avesse fatto già.
    Era per quel motivo che aveva deciso di mettere totalmente in pausa la propria esistenza. Non che avesse molto voglia di fare altro.
    Finita la scuola si era praticamente trasferita da lui e questo aveva comportato dei ritmi frenetici che non sarebbe stata in grado di sostenere a lungo. Ogni giorno andava dai suoi genitori, si occupava dei rifornimenti per poi tornare in quella casupola dove ad attenderla c'erano Pinky ed un Mason delle volte irrequieto.
    Non erano rare le volte in cui lo beccava a scrutare con insistenza fuori dalla finestra, quasi si aspettasse di vedere arrivare qualcuno.
    Helena fingeva di non prestarvi attenzione. Quando però quella scena stimolava negativamente la sua pazienza, finiva col sbottare ed allontanarsi per prendere aria, magari fumare una sigaretta.
    C'erano giorni in cui non riusciva a sopportare nulla. Immaginava dipendesse anche dal fatto che il processo fosse ormai vicino ed inconsciamente o meno Helena non poteva fare a meno di rimuginarci. Ci pensava così tanto da mettere da parte tutto il resto, come le pillole che aveva smesso di prendere, forse per dimenticanza, forse perchè una parte di lei sentiva che se Lorence fosse tornato in libertà lei non avrebbe voluto esserci.
    Si sentiva sempre più stanca, svuotata.
    Fu con quella pessima sensazione di oppressione sul corpo e sulla mente, che disse a Mason che si sarebbe assentata per fare un bagno. Voleva sul serio darsi modo di calmarsi, tornare ad assumere la calma ed il controllo di cui necessitava per sopportare una convivenza col ragazzo per cui provava qualcosa ma di cui aveva ancora in parte timore. Da cui non riusciva a lasciarsi toccare.
    Tutto quello, era una situazione decisamente pesante per una ragazza di soli sedici.
    Non chiuse nemmeno la porta alle sue spalle, nel timore di dover correre da lui da un momento all'altro se qualcosa avesse potuto di nuovo scatenare in Mason un attacco. La lasciò socchiusa, così che avrebbe potuto sentire l'altro nella stanza attigua.
    Si svestì velocemente, ritrovandosi soltanto in quel momento a guardarsi allo specchio. I suoi occhi erano lucidi di stanchezza. Il volto sottile.
    Si sistemò i capelli dietro le orecchie, sfiorando la sua fronte bollente.
    Sospirò.
    Erano giorni che il suo corpo le mandava segnali che non coglieva. Era troppo stanca per farlo.
    Si disse, stupidamente, che sarebbe bastato immergersi sotto il getto di acqua calda per distendere i nervi e cominciare a stare meglio. Fu quello che fece.
    Entrò nella doccia, godendo del calore lì presente. Poggiò la nuca contro le mattonelle alle sue spalle, lasciandosi andare a quel tepore. Si ripeteva, come un mantra, di respirare così come faceva con Mason.
    E continuò a farlo fino a quando la stanchezza non ebbe la meglio. Perse conoscenza, scivolando contro la parete alle sue spalle, ritrovandosi praticamente seduta ed accoccolata, mentre i vetri della casa si muovevano e le luci cominciavano si accendevano e spegnevano ad intermittenza.


     
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    I margini di miglioramento sono minimi, quasi completamente inesistenti. Alle problematiche affrontate, se ne sommano altre, pronte a spuntare come funghi dinanzi a nuove disposizioni ed abitudini abbracciate. La stasi di quella situazione comincia a diventare soffocante. La mancanza di uscite, di aria fresca da respirare, grava ulteriormente sui timori provati. La reclusione forzata in un luogo che non ha traccia di familiarità, comincia a prendere le sembianze di una tortura psicologica anche peggiore di quelle già effettivamente subite. L'aiuto di Helena non sembra abbastanza ed anche questo è un peso insopportabile scagliatosi sulla coscienza traballante del Chesterfield. In uno scenario di paranoie e traumi insuperabili, si inseriscono a fatica tentativi spesso fallimentari di sopportare tutta quella pressione. Esplode, saturo di quei rumori avvilenti, delle figure che immagina aggirarsi attorno all'abitazione, della solitudine che patisce nonostante la presenza della ragazza e della sua volpe. Ansie sotto forma di ricordi che bussano costantemente alla porta della sua mente; gli occhi ricolmi di rimprovero di Hubert lo tempestano di incubi da cui si risveglia stremato, incapace di chiudere ancora gli occhi se non dopo ore o intere giornate, e di preoccupazioni spesso rivolte ad Helena, difficili da placare anche nei momenti in cui albergano sotto lo stesso tetto. E nonostante i timori indirizzateli, non riesce ad accorgersi di quanto deleteria quella storia sia per una ragazzina di soli sedici anni. Punta costantemente i propri occhi sul suo volto e sul suo corpo, ma lo fa per aggrapparsi alla sicurezza che ne deriva. Incapace di leggere i sintomi di quella nuova ondata di panico pronta a scagliarsi violentemente contro di loro, procede in quel pessimo percorso di rinascita, lasciandosi sfuggire di tanto in tanto borbottii stanchi o esasperati per l'opprimente staticità delle cose. Permane, insomma, in uno stato di autocommiserazione e vittimismo inespressi, dove le parole non si fanno avanti, ma ci pensano i suoi sguardi ed i suoi gesti velati di nervosismo a comunicare il suo stato d'animo. Fermo sul divano, intento a carezzare la piccola Pinky al suo fianco, attende con vaga impazienza che Helena faccia ritorno dalla doccia che si è concessa. Ossessivo il modo con cui ricerca la sua presenza, in meccanismi malati che ben mettono alla luce la mancanza di progressi realmente compiuti. E' quando l'inevitabile si palesa nell'ambiente circostante che tutto crolla e se vi è parecchia, troppa negatività in quelle circostanze, piccoli accenni di positività ancora impercettibili e contorti si affacciano all'orizzonte. Difficile individuarli mentre, sotto l'improvviso sfarfallio della luce ed il tremore dei vetri delle finestre, accartocciato contro la volpe che, come colta da quell'incredibile senso di comprensione, si ripara sotto le sue braccia incerte ed intimorite, Mason si ritrova ad affrontare da solo l'ennesimo attacco di panico che lo atterrisce. 'Hel! Helena!' Richiami ambivalenti, in cui si scontrano due necessità impellenti: quella di ricevere riparo e quella di accertarsi che lei stia bene. Quel terremoto d'emozioni, ben adiacente al caos circostante, lo mette al tappeto. E' però la necessità di indagare sul silenzio della ragazza ai suoi richiami ad imporgli di tirarsi in piedi e dirigersi verso il bagno. Fattosi strada a fatica, le mani poggiate sulle orecchie, la schiena ricurva di terrore, nel momento in cui sotto i suoi occhi si palesa uno scenario che amplifica la sua agitazione, mettere da parte se stesso è automatico. Si impone di respirare. 'Helena!' E' arrivato il momento di reagire.

    L'ha vestita di biancheria pulita, avvolgendola in una delle sue felpe per coprirla al meglio. Ha sentito la sua pelle bruciare sotto il suo tocco e ha toccato con mano il deperimento di quel corpo pallido e provato. Si è risvegliato dal proprio ingombrante torpore, non sa dirsi se del tutto o momentaneamente, ma non si è tirato indietro una volta resosi conto che Helena avesse bisogno di lui. L'ha adagiata sul letto, nonostante le continue interferenze delle luci e delle finestre; non gli importava. Ed ancora, seduto sul materasso al suo fianco, carezzandole la guancia e tentando alla bene e meglio di asciugare i suoi capelli umidi e rinfrescarle la fronte ed i polsi con asciugamani bagnati, non le toglie gli occhi di dosso. Si dà contro mentalmente, maledicendosi per essersi lasciato sopraffare fino a quel punto da quella parte di vita a cui aveva ormai opposto resistenza. Resta però concentrato su di lei, in attesa dell'arrivo del ritardatario guaritore che ha prontamente chiamato per raggiungerli, superando quell'ennesimo ostacolo vestito di socialità col solo intento di salvaguardare la ragazza. Una successione di azioni che hanno oltrepassato il panico che l'ha oppresso sino ad ora, solo e soltanto per lei. E le uniche tracce di paura che segnano la sua espressione atterrita non sono che rivolte condizioni della ragazza. Non al tremore dei vetri, né allo sfarfallio dell'illuminazione. Non c'è altro, nella sua mente, se non il desiderio di vederla risvegliarsi. Infatti, ai primi accenni di ripresa, stringe sveltamente la sua mano per richiamarne l'attenzione. 'Bimba?' La chiama, attendendo disperatamente una sua reazione. Una qualsiasi.


     
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    Il mondo doveva essersi spento per un momento. Non ricordava l'attimo esatto in cui fosse accaduto, sapeva soltanto che in un secondo tutto si era fatto buio ed il peso che in quelle ultime settimane aveva sentito gravare sulle proprie spalle non era più sembrato così incombente sebbene l'avesse spinta contro il pavimento freddo e bagnato.
    Aveva pensato così tanto e si era preoccupata in modo così assurdo che doveva essersi come sovraccaricata di negatività. il suo corpo non aveva potuto reggere a tutta quella tensione ed il non riuscire a prendersi cura di se stessa perché è impegnata a prendersi cura di altri, l'aveva condotta ad un punto limite. la sua temperatura era aumentata a dismisura tanto che anche in quel momento, in quella fase di dormiveglia, sentiva il calore pesarle sulle palpebre.
    Le ci volle qualche attimo per mettere a fuoco il posto in cui si trovava. Fu la voce di Mason comunque a ricondurla alla realtà. Si affidò a quella e a nient'altro per ritornare nel reale.
    «Mason?» La sua voce uscì sottile, stanca e chiaramente provata. Per un po' non fece altro che guardarlo, cercando di carpire dal volto dell'altro dettagli che avrebbero potuto raccontarle di quel che si era persa in quegli attimi di nulla. Quel che lesse nei suoi occhi scuri però fosse soltanto preoccupazione. un tipo di premura differente da quella che Helena aveva potuto notare negli ultimi giorni di convivenza con il ragazzo.
    Non si scostò dal tocco delle tue carezze, né a dirla tutta ne avrebbe avuto le forze. Restó placidamente distesa, col capo piegato per osservarlo.
    «Io... devo essermi addormentata.» Si giustificó, quasi si sentisse in dovere di farlo. Quasi sentisse l'obbligo di scusarsi per avere osato cedere in un periodo così tormentato.
    Non avrebbe mai voluto farlo, cedere. Ed ora che si rendeva conto di quel buco temporale nella propria mente, si sentì colpevole come di un crimine terribile.
    Lo aveva abbandonato di nuovo, dopo avergli promesso il contrario. Come aveva potuto permetterselo?
    Sì raggomitoló, cercando di nascondere il tremore. Inavvertitamente nel farlo, sentì la necessità di avvicinarsi a lui. Di aggrapparsi alla sua maglia e poggiare la fronte calda contro il suo collo.
    «Scusami.» Biascicó, forse vittima di quegli sbalzi di temperatura che le rendevano difficile anche pensare lucidamente alle cose.
    Era però dispiaciuta sul serio. Sì sentiva in colpa per non esser riuscita a prendersi cura di lui, per non aver risposto al suo richiamo che aveva sentito così lontano mentre si addormentava.
    «Cos'è successo? Stai bene?»

     
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    La voce flebile dell'altra gli spezza il cuore, con la meschinità di un filo che vi si attorciglia attorno per inciderlo profondamente. Un dolore silenzioso, che arriva quatto per poi ferire intensamente. Non riesce a mettere a tacere i sensi di colpa scaturiti dalla sua disattenzione e solo il terrore nel vederla riversare in quelle condizioni è stato capace di aprirgli gli occhi. Se fosse troppo tardi? Se il suo egoismo e l'incapacità di reagire l'avessero ridotta sul letto di morte? Non vuole pensarci. Non vuole rassegnarsi ad una condizione per cui sente di voler lottare, di volersi battere con tutto se stesso. Non è più tempo di guardarsi allo specchio e rimuginare sul proprio riflesso misero, ma di agire nei confronti di chi è stato al suo fianco e merita molto più di lui quel benessere apparentemente così lontano. 'Sei svenuta, Hel. Sei uno straccio.' E lui è stato così cieco ed egoista da non rendersene conto, che sostenere il suo sguardo lucido, debole ed al contempo spaesato somiglia quasi ad una tortura. Continua a carezzarle la guancia e la stringe a sé quando la vede raggomitolarsi contro di lui. Le mani strette attorno alla sua schiena, le labbra premute contro la sua testa e la fronte bollente, a rilasciarvi baci di conforto ed affetto che le comunichino la propria presenza. 'Sshhh...' Non si spiega le motivazioni delle sue scuse, se non affibbiandole a probabili deliri che la temperatura estremamente alta stanno causando. Deve stare a riposo, questo è certo. Vorrebbe solo essere in grado di capire come comportarsi in quel contesto, comprendere se sia saggio restarle accanto senza somministrarle medicine, se tentare di recuperarne un paio, se uscire dall'abitazione o se attendere il guaritore e le sue direttive. E' che non vuole perderla d'occhio, né rischiare di non trovarla sveglia al proprio ritorno, sotto catastrofiche visioni che fanno battere all'impazzata il suo cuore. E' davvero soltanto influenza? Perché quegli sbalzi di magia li ha riconosciuti ed ogni volta che ne è stato spettatore, l'altra si è ritrovata inesorabilmente tra le bianche mura dell'ospedale. 'Sto bene, è tutto a posto.' Una rassicurazione che dona alla ragazza quanto a se stesso, mentre tenendola ancora stretta a sé, tenta di guidarla verso il materasso, riadagiandole la testa sul cuscino e mantenendosi chino su di lei, le dita ancora intente a carezzarle la guancia, poi le tempie, e la punta del naso a strofinare sulla pelle del suo viso, per mantenersi più vicino che mai. 'Hai la febbre alta.' Cerca di comunicare con lei, sperando riesca a percepire le sue parole e coglierne il significato al punto di tranquillizzarsi. L'animo di Mason, invece, permane in un irrequieto stato di agitazione. 'Ma sta arrivando un guaritore, ok? Andrà tutto bene.' Sussurra, lasciando sulla sua tempia un bacio leggero, quasi spaventato di poter vederla disintegrarsi sotto i suoi stessi occhi. 'Sei con me.' E questa è la promessa di proteggerla, di non lasciare che le accada nulla di male, né ora, né mai.


     
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    Si lasciò andare alle sue carezze senza obiettare, totalmente asueffatta e decisamente troppo stanca per replicare.
    Lo osservò dal basso, di nuovo con la testa poggiata contro il cuscino, scrutando il modo in cui il suo volto si arriccia. Vi lesse tutta la preoccupazione provata da Mason e se ne sentì colpevole. Se continuato con la sua terapia, si disse, forse si sarebbe risparmiata quella ricaduta ed invece aveva creduto di potercela fare anche da sola. Aveva messo da parte se stessa e solo per aiutare lui, ma nel farlo aveva trascinato entrambi lungo quel baratro.
    Aggrottò le sopracciglia, tirandosi appena su facendo leva sui gomiti. «No. Perchè lo hai fatto?» Non durò molto però. Ricadde distesa, dolorante.
    Si lamentò appena ad occhi chiusi, senza obiettare ancora. Non ne avrebbe avuto le forze.
    Non aveva un gran bel rapporto con i guaritori, questo era risaputo ed il timore che vedendola in quello stato, avrebbe detto loro di andare in un ospedale le faceva venire la nausea. Non poteva permettersi l'ennesimo ricovero in quel momento, né voleva dare l'ennesimo dispiacere ai suoi genitori.
    «Non ho paura.» Gli disse, poggiando la propria mano su quella dell'altro mentre era intento ad accarezzarla. Si sforzò di sorridergli, nel tentativo di calmare la sua ansia.
    «Tranquillo. Sto bene. E' solo febbre. Anzi... forse sono solo stanca.» Provò a sminuire, chiudendo poi gli occhi per qualche attimo.
    La luce le faceva male agli occhi ed il mal di testa continuo non rendeva il suo risveglio più semplice.
    Non disse nulla per un po'. Limitandosi a guardarlo nel silenzio di quella stanza.
    Le ci volle più di qualche attimo prima di convincersi a riaprir bocca. «Non voglio che i miei lo sappiano.» Annuì debolmente, puntando il proprio sguardo nell'altro. Sapeva di potersi fidare di Mason, ma si chiese se fosse riuscito a mantenere quella promessa anche in un momento come quello. «Sono già preoccupati per il processo contro i Volhard.» Aggiunse poco dopo, facendo lentamente spallucce. «L'avvocato dice che lui potrebbe cavarsela.» Fu una confessione che le richiese una grande fatica, e non solo perchè sentiva davvero la testa altrove ma anche perchè aveva assimilato quella notizia e non era più riuscita a sputarla fuori. Forse se fosse stata lucida, non l'avrebbe mai tirata fuori.
    Richiuse gli occhi, portando una mano sulla fronte bollente.
    Odiava sentirsi in quello stato, e non per la febbre che le faceva sentire come se il suo cervello andasse a fuoco. Odiava la costante paura che le era montata sua da quando Lorence le aveva rovinato la vita.
    Sarebbe voluta tornare a prima che tutto quello accadesse. Al momento in cui le sarebbe bastato stare con Mason per stare bene. «Quanto mi manca baciarti

     
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    Si dimostra inizialmente dispiaciuto dinanzi agli accenni di preoccupazione per l'avvertimento del guaritore, che lascia scemare appena per assumere espressioni comunque adombrate, prive di serenità. Vorrebbe essere in grado di rassicurarla, ma la verità è che non ha ancora idea di come muoversi in quel campo ed è ciò che prova a comunicarle, mentre ancora la tiene al riparo e la mantiene cauta sotto il tocco delle proprie carezze. 'Mi sembrava la soluzione migliore, non sapevo cosa fare.' Giustifica con sincerità le proprie azioni, dandole modo di comprendere - o provando a farlo - che il suo unico intento era quello di affidarsi a chi avrebbe avuto più sangue freddo di lui. In quelle circostanze, seppur nel pieno della prima vera reazione dopo settimane di nulla, il panico ha avuto la meglio su ogni parte di sé. Lasciarsi però vincere da quella codardia non avrebbe fatto altro che danneggiare entrambi, Helena in particolar modo, e questo non poteva permetterlo. Ripone poca fiducia nei suoi tentativi di rassicurarlo, annuendo solo per darle man forte, fingendosi convinto ed in linea col suo pensiero. Chissà se ne è realmente certa o se si celi paura anche sotto i suoi balbettii stanchi ed imprecisi. Dinanzi alla sua richiesta, subito dopo, si dimostra invece realmente interessato, pronto a concederle il trattamento di cui ha bisogno, soprattutto alla luce delle rivelazioni appena rivoltegli, per le quali si costringe a soffocare l'impellente furia che l'idea quell'essere ignobile del Volhard possa vincere su di lei, dopo tutto ciò che le ha portato via, scatena dritto dentro di sé. Sospira, impegnandosi per ammorbidire nuovamente la propria mascella e mostrarsi cauto, calmo ai suoi occhi. 'Farò di tutto perché non lo sappiano.' Così è lui che avanza rassicurazioni nei suoi confronti, costantemente riaffermate dall'andamento lento e delicato delle sue dita sulla sua guancia, poi sulla sua mano che le stringe insistentemente. 'Siamo io e te.' Sussurra a pochi centimetri dal suo viso, in intenti teneri e pregni di un affetto che non gli è familiare, di una naturalezza che lo stupisce e lo fa sentire comunque bene. 'Saremo sempre io e te.' Porta la mano dell'altra sotto il suo viso, imprimendovi sul dorso le labbra riempite di quell'amore inspiegabile che non può fare a meno di provare per lei. E sorride vagamente, quando il desiderio di baciarlo, come esemplificazione del benessere che hanno condiviso in passato in ogni forma possibile ed inimmaginabile, viene sussurrato alla sua volta. Una mancanza reciproca che il Chesterfield patisce da tempo, nonostante tenda a non porvi l'attenzione, soprattutto per non incasinare anche di più la mente, la vita frenetica di una ragazza troppo piccola per sopportare un mondo crudele come il suo. Per questo si limita a carezzarla, ancora ed ancora, in gesti ripetitivi che non diventano mai monotonia, mentre le si rivolge con tono pacato e comprensivo. 'Manca anche a me.' Una confessione che viene fuori con altrettanta spontaneità. Si chiede, Mason, se lei se ne ricorderà una volta tornata in sensi. Perché starà meglio. Deve. 'Adesso però devi riposare, non affaticarti.' Un invito a smettere di sollevarsi, di sforzarsi, di pensare a cose che possano spossarla ulteriormente. Quanto sarebbe facile passare dalle sensazioni positive che quei ricordi portano a galla all'oceano di negatività che ne sono derivate in seguito? Non vuole che accada. 'Ti porto un bicchiere d'acqua, ok?' Rilasciato un altro bacio sulla sua fronte, fa per scivolare via dalla sua presa e dirigersi verso la cucina arrangiata nella stanza adiacente, per recuperare l'acqua come per sollecitare il guaritore non ancora sopraggiunto. Vuole vederla stare bene e vuole che accada il più presto possibile.


     
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    Sorrise probabilmente senza nemmeno rendersene conto. La sua rivelazione le fece bene in quel momento, sebbene non ne capisse realmente il motivo. Era già il fatto di averlo accanto però a tranquillizzarla, a calmare i suoi nervi tanto che persino lo sfarfallio incessante delle lampadine cessò.
    «Okay.» Biascicò con il volto disteso, e le guance ancora rosse di febbre. Annui debolmente mentre, accoccolata sul fianco, col volto verso la finestra, attendeva Mason fare il suo ritorno.
    Rimase in quella posizione a fissare gli alberi oltre il vetro per quello che le sembrò un tempo lunghissimo. Aveva gli occhi mezzi chiusi, lucidi e brucianti di stanchezza.
    Fu però proprio in quel momento che vide qualcosa che ebbe il potere di farla drizzare a sedere con uno scatto. Vide tra gli alberi, delle figure muoversi in modo lento, quatto, come di chi si stava preparando ad un attacco. E, sebbene non propriamente in sé, le sembrò di riconoscere il profilo di uno di quegli uomini così vicini alla loro casa.
    Col cuore in gola, scattò in piedi. «Mason.» Chiamò il suo nome con un sussurro quasi inudibile, mentre avanzava lungo il breve corridoio. Il cuore le batteva così forte che lo sentiva rimbombare come un eco nelle sue orecchie. «Mason!» Stavolta lo urlò, mentre ansante arrivava da lui. Le sue mani tremavano mentre si aggrappavano a lui. Strinse il pugno contro la sua maglietta, cercando di attirarlo a sé, lontano dalla porta.
    Pinky, spaventata quanto la sua padrona, aveva preso a mugolare appiattendosi contro la parete. «Dobbiamo andare! Dobbiamo andare via.» Il suo era disperato e concitato. Era chiaro fosse realmente preoccupata per quel che sarebbe potuto accadere di lì a poco. Tuttavia, la sua alta temperatura avrebbe potuto indurre in errore Mason. A causa delle sue condizioni, avrebbe potuto prendere i suoi avvertimenti sotto gamba, e non voleva accadesse.
    Provò a trascinarlo a sé, dalla parte opposta alla porta di ingresso. Faceva forza sulle gambe scoperte, tirandolo via, quasi come una bambina che faceva i capricci per non andare dal proprio dottore. «Ti prego! Muoviti, usciamo dalla finestra. Muoviti!» Ma prima che potesse riuscire ad ottenere un risultato, bussarono alla porta mentre cadeva un silenzio glaciale.
    L'attimo dopo, la porta si spalancò, sbattendo con violenza contro la parete. Di fronte alla visione di quei due uomini, per quanto piccola Helena, si mise dinanzi a Mason, quasi a volerlo proteggere col proprio corpo.
    «Ti fai proteggere dalla tua ragazza, Chesterfield?» Risero. Erano tre uomini e nessuno dei tre sembrava essere lì per chiacchierare.
    Helena lì osservò tremante, ma non si mosse di un solo centimetro, tirando indietro le braccia ed ancorandosi a Mason, quasi a non voler farlo andare via. «Se ti sono rimaste due palle di riserva, possiamo parlare. Senza di lei.» Helena strinse più forte la presa, serrando la mascella. «Oppure possiamo divertirci fintanto che non arriva il capo.» Ed accadde tutto troppo velocemente perchè potessero in qualche modo porre un limite allo scorrere degli eventi. Helena si sentì strattonare e strappare via da Mason con così tanta violenza che le sembrò per un secondo di smettere di respirare. L'attimo dopo però si dimenava senza sosta tra le braccia di uno dei tre, provando a liberarsi per ritornare dal ragazzo. Incapace di arrendersi e priva di controllo. Il cuore a mille ed il respiro mozzato mentre le luci presero di nuovo ad accendersi e spegnersi continuamente.
    Doveva aiutarlo. Doveva fare qualcosa.
     
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    Frazioni troppo svelte di avvenimenti che si susseguono in un ordine caotico. Percepisce il richiamo agitato di Helena ed il vederla piombare alle sue spalle prima ancora di potersi dirigere verso la camera lo catapulta in un nuovo stato di preoccupazione che lo pone inevitabilmente sull'attenti. Cerca di afferrarla per stringerla a sé, trasmetterle un po' di calma che la induca a rilassarsi ed evitare di sentirsi anche peggio, ma la ragazza si dimostra totalmente fuori controllo. 'Ehi, ehi, ehi! Che stai dicendo? Torna a letto!' Sottovaluta la sua irruenza con troppa facilità, affibbiando quell'improvvisa scarica di ansia al suo stato fisico provato e delirante. Non le fa bene muoversi così tanto e tutto ciò che il Chesterfield vuole è riportarla a letto ed aspettare che si addormenti, recuperando quei pochi attimi di quiete che il destino gli ha concesso. Scoprire che non si trattasse che di un inganno antecedente un caos senza pari, lo spinge a sentirsi nuovamente misero. Non solo per non aver colto i suoi disperati tentativi di mettersi in salvo, di salvare lui stesso, ma anche per averla esposta ad un rischio anche maggiore di quanto non sia già capitato. Perché adesso lei è qualcuno, qualcuno di importante per Mason e questo la cataloga come un bersaglio da colpire, potenzialmente da distruggere. Quando la porta si spalanca e gli uomini di Hubert fanno irruzione nell'abitazione, la reazione di entrambi è istantanea: lei gli si mette davanti, in un incosciente tentativo di proteggerlo, mentre lui la stringe forte a sé, cingendola con le braccia e cercando di riportarla, tra un'imprecazione e l'altra, alle sue spalle. Tentativi che si riservano l'un l'altra con insistenza, mentre i tre uomini dinanzi a loro li puntano inevitabilmente come prede. Sono in trappola, ma non permetterà loro di fare del male alla ragazza. 'Andate via o vi giuro che non uscirete vivi da qui.' Nonostante il tono calmo e la mascella rigida, la sicurezza ostentata non ha niente a che vedere con le mille sensazioni che attraversano il ragazzo. Non è solo la paura dei ricordi legati a quei volti ostili, arroganti e velati di familiare delinquenza, quanto la possibilità che possano mettere le mani sulla piccola Haugen. Questo lo spinge a nasconderla finalmente dietro la propria schiena, con una convinzione che non ammette repliche, lanciandole poi uno sguardo serio ed altrettanto sicuro. 'Vai in camera.' E ci spera davvero, per quei pochi secondi, che lei segua il suo comando. Di nuovo, però, la meschinità di quel mondo marcio da cui non sembra riuscire a fuggire, lo attacca con l'intento di annientarlo, risucchiandolo in una situazione che manda allo sbaraglio il suo autocontrollo. In un attimo, uno di loro ha già attorcigliato le proprie vili braccia attorno al corpo dimenante di Helena, mentre il codardo duo rimanente si occupa di servire una punizione al Chesterfield. 'Toglile le mani di dosso, pezzo di merda!' Non può fare a meno, mentre tenta inutilmente di sfuggire alla presa e alle percosse violente dei due scagnozzi, di rivolgere completamente la propria attenzione all'altra. Vederla ingabbiata in quella presa pavida gli manda il sangue al cervello. Deve salvarla, liberarla da quell'ingiustizia, ma i tre uomini sembrano aver fatto troppo bene i conti. Braccato e pestato, ancora in piedi, si slancia verso la ragazza. Va avanti per un po', finché non riesce appena a sfiorare la sua mano, ad agguantarla malamente nel tentativo fallimentare di attirarla e sé e portarla in salvo. I due alle sue spalle, però, lo trascinano nuovamente indietro con forza disumana, scaraventandolo dritto sul pavimento. Gli occhi ancora insistentemente puntati sulla figura di Helena, le braccia e la schiena dolenti sotto la scarica di pugni e calci che riaprono vecchie ferite inferte da loro stessi. La luce torna ad essere intermittente, l'ambiente trema. Ed è proprio quello a restituirgli la forza necessaria, ad indurlo a reagire con violenza anche più disumana di quella che gli viene riversata contro. Così, in una scarica d'adrenalina che placa i dolori provati, tira i due uomini sul pavimento e li assale con pericolosa violenza, composta di quelle fattezze che non avrebbe permesso ad Helena di vedere in altre circostanze. Ciò che conta adesso, però, è proteggerla e non c'è ragione che tenga nella mente compromessa del Chesterfield. Così, i più estremi dei suoi istinti, si scagliano contro i due uomini in colpi mortali che perdono d'efficacia, perché per natura, due contro uno, è uno scontro di cui le sorti sono già inevitabilmente segnate. 'Vaffanculo, stronzi, vi mando sottoterra!' Una minaccia al vento, mentre un'ultima scarica di violenza che lo stordisce lo rimanda al tappeto, nuovamente sovrastato dalla vigliaccheria degli uomini di Hubert. La sconfitta, quella definitiva, sembra più vicina che mai.


     
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    Vedere Mason vittima di quella violenza, non riuscì a placarla. Vederlo muoversi seguendo gli stessi schemi fu anche peggio.
    Le sembrava di vivere in un incubo. Eppure, nemmeno nei sogni peggiori avrebbe mai potuto immaginare di ritrovarsi a scontare una realtà come quella. E nonostante tutto le sembrasse ancora in parte ovattato a causa dell'alta temperatura che le rendeva difficile ora anche articolare parole, sembrava comunque far schifo da paura.
    Non si calmò tra le braccia dell'uomo che la tratteneva stringendole forte le mani sulle braccia. Continuò a muoversi urlando il nome di Mason, mentre provava a liberarsi per raggiungerlo. Per aiutarlo.
    Quando poi lo vide contorcersi sul pavimento perchè vittima di una cruciatus, trattenersi le sembrò essere diventato impossibile. Si mosse con più decisione ed enfasi, provando a sgattaiolare da quella presa che le sembrava essere diventata asfissiante.
    L'uomo, di rimando, la strattonò così forte facendo forza sul polso sottile. Il sonoro crack che ne seguì e l'urlo della Haugen, avrebbe fatto raggelare il sangue di chiunque. Di sicuro la sua incapacità di adeguarsi agli ordini di rendersi mansueta, infastidivano gli uomini lì presenti, che provarono di nuovo a sedarla.
    Un altro dei tre le si avvicinò per trattenerla, vista la difficoltà del compagno. Quando però le sue mani si strinsero sulle sue cosce, fu impossibile per Helena mantenere la presa sulla propria lucidità.
    Per un attimo, si ritrovò ad osservare con occhi lucidi e colmi di paura l'uomo che provava soltanto a bloccarla. Quella presa però, il dolore provato e la condizione ben lontana dalla calma di cui avrebbe necessitato in quel momento, la spinsero a reagire con inaspettata prepotenza.
    Si mosse velocemente, riuscendo a colpire con una testata uno, e a sgusciare via dalla presa dell'altro.
    Ed anche se in lacrime, anche se terrorizzata, la prima cosa che fece liberatasi di quella presa, fu saltare sulle spalle dell'uomo accanitosi contro Mason, mordendogli con ferocia il collo fino a sentire il classico sapore ferroso sulle labbra.
    Quando Helena fu scaraventata di nuovo sul pavimento, senza fiato, le sembrò di aver perso ogni chance di ribaltare la situazione. Vide i suoi polsi bloccati da spesse funi, e la stretta sull'osso spezzato, sulla pelle ormai violacea, la fece gemere.
    A Mason doveva essere spettata una sorte simile.
    «Fai un'altra cazzata Chesterfield, e non sarai tu a morire. E dì alla mocciosa di stare buona.» Riuscì comunque a sgusciare fino a Mason, contro cui si appiattì in barba agli uomini ansanti che si sedevano stanchi sul divano, convinti che l'averli legati e minacciati potesse loro concedere una pausa, mentre attendevano, come avevano detto, l'arrivo del loro capo.
    E furono il panico che scaturirono da quella rivelazione, insieme al dolore provato, ad indurla a lacrime silenti e rabbiose. Il corpo tremante, una mano a stringere la maglia di Mason. Non lo avrebbe lasciato che glielo portassero via. Non senza combattere, e questo era ormai chiaro.
     
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    E' difficile farsi un'idea di ciò che succede attorno sotto l'effetto di un cruciatus. Le immagini sembrano arrivargli sbiadite, ad intermittenza tra il chiarore dell'abitazione e l'oscurità della casupola in cui è stato attaccato settimane prima. Traumi incalzanti che si mescolano violentemente col dolore provato nel presente, fino a quando non sembrano averne abbastanza. Si contorce sotto la pesantezza dell'uomo chino su di lui, poi vi si dimena nel tentativo di liberarsi ed attaccarlo ancora. E' l'urlo raggelante di Helena a ridestarlo da quello stato di debolezza, in contemporanea ad un suono fratturante che riconosce fin troppo bene. Mantenere la calma sarebbe utopico per chiunque. Per lui, che di pazienza ne ha già poca, la reazione spropositata è inevitabile. 'Vi ammazzo, bastardi! Lasciatela!' E' solo adesso che riesce a liberarsi dalla presa dell'uomo, scaraventato con forza disumana sul pavimento. Sente di avercela fatta, di essere finalmente riuscito a caricarsi abbastanza da batterli e trascinare via Helena, ma la tempestività con cui quel tipo di gente, mai impreparata, agisce, blocca sul nascere ogni suo intento. Riesce appena ad agguantare il vile intento a braccarle le gambe e caricare massicce ginocchiate sulla sua schiena, prima di essere nuovamente trascinato indietro. Delle spesse funi gli si attorcigliano all'addome sino a togliergli il respiro, costringendolo ad accasciarsi sul pavimento, a rimanere nuovamente vittima della furia di chi non ha evidentemente accettato l'idea di essere stato abbattuto da un ragazzo ferito e con molta meno esperienza. Una minaccia viene sibilata con solida cattiveria verso il Chesterfield. A fatica riesce a dirigere uno sputo pregno di disprezzo verso il volto del suo aggressore, prima che la furia di quest'ultimo si scagli dritto contro la sua gamba. Crack. Un secondo ingiusto rumore che squarcia l'ambiente di quell'abitazione. Mason non urla, in parte perché abituato a sopportare dolori di tale atrocità, un po' per non scorgere linee di soddisfazione e vittoria nei volti dei tre uomini attorno a loro. Di nuovo, non rivolge alcuna confidenza all'uomo che lo sovrasta e che continua a caricare pugni e calci violenti sulla gamba ferita, sull'addome legato, sul volto grondante di viscido vermiglio. Lo sguardo si punta sul corpo di Helena, che si dimena con una forza incredibile per sfuggire dalle grinfie degli altri due. E ci riesce persino, seppur le tocchi pagarne le conseguenze l'attimo dopo. Conseguenze che Mason osserva con un macigno nel cuore, atterrito, disgustato e colto da un senso di vigliaccheria che lo annienta. Striscia di rimando verso di lei, le funi sul torso leggermente allentate, nuove corde a stringergli prepotentemente i polsi nello stesso modo che è spettato alla ragazza. La accoglie accanto a sé, passando le braccia attorno al suo corpo e stringendola a sé malamente, ma con energia. Il senso di colpa lo annienta, mentre le lascia nascondere il volto contro il suo petto costretto. 'Siete carne morta... falliti.' Sibila debolmente verso i tre scagnozzi, ormai affaccendati in tutt'altro, pieni di orgoglio per aver ricomposto l'ordine delle cose. Sputa un grumo di sangue e saliva alle proprie spalle, prima di chinare di nuovo il capo verso Helena, ancora stretta a sé. 'Ti avevo detto di tornare in camera.' Sussurra a voce bassa, impastata, sofferente. Le aveva promesso che mai nessuno le avrebbe fatto del male e che quel mondo marcio non l'avrebbe più portata a soffrire ed invece, ancora una volta, ha dato dimostrazione di quanto pessima e tossica sia quella vicinanza per lei, cresciuta in una realtà completamente diversa. Deglutisce, mandando giù un groppo alla gola di senso di colpa e paura. Le resta accanto, proprio come lei stessa ha fatto sino a pochi istanti prima, battendosi per lui. Per loro. Ad occhi chiusi, con la fronte poggiata sulla sua testa, reprime il dolore liquido che gli incrina la voce. 'Mi spiace così tanto, piccola.' Ed è così che resta in attesa di ciò che gli spetta, di qualunque cosa si tratti. E' fuggito dalla presenza di Hubert come un topo che scappa via da un gatto, ma adesso non si tratta più di proteggere se stesso. Per proteggere Helena, ha bisogno di venire a conti fatti col fautore di tutto quel disastro e lo affronterà, con ancora più coraggio di quanto non ne abbia dimostrato in passato. Più forte della paura, è l'amore che prova per lei.


     
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    Ci avevano messo un po', ma alla fine erano riusciti a scovare il punto in cui Mason si nascondeva. Era bastato seguire quella ragazzina e cercare i suoi contatti. Una volta al nord, avevano soltanto aspettato ed una volta intercettato il patronus di Mason, tutto era diventato semplice. I suoi uomini si sarebbero occupati di arrivare a destinazione e tenere il piccolo Chesterfield occupato mentre Hubert avrebbe preso la prima passaporta disponibile per raggiungerli. E così fu.
    Quando però aprì la porta di quella casa modesta, per cui alla vista aveva provato anche un po' di disgusto, e si ritrovò dinanzi Mason conciato ad uno straccio, non aveva potuto trattenere il proprio nervosismo.
    “Che diamine è successo qui?” Chiese, sbattendo la porta alle sue spalle. Zoppicò verso i tre uomini comodamente seduti sul divano a mangiucchiare roba e a fumare che scattarono in piedi alla vista del loro capo. Provarono a giustificarsi, ma sul volto di Hubert era ben palese il nervosismo. “Vi avevo detto di tenerlo impegnato, non di conciarlo così! Chi è stato?” Continuò, battendo poi il bastone forte sul pavimento. “CHI E' STATO?” Urlò stridulo e nervoso.
    Mason era scappato, voltandogli le spalle, ma era ancora suo figlio. Aveva ancora il suo cognome. E nessuno avrebbe potuto ridurlo a quel modo senza il suo consenso.
    Così, quando impietriti gli uomini, avevano puntato il dito su uno dei lori compagni, la reazione fu immediata: il fascio di luce verde si diresse verso l'uomo, che cadde all'indietro.
    Sbuffò scocciato mentre afferrava la sedia, trascinandola sul pavimento per condurla fino al punto in cui sedeva Mason e la ragazza che sembrava svenuta o addormentata.
    Gli lanciò uno sguardo, prima di sospirare.
    “Mi dispiace. Ci sono stati dei fraintendimenti. Ora chiameremo un guaritore che possa occuparsi di voi.” Gli disse, poggiando entrambe le mani sul manico del bastone.
    “Prima però, dobbiamo parlare. Da soli.” Aggiunse poco dopo, richiamando i due uomini rimasti e facendogli un cenno. “Portate via la ragazza.”
     
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    Le palpitazioni al petto sembrano essere l'unica cosa a mantenerlo sveglio. Stremato dai dolori e dalla fatica dello scontro precedente, se ne sta semidisteso sul pavimento, sussurrando inutilmente come una lacerante cantilena richiami alla ragazza stretta a sé, immobile e ad occhi chiusi, con appena qualche sospiro che ogni tanto sfugge dalle sue narici. A rompere quel quadro di disperazione e sofferenza è l'entrata in scena di Hubert, giunto nell'abitazione coi suoi soliti modi eccentrici ed il suo isterismo che non riesce a placare Mason, neanche nel vederlo rivolgere i propri rimproveri ai tre mastini improvvisamente ammansiti. Stringe Helena ancora più a sé, coprendole gli occhi come per paura possa riaprirli da un momento all'altro ed assistere a nuove manifestazioni di una realtà troppo crudele da accettare. Lui invece segue tutto, ogni parola, ogni gesto, ogni anomala traccia di affetto che sembra straordinariamente unire ancora Hubert a lui. Lo accoglie, però, con sguardo duro, impossibilitato a riporre fiducia alcuna in lui dopo le torture a cui lo ha, direttamente o meno, costretto. 'Ti dispiaceva anche la prima volta?' Biascica spaesato, in un riferimento vago ai soprusi subiti che si aspetta l'uomo riesca a cogliere. Si concentra tuttavia ben poco su se stesso, recuperando una reattività maggiore nel momento in cui l'ordine di portare via Helena si palesa alle sue orecchie. La stringe con ancora più insistenza, mentre affronta il padre con occhi anche più ostici. 'Io non parlo con te se prima non mi assicuri che non le faranno del male.' Categorico, deciso come mai lo è stato prima. Preferirebbe morire lui stesso se garantisse alla ragazza di essere finalmente al sicuro. Spera non sia necessario arrivare a livelli di tale estremità, visti gli scorci di disponibilità nell'intrattenere un dialogo. Questo lo induce ad ammorbidire appena i lineamenti del proprio volto, ristabilendo con l'uomo parte di quel rapporto apparentemente perduto che hanno condiviso per anni, in suppliche che non ha mai avuto il coraggio di rivolgergli fino ad ora. 'Ha bisogno di cure, subito.' Riflesso nelle sue iridi scure, il confronto avuto mesi prima sul divano del proprio salotto. Entrambi col cuore a pezzi, per l'una o per l'altra ragione, si sono ritrovati simili. Così spera che Hubert possa dimostrare, anche in modo celato, l'empatia di cui Mason ha disperatamente bisogno. 'Ti prego.' Si affida a lui, perché non gli resta altro che questo.


     
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    In situazioni differenti non avrebbe mai acconsentito ad accettare compromessi, non era nella sua natura. Nel notare però le suppliche di Mason ed il modo in cui stringeva la ragazza, come deciso a non lasciarla andare, capì quanto fosse inutile un approccio duro nei suoi riguardi. Se lo rivoleva con sé, e lo voleva, avrebbe dovuto fare ricorso a tattiche differenti.
    Si voltò quindi verso i due uomini, richiamandoli a sé, deciso.
    “Avete sentito. Portate qui un guaritore. Ora.”

    Il guaritore che avevano intercettato, era finalmente arrivato. Era stato prelevato con la forza e condotto lì ad occuparsi della ragazza adagiata sul divano, in modo che Mason potesse assistere alla visita. Era stato somministrato a lei e a Mason dell'ossofast che avrebbe impiegato tutta la notte a fare effetto, ed inoltre alla ragazza era stata fatta ingurgitare una pozione per placare la febbre, con la raccomandazione di una seconda dose la mattina successiva insieme a tanto riposo e tranquillità, dettaglio che il guaritore aveva tenuto a sottolineare visto il posto e l'evidente scontro che c'era stato.
    Quando se ne fu andato, dopo aver risposto la ragazza nel letto nell'altra stanza la cui porta era stata lasciata aperta per Mason, Hubert aveva cacciato via i suoi uomini in modo che potesse restare solo col ragazzo.
    Attese qualche momento prima di decidersi ad intervenire. Invitò Mason, libero dalle corde, a sedersi su una sedia mentre gli porgeva un panno imbevuto di disinfettante per le ferite sul volto.
    “Sono venuto qui per porti le mie scuse.” Interruppe così il silenzio, mentre lo guardava. Immaginava che l'altro non si sarebbe aspettato una tale rivelazione, ma Hubert avrebbe fatto di tutto per riavere ciò che era suo.
    “Non sono stato io ad ordinare che ti facessero quel che ti hanno fatto. Non in quel modo, ecco.” Ed era in parte vero. Aveva indubbiamente detto ai suoi uomini di indurre Mason a ripensare ai suoi errori, ma non si era preso la briga di specificare loro di non fargli del male. Sperava Mason ne sarebbe uscito più forte. Forse però aveva calcato la mano.
    “Quello che sono venuto a chiederti è di tornare a casa.” Annuì, guardandolo. Aveva investito tanto su di lui e non era disposto a lasciarlo andare.
    “Ho bisogno di te al mio fianco. La mia spalla.
     
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    Avverte uno strano calore nel petto quando Hubert accondiscende alle sue condizioni, così come accoglie le sue suppliche senza battere ciglio. Mai c'è stata occasione, in passato, di dedicarsi reciprocamente a premure simili, guidati da meccanismi di timoroso rispetto che hanno sempre posto un necessario distacco nel loro rapporto genitore-figlio, al punto da vedere la figura paterna più come un mentore, una guida da cui imparare, senza pretendere affetto. Invece ha accettato di curare Helena ed anche lui è stato oculatamente visitato, provando già un sollievo assai più consistente rispetto alle cure minime che era riuscito a ricevere negli ultimi tempi. Persino i fastidi legati alle cicatrici sembrano essersi quietati quasi del tutto. Il lavoro più grande, però, lo fa la sicurezza dei provvedimenti presi nei riguardi della ragazza, ormai al sicuro nella stanza accanto, col polso fasciato e la temperatura pronta ad una discesa che la aiuti a riprendersi in fretta. Questo permette a Mason di porre un pizzico di fiducia in più tra le mani di Hubert, dinanzi a cui siede, zoppicando a fatica verso la sedia da lui posta nel soggiorno, con aria più recidiva, meno maldisposta. 'Grazie.' Sussurra appena, una volta rimasto solo con l'altro. Lo osserva di sottecchi, le braccia incrociate al petto in un inconscio tentativo di protezione, labbra serrate ed orecchie in ascolto. 'Ti hanno messo al corrente di tutto ciò che mi hanno fatto?' Sarebbe persino disposto a mostrarglielo, pur di comunicargli quanta incidenza quel pessimo trascorso abbia avuto su di lui e sulla sua psiche. 'Lo sapevi che se non li avessi controllati avrebbero fatto un po' il cazzo che gli pareva.' Solleva adesso lo sguardo, puntandolo dritto contro quello di Hubert. Triste. Deluso. Ferito. 'E mi hanno massacrato.' Non vuole affibbiargli completamente la colpa di quell'accaduto, ma Hubert non è un uomo che si permette errori di calcolo, così come non è il tipo che torna indietro. Ancora timoroso ed incerto, non manca di dimostrare la propria perplessità, anche dopo le cure ricevute. Anche dopo quelle riservate ad Helena. 'Perché mi rivuoi con te? Sono stato io a fallire e scappare.' Deglutisce, il dispiacere si rimescola con la paura, scagliandosi dritto nei suoi occhi stanchi, avviliti. 'Io non voglio tornare indietro.' Rischia fino alla fine, guidato dall'unico motore che l'abbia spinto a cercare una svolta alla propria esistenza. Lo stesso che riposa nella stanza accanto, dopo una convivenza dura ma persistente e sincera.


     
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    “Gran parte.” Ovviamente ne era venuto a conoscenza. Alcuni dettagli erano stati volutamente rimossi dai suoi uomini ma Hubert conosceva bene le dinamiche di situazioni come quelle e sapeva quanto oltre potessero spingersi uomini violenti lasciati liberi di agire su una presa qualsiasi. Avevano dovuto sfogare la propria frustrazione su Mason con grande gioia ed Hubert glielo aveva lasciato fare.
    “Lo so.” Aggiunse poco dopo, stringendo le labbra. Non era semplice per un uomo come Hubert chiedere scusa, ma stava provando a farlo, sebbene senza dirlo chiaramente.
    “Non è che non te lo meritassi ma... mi dispiace.” Aggiunse poco dopo, stringendo più forte la presa sul manico del suo bastone.
    Sospirò.
    Sapeva che sarebbe stato riottenere la fiducia di Mason, e sapeva che se avesse voluto riaverlo con sé avrebbe dovuto fare leva su una ferita rimasta aperta negli anni.
    Ed era proprio quello che avrebbe fatto.
    “Lo capisco. Ti senti tradito e ne hai tutte le ragioni ma quando ti ho preso con me ho giurato di proteggerti ed è per questo che sono qui. Non sputo sui miei doveri.” Annuì, guardandolo.
    “Ho giurato di proteggerti da chi ha sterminato la tua famiglia.” Grattò un sopracciglio con fare nervoso, prima di prendere un respiro e poi continuare.
    “So chi ha ucciso i tuoi genitori, Mason. E se torni con me, io ti assicuro che ti darò tutto il mio appoggio affinché tu ottenga giustizia.” E lo sapeva sul serio. Le persone che gli avrebbe dato in pasto erano in parte colpevoli di ciò che era accaduto a Mason. Il vero omicida però ce l'aveva sempre avuto davanti. Un segreto quello che Hub si sarebbe portato nella tomba.
    “Mi sembra l'unico modo per sdebitarmi.” Aggiunse poco dopo.
    “Ti dirò comunque chi è stato se non vorrai tornare ma aiutarti da lontano sarà difficile.”
     
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