Rolling in the deep.

Privata; Samael.

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    Lasciatami Lilith alle spalle, non avevo smesso di camminare. Avevo l'impressione di aver marciato per ore, ma non sapevo con certezza da quanto tempo mi stessi muovendo senza meta né destinazione per la tenuta della scuola. Non mi interessava scoprirlo, ad ogni modo. Quello che proprio non riuscivo a smettere di fare era pensare. A Lilith, al bambino, ai motivi che spingevano l'intero Universo a mettermi i bastoni tra le ruote ogni fottuta volta che - in lontananza - scorgevo un po' di luce.
    Accesi la quarta sigaretta della serata (le altre non ero sicura di averle fumate, o mangiate) senza nemmeno fermarmi e continuai a camminare quando vidi il Castello farsi più vicino difronte a me. Era tardi e sarei dovuta rientrare in dormitorio, prima o poi, ma il pensiero di dormire nel posto dove avevo passato la maggior parte del tempo con Lilith negli ultimi mesi mi dava il voltastomaco. La mia nausea fu accentuata, poi, dalla vista di qualcosa, o meglio qualcuno la cui vista mi costrinse a bloccarmi sul posto con la sigaretta tra le labbra: Samael era a pochi metri da me e chiacchierava spensierato con il fratello, inconsapevole del disastro che aveva combinato. Lanciai il mozzicone lontano da me e senza nemmeno contare fino a dieci, partii sparata nella sua direzione, digrignando i denti. Coprii i primi dieci metri in totale silenzio. In un'altra situazione gli avrei spaccato il naso, ma le voci che correvano sul suo conto mi costrinsero a giocare d'astuzia. Sfilai la bacchetta dalla felpa e - quando la distanza tra noi si ridusse al punto da sentire quello che diceva - senza nemmeno fermarmi, parlai. Ehi tu, stronzo!. lo apostrofai, allungando il legno difronte a me proprio mentre urlavo rabbiosamente: Stupeficium.
    Ero pronta a qualsiasi cosa. E se le voci sui due erano vere e mi ero messa in un gran casino allora bene, perché vendicarmi, in quel momento, era l'unica cosa che avevo ancora la libertà di fare.
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    Era quasi giunta l'ora di rientrare nei dormitori, ma insieme ad Aiden mi ero intrattenuto più del solito nella tenuta attorno alla scuola. Dovevo aggiornarlo su tutto ciò che stava succedendo con Priyanka, della storia del filtro e degli effetti che aveva avuto su di lei.
    "Forse una speranza c'è." Mi ritrovai a dire, stranamente positivo a riguardo. Erano già tre notti che riposavamo tranquilli, senza alcun genere di incubo: io non dormivo comunque come un tempo, e forse non avrei dormito profondamente finché non fossimo riusciti a trovare una soluzione definitiva, ma di certo riuscivo a sentirmi più rilassato di prima, giorno dopo giorno.
    "Piuttosto, che posto hai scelto per quel weekend con Sophie?" Domandai, cambiando argomento e ammiccando quanto bastava. Non è che mi interessasse il posto in sé, ma dovevo essere aggiornato: aveva accettato di passare due giorni con lui? La riuscivo a vedere, la disperazione negli occhi di Aiden. Quella ragazza lo stava facendo patire più di quanto fosse umanamente tollerabile. Lo avrebbe dovuto fare santo, probabilmente.
    "Ehi tu, stronzo!" La voce di una ragazza mi raggiunse alle spalle e dallo sguardo di Aiden capii che si stava rivolgendo a me. Mi voltai e, prima che potessi fare o dire qualsiasi cosa, mi ritrovai a volare via, scagliato a diversi metri di distanza dal suo Stupeficium.
    Ero a terra, confuso, e ci misi qualche secondo prima di ricollegarmi del tutto con la realtà. Cosa diavolo stava succedendo?
    Strinsi gli occhi e li sbattei più volte, per mettere nuovamente a fuoco ciò che mi circondava. Non appena riuscii a sentire i miei sensi tornare alla normalità, finalmente mi sollevai e mi voltai di scatto verso la Pierce.
    Sentii improvvisamente salire in me quella rabbia che avevo abbandonato da tempo, ma che non faticai a riconoscere. Ci avevo convissuto troppi anni, per rimuoverla totalmente nel giro di qualche mese. Potevo controllarla, ma non eliminarla.
    Serrai i denti e mi avvicinai a lei, con passo deciso, almeno quanto il suo. "Che cazzo di problemi hai, ragazzina?!" Ringhiai ad un palmo dal suo naso, fissando gli occhi nei suoi, con fare ben poco amichevole.
    I pugni erano serrati, nel tentativo di sfogare su di me tutta la rabbia innescata da quello schiantesimo totalmente gratuito. Se c'era una cosa di cui mi sentivo certo, era di non aver commesso nessun genere di stronzata che giustificasse un approccio del genere. Specialmente da una persona con la quale non avevo mai avuto niente a che fare, prima di allora.
    Se avessi avuto di fronte a me un ragazzo, con ogni probabilità non mi sarei trattenuto in nessun modo, ma per sua fortuna era una donna, ed io mi ero ripromesso di attaccare il cervello, prima di agire.
    O almeno quelle erano le mie intenzioni iniziali.
     
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    Sono contento per loro, Sam poi si sta impegnando davvero tanto per risolvere questa questione.
    -In Irlanda- gli dico senza troppi giri di parole – e non fare quella faccia, tanto non cambio idea, mi dovessero scoppiare le palle, finchè non è totalmente convinta non farò niente che possa metterla in imbarazzo- e me lo può ripetere all'infinito che sono un coglione, fa niente insomma.
    Tanto non lo sono veramente.
    O almeno penso.
    Vengo distratto da una ventata di aria funesta.
    Inizialmente penso che la Pirce ce l'abbia con me, dico che ha da spartire con Sam?
    -Ma ti sei scopato anche lei?- così chiedo, insomma sta proprio nera .. così nera che lo schianta direttamente.
    Sono al quanto basito, di conseguenza poco reattivo, ma sto per chiederle che accidenti abbia quando è Sam a superarmi ed è visibilmente incazzato nero.
    -Oookay ragazzi, time out, stiamo tutti calmi- mi rendo conto che manca davvero molto poco prima che si dimentichi il codice d'onore, mai alzare le mani su una donna.
    -Wo wo wo CALMI TUTTI, che succede qui eh? Conviene spiegarti perchè non è molto paziente, con giusta ragione- voglio dire, lo ha appena schiantato.
     
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    Vedere Samael era stato come buttare benzina sul fuoco. Se davanti a Lilith avevo tentato di limitare i danni - fallendo miseramente, tra l'altro - non avevo motivo di farlo pure con lui. Samael non era l'unico colpevole in tutta quella storia. D'altronde per andare a letto con qualcuno si deve essere in due e nessuno aveva costretto Lilith a fare quello che aveva fatto. Ma il pensiero di quel bambino e di come ci fosse finito, nel ventre della Owen, mi mandava in bestia. Non c'era ragione che tenesse, nessuna logica nelle mie azioni. Avrei dovuto accettare la situazione, farmene una ragione, ma non riuscivo a collegare due pensieri, come avrei mai potuto recuperare la mia lucidità? Semplicemente, non potevo.
    Continuai a tenergli la bacchetta puntata contro persino quando Samael si fece minacciosamente vicino. Gli premetti il legno nel collo e puntai lo sguardo nel suo, digrignando i denti. Pochi centimetri ci dividevano. Se non fosse stato per la voce di Aiden, il quale al contrario di noi altri era più calmo e ragionevole, lo avrei colpito, ma mi limitai a tirargli uno spintone rabbioso che lo fece barcollare appena e mise tra noi la distanza necessaria per tornare a stendere la bacchetta difronte a me. Fai davvero schifo. sputai, facendo una pausa durante la quale strinsi la mascella tanto da sentirne il dolore. Spostai poi lo sguardo sull'altro, il Grifondoro. Perché non fai un applauso a tuo fratello, mmh? La sai l'ultima? No? gli domandai, rivolgendomi di nuovo al Serpeverde. Questa testa di cazzo ha messo incinta la mia ragazza. dissi col tono di voce più normale possibile, ma approfittai della confusione di Samael per agitare di nuovo la bacchetta. Diffindo. sussurrai con rabbia, mentre la vista mi si appannava per la seconda volta, una patina di lacrime che non avrei lasciato cadere, non davanti a loro. COME CAZZO HAI POTUTO. urlai, con tutta la voce che avevo. E forse provocare Samael non era il modo migliore per affrontare quel nuovo problema, quell'ennesima difficoltà che la vita decideva di mettermi davanti, però non mi importava. Non mi importava cosa sarebbe successo, una volta che l'altro si sarebbe ripreso dal colpo, perché tutto il dolore che potevo provare mi stava già martoriando e ogni male fisico che l'altro avrebbe potuto provocarmi non sarebbe riuscito ad eguagliare o a superare quello che provavo. Stavo sanguinando dentro e nessuno, nessuno poteva aiutarmi.
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    Mi puntò la bacchetta al collo ed io estrassi la mia, pronto a difendermi da quella stupida ragazzina che aveva scelto di agire nel modo più sbagliato che potesse esserci.
    La voce di Aiden che ci intimava di calmarci e di parlare, prima di fare stronzate, la fece probabilmente desistere, e si limitò a spingermi via per ripristinare le distanze. Non opposi resistenza, per quanto l'unico desiderio fosse quello di ricambiare il favore di poco prima, e mi ritrovai ad indietreggiare di un paio di passi.
    Lo sguardo non si staccò da lei neanche per un secondo, la mascella era serrata e tutto il mio corpo era in tensione, nel chiaro tentativo di controllare quella fottutissima rabbia. Era una donna e aveva ragione Aiden: dovevo quanto meno lasciarle la possibilità di spiegarsi.
    Si rivolse dapprima a lui, per un istante, prima di tornare su di me, pronunciando delle parole che mai mi sarei aspettato di ascoltare.
    "Questa testa di cazzo ha messo incinta la mia ragazza."
    La rabbia venne presto affiancata da altro: ero confuso, e chiaramente shockato. Di cosa diavolo stava parlando?
    Le avrei chiesto se fosse seria, ma dalle sue azioni e dalla sua espressione era chiaro che non avesse alcuna voglia di scherzare, ed era anche piuttosto evidente che fosse del tutto certa di ciò che stava dicendo.
    Fui improvvisamente colto dalla paura.
    Incinta.
    Come avrei dovuto gestire una situazione del genere? Cazzo, quando le cose finalmente sembravano andare per il verso giusto, nella mia vita, ecco che veniva sganciata una delle bombe più grandi che potessero esserci. Non sapevo neanche di chi stesse parlando, e onestamente neanche mi interessava in quel momento. L'unica cosa alla quale riuscivo a pensare, era che avevo rovinato tutto, di nuovo. Avevo fatto un'altra delle mie stronzate, questa volta la più grande in assoluto.
    Una stronzata dalla quale non se ne viene mai fuori bene, se la persona in questione non è la tua donna.
    La bacchetta mi cadde letteralmente di mano, quando quel Diffindo arrivò a lacerarmi la camicia e il petto, lì dove risiedevano già vecchie cicatrici.
    Non ebbi né la prontezza né tanto meno la forza di difendermi perché, ormai, avevo perso completamente il collegamento con la realtà. Il mio sguardo era perso, e quel dolore generato dalla ferita inferta dalla Pierce, fu la scintilla che diede il via a tutto.
    Era della mia paura e della mia rabbia che si nutrì il mostro dentro di me prima di liberarsi.
    In un istante, io non c'ero più: il mio posto venne preso da un enorme lupo, dal folto manto nero, il cui ringhio tuonò nella tenuta attorno al castello.
    Questa volta, però, non c'era nessuno a tenerlo a bada, nessuno a mettere dei freni alla bestia.
    Nessuno che gli impedisse di lanciarsi contro la Pierce e, in un istante, essergli addosso con le peggiori delle intenzioni.
     
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    Cosa avevo in testa mentre provocavo un lican? Il Caos. Ritrovarmi nella situazione di affrontare qualcuno solo per assecondare la mia gelosia era un comportamento che pensavo di aver estirpato dal mio carattere e, invece, eccomi lì, a lanciare incantesimi a qualcuno che poteva uccidermi, potenzialmente. L'autodistruzione era la via che avevo percorso in passato, ma credevo di essere cresciuta, credevo di essere cambiata e migliorata, eppure...
    Dall'espressione spaesata dei gemelli compresi che Lilith non era ancora passata dal Serpeverde per discutere della cosa. Ero stata la prima a cui l'aveva detto ed io l'avevo abbandonata. Un pensiero che non mi aveva sfiorato fino a quel momento, ma che passò presto in secondo piano quando l'immagine di Lili con un bambino non mio si figurò nella mia mente. Scossi il capo e scagliai immediatamente il secondo incantesimo contro il "povero" malcapitato. Nonostante la vista ovattata, riuscii a colpirlo: vidi la luce bianca tagliarli la camicia provocandogli anche un taglio superficiale all'altezza del petto, ma non abbastanza profondo per metterlo fuori gioco, anzi, fu proprio quello ad innescare ciò che accadde subito dopo: il corpo di Samael lasciò spazio a quello di una creatura, un lupo più grosso del normale. Strinsi forte il pugno sulla bacchetta e, quando lo vidi prendere la rincorsa, lanciai degli imprecisi Expelliarmus che non ebbero l'effetto sperato. I sensi del lupo erano più affinati di quelli dell'umano e la sua sete di vendetta era il motore della sua corsa. Fu per questo che, prima che potessi fare qualsiasi cosa, mi ritrovai in terra a dimenarmi contro la bestia. A furia dell'impatto tra quella ed il mio corpo, persi la bacchetta. Vaffanculo, maledetto bastardo! Vattene! urlai scalciando e tenendo le braccia piegate affinché il lupo inferocito non mi colpisse gli occhi. Una mossa poco furba che mi costò cara. Sì, perché mentre mi paravo il viso, l'altro pensò bene di affondare gli artigli nel mio fianco. Il rumore della pelle che si lacerava fu ben peggiore delle mie urla. Non avevo mai sentito un dolore così profondo in vita mia e per qualche istante faticai a respirare. Fu istintivo: mi portai una mano sulla ferita sanguinante e cercai di scivolare indietro, lontano dal mostro che mostrava i denti e minacciava di uccidermi se solo mi fossi mossa ancora di un millimetro. Il passo falso fu quello che feci allungandomi d'improvviso nella direzione della mia bacchetta. Fu allora che fui travolta da un secondo dolore, questa volta al naso. Sdraiata in terra e sanguinante, cercai con lo sguardo di mettere a fuoco ciò che stava accadendo intorno a me, ma quello che riuscii ad udire fu il corpo del lupo allontanarsi dal mio. Dopodiché, le palpebre si fecero pesanti e...buio totale. Persi conoscenza.
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    A volte sono un po' lento a capire le cose, per esempio non capisco per quale motivo Alexis si sta infervorando così tanto con Samael sapendo quello che è e quello che potrebbe rischiare.
    A quanto pare sono l'unico a preoccuparmi che la situazione possa degenerare in un omicidio e non è mio fratello la vittima.
    Vorrei urlargli qualcosa tipo “ma che cazzo le hai fatto?” ma non mi esce fiato, ben presto è lei stessa a darci una risposta e sono sconvolto almeno quanto Sam.
    Porca puttana.
    Subito corro con lo sguardo a Samael che ha appena messo il cervello in off -cazzo- dico e l'unica cosa sensata che riesco a fare prima di buttarmi su di lui è invocare un patronus che vada dritto in infermeria.
    Non li so fare parlare ma so che farà il suo dovere guidando chiunque trovi qui alla tenuta.
    Ed è mentre il lupo argentato fluttua via che mi trasformo in lupo dal manto dorato e sono addosso a Sam giusto in tempo prima che le sue zanne si conficchino nella carne della ragazza, pronte a squarciarle il volto.

    E' con forza che il lupo si abbatte sull'altro, con rabbia e insistenza mentre cerca di sospingerlo verso la foresta oscura.
    Non ci sperò quasi ma alla fine lo vide capitolare, si diedero a una corsa senza respiro.
    Erano uno davanti all'altro inghiottiti dall'oscurità quando gli occhi rossi del lupo nero guardarono oltre le spalle dell'altro che di farlo passare non aveva nessuna intenzione.
    Nè sarebbe tornato umano se prima non lo avesse fatto lui.
    Un ululato che portava con se un messaggio “Ci sono, fratellino, sfogati su di me”
     
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    Il lupo nero agiva in modo del tutto istintivo, impossibile contenere la sua furia: dentro di me lottavo per riprendere il controllo ma sembrava più difficile che mai. Lui era troppo forte mentre io, in quel momento, decisamente troppo debole.
    Una parte di me desiderava assecondarlo, sentiva il bisogno di sfogare su qualcuno quella rabbia. Una rabbia rivolta verso me stesso, verso ciò che era successo, e verso la ragazza che, senza alcun tipo di tatto, aveva scelto di sputarmi contro quella verità che aveva appena rovinato tutto ciò che avevo faticosamente costruito. Ogni piano, ogni tentativo di cercare un equilibrio, di maturare, di migliorare, improvvisamente era andato in frantumi.
    C'era anche un'altra parte di me, quella più razionale, che avrebbe voluto frenarsi, ma l'altra si era unita alla forza e alla determinazione della bestia, che ora schiacciava a terra la Grifondoro.
    "Vaffanculo, maledetto bastardo! Vattene!" Quelle parole non l'avrebbero aiutata in nessun modo. Il lupo non le avrebbe mai ascoltate, mentre su di me avevano solo l'effetto contrario. Aumentavano il desiderio di farle scontare tutto ciò che aveva detto e fatto: lì non ero io il colpevole. Avevo tentato in tutti i modi di trattenermi, ma lei era stata determinata nel raggiungimento di quella stupidissima vendetta che l'avrebbe portata solo alla rovina. Ora, ero io a volerla ferire, esattamente come aveva fatto la Pierce con me pochi istanti prima.
    Non appena sollevò le braccia, gli artigli colpirono il suo fianco, andando decisamente più a fondo di quanto sperassi. Sentivo l'odore del sangue, mi entrava nelle narici ed ebbe un duplice effetto: il lupo se ne nutrì e accrebbe il suo desiderio di affondare i denti nella carne della ragazza, io al contrario venni improvvisamente risvegliato da quella parte più razionale.
    Non potevo farlo. Non potevo uccidere.
    Era una lotta contro me stesso, contro quel bisogno di sfogo, e al contempo una battaglia contro la creatura che aveva preso il sopravvento e quasi mi chiamava a gran voce, per essere appoggiata come un istante prima, in quel colpo.
    Riuscii ad impormi e a fermarla, per qualche secondo, rimanendo immobile sopra la ragazza. Un ringhio sommesso, un avvertimento per lei: doveva restare ferma, non doveva fare stronzate, se voleva sopravvivere. Ma ormai era chiaro che la Pierce non spiccasse in quanto a furbizia, e forse aveva davvero istinti suicidi.
    Decise di tentare di afferrare la bacchetta e, minacciato, il lupo tornò all'attacco senza che questa volta potessi far nulla.
    Un altro balzo sulla ragazza che era scivolata qualche metro più il là, le fece sbattere violentemente a terra il capo. Sotto le zampe, che la mantenevano ferma bloccandole ogni possibilità di fuga, riuscivo a percepire la sua resa involontaria.
    Sentivo ciò che stava per accadere e, per quanto tentassi di riprendere il controllo, fu impossibile: il lupo dischiuse le fauci e puntò dritto alla testa della Grifondoro, pronto a toglierle la vita una volta per tutte. E anche in quel momento, nel profondo, c'era una parte di me che desiderava appoggiarlo in quel suo gesto.
    Fu Aiden a salvare lei e me da quel terribile destino: mio fratello, ora anche lui in forma ferina, mi fu addosso, scaraventandomi a diversi metri di distanza dalla ragazza. Riuscivo a sentire ancora il suo battito: era viva, ma era grave.
    Per la prima volta mi ritrovai quasi ad odiare la mia natura, mentre mi lanciavo contro il lupo dal manto rossiccio, reindirizzando momentaneamente verso di lui quella furia omicida.
    Lentamente, in quella lotta, in quello scontro violento di artigli e denti, ci ritrovammo dentro la foresta: mi stava allontanando dal mio obiettivo primario.
    Così come me ne resi conto io, però, se ne accorse anche la creatura, che fece un ultimo tentativo di raggiungerla, ma fu tutto inutile: Aiden si parò davanti, bloccandogli la strada e fissandolo negli occhi.
    L'ululato che seguì e che riecheggiò in tutta la tenuta e la foresta, fu un chiaro segnale: era lì per me, non per lei. Era determinato ad aiutarmi in quella battaglia contro me stesso e contro le mie stesse emozioni. Era lì per evitare che commettessi il più grande tra i miei sbagli.
    Nell'oscurità, i due lupi continuarono quella lotta a lungo, per un tempo che sembrò interminabile, e senza esclusione di colpi. Varie furono le ferite che si causarono a vicenda, alcune superficiali, altre più profonde.
    Fu solo quando fui distrutto fisicamente ed emotivamente, che la creatura si arrese, ed io riuscii finalmente a riprendere il pieno controllo delle mie azioni.
    Mi fermai, guardai negli occhi Aiden, tirando indietro le orecchie e chinandomi appena sugli anteriori, in posture più morbide, a comunicargli che ero tornato, che ero nuovamente io.
    Solo a quel punto, quando la lotta terminò, mi accasciai a terra e lentamente abbandonai la forma animale.
    Riverso sul terriccio umido, ferito ed esausto, riuscii a sentire persino una lacrima rigarmi il volto. Tutta la mia maledettissima vita era un fallimento: per quanto tentassi di tornare sulla giusta strada, finivo per cadere sempre più in basso, sprofondando nell'oscurità.
    Avevo quasi ucciso una ragazza, quella sera. Una parte di me l'aveva persino desiderato.
    Di cos'altro sarei stato capace?
     
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    Stavo parlando e mettendomi d'accordo sui vaioli di drago da fare ai ragazzi prima che tornassero nelle loro case quando tutti e tre fummo raggiunti da un patronus a forma di lupo.
    Sembrava inquieto ma non portava con se alcun messaggio.
    Lo vidi volteggiarmi attorno, se avesse avuto consistenza mi avrebbe persino fatto indietreggiare per come mi si lanciava addosso.
    Poi fece un balzo e passò oltre la stanza.
    -Torno subito- dissi ai due infermieri incamminandomi con passo celere là dove sembrava volermi condurre.
    E difatti era li, fermo. Si mise a fluttuare non appena lo raggiunsi fino a giungere fuori dal castello, nella tenuta.
    Un ululato squarciò l'aria e il lupo si dissolse.
    Corsi alla vista della ragazza riversa per terra con un fianco sanguinante.
    Era svenuta.
    Non persi tempo, all'ennesimo ululato mi guardai attorno, anche i due medimaghi mi avevano raggiunta, consegnai la ragazza a loro io mi diressi verso la foresta oscura.
    Più avanzavo più dentro di me si venivano a formare i più fantasiosi e coloriti scenari tragici che la mia mente avesse mai potuto partorire.
    Cercai di seguire il suono degli ululati, non sapevo cosa avrei trovato, ma qualsiasi cosa fosse dovevo fare chiarezza sugli eventi di quella sera.
    Certo non mi sarei mai aspettata di trovare i fratelli Harrison riversi per terra, completamente nudi, con importanti ferite sparse su tutto il corpo.
    Trattenni un imprecazione per il rotto della cuffia.
    Feci un respiro profondo e solo dopo averli coperti, con metà del mio mantello ciascuno li feci levitare fino al castello.
    Gli avrei dato il tempo di guarire dalle loro ferite, poi non ci sarebbe stato nessun Santo a salvarli dalla mia ira.
     
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