Do we get what we deserve?

Helena

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    Strinse fortemente i denti sul labbro inferiore nel sentirlo rivolgerle quelle parole. Sembrava avere di lei un'immagine davvero bella. La vedeva come una persona forte e combattiva, come quella persona che Helena non si sentiva più da tempo. Più che forte e decisa ad andare avanti, si sentiva costantemente sopraffatta. Più che vivere insomma, le sembrava di star sopravvivendo. Di andare avanti sì, ma trascinandosi a fatica lungo una strada impervia tirando dietro di sé un peso davvero incombente che limitava ogni suo movimento e le toglieva la possibilità di star bene.
    La sua domanda, la spiazzò.
    Forse non si aspettava una domanda simile gettata così subito e senza troppi preamboli, soprattutto dopo ciò che gli aveva detto.
    Ci rimuginò su per qualche istante, aggrottando la fronte mentre prendeva a fissare un punto impreciso del pavimento. «Non lo so.» Gli disse infine, mordicchiandosi l'interno di una guancia. «Perchè? Vuoi farlo?» Gli chiese poco dopo, tirando su lo sguardo su di lui, proprio nell'esatto momento in cui Mason le pose la seconda domanda, forse anche più sconvolgente della prima.
    Si ritrovò infatti a trattenere il fiato.
    Di primo acchitto, nemmeno a quella domanda avrebbe saputo dar risposta.
    Soltanto dopo qualche istante in cui dovette far ricorso alla propria lucidità, pensò che forse, se avesse avuto sul serio paura di lui, non si sarebbe azzardata ad aiutarlo. Forse si sarebbe tenuta lontana da lui, il più possibile.
    «No.» Gli disse infine, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio, prima di riportare il proprio sguardo in quello dell'altro. «Ora no.» Aggiunse poco dopo.
    In quel momento sentiva di non aver nulla da temere, ma avrebbe mentito se gli avesse detto di non temere una sua reazione spropositata. Forse non dipendeva nemmeno da lui e da quel che aveva fatto, quanto dalla sua incapacità di fidarsi totalmente del mondo a quel punto. Forse, un giorno, sarebbe tornato tutto ad essere normale.
    Sospirò a spalle basse, rimuginando nel pesante silenzio venutosi a creare.
    Soltanto poi riuscì a dir qualcosa per spezzare l'imbarazzo. Non voleva che Mason si arrovellasse amaramente all'idea di rappresentare il male per lei. Non era così.
    «Sai, è davvero comodo.» Gli disse, indicando il sacco a pelo rosa sul quale Helena era seduta. Provò quindi a suo modo a sdrammatizzare. A rendere più leggera quella confessione. Lo guardò, a gote rosse, stringendo le labbra. «Puoi dormirci con me se vuoi.» E non avrebbe dovuto necessariamente significare niente in senso romantico. Era chiaro però che entrambi avessero bisogno di aggrapparsi a qualcuno per stare meglio ed in questo forse potevano aiutarsi. In fondo erano ancora una squadra.
     
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    Scuote il capo all'interrogativo dell'altra, trattenendo a stento una risata che arriva sommessa alle sue orecchie, dinanzi a quell'ingenua spontaneità che gli era mancata quanto tutto il resto. Non è l'assenza di desiderio a provocare quel dissenso, specie nei confronti della ragazza, quanto piuttosto un problema di circostanze inconciliabili con quel genere di fisicità cui non sente di potersi adattare seduta stante. E' il turbamento insito in entrambi e l'aria che richiede la ricerca di un affetto diverso da quegli impieghi, al punto tale da spingerlo ad indagare su come lei lo veda, al di là del coraggio decantato sino ad ora. Di come lei stessa si veda al suo fianco, in questo preciso istante ed in possibilità future su cui inconsciamente Mason spera bramosamente. Allegra leggerezza smorzata poco dopo dalla postilla sommata alla prima risposta, in una specificazione necessaria ad un diniego che l'ha illuso per pochi istanti di aver superato lo scoglio di malefatte che le ha rivoltato contro. L'idea che lei non provi paura in questo momento ma che non si senta abbastanza sicura e fiduciosa nei suoi confronti per potersi dire completamente esente da ogni forma di panico, lo riveste di quei panni da cattivo, pessimo essere umano di cui lui stesso si è vestito. 'Capisco.' Non è semplice convivere con la certezza assoluta di non potersi liberare dei disegni di sé che si è creato da solo, ma è ancora all'inizio di quel percorso di remissione e forse si aspetta cambiamenti troppo radicali e tempestivi perché possano avere un effetto capace di perdurare nel tempo. Di fronte a lui, in fondo, siede una delle persone che ha sofferto di più al mondo a causa sua. Forse persino quella che giace in prima posizione nella scala delle disgrazie legate al Chesterfield. E nonostante la paura, resta ancora ferma lì. Nonostante la paura, lo invita dopo qualche attimo di devastante silenzio ad una vicinanza che hanno escluso dalle loro possibilità fino a qualche ora prima, di cui sembrano, però, avere grande necessità. Unire le loro solitudini per trasformarle nella comprensione che li culli, riportandogli la calma di ricordi passati dall'aspetto dolce e rasserenante. 'Sei sicura?' Cerca vagamente una conferma dove non è probabilmente necessario. Difficilmente l'altra parla a vanvera e questa non sembra ad ogni modo la circostanza in cui il desiderio di dimostrarsi forte ed orgogliosa abbia la meglio sul suo buon senso ed amor proprio. Forse è una necessità che avverte lei stessa; dopotutto, pare il sonno abbia deciso di giocare brutti scherzi anche ad Helena. Così si avvicina ulteriormente all'estremità della grossa matassa rosa di tessuto morbido, studiandone per un po' la composizione, le dimensioni. La trascina fin sotto la finestra, in una posizione che funga da riparo e che gli permetta al contempo di avere uno scorcio di panorama che distolga l'attenzione dallo squallido ambiente che li circonda. Le stelle si affermano alte in cielo, belle come sempre, se lontane dalle coltri inquinate della città. 'Dici che in due ci stiamo?' E' capiente, ma non sembra di certo il tipo di sacco a pelo studiato per una coppia. Complice il fatto che lei sia minuta, con un po' di fatica, potrebbero però davvero ritagliarsi il loro spazio sotto i lembi di quel soffice riparo. Decide così di addentrarsi alla scoperta della verità, infilandovisi dentro per testarne la comodità e la possibilità di non rimanerne soffocati, se stretti insieme lì dentro. 'Cazzo, potrebbe funzionare.' Sorride, rigirandosi per trovare una posizione comoda ed abbastanza confinata, per permetterle di raggiungerlo e sistemarsi come meglio crede. 'Quando vuoi...!' Le dice infine, prima di sorriderle con le più sincere delle intenzioni, ben lontane dai vaghi accenni di arroganza e cattiveria cui lei ha assistito. Neanche un sintomo di malizia si affaccia all'orizzonte. 'Ti prometto che non allungherò le mani.' Perché di rompere quella possibilità di quiete e ristoro per entrambi, non vuole saperne.


     
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    «Sì.» Annuì alla sua domanda. Non fu sorpresa di percepire la sua sorpresa. Era chiaro ne fosse stupito dopo quello che c'era stato tra loro, dopo le richiesta che Helena gli aveva rivolto via gufo e di persona. Parte di quel che gli aveva riferito, non era cambiato. Stava davvero cercando di capire quanto fosse saggio per loro stare vicini, e sì, non negava a se stessa che c'era una parte di lei che temeva terribilmente il momento in cui i loro eccessi avrebbero portato al limite le loro pazienze, scontrandosi nel peggiore dei modi.
    Eppure, si rendeva conto di quanto fosse necessario, allo stesso tempo ed in modo quasi contraddittorio per loro, toccarsi. Sentirsi e soprattutto esserci.
    Non poteva semplicemente scappare. Non poteva voltargli le spalle.
    Fece spallucce alle sue domande.
    Era ben conscia che per entrare lì, avrebbero dovuto dire addio alla distanza imposta tra i loro corpi, ma non voleva pensarci più di tanto. Stare lì a rimuginarci, avrebbe soltanto reso quel momento eccessivamente difficile da gestire e superare.
    Prese quindi un bel respiro profondo, prima di infilarsi accanto a lui in quel sacco a pelo.
    «Anche perchè te le mozzo altrimenti.» Scherzò, sistemandogli accanto. Quando si voltò, i loro visi erano praticamente ad una spanna di distanza.
    Per un attimo, trattenne il respiro mentre i suoi occhi scivolarono da quelle labbra agli occhi dell'altro. Poi, umettandosi le labbra, allungò un braccio per carezzare i suoi capelli.
    Non disse nient'altro per un po', né fece altro. Si limitò a quelle carezze, cercando di dare un ritmo cauto al suo respiro, sperando così che Mason potesse imitarla.
    «Puoi dormire ora.» La sua voce venne fuori come un sussurro, mentre continuava ad accarezzare i suoi riccioli dolcemente. «Sei al sicuro.» Era quello che voleva capisse. Non avrebbe permesso a nessun altro di fargli del male. Mai più.
     
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    E' una nuova illusione quella in cui sente di essersi immerso, metaforicamente guidato dalla mano di Helena che lo accompagna con sicurezza, agguantando il pieno controllo di una situazione dai risvolti piacevoli, cui Mason si avvicina con cautela. Non emette un fiato, né muove un muscolo mentre la lascia sistemare al proprio fianco, ma resta a guardarla, ad osservare quelle movenze bambine con cui si fa spazio dentro il sacco a pelo, quell'incertezza che le vela gli occhi mentre si volta verso di lui, i gesti morbidi e delicati con cui gli si rivolge. E' allora che l'illusione svanisce, lasciando il posto ad una tangibile realtà che gli è di conforto. Si bea del suo tocco ed ancora inerme tace. Per tanto tempo si è attaccato alla malinconia della sua assenza, quando svegliandosi la mattina nei fine settimana figurava attorno a sé le pareti della baita e lei non c'era, e tutto era troppo silenzioso, troppo vuoto, troppo calmo. Helena era il suo caos ed era bello. Vederla rialzarsi dal letto, vestita di una sua felpa, le gambe nude e i piedi scalzi, gli sembrava essere tutto ciò di cui necessitasse. Si rende conto adesso, ammorbidito sotto il tocco delicato delle sue dita, di quanto ogni cosa gli sembri perfetta, al fianco dell'altra. Di come ogni attimo di calma e di tregua rappresenti un'ideale di mondo da cui non vorrebbe mai fuggire. Chiude gli occhi ed istintivamente, alle parole rassicuranti dell'altra, sorride. Quel senso di protezione che Helena gli offre con così tanta certezza lo intenerisce, al punto da aiutarlo a rilassarsi sul serio, per la prima volta dopo settimane d'inferno. La convinzione che quella squadra, la loro, sia ancora viva, cancella la solitudine che l'ha schiacciato crudelmente. 'Lo sei anche tu.' Sussurra infine, lasciando scivolare un braccio sotto la testa di lei, cingendole la schiena con l'altro. La stringe a sé, senza sfiorarla con alcun intento malizioso. La abbraccia, per proteggerla ed aggrapparsi al contempo alla protezione che gli ha promesso lei. A vicenda, ancora una volta, si fanno forza. Si guardano le spalle. Si curano inconsciamente, solo essendoci l'uno per l'altra. Così sotto il tocco delle sue carezze e quel suo profumo che respira a piene narici, si lascia andare ad un riposo vero, ad un sonno privo di incubi e costante. Il primo, dopo un tempo crudelmente lungo.


     
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