Do we get what we deserve?

Helena

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    Un percorso tempestato di curve, di insidie, quello che si è apprestato ad imboccare, scelto non perché più efficace ma perché, in apparenza, più sicuro. Eppure non trova sicurezza che sciolga il tormento che lo affligge, costantemente in uno stato di allerta che tende i suoi nervi come la più distesa delle corde, tirata all'estremità da ogni ricordo di quell'esperienza che ancora rimbomba prepotentemente nella sua mente. Helena l'ha aiutato a trovare una sistemazione temporanea piuttosto confortevole: una casupola piccola, anonima, minimale, che non desti sospetti e non attiri l'attenzione. Confortevole, tutto sommato, anche se rispetto alla sosta obbligata in uno dei vecchi capanni "di famiglia" qualunque cosa sembrerebbe certamente più gradevole. E' la solitudine l'elemento che stona, difficile da affrontare persino al fianco della compagnia allegra e sorprendentemente comprensiva della piccola Pinky, che Helena ha scelto di affidargli proprio per servire quello scopo. Sarebbe tuttavia più complesso se la notte, risvegliatosi da uno dei suoi tormentosi incubi che riducono all'osso le sue possibilità di riposo e rifocillamento, non ci fosse l'affettuosa volpe ad attorcigliarsi dritto contro il suo petto o il suo collo, quasi tranquillizzandolo e consolandolo con moine che gli restituiscano la familiarità di cui ha bisogno. Un'altra delle trovate della ragazza a cui dare parecchio credito. Si dimostra attenta e sorprendente anche in gesti apparentemente esigui come quello. L'arrivo del fine settimana non è mai stato atteso ai livelli attuali. Se ricercare la piccola Haugen prima significasse godersi un po' di pace e tranquillità e soffocare i propri problemi sotto attimi di passionale adrenalina condivisa, adesso significa tornare a respirare, tornare a vivere. Significa vederla varcare la soglia ed assicurarsi che sia intera, sentirsi al sicuro perché in compagnia di chi sappia calmare i suoi soventi attacchi di panico, poter contare nella compagnia dell'unica persona con cui senta di voler avere a che fare dopo gli ultimi trascorsi. La attende con impazienza, scompostamente disteso sul divano del salottino arrangiato, Pinky appallottolata sul suo petto intenta a godersi le carezze distratte del ragazzo. A sollevarli dalla loro quiete intorpidita è il rumore di passi che si avvicinano all'entrata. Lesto il modo in cui le dita si stringono attorno alla bacchetta. I battiti del cuore talmente forti da percepirli sino in gola, il respiro smorzato come se emettere un fiato potesse coincidere con una condanna. Poi il segnale di riconoscimento, quel preciso numero di botte contro la porta ed il tono di voce dell'altra, prima che faccia il proprio ingresso nell'abitazione. Rilassarsi è una conseguenza tempestiva. 'Già qui?' Si finge sorpreso e noncurante, quasi per evitare che il suo panico e la sua necessità di averla accanto a sé pesino sulla coscienza già tramortita dell'altra. Ha sulle spalle un carico troppo ingombrante da portarsi dietro e non vuole caricarla ulteriormente. In realtà, gli ultimi minuti di attesa sono sembrati non passare mai. Così si misura il tempo: nella soggettività di chi attende. 'Pinky ti aspettava.' Una constatazione rompighiaccio nel vedere la volpe già lanciata verso la sua padroncina per farle la festa. Si mette seduto, ostentando una calma che non gli appartiene nonostante la presenza dell'altra, la gamba che trema istintivamente a tradirlo, le dita strette attorno al cuscino del divano per resistere all'inquietudine che lo scricchiolio del parquet sotto i piedi della ragazza gli suggerisce. 'Com'è andata a scuola?'


     
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    Avere la mente impegnata da un pensiero costante che non fosse Lorence, il processo, lo stupro e tutto il male che era scaturito da quel momento in poi, le faceva bene. Si sentiva meglio. Avere uno scopo, le dava la voglia di alzarsi dal letto e fare cose, di impegnarsi nei suoi doveri e solo per liberarsi il più velocemente possibile. Si sentiva finalmente viva e dopo aver passato un periodo estremamente piatto ed angosciante come quello vissuto, non avrebbe potuto desiderare di meglio. Certo, non era un periodo privo di timori. C'erano volte in cui angosce più grandi di lei prendevano il sopravvento sulle sue emozioni, ma provava a darsi un contegno, ad avere la meglio sulle sue paure perché ora non doveva più combattere soltanto per sé stessa.
    Ed era infatti per Mason che era rinata, tirando fuori un po' di quella grinta che era rimasta assopita fino a quel momento, annichilita da un crudeltà che l'aveva scossa.
    Era saltata giù dalla nave appena salpata a Bergenwiz, per correre a fare tutto quello di cui aveva bisogno, così da poter raggiungere la casupola in cui Mason l'attendeva. Non poterlo sentire nemmeno via gufo per sicurezza, e non potersi assicurare così delle sue condizioni, non era semplice. Per questo arrivato quel momento, messo piede al villaggio insomma, si sbrigava a compiere le sue faccende per poi correre da lui. E rivederlo era sempre come prendere una boccata d'ossigeno dopo aver trattenuto il fiato troppo a lungo.
    Fu così anche quella volta.
    «Perchè, ho interrotto qualcosa?» Rispose a tono, scherzosamente quasi, alle sue parole.
    Si rendeva conto di quanto stesse male Mason. Non l'aveva mai visto in quelle condizioni, e non sapeva dirsi se quell'appartamento fosse dovuto a quella nuova disposizione o ai trauma che aveva dovuto patire e di cui ancora non riusciva a pagare. Lei quindi, dal canto suo, provava a non fare pesare nulla su di lui e soprattutto provava a non fare pesare il distacco di quel rapporto. La distanza che gli aveva chiesto.
    Accolse la festosa Pinky, mettendosi sulle ginocchia per accarezzarla.
    «Dio! Non la pettini mai? Guarda qui che nodi.» Gli chiese tirando su lo sguardo su di lui per un secondo. Un ennesimo spunto di leggerezza. Di normalità. Ci provava almeno. Immaginava non dovesse essere poi così entusiasmante essere liberato da una prigione per finire in un'altra, perché quella casa in fin dei conti era quello. E per quanto tempo Mason avrebbe potuto nascondersi mettendo in standby la propria esistenza? Ne sembrava già abbastanza provato.
    Cominciò ad estrarre le cose raccattare per lui, dallo zaino magicamente ampliato. Gli riempì il frigo di pasti pronti o solo da scongelare, bibite e birre e snack. Una spesa da ragazzina in effetti.
    Sistemò il proprio sacco a pelo rosa lì accanto poi, prima d'essere attirata dalla sua domanda che, per quanto premurosa, appariva del tutto inaspettata.
    «Come sempre...?» Rispose interrogativa, voltandosi verso l'altro.
    Cercò comunque di non far pesare all'altro la stranezza causata da quella domanda. Forse, si disse, Mason aveva soltanto bisogno di conversare.
    «E a te com'è andata? Ti sei divertito?» Provò quindi a stemperare la tensione. Ad essere naturale, come due amici che si incontravano dopo tempo, anche se loro amici non lo erano stati mai. Forse non lo sarebbero mai stati.
    «Questo l'ha preparato mia madre. Le ho detto che ne avrei portato un po' ai senzatetto.» Gli mostró il contenitore ancora caldo con dentro del pollo e le patate. Il suo piatto preferito.
    Rimuginò in silenzio qualche attimo, prima di porgergli una bustina con dell'erba. Una scorta che immaginava avrebbe potuto fargli comodo in momenti di solitudine e noia. O magari quando non riusciva a dormire.
    «Tutto bene qui? Successo niente?» Gli chiese, scrutandolo attentamente.
    «Come stai?»
     
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    Gli fa bene essere partecipe di quella finzione di normalità. Sopportare gli sguardi preoccupati e compassionevoli dell'altra renderebbe più dura affrontare quel disagio e tutto ciò che comporta e lei sembra esserne consapevole. Così, nonostante lasciare che quella brezza di serenità curvi verso l'altro gli angoli della sua bocca sia una pretesa esagerata, si inserisce in quel contesto come chiunque farebbe in momenti di quiete e tranquillità. Mette da parte i pensieri più invasivi, concentrandosi sul tono di voce di lei, la nota che più culla i suoi sensi e lo riporta alla realtà. 'Le carezze contano come "spazzola"?' Non ride di gusto, né sente la propria smorfia di superbia disegnarsi ben marcata sul volto, però avverte i benefici di quel chiacchiericcio superficiale. Ed assistere poi alla premura che l'altra tira fuori dallo zaino, sotto forma di pasti e del sacco a pelo rosa che stende sul pavimento, permette alla sua gabbia toracica di scaldarsi di un tepore piacevole, pronto a scacciare il gelo che vi fa parte più del solito da un po' di tempo. 'Sì, abbiamo dato feste per tutta la settimana...!' Un cenno svelto alla volpe ancora concentrata ad accoccolarsi alla padrona, mentre rimugina sulla settimana appena trascorsa. Giornate vuote, saltuariamente riempite della lettura di qualche poesia e della progettazione di una cuccia per Pinky. Nessuna attività, insomma, che potesse portare frutti; i pezzi di legno e gli attrezzi giacciono in un angolo senza alcun senso ed i libri non sono stati in grado di scacciare i pensieri negativi - ne hanno, piuttosto, richiamato degli altri. Si sporge appena per guardare più attentamente quell'ulteriore dimostrazione di cura ed interesse appositamente pensata per lui, sentendo finalmente la propria espressione rilassarsi, in un conforto che difficilmente riesce a provare e che lo spinge a chinarsi verso il pavimento per afferrare, compiaciuto in volto, il contenitore caldo da lei porto. 'Mi vizi come Adele?' Adele. Non la cuoca, né qualunque altro appellativo che potrebbe riportare a galla i particolari del suo appartamento. Vuole tenerli lontani più che può. 'O ti divertiva l'idea di darmi implicitamente del senzatetto?' Ed improvvisamente, per un arco di secondi piccolo ma piuttosto intenso, riesce a far sfuggire dalle proprie labbra un accenno di risata realmente sentito. Un briciolo di libertà che quell'affetto gli concede, curando una piccola parte delle ferite che si porta ancora dietro, nell'animo più che nel fisico. E' un percorso lungo, ma ogni progresso va apprezzato. 'Mangialo con me.' Un invito flebile, mentre torna a sedere sul divano per sollevare il coperchio del contenitore ed annusare ciò che vi è racchiuso. Torna serio poco dopo, stringendosi nelle spalle, costretto a fingere quella calma ben lontana dalle realtà cui Pinky ha spesso assistito. Una fortuna le bestie non siano capaci di spifferare tutto a parole. 'Tutto tranquillo. Sto bene.' E sembra voler chiudere quell'argomento sin da principio, commettendo probabilmente l'errore più grosso di tutti. Si dice, però, di aver bisogno di un po' di tempo prima di aprirsi con totale sincerità all'altra, non solo perché la caricherebbe di ulteriore preoccupazione, ma anche perché troppo atterrito per essere completamente onesto sui pensieri che gli attraversano la mente. Le ultime volte che ha provato a farlo, in aggiunta, le reazioni dell'altra sono state sempre avvilenti, per quanto riuscisse a giustificarle. 'Allora resti qui, stanotte?' Un accenno all'ammasso di tessuto rosa ancora posizionato sul pavimento. Una curiosa Pinky continua a saltarci sopra in modo buffo, rendendo l'atmosfera meno tesa. 'Non devi usare quello. Puoi prendere il letto ed io mi sistemo sul divano.' Amara considerazione al pensiero di dover mantenere le distanze, che manda giù con finta noncuranza insieme con un pezzo del pollo appena addentato. Almeno l'appetito sembra ormai sul punto di tornare alla regolarità giusta per risollevare il suo fisico. Se solo fosse altrettanto facile rimettere in ordine la propria mente, nutrendola di positività e rassicurazioni che sazino i terrificanti solchi di vuoto e solitudine patiti...


     
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    «Direi di no.» Roteò gli occhi alla sua domanda, districando, o provando, alcuni nodi superficiali presenti sul manto della volpe che, d'altro canto, non sembrava essere particolarmente felice di quel gesto.
    Quella di parlare a raffica o di impegnarsi in altro, le stava sembrando una buona tattica per evitare un confronto diretto con l'altro o la possibilità non così remota che potessero crearsi silenzi imbarazzanti e difficili da gestire.
    Si sarebbe imposta quindi di continuare su quel percorso. Sarebbe stato più semplice per tutti. «Beh, tu ce l'hai un tetto.» Gli disse, facendo spallucce, affermando forse anche un po' inconsciamente, che il motivo per cui aveva cercato quel piatto per Mason, era perchè sì, forse un po' voleva tirargli su il morale. Sentiva ne avesse bisogno e forse chiunque lo avrebbe pensato vedendolo.
    Si avvicinò a lui e al divano all'apparenza poco comodo sul quale si era seduto. Non si sedette però, restò lì a fissarlo per un attimo. «No, tranquillo. Io non ho molta fame.» Scosse il capo, rifiutando quindi delicatamente la sua proposta. Oltre a non averne voglia, era qualcosa che aveva recuperato soltanto per lui. Voleva se la godesse. Si meritava quelle piccole vittorie, per quanto insignificanti potessero sembrare ai suoi occhi.
    Aggrottò le sopracciglia alle sue parole. Si impegnò a mandar via l'ansia provocata dal suo invito. Avrebbe sì potuto usare il suo letto, o magari anche condividerlo, ma non si sentiva ancora al sicuro. Aveva bisogno di tutelare se stessa, di darsi modo di guarire, di nuovo. Quella del sacco a pelo le era sembrata l'idea migliore per stare con lui e tenersi a debita distanza. Anche se era convinta lui non l'avrebbe mai toccata, soprattutto visto le condizioni in cui l'altro versava, il sacco a pelo le dava un ulteriore senso di protezione a cui sentiva di non voler rinunciare.
    «L'ho comprato adesso. Voglio godermelo.» Gli disse infine, tornando al suo zaino, ricordandosi improvvisamente d'aver dimenticato d'estrarre delle cose.
    Mentre se ne stava china a cercare qualcosa nella borsa, ne approfittò per porgli una domanda a cui era molto interessata, ma che forse non avrebbe avuto il coraggio di porgli in altro modo. «Le ferite? Come stanno?» Gli chiese, distogliendo lo sguardo dall'altro, per occuparsi della sua ricerca. Cercava solo in realtà, di nascondere la sofferenza che gli causava pensare allo scempio sulla sua pelle.
    «Mio fratello dice che se continuano a darti fastidio dovresti vedere un guaritore. Cioè sì insomma, le cicatrici resteranno ma magari...» Si fermò a rimuginare, totalmente persa nei suoi pensieri. Volutamente persa, come a voler scappare da quella realtà, ricercandone una migliore. «Sai cosa? C'era un guaritore qui... mi ha incontrato tempo fa e sembrava davvero capace. Come si chiamava...? Girard? Grignard? Gir... Era un nome con la G ne sono sicura...» Scosse il capo, estraendo finalmente dei libri sottratti dalla libreria di casa. Tra questi spiccava I fiori del male di Charles Baudelaire.
    Tirò fuori anche lo scatolo contenente il gioco dama, ed un mazzo di carta. Non ebbe il tempo però di poggiarli sul tavolo, che si ritrovò a sobbalzare, per un forte tuono che sembrò spaccare il cielo. «Ah fanculo. L'avevano detto che sarebbe arrivata una tempesta.» L'attimo dopo cominciò a piovere violentemente sul tetto di quella casa, mentre il vento soffiava forte facendo scricchiolare le pareti di quella casa.
     
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    Si concede una pausa dal tumulto interiore che lo sfinisce, godendosi con calma il pasto che regge tra le mani, accomodandosi anche meglio sul divano scadente per assaporare ogni boccone di premura ricevuta. Non si sta immergendo completamente in quell'illusione di felicità, ancora troppo incapace per potersi dedicare a certi giochetti della propria mente. Tuttavia quell'attimo di normalità, quella connessione che Helena gli concede dando tutta l'aria non ci siano trascorsi di natura negativa tra loro, lo aiuta ad assopire gli aspetti più avvilenti di quella situazione. Circondato da un'accentuata familiarità, rivista nella ragazza, nella volpe e nei bocconi che trangugia piacevolmente, ogni elemento sembra al proprio posto. Persino parlare dei segni ancora piuttosto visibili sul suo corpo non risulta poi così sgradevole in questo contesto. 'Pizzicano un po'.' Niente di paragonabile alle fitte ed al bruciore provati nei primi giorni successivi alla fuga da quel tormento. Per un po', anche questi sono stati la causa principale del suo mancato riposo, insostenibile visti i dolori provati sulla pelle al contatto col materasso o qualunque altra superficie anche morbida. Adesso la situazione sembra migliorare e che gli restino dei segni, gli importa ben poco. Probabilmente meno di quanto non sembri infastidire Helena, bloccata in pensieri che cercano alternative in un'ostentata distrazione da quel genere di discorsi. 'Va bene. Se proprio devo...' Non lo attira l'idea di vedere altre persone, di uscire da quell'angolo di riparo e camminare tra la gente, né di ricevere alcun ospite all'infuori della ragazza in quella sistemazione momentanea ed arrangiata. Ha cancellato totalmente la fiducia nel genere umano, a livelli catastrofici, assai esagerati rispetto al distacco basale che lo caratterizzava prima della cattura. Adeguarsi a quella pratica però sembra più importante per lei che per lui stesso ed è questo che lo istiga ad offrire una possibilità anche a quell'ipotesi. Continua ad affidarsi alla ragazza, insomma, mandando giù ogni nodo alla gola di paura repressa, in tentativi disperati di scacciarla per sempre. Mette da parte il contenitore, sazio dei bocconi ingurgitati, rimanendo per un po' ad osservare tutto ciò che l'altra continua a ricacciare dal suo zaino. Inevitabile che l'attenzione si posi sulla raccolta di poesie adagiata sul pavimento, dall'aria tanto familiare quanto consolatoria. Non avrebbe mai pensato di vedere lei con un libro di quel genere tra le mani ed echi lontani di ricordi annichilenti rimbombano nella sua mente provocandogli ambigue sensazioni in totale contrasto tra loro: la commozione per le ragioni nobili che potrebbero celarsi in quella scelta e l'imbarazzo per averla vista calpestare una parte di sé così profonda e personale. Tutto stroncato dal destino, nel momento in cui un tuono potente squarcia il silenzio. E non è il sussulto iniziale per l'improvviso rumoraccio a pietrificarlo, quanto la necessaria conseguenza che ne viene fuori subito dopo. Comincia a piovere, con forza. Un clima prepotente che inonda l'ambiente di suoni insopportabili, inculcati nelle orecchie del Chesterfield fino ad insediarsi sino alla sua mente precariamente stabile. In un attimo, è il caos. 'Cazzo...' Un sussurro probabilmente impercettibile, mentre i suoi occhi si tuffano nel vuoto, spalancati nei medesimi veli di terrore che li hanno sovrastati più di una settimana prima. Tremore concitato a guidare le sue mani e le sue gambe. Rannicchiato sul divano, si ritrova improvvisamente ad annaspare in cerca di respiro, a schiacciarsi con la schiena contro lo schienale in cerca di un riparo che non arriva. E' panico, crudele ed insistente. E' lo scricchiolio ostinato delle pareti che lo atterrisce, accentuato con violenza dal pavimento nel momento in cui cade su di esso per essersi sporto troppo oltre il bracciolo. Gemiti di paura si fanno largo fuori dalle sue labbra, mischiandosi con un respiro affannato che non ha intenzione di regolarizzarsi. 'Fallo smettere.' Impreciso, non rende semplice capire a cosa si riferisca, né a chi lo stia chiedendo. Con l'aria di un pazzo nel pieno di una crisi, non riesce a far altro che indietreggiare, trascinandosi a fatica sul pavimento per raggiungere la parete ed ancorarvisi spasmodicamente. Ma c'è un effetto collaterale in quell'anomala situazione: le pareti sono la fonte principale di quel traumatico frastuono. 'Basta. Ti prego. Basta. Per favore.' Quelle le parole che continua a ripetere con insistenza, mentre stringe le mani attorno alle orecchie. Gli occhi serrati per non vedere ciò che accade intorno, come avesse paura di vedere ancora una volta quei visi arcigni, spietati, farsi avanti. Le gambe tirate al petto, incrociate come una corazza che lo protegga da ogni male. Il dondolio ripetitivo chiarisce il suo malessere e tutto torna improvvisamente cupo, spaventoso. E' in trappola. La paura è la sua gabbia.


     
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    L'improvvisa tormenta per un attimo ebbe il potere di scuoterla. Forse però non sarebbe stata così difficile da sopportare, se d'un tratto quella finta tranquillità in cui aveva creduto di potersi rifugiare, non fosse andata in frantumi. Le urla di Mason e la reazione impanicata, la contagiarono per un attimo della stessa paura. Di fatti si ritrovò persino a guardare fuori dalla finestra come a voler essere certa non ci fosse nessuno a spiarli dall'esterno e poco dopo, sigillò anche la porta d'entrata così che nessuno avrebbe potuto entrare lì nel loro rifugio senza ingresso. Nessuno avrebbe potuto a priori visti gli incantesimi di protezione che aveva fatto ergere su.
    «Come?» Gli chiese in panico quanto lui, prima di provare a far ricorso alla razionalità che sentiva man mano venir meno. Si impose di respirare.
    Non era la prima volta che lo vedeva esplodere in quel contesto, e reagire per Helena non era così semplice come poteva sembrare. Non solo non aveva la minima idea di cosa fosse giusto fare per riportarlo alla realtà ma, inoltre, c'era una parte di lei che ancora temeva lui e le sue azioni spropositate. E nonostante il timore iniziale che le aveva imposto ed aveva fatto sì pretendesse dall'altro una distanza, a muovere la sua paura, non era stata l'angoscia egocentrica che la vedeva probabilmente vittima di azioni terribili come quelle vissute al lago. La sua domanda principale in quel contesto era: se in quelle condizioni Mason le avrebbe fatto del male, chi si sarebbe preso cura di lui poi?
    Gli si avvicinò lentamente, ponendosi sulle ginocchia dinanzi a lui, dopo aver acceso tutte le luci e chiuso tutte le finestre, nel tentativo di lasciare fuori la tormenta ed isolare la paura. «Ehi. Mason, guardami, sono io.» Parlò con tono dolce, lento. Non lo toccò però, nonostante la voglia di farlo. Temeva che un gesto tale, avrebbe potuto scatenare una reazione anche peggiore nell'altro.
    Così temporeggiò qualche attimo, guardandolo. «Mi... mi canti una canzone?» L'idea che le era venuta, era probabilmente la più stupida potesse proporgli, però poteva funzionare se l'altro le avesse dato retta. Il trucco stava proprio nel convincersi a fare operazioni schematiche, cicliche. Un canto, contare. Tutto quello avrebbe potuto aiutarlo a rientrare pian piano in situazioni di normalità che avrebbero allontanato la paura ingiustificata. Gli avrebbe permesso di vedere che lì c'erano solo loro e nessun altro. «Oppure... aiutami a contare, okay? Uno, due...» Continuò, alzando lentamente una mano nel tentativo di sfiorargli un fianco per fargli sentire calore.

     
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    Si sente solo, intrappolato in un trauma destinato ad ingabbiarlo senza lasciargli opportunità di respiro, di libertà. Si rivede isolato in quella casupola sperduta nei boschi, dai pavimenti in legno a segnare col loro scricchiolio mortale l'arrivo di una nuova ondata di dolore. Racchiuso nella sua bolla di disagio, rannicchiato contro la parete, subisce gli effetti di un blackout che non si placa. Il vento soffia, la pioggia batte prepotentemente sul tetto, sulle pareti, e tutto il resto scompare. Non ci sono altri rumori, non ci sono altri colori. Non c'è luce e non perché non ve ne sia davvero, ma perché lui non riesce a percepirne. Incastrato nel proprio dondolio, gli occhi ancora serrati, le mani strette alle orecchie, non si dà tregua. Il temporale non gliene concede. E di tutto ciò che gli accade attorno, non percepisce che una vaga ombra troppo debole per riportarlo alla realtà. Quando è la voce di Helena ad intervenire, il panico scema poco a poco. Non ne avverte il tocco, ma la sua presenza arriva forte e chiara, al punto da indurlo ad allentare appena la pressione dei palmi contro le tempie. Lentamente, si fida... si affida a lei, perché in quel caos tremendo continua ad essere l'unico elemento sicuro ad assopire i suoi demoni, la sua paura. Alla sua richiesta, apre lentamente gli occhi. Lo sguardo spaesato scorre agitatamente sul volto dell'altra e sul suo corpo. Ci mette un po' a fissare quell'immagine nella propria mente, sì da scacciare quelle orrifiche degli uomini che l'hanno ridotto in quello stato settimane prima. Solo così la luce torna ad affacciarsi oltre gli scudi del suo terrore ed alla seconda richiesta avanzata, si unisce lentamente al suo contare. Quattro, cinque, sei. Battiti di distrazione che allentano il panico. Sette, otto. La pioggia diventa solo pioggia. Nove. Dieci. Lo scricchiolio non reca con sé alcun passo minaccioso. 'E'... E' il legno.' Sussurra appena, con voce flebile, in una confessione che non gli dà comunque sollievo. Una costrizione, più che un gesto spontaneo, cui si sottopone in tentativi fallimentari di affrontare il problema. Non funziona. 'Scricchiola. Non lo sopporto.' Un'ennesima supplica di far smettere quel fracasso, assurdamente inconsapevole non sia possibile agire in alcun modo per placare la furia della tempesta. Ma non è quello il riflesso in cui si tuffa la sua richiesta. Non è quello il lineare fermo immagine a cui si consegna. Così mentre i suoi occhi si affidano alla ricerca disperata di una scappatoia che zittisca ogni altro rumore, il dito tremante rivolto verso il tomo poco distante da loro, rilassato sotto il tocco delicato della sua mano sul proprio fianco, col tono supplichevole di un bimbo spaventato che cerca conforto in chi gli è vicino, avanza una richiesta inusuale, completamente sconnessa da ogni ricordo precedente legato a quell'abitudine di cui nessuno ha mai conosciuto i dettagli. 'Mi leggi qualcosa?'


     
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    La sua richiesta la lasciò perplessa per qualche attimo. Restò a guardarlo come a chiedersi se avesse sentito bene e soltanto poi dopo qualche momento si ridestò, scuotendo il capo come a voler allontanare la perplessità.
    «Okay.» Annuì all'altro, allontanandosi soltanto per afferrare uno dei libri che aveva portato con sé. Evito Baudelaire, una scelta forse azzardata a priori. Optò per il secondo volume, quello su poeti italiani. I suoi genitori erano sempre stati grandi cultori della cultura internazionale e quella italiana aveva sempre attirato grandemente la loro attenzione.
    Afferrò quindi quel libro dalle pagine lievemente ingiallite, prima di tornare di fianco a lui, sedendoglisi accanto.
    Gli lanciò un veloce sguardo, come a voler chiedergli se fosse ancora sicuro di quella proposta. Sperava sul serio avrebbe potuto aiutarlo in qualche modo.
    «Bene... allora... vediamo.» Cominciò pensante, mentre sfiorava quelle pagine. Era probabilmente la prima volta che lo faceva. Non se ne intendeva di poesie, né era mai stata una grande appassionata. Eppure le mancava riceverne da parte di Mason.
    Anche se era stata a lei a pretendere quella distanza, a volte si chiedeva se non avesse sbagliato a farlo. Se non stesse forzando se stesso a qualcosa che in realtà non voleva. E sapeva fosse così. Come poteva però superare la paura? Dimenticare tutto quello che era successo?
    Si fermò soltanto quando una delle liriche lì segnate sembrò attirare particolarmente la sua attenzione. Si schiarì la voce, prima di leggerla.

    Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
    e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
    Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
    Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
    le coincidenze, le prenotazioni,
    le trappole, gli scorni di chi crede
    che la realtà sia quella che si vede.
    Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
    non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
    Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
    le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
    erano le tue.


    La sua voce si spense ma i suoi occhi si infiammarono di sentimento. Per un attimo ebbe sul serio il timore di lasciarsi andare ad una sensibilità che non voleva esporre, non in quel momento. «Avrei dovuto scegliere meglio.» Gli confidò, mordendosi il labbro inferiore, mentre richiudeva appena il tomo, sospirando.
    Il vento continuava a soffiare fuori dalla finestra, provocando rumori fastidiosi. Non seppe cosa fare, se non avvicinarsi ancor di più a lui. Lo sguardo basso e la mascella serrata. Afferrò la sua mano, stringendola, mentre poggiava la propria spalla contro quella di Mason. «Io non so come aiutarti.» Gli confidò con un fil di voce e lo sguardo basso. Arresa ed imbarazzante per un limite che non credeva di poter superare. Non era mai stata un granchè brava ad aiutare gli altri. Era più brava a demolirli, ed infatti era convinto di esserci riuscita anche con lui. «Sono fiera di quello che hai fatto. Non credo molti al tuo posto avrebbero avuto lo stesso coraggio.» Annuì lentamente, mordendosi il labbro. «E forse un giorno, sarà davvero tutto diverso. Non dovrai nasconderti qui o avere paura del buio e del vento. Sarai libero e potrai essere esattamente chi vuoi, dove vuoi. Hai mai pensato a questo? Hai mai pensato a chi vuoi essere dopo ora?»
     
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    Ricerca il sollievo e lo ritrova in quelle parole. Un'atmosfera melodiosa quella che viene a crearsi, mettendo a tacere la paura mentre la voce di Helena fa da protagonista alla tormenta di sottofondo, sul punto di diventare ormai uno scenario di musicalità di cui non temere più le fattezze. Resta in ascolto di quei versi, che mai sono scorsi sotto i suoi occhi e che per la prima volta attraversano le sue orecchie e ne rimane basito, colpito. Una scelta curiosa, di cui sembrano subire effetti completamente opposti. Mentre il compiacimento si posa sui nervi di Mason assopendone la rigidità, un vago disagio sale su per gli occhi di Helena, rimanendovi intrappolato in un'emotività che si placa a malapena al termine di quei versi così incisivi. E' il bello dell'arte, ciò che più il ragazzo apprezza della poesia: colpisce tutti in profondità, se la si sa ascoltare, e ciò che ne deriva è prettamente personale, unico ad ogni persona, ad ogni lettura. Un vago dispiacere quello che prova nei riguardi dell'altra, troppo debole rispetto alla serenità finalmente riagguantata che si fa evidente sul suo volto rilassato, privato ormai di quell'inquietudine che ne spalancava gli occhi e ne irrigidiva l'espressione. 'A me è piaciuta.' Sussurra debolmente, le labbra distese seppur non evidenziate in un sorriso, gli occhi semichiusi persi nell'osservare lei. Arriva lenta e delicata la sua vicinanza, un contatto privo dei limiti che Helena ha scelto di imporsi per superare il dramma che la tormenta interiormente. Ricambia la sua stretta, racchiudendo il suo piccolo e lattescente palmo tra le proprie mani, sospirando nel godere del tocco costante delle loro spalle. Aveva capito già da tempo quanto gli bastasse anche solo averla vicina, ma dopo le sofferenze patite di recente quest'istante di connessione ed unione assume connotati anche più belli. Qualcosa che non riuscirebbe a spiegare a parole, che a stento spiega a se stesso, fallendo miseramente la maggior parte delle volte. Ma si sente bene e questo gli basta. E ciò che ne segue, quel breve ma sentito discorso che lei sceglie volutamente di rivolgergli, completa quel quadro di armoniosa pace ricercata, proiettandolo quasi in un universo più bello, nonostante il caos che li circonda. Realizza come anche se il mondo intorno a loro crolli, la forza della loro unione riesca a proteggerli, a chiuderli in un angolo piccolo ma perfetto, il massimo a cui Mason possa aspirare. Sentirsi al sicuro e farlo al fianco di chi finalmente riesce a suggerirgli nuovi sprazzi di fiducia riposti in lui e nei suoi tentativi, che anche se non andati ha segno, sembrano cominciare a dare i loro frutti, a risistemare le cose e riportare a galla l'illusione di poter avere di meglio. Un'illusione che magari, presto o tardi, potrebbe tramutarsi in solide realtà. 'No, mai.' Una risposta celere, data di getto perché collegata ad una sincerità assoluta. Non ha mai avuto modo di pensare ad alternative al proprio percorso di studi ed all'istruzione ricevuta e non sarà difficile all'altra credere a questa realtà. Tuttavia condividere con lei quelle parti in più che ha ormai svelato anonimamente nelle lettere periodicamente inviatele sembra una prospettiva meno terrificante di ciò che ha vissuto, così come delle conseguenze della fuga cui si è sottoposto che potrebbero un giorno riportarlo al proprio crudele, rassegnato destino. 'Mi piace l'arte.' Ammette, sentendosi l'attimo dopo come privato di un peso che ha trasportato con sé troppo a lungo, nascondendo agli occhi altrui qualcosa che ha sempre fatto parte della sua più profonda intimità. 'La scultura, in particolare.' E' così che le ha fatto gli occhiali, il fermaglio. Così ha composto l'albero delle stagioni per Mercury. Ed allo stesso modo, ogni fallimentare progetto di Magingegneria, è stato toccato almeno in principio da quell'unica forma d'espressione, prima di essere corretto in uno scialbo compito ben svolto che non gli dava soddisfazione alcuna. 'Quindi, magari, se fossi libero, sarebbe bello approfondirla, studiarla, farne un mestiere...' Un'aria quasi sognante quella che spinge le sue parole, volta a scemare mentre si costringe a riportare i piedi per terra, tristemente immerso in una condizione che sembra avere ben altro in serbo per lui. 'Al momento mi basterebbe solo sapere di essere libero, poter scegliere e non rischiare torture o morte per i miei errori, anche se causati da scelte davvero sbagliate.' Perché in fondo la libertà è anche questo: sbagliare e tentare di rimediare, cadere e rialzarsi, agire secondo l'istinto senza temere niente e nessuno, non nel mondo insano cui è stato istruito, ma nella naturalezza di un'età che non ha mai avuto modo di godersi. 'Forse un giorno diventerò uno scultore, quando tu sarai una ballerina di fama internazionale.' Volta il capo verso il suo, stringendo appena la presa sulla sua mano, carezzandone distrattamente il dorso coi pollici. Le sorride appena, suggerendole l'unico modo che sia davvero in grado di aiutarlo: restargli accanto, sempre. 'Mi piacerebbe vederti.' Vederla adesso, tra un paio di settimane o mesi e dopo anni, nella sua scalata verso il successo che ha tanto desiderato e che gli ha confessato tra i borghi londinesi nella notte di Capodanno, sotto i colori e suoni della mezzanotte appena scoccata. Chi dice che debbano morire prima di realizzare i loro sogni più intimi?


     
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    Si grattò la fronte cercando di allontanare la sensazione amara lasciata da quella poesia. Anche a lei mancava stringere il suo braccio, sentirsi parte di qualcosa. Sebbene ora condividessero lo stesso spazio, non c'era più l'affinità di prima. Il legame che avevano era assopito, nascosto sotto coltre di paura che tenevano lontano qualsiasi azzardo. Si tenevano a distanza, limitandosi a cercarsi con gli occhi, a farsi forza ma senza toccarsi e non era lo stesso. Non bastava.
    Morse il labbro inferiore, rimuginando sulle sue confessioni.
    Era triste. Non poteva immaginare nel dettaglio come potesse essere crescere in una famiglia come la sua. Le loro storie per quanto simili, avevano presentato nel tempo tutte le loro lapalissiane differenze. Helena non aveva mai avuto a che fare con una simile crudeltà. A Mason invece era stato tolto tutto, non solo l'amore della propria famiglia biologica, la sua famiglia. Gli era stato tolto il diritto di sognare, di immaginare di poter diventare qualcuno, qualcosa di diverso. Era stato cresciuto a pane ed odio ed era chiaro che ora vomitasse fuori tutto l'astio ricevuto sotto forma di panico, traumi mai superati.
    «Lo sarai.» Annuì, sorridendogli, gli occhi appena più languidi.
    Sapeva che non sarebbe stato lo stesso ricevere supporto da lei che non era nessuno, rispetto all'appoggio che avrebbe dovuto dargli la sua ipotetica famiglia, ma avrebbe fatto di tutto per far sì che Mason smettesse d'essere così disincantato.
    Non voleva si illudesse il mondo fosse un posto migliore, ma che almeno smettesse di sentirsi ancorato ad un identità che non gli apparteneva. Quello che aveva vissuto fino a quel momento, non era Mason, ma solo il ragazzo cresciuto da un criminale. Lui poteva essere ben altro. Avrebbe soltanto dovuto crederci un po' di più.
    «Già.» Non osteggiò le sue parole o quell'ipotetico futuro. Lei aveva smesso di pensarci quando le avevano dato la sua diagnosi, ma le sarebbe piaciuto sul serio ballare dinanzi ad un pubblico vero. Ricevere per sé tutte quelle attenzioni da sempre agognate. Essere amata in un certo senso, e finalmente sentirsi in pace con se stessa. Le sarebbe piaciuto sul serio, e condividere quel sogno con Mason sarebbe stato davvero bello. Fu per quello che non osò distruggerlo, nonostante l'indecisione iniziale.
    «Ballerò all'Operà e tu mi porterai il mio bouquet di rose rosse nel camerino.» Gli resse il gioco quindi, mimandogli una smorfia quasi a voler fargli credere d'essere in un contesto assolutamente normale, disteso e rilassato. Sperava sarebbe potuto diventarlo. E titubò sulla sua richiesta. Non era solo la scarsa pratica dell'ultimo periodo a farla desistere, ma anche il timore che le sue gambe non avrebbero potuto reggerla. Aveva passato così tanto tempo a letto, che era un miracolo avesse conservato ancora un po' di muscolo. «Okay. Aspettiamo che le tue ferite siano guarite e ti porterò in un posto. Ci vuole l'ambiente adatto, non posso mica ballare in una bettola.» Gli disse infine, ritornando in quel silenzio pesante per qualche attimo. Poi, scuotendo il capo, si decise a darsi una smossa. Non potevano restare lì ad aspettare che il peggio arrivasse. Doveva trovare un modo tangibile di rilassare Mason, e ne aveva giusto portato uno. «So cosa ci vuole ora. Non sarò di grande aiuto, ma so come rollare una canna a perfezione. Posso essere una buona amica così.» Gli disse, mentre si allontanava per afferrare la bustina d'erba che gli aveva portato. Si impegnò a rollare una sigaretta, lanciandogli uno sguardo mentre leccava il filtro per far da collante. «Fa schifo vederti così. Cosa posso fare?»
     
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    E' strano perdersi in quel genere di pensieri, di discussioni. Camminare su una nuvola e stare ad osservare il cielo intorno, nelle sue sfumature infinite, dalle più tenui ed ovattate alle più forti ed incisive, perso in desideri che non gli è mai stato concesso rivelare ad alta voce e che a stento è stato disposto ad accettare, fustigandosi mentalmente l'attimo dopo per averci provato. Non si stupisce più di quanti piaceri inaspettati riesca a scoprire al fianco dell'altra, compiaciuto sia un'abitudine che non tende a scivolare via dalle loro possibilità neanche in un momento di pausa come questo. Perché è ciò che sembrano, loro, il loro rapporto; bloccati in una pausa che dura da troppo tempo. Un capitolo così fermo che non riescono a riavviare, permanendo nell'asfissiante stasi del dubbio, della perplessità ed anche, irrimediabilmente, della paura. Paura reciproca, paura di se stessi, paura del mondo. Timori su timori che si allacciano al loro passato influenzando il presente. Il risultato di accumuli di veleno sputatosi a vicenda che è esploso in un dolore che li ha ridotti in mille pezzi. Così, ricostruire tutto, ricostruire anche se stessi o provare a farlo a vicenda, diventa più complicato. Un impegno che non è abbastanza, neanche soffermandosi su dettagli pregni di leggerezza e complicità. Piani futuri, probabilmente destinati a morire l'attimo dopo averli pronunciati. Perdersi in quell'illusione sembra però far bene ad entrambi ed è il motore che li spinge a continuare, a lasciar cavalcare i pensieri in fantasie ben distaccate dall'oscura realtà in cui sono immersi. In un attimo, lo scrosciare insistente dell'acqua viene sommesso dal melodioso suono di violini in concerto. I lampi, diventano i riflettori sotto cui il corpo di Helena si illumina. E' il suo sorriso ad essere uno spettacolo. Pagherebbe qualunque cosa per vederlo, per catturare un nuovo momento da sommare a tutti i ricordi felici che conserva gelosamente nel proprio animo. Potervisi appellare sarebbe la cura più efficace per superare il proprio malessere, se solo non fosse sopraggiunta la consapevolezza di aver mandato all'aria ogni traccia di quel benessere condiviso. 'Tante rose solo per te.' Sbuffa quel concetto con un'accennata risata, accogliendo con fierezza e compiacimento la sua proposta poggiata su cardini di sincerità. L'idea di poterla finalmente vedere in un contesto che ama, in cui si sente padrona fiera del proprio controllo e della propria personalità, lo stuzzica piacevolmente, velando il suo sguardo stanco di una sollevata curiosità. Resta rannicchiato contro la parete quando le loro mani si sciolgono della presa che li legava, godendo ancora, nonostante tutto, della tranquillità riagguantata. Concentrarsi su Helena si rivela essere un'ottima terapia cui affidarsi ed è questo che lo spinge a scavare più a fondo nella loro storia, più per una necessità personale che per permetterle di giustificarlo, di offrirgli un'ultima possibilità che non sente comunque di meritare, anche se lei si dimostra attenta ed in prima linea per aiutarlo e sostenerlo. Ricevere così tanta premura da parte di qualcuno è un evento ben lontano da ciò cui è abituato. E' il suo desiderio di aiutarlo, a farlo sentire meglio. Il suo chiedere cosa possa risollevarlo, a scaldargli il cuore. 'Pazientare, credo.' E' ciò che spera, incapace di trovare altre alternative. In fondo, non c'è niente di più che lei debba fare. 'Stai già facendo tanto... troppo, per me.' E lo afferma con sincera rassegnazione, ponendo l'attenzione sulla convinzione non meriti di ricevere così tanta gentilezza, di essere curato proprio da lei. Non dopo ciò che le ha fatto. Raddrizza la schiena contro la parete alle sue spalle, distendendo finalmente le gambe sul pavimento e sospirando nel riporre fiducia a quella posizione di totale esposizione. Giochetti mentali privi di senso, a cui lui non può fare a meno di aggrapparsi. Gli è d'aiuto la sigaretta che l'altra ha preparato per lui, passata dopo averla accesa ed essersi concessa un primo tiro. La poggia dritta tra le proprie labbra, lasciandosi ammorbidire sotto l'effetto dell'erba. Volta il capo verso la ragazza, poi, umettandosi le labbra mentre ricerca di nuovo un contatto, anche più delicato del precedente, per farsi forza. Azzarda, tentando di riafferrarle la mano, limitandosi però a carezzarla con delicatezza. Nessuna stretta, nessuna imposizione. 'Pensi che riuscirai mai a perdonarmi?' Le chiede quindi, cercando disperatamente di annullare ogni indizio di pretesa nel proprio tono di voce. 'Intendo, davvero.' Farlo e sentirsi libera, serena al suo fianco, negli stessi modi con cui una volta giovavano l'un l'altra da ristoro, da fonte di benessere e pace per mettere il silenzioso a tutti i drammi della loro quotidianità. Quel tipo di intesa e di fiducia che ora sembra mancargli, non per assenza, ma per intorpidimento schiacciato da fattori complicati da digerire. 'Forse è vero che in quel preciso istante ho inconsciamente desiderato farti del male, ma non voglio che tu creda che io...' Una pausa, bloccato dalla vergogna che prova inesorabilmente verso se stesso. Deglutisce. Sospira. Poi, a sguardo chino, riprende a parlare. 'Sì, insomma, lucidamente non lo farei. Mi odio per averti portata a credere il contrario.' E' la parte più difficile da digerire. Conoscere gli effetti che il suo comportamento ha innescato in lei. Patire il peso delle conseguenze che l'hanno indotta a sentirsi sola al mondo, privata dell'unica persona con cui sembrava condividere la gravosità della propria malattia e di tutto ciò che ne è scaturito, direttamente o indirettamente. Spogliatosi dei suoi panni da complice, si sente adesso nudo di ogni cosa. Anche le sue certezze sono scivolate via in quegli indumenti di cattiveria ed astio. 'E non sopporto l'idea che tu possa avere paura del mondo anche a causa mia.' Un secondo azzardo, quello con cui conduce il proprio dito a carezzare la sua guancia. Solo un indice, appena percettibile, a tracciare l'incavo sotto il suo zigomo. Aver perso il diritto di farlo gli pesa incredibilmente. 'Se potessi tornare indietro e cancellare quel momento, ti giuro, lo farei.' Afferma infine, porgendole di nuovo la canna.


     
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    Fece spallucce alla sua frase. Non credeva di star facendo abbastanza. Non poteva allontanare da sé il senso di colpa per avergli voltato le spalle. Forse, si diceva, se non lo avesse fatto le cose per lui sarebbero andate diversamente. Forse ora la sua pelle non sarebbe stata macchiata da cicatrici indelebili e la sua mente sarebbe stata libera da traumi che sembravano non lasciarlo in pace. Quindi proprio non riusciva a starsene tranquilla, a mettersi l'anima in pace per quel che faceva, perchè sentiva di fare costantemente meno di quello che avrebbe dovuto per lui. Si sentiva davvero una merda nei suoi riguardi.
    Le sue parole, la sorpresero costringendola ad alzare su lo sguardo per portarlo su di lui.
    «L'ho fatto.» Provò a tagliare corto, a segnare la parola fine su un discorso che non si sentiva realmente pronta ad affrontare ma non bastò. Né riuscì a far altro se non tacere, quando Mason afferrò la sua mano con delicatezza. Un gesto da cui all'inizio, come reazione spontanea, aveva provato a sottrarsi. Era però poi rimasta così, con la mano nella sua, sebbene fosse ancora palesemente tesa.
    Ed il suo tocco successivo, quello del suo dito sulla sua guancia, non fu meno forte per Helena. Aveva abbassato lo sguardo lucido, stringendo le labbra, trattenendo il respiro ora appena più incerto. Non si allontanò, né spinse l'altro a farlo.
    Restò così ad accogliere quei gesti. Scontarono un lungo silenzio prima che la Haugen riuscisse ad articolare poche roche parole. «Sto bene. Non devi preoccuparti per me.» Gli disse, distogliendo lo sguardo, mentre afferrava la canna per portarsela alle labbra. Prese una lunga boccata, rilasciando poi il fumo a capo chino mentre fissava distrattamente le loro mani ancora unite.
    «Voglio dire... non è che sia cambiato molto, no? Il mondo faceva schifo già prima di tutto questo.» Scosse il capo, fissando il soffitto, e lasciandosi andare ad una breve risata amara. E forse sminuiva, come al solito, nel tentativo di sembrare forte o di dimostrare di non aver alcun bisogno d'aiuto. Non era così. Aveva soltanto in pausa tutti i suoi dubbi ed i suoi timori. Eppure era semplice farlo per lui.
    Quelle parole poi, per quanto stimolassero la sua emotività, costringendola ad impegnarsi per far sì di trattenere le lacrime dietro gli occhi lucidi, le fecero bene.
    «Ma grazie.» Lo guardò, annuendo piano. «Sono stata una merda anche io. Non avrei voluto dire quel che ho detto. O comunque non in quel modo.» Lo era stata. Aveva detto cose di cui si era pentita, ed avrebbe voluto strapparsi via la lingua l'attimo dopo essersi lasciata andare a considerazioni così pessime.
    Era quello che aveva provato a fargli capire in quella camera d'albero. Insieme potevano essere davvero distruttivi, sebbene ora, ferma accanto a lui, cominciava a sentirsi un po' meno sola. Un po' meno persa.
    «Ora però sei qui, ed è chiaro quindi che non sei un codardo.» La sua voce si incrinò appena, tanto che dovette concedersi un nuovo tiro di sigaretta come a voler nascondere la sua emotività in meritò. Gli passò la canna a capo chino, aspettando l'afferrasse.
    «Nemmeno io avrei avuto il coraggio di fare quel che hai fatto. O di resistere.»
     
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    In circostanze diverse sarebbe più facile dare credito all'affermazione dell'altra, riuscire a credere che lei sia arrivata a perdonarlo del tutto, cancellando dal proprio animo ogni granello di timore scaturito dalla sua reazione. Finché non si sarà accertato che ogni particella della sua cattiveria abbia abbandonato Helena, non potrà dire di aver ottenuto il perdono che spera. Vederla guarire dalla paura è l'unico particolare che potrebbe alimentare la sua convinzione in merito. Apprezza però lo sforzo cui l'altra si sottopone, sentendosi chiaramente sollevato nel non vederla indietreggiare, nel superare i primi infinitesimali attimi di tentennamento per fargli dono di quel contatto ricercato. Intravedere la lucidità nei suoi occhi lo confonde, ma sono le parole che lei sceglie di rivolgergli ed il modo con cui lo fa che lo cullano in una nuova morbida onda di tenerezza, comprensione ed intesa. Quella disponibilità reciproca ad andarsi incontro, a dedicarsi cure ed attenzioni nonostante le ferite profonde che si sono procurati a vicenda. 'Non smetterà mai di fare schifo.' Un commento che sfugge amaro tanto quanto la risata leggera di lei. Il mondo, soprattutto il loro, sembra essere destinato ad assumere connotati orribili, di natura spiacevole e difficilmente digeribile. Che siano insieme o meno, gli tocca sempre fare i conti con avversità che non si meritano, di quelle che nessun essere umano meriterebbe. Aggressioni, torture, malattie, rapimenti; parole da ribrezzo, cumulate in pezzi delle loro vite che hanno scelto di condividere per sentirne meno l'orrido sapore. Quel retrogusto amaro, però, pare non andarsene mai, come una medicina che serve a curare un male ma poi ti lascia il saporaccio in bocca. E nel loro caso l'effetto è costantemente un punto interrogativo. 'Lo so.' Pronuncia mesto, calmo, in risposta alle sue scuse. 'So come sei quando senti il bisogno di difenderti.' E non lo dice come ramanzina, né per rincarare la dose dei sensi di colpa già evidentemente segnati sul suo volto triste, grigio. E' un aspetto di Helena, quello, che ha sempre apprezzato. La ferocia che guida la sua combattività, che la aiuta a proteggersi per non lasciarsi sopraffare da niente, da nessuno. Un aspetto della sua maturità che l'ha sempre elevata agli occhi del Chesterfield, specie al cospetto di chi incapace di muoversi con altrettanta maestria in fila tanto tediose di esistenza. Il genere di carattere abbastanza forte da tenere testa al proprio, tanto da istigarlo a scavare più a fondo, incuriosito perché inserito in un contesto che gli suonava familiare, che gli donava sicurezza e voglia di rischiare, di vedere fino a che punto potersi spingere. E non ci sono stati limiti che tenessero, al fianco dell'altra. Tuttora i loro cammini non sono che un intreccio di confini oltrepassati, di atroci cattiverie che non li risparmiano, e nel momento in cui si incrociano fanno male a primo impatto, per poi riscoprirsi rigeneranti come nient'altro al mondo. Per questo storce il naso dinanzi alla sua ultima affermazione, beatosi del ruolo che ha scelto di affibbiargli, ma più concentrato sull'ingiusta opinione che ha riservato a se stessa. Non vi riscontra alcuna realtà. 'Tu resisti continuamente, ogni giorno della tua vita, da anni.' Pronuncia col tono convinto di chi non ammette repliche, mentre soffia via uno sbuffo della sigaretta recuperata, sempre più leggero seppur lontano dai sintomi di estremo rilassamento che solitamente ne scaturivano. E' già un traguardo resistere ai fastidiosi rumori che lo circondano. 'Hai superato così tanti ostacoli da bambina e da... piccola donna.' Tenue il sorriso che si poggia sulle sue labbra, lanciandole un giudizio che riporta a galla la familiarità con cui ha sempre scelto di associarla ad una bambina. Prese in giro che hanno lasciato il posto a linee affettive, adesso rimodellate in un'opinione che ben le si addice. E' una donna ed è ai suoi occhi la più forte. 'Sei la ragazza più coraggiosa che abbia mai conosciuto.' Le dice infine, stringendo appena di più la presa sulla sua mano. 'Mi piaci anche per questo.' Sussurra la propria confessione a capo chino, prendendosi del tempo per riflettere sull'incredibilità di quel gesto. Parlare chiaramente, imporre nuove regole che fino ad ora hanno escluso dalle loro possibilità. Essere sinceri nelle loro opinioni, piuttosto che lasciarle vagare per intuito tra attimi di bevute e sesso. Non è comunque semplice come avrebbe sperato. E' questo che lo istiga a tirarsi in piedi, lasciando delicatamente la presa sulla mano dell'altra, per sgranchirsi le gambe e rimettere un po' di ordine a quel caos sparso per il pavimento. La tormenta sembra cominciare a dar loro un po' di tregua, un conforto cui adagiarsi per sistemare le cose. Con calma, senza invadere il loro meritato spazio. 'Quanti libri di "ridicole" poesie hai portato?' Le chiede, accennando una risata che lasci trapelare la piena ironia dei propri intenti. Non vuole rimarcare l'offesa ricevuta, né l'imbarazzo e la sofferenza che ne sono seguiti. Semplicemente, cerca di alleggerire l'ambiente e lo fa così come gli riesce meglio: usando sarcasmo. 'Mi dai una mano a mettere a posto?' Le chiede infine, alla ricerca di un compromesso che li riporti alla pace che meritano, senza sfiorare sintomi di rigidità o forzata diffidenza. Riabituarsi a quel loro ormai lontano, partendo da qualcosa di piccolo che abbia il sapore dell'unione.


     
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    Strinse le labbra per sopportare l'emotività provocata dalle sue parole. Non avrebbe voluto lasciarsi andare a quello che per lei era l'ennesimo segno di debolezza. Non avrebbe lasciato che le lacrime che sentiva premere per uscire, cadessero di nuovo giù sulle sue guance. Avrebbe mandato via il groppo alla gola, cercando d'apparire indifferente ed intoccabile dinanzi alle sue parole. Ci stava provando almeno. Non era facile però restare inermi dinanzi alla pennellata di positività che Mason tracciava dinanzi a sé. Non avrebbe saputo dirsi se vedere in lei così tanto buono, gli avrebbe fatto bene ma l'idea che qualcuno riuscisse ad andare oltre l'apparenza di cui si era sempre rivestita, vedendo un'identità nuova sconosciuta persino a se stessa, la emozionò.
    Ringraziò senza proferire parola che Mason avesse deciso di cambiare discorso.
    Si schiarì la voce, prima di rispondergli, cercando di mandar via ogni traccia del peso del discorso dell'altro su di sé. «Non ho molti libri di poesie a casa. Ho preso i primi che ho trovato.» Gli disse, facendo spallucce, annuendo poi alla sua proposta. Distrarsi sembrava un ottimo modo per smettere di badare a tutto quello.

    Ci avevano provato a non pensare.
    Quando però la notte era sopraggiunta, e con essa il silenzio, era stato più difficile mettere a tacere la voce della propria coscienza.
    Si erano rintanati in stanze opposte. Lui aveva scelto il divano, invitandola a prendersi il letto e dopo poco Helena aveva dovuto cedere, portando comunque con sé il sacco a pelo rosa nuovo di zecca. Era rimasta sdraiata su quel letto, ancora vestita, a stringere quel sacco a pelo come fosse un pupazzo.
    Si rendeva conto di non poter chiudere occhio lì, immersa nel odore, né riusciva a smettere di ripensare alle cose dette dall'altro.
    Così, dopo aver tanto desistito, si tirò in piedi raggiungendolo in salotto. Lui era lì disteso sul divano, ma aveva ancora gli occhi aperti.
    Lo raggiunse senza dir nulla, senza neanche guardarlo. Srotolò il sacco a pelo portato con sé, sedendocisi su. Con le gambe incrociate e le mani ferme sulle caviglie, lo guardò per un attimo prima di chinare lo sguardo.
    «Continuano ad arrivarmi quelle lettere.» Gli confessò, storcendo il muso, ben conscia che non avrebbe dovuto chiarirgli di cosa stesse parlando.
    «Non pensi a quanto facciano male le parole quando sei tu a sputarle fuori, ma quando è l'inverso... quando sei tu ad essere bullizzata... Cazzo. E' una merda. » Lo era. Quello che stava vivendo, stava cambiando radicalmente il suo modo di vedere il mondo e di affrontarlo. Non si sentiva più matura, ma capiva cose a cui prima nemmeno prestava attenzione.
    Portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, prima d convincersi a continuare.
    «Mi sono tirata su dal letto solo per aiutarti. Ma tu stai facendo lo stesso con me.» Annuì, facendo spallucce, prima di riuscire a tirar su lo sguardo sull'altro. «La ragazza coraggiosa di cui parlavi, aveva deciso di gettare la spugna. E se invece non l'ho fatto è grazie a te. Quindi... quando ti dico che per me è tutto okay, è vero. Ti perdono
     
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    Riposare è ancora utopia. Disteso sul divano, avvolto in coperte scomode quanto il silenzio che pervade l'ambiente, il caos dei suoi pensieri prende forma in scenari devastanti che appaiono ogni volta che le sue palpebre calano in cerca di riposo. Si era illuso di essersi abituato a quell'ambiente e si è persino raccontato che sapere di non essere solo in quella primitiva abitazione potesse essergli di conforto. In realtà, la presenza di Helena nella stanza accanto non ha fatto altro che amplificare la sua paura, il panico che lo scovassero, che arrivassero a lei ancor prima che a lui stesso. Terrore nei suoi occhi spalancati, i nervi tesi quando avverte un rumore ovattato di passi lenti, calmi, all'interno del salotto arrangiato. Riapre i pugni solo una volta resosi conto si tratti della ragazza, che l'ha raggiunto munita del suo eccentrico sacco a pelo su cui adesso siede, sul pavimento dinanzi al divano. Automatico risollevare la schiena indolenzita, stiracchiarsi appena per mandar via le tracce dei fastidi che il contatto con qualsiasi superficie ancora gli provoca, prima di sedere rivolto verso di lei. Lo sguardo preoccupato la studia dall'alto verso il basso, in cerca di dilemmi o problematiche da scovare. Non è necessario. La sincerità dell'altra non tarda ad arrivare, mettendo in chiaro quell'inquietudine che li priva del riposo che meritano. Ricerca una distrazione, senza però allontanarsi da quello scambio di rivelazioni che li lega da sempre, come ai vecchi tempi, ed il Chesterfield è ben disposto ad accoglierla, per quanto prive di gaudio siano le informazioni percepite. 'Il mondo è un posto cattivo.' Ribadisce un commento che punti l'attenzione su come l'universo giri ai suoi occhi, con tutte le motivazioni per cui si è rassegnato a dover far parte di quella cerchia di malvagità che, no, non è per niente ristretta. 'E scrivere quelle merdate in anonimo è da patetici stronzi senza palle.' Sbuffa infine, donandole accenni di un'umanità che fino ad ora è rimasta sopita sotto il suo sguardo stanco e le sue movenze impastate. Non è però quello il punto su cui Helena sembra volersi concentrare. Ciò che sembrava la conclusione di un'amara constatazione, non era che il principio di un ennesimo tentativo di ricostruire il ponte della loro relazione contorta. Una connessione che li leghi aiutandoli a ricordare come loro fossero reciprocamente l'uno la parte migliore dell'altra. Così segnano un accordo di pace, che ha il sapore del sincero perdono che lei continua a ribadirgli, distendendo l'espressione del ragazzo con naturalezza e spontaneità. La stanza ricomincia a dipingersi di colori vividi e piacevoli. 'Bene. Ne sono... felice.' Note di perplessità che le rivolge in sussurri, grattando via l'imbarazzo con le dita incastrate tra i ricci lunghi e selvaggi. Subito dopo, avanza i propri appunti e le opinioni in merito. 'Però non sono io a costringerti ad aiutarmi.' Stringe appena i denti conficcati sul labbro inferiore, osservandola vagamente nel tentativo di percepire ogni reazione di lei alle sue parole. 'Lo fai da te.' Pronuncia quella rivelazione con sicurezza, mentre si affaccia oltre il divano, chinandosi poi verso il pavimento per prendere posto accanto a lei, poggiato per metà su un lembo rosa del sacco a pelo e per il resto sulle assi di legno del parquet malconcio. 'Perciò vorrei ti vedessi anche tu coraggiosa quanto ti vedo io. Ed anche altruista... E tante altre cose che potrei dirti, ma non voglio beccarmi un pugno per averti messa così tanto in imbarazzo.' E' diverso il loro modo di interagire. Mesi prima mettere a dura prova la pazienza dell'altra e mandare in tilt ogni briciolo di autocontrollo che lei si ostinava a dimostrargli è stato il suo passatempo preferito. Stuzzicarla, con allusioni talvolta di natura snervante ed altre di tipo più fisico e malizioso, era la base del loro rapporto. Abitudini di cui sente solitamente la mancanza, ma che in questo momento non sono che superficiali ricordi che non attirano la sua attenzione. Immergersi nella calma e poterle aprire il proprio cuore, adesso che tutti i suoi giochetti ed i suoi segreti sono stati scoperti, è una delle concessioni più belle a cui si sia mai dedicato. Chissà se anche lei percepisca lo stesso bisogno o se la necessità di lasciar perdurare la propria maschera di diffidenza avrà la meglio anche in questa situazione. 'Ad essere sinceri, poi, preferirei aiutarti in altri modi, piuttosto che fare lo sciopero delle parole e delle smorfie.' Ci prova ancora a porre un po' di meritata leggerezza tra loro. Non è immediato, non è neanche semplice come vorrebbe fosse, però ci riesce. Lentamente, riscopre con lei ogni sfumatura di serenità che gli è stata strappata via nel vecchio capanno in mezzo al bosco. Riprende tra le mani tutto ciò che ha scoperto con lei, sì da incastrarle di nuovo nel proprio animo ed aiutarsi a guarire. Poi, tormentato da dubbi che non gli concedono mai un briciolo di sollievo, punta gli occhi contro i suoi. 'Ti fa ancora paura se ti tocco?' Una domanda profonda, a cui non segue però alcun contatto. Nessun tentativo o accenno di afferrare la sua mano, di carezzarle il viso, di baciare le sue guance o le sue labbra. Inerme, attende un responso più incisivo di quanto non sia disposto a credere. Riemerge dal proprio assopimento, seppur ancora in briciole quasi impercettibili, il desiderio di rivivere con lei tutte le emozioni dei loro contatti condivisi. Anche solo quelle degli abbracci che la vita gli ha negato e che lei, invece, gli ha inaspettatamente regalato con spontaneità. 'Ti faccio paura io?' Il perdono è ben diverso dall'assenza di timore.


     
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