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.Mi illudo sempre di avere opzioni poste su piani diversi della realtà, ma alla fine fa tutto parte della stessa massa indistinta, giusto? Un filo aggrovigliato senza inizio né fine, che si attorciglia su se stesso ancora ed ancora, dando vita ad un gomitolo di nodi senza senso. Intoppi al naturale scorrere del tempo, che rendono la mia visione del mondo frammentata ed incostante, come una VHS vista troppe volte, tanto da essere consumata. Saltano passaggi nella mia mente. Compaiono vuoti che non mi spiego, riempiti da interferenze che non capisco. Immagini senza senso e contesto, che mi fiondano in una realtà alternativa che non conosco.
Come sono finito qui? L'ho voluto io o l'hanno voluto loro?
Loro chi?
Continuo a chiedermelo cercando una risposta. Poche cose ne trovano.
La mia vita è un quiz. Un accumulo di domande senza esiti, che si affollano nella mia mente rendendomi costantemente impegnato a dare un senso a quel che vedo per poterne usufruire, ma non ne trovo.
Sono spettatore della realtà. Un personaggio senza autore e scenografia che vaga in un teatro colmo di dettagli che non mi appartengono. Osservo me, o qualcuno che mi somiglia, recitare una parte che non conosco e non me ne sento coinvolto anche se tutto questo mi appartiene, in un modo che ancora non sono in grado di spiegare.
Ma mi adeguo.
Lo faccio di continuo.
Col tempo ho capito che è più semplice non porsi domande, muoversi seguendo regole fisiologiche, imposizioni razionali sfocate al punto da darmi l'illusione della scelta. Perchè questo l'ho scelto io, giusto?
Quindi sono qui dopo quello che mi è successo. Dopo il mio primo vero eccesso.
Il mio primo vero me.
E' ormai un mese che sono ospite di questa struttura, e ho già capito come funzionano le cose. Sono un attento osservatore. Forse non so fare altro.
Guardo ciò che mi circonda, convinto di poterne capire l'essenza, di potermi immergere in determinati contesti e viverli. Non è mai così semplice. Conosco tutto il personale però, ed alcune delle dinamiche tra i pazienti. Ne punto uno ogni giorno, studiandolo a fondo come fosse un libro.
L'ultimo mi ha tenuto impegnato per giorni. Drayton. Scozzese dall'accento, impasticcato come me nei miei giorni migliori. Tumultuoso. Leggo la sua fiamma repressa sotto uno strato di droga che comincia ad attecchire ed annichilire la sua mente. Mi diverte. Mi incuriosisce.
Ho aspettato per giorni prima di finire nella sua stanza, appropriandomi del suo letto approfittando della sua momentanea assenza.
Provocare, è divertente. Stuzzico la realtà per poter godere degli eccessi. È più semplice muoversi in questi che nella normale quotidianità. Tutti ti giustificano quando sei fuori di te. Puoi fare qualsiasi cosa. Essere chiunque tu voglia.
“A quanto pare si è liberato un letto.” Intervengo così quando vedo il biondo fare il suo mentre sono comodamente sdraiato sul suo letto. Le gambe incrociate e penzoloni mentre fumo in barba al divieto rosso stampato sulla parete sulla mia testa.
“Credo mi trasferirò. C'è una vista migliore sul nulla da qui.” Gli dico, piegando il braccio dietro la testa e guardandolo appena per qualche attimo.
“Hai fatto il culo ad uno di questi svitati qualche giorno fa.” Non sorrido, né rido. Sono serio ed assorto mentre gli espongo un dato di fatto. Il tumulto è fonte di gossip anche tra menti distorte come quelle che vivono qui. “Divertente.”. -
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.Jonas né nessun altro potrebbe mai capire quanto abbia bisogno di questo tipo di interazioni. Necessito di un confronto, di uno scontro. Necessito di mettere alla prova me stesso e mettere a tacere i dubbi che si affollano nella mia mente. le persone non sono solo un semplice passatempo ma un bisogno, un tassello necessario per completare il personaggio che devo interpretare, quello di cui mi hanno dato il copione e che non riesco a sentire mio. Non tutti i giorni almeno. Cerco quindi un tumulto, il boato di un'esplosione. Il vociare disordinato che annienta la mia confusione. È il silenzio il mio acerrimo nemico, quello in cui le domande prendono forma e pretendono risposte.
Rido scuotendo il capo alla sua minaccia, lasciando andare una boccata di fumo tra labbra strette. Eppure lo assecondo. Spengo la ciccia sul suo comodino, ignorando il posacenere lì accanto, prima di tornare a guardare il mio interlocutore.
Gambe incrociate, braccia sul ventre e capo piegato.
Non avrò idea di chi io sia, ma so come assumere un ruolo. So come essere la miccia che innesca una guerra. Ora voglio essere la sua. Mi darebbe un grande lustro, un'importanza enorme. Scatenare la sua furia, mi darebbe l'onore di un'etichetta. La consapevolezza di essere almeno colui il quale può essere odiato.
“Lo sono, no?" Replico, sorridendo.
Non obietto.
Siamo qui da mesi. La fase della negazione l'abbiamo superata da tempo, e forse io non l'ho mai nemmeno realmente avuta. Non mi dispiace stare qui. I miei incubi si sono attenuati e l'equilibrio chimico che ci propongono sotto forma di polvere compressa e pillole dai colori tenui, calma i miei picchi. Smussa i miei angoli. Rende lo specchio in cui mi rifletto, meno frammentato. A volte mi sembra persino di riuscire a darmi un volto, se sono fortunato resta lo stesso per tutta la giornata.
Quando mi afferra per tirarmi via, oppongo resistenza, quel che basta perchè io mi tiri su ma senza allontanarmi dal letto. Resto faccia a faccia col mio momentaneo nemico per un attimo prima di sorridergli.
"Quindi?" Poi, la mano ancorata alla sua, si tira indietro con uno strattone nel tentativo di far crollare lui sul letto sul quale era sdraiato. Io mi allontano invece, accomodandomi sul letto di fronte.
Sul comodino, un pacchetto avvolto in una carta stagnola attira la mia attenzione. L'ospite precedente deve aver dimenticato qui il suo spuntino, ed io me ne approprio, scartandolo.
"Ora che se n'è andato il tuo ragazzo, che piani hai?" Do il primo morso, prima di piegarmi in avanti, gomiti poggiati sulle ginocchia. Lo fisso.
"Smetterai di fare il coglione per seguirlo?" Ammicco.
Poi, torno al mio panino, concedendogli un nuovo morso. "Sarebbe... Scontato.". -
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.Mi piace vedere il modo in cui mentono le persone. A se stesse prima che agli altri. Qui è un particolare comune. Si nega la realtà perchè immersi in scenari differenti. Forse non si tratta nemmeno di bugie, quanto di punti di vista diversi. La pazzia non è nient'altro che questo. È vedere il mondo dal buco di una serratura, godendo del proprio universo fatto di colori nuovi e sgargianti. È quando i due scenari si schiacciano per sovrapporsi che accadono problemi. Non sono miscibili. Come olio ed acqua, restano l'uno sull'altro, dando visioni opache e frammentate di sé.
Eppure ora Jonas sembra appartenere alla prima categoria, quella dei bugiardi. Non so se mente a me o a se stesso, ma io so cosa ho visto. Il ragazzo ostile che avrebbe messo all'angolo chiunque pur di tenerlo lontano, si era avvicinato a qualcuno. Se non è una straordinarietà questa, non so cosa possa esserlo.
“Porti tutti i tuoi compagni di stanza a fare una visita panoramica del terrazzo? Porterai anche me?” Gli chiedo, inarcando le sopracciglia con l'espressione di chi conosce già la risposta. So quanto possa essere fastidioso il mio modo di fare ed è esattamente per questo che ne faccio abuso. “Tranquillo, non l'ho detto a nessuno.” Preciso poco dopo, come a voler rassicurarlo sul fatto che questo può considerarsi un nostro segreto. Un'altra fune per il nostro legame.
Ignoro le sue supposizioni. Non che non abbia ragione, ma non me ne sento toccato ora. Questa parte di me non ha paura. Ora sto bene. È quando chiudo gli occhi che si fa forte il timore di un passato che sto imparando a ricordare e riconoscere soltanto adesso.
“E dove vorresti passarla la tua vita?” Gli chiedo, mettendo su un'espressione turbata quando mi strappa via il mio trofeo gastronomico che stavo pregustando.
“Era buono.” Gli dico ancora a bocca piena, mandando giù il boccone.
Mi piego in avanti. Il mio sguardo fisso in quello dell'altro, quasi come un predatore che punta la sua preda.
“Ci divertivamo prima.” Un dato di fatto. Non siamo mai stati realmente amici, forse più soci. Compagni di malefatte. Univamo i nostri talenti per concederci una pausa dal mondo, un aumento della nostra permanenza in quest'ospedale. Tutto è finito d'improvviso.
I cambiamenti drastici hanno sempre un forte effetto su di me. Li accolgo con apparente apatia, ma non significa affatto che io non li elabori col tempo.
“Ti ricordi quando raccontammo a David che lui non era il vero se stesso e che era in realtà vittima di un loop temporale? Vederlo impazzire ed urlare era divertente.” Rido a quel pensiero, tirandomi in piedi per raggiungerlo. Mi fermo ad un passo da lui che è seduto sul letto, restando a guardarlo dall'alto in basso. “Mi manca.”. -
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.Sguardo fisso, deciso. La sua rivelazione arriva a poco poco. Si scopre nonostante l'iniziale limite da lui anteposto, mostrando tracce d'una umanità profonda che avevo già percepito. A volte capisco fin troppo bene le persone, meglio di quanto io sarò mai capace di capire me stesso. Mi basta osservarle.
Con Jonas è più semplice del solito. C'è qualcosa nel suo modo di fare che attiva i miei sensi. Mi incuriosisce il suo atteggiamento, lo scudo che si crea per nascondere una persona già formata e che conosce meglio di quanto io potrò mai riuscire a conoscere me stesso. Forse è l'invidia. Forse l'ammirazione per una persona che ha spigoli ben definiti e soltanto da smussare.
Deve essere bello aver consistenza e non sentirsi una massa informe sputata qua e là in contesti astratti che non si comprendono.
“Quello della guida è un ruolo importante.” Lo pungolo, ancora, con insistenza, alludendo ad una risposta che forse conosciamo entrambi. In realtà non ne ho la certezza. Assistere ad un mutamento così veloce e radicale però, parla chiara, basta solo saper osservare. Nulla cambia diventando qualcosa di diverso da ciò che era. Non si creano nuove entità dal nulla. Jonas ha solo mutato la sua forma, come se avesse indossato vestiti nuovi, ed è stato qualcun altro ad aiutarlo a farlo.
Corrugo la fronte dinanzi alla sua proposta.
Sembra sincero.
Per un attimo sembra sul serio volermi aiutare ma non credo più a chi mi tende la mano. Lo fanno solo per pulirsi la coscienza o per trascinarti in posti in cui non vorresti essere. “Perchè dovrei aver fretta di tornare ad un mondo che non mi si adatta?” Gli chiedo retoricamente, piegando il capo nel rivolgergli uno sguardo vacuo. Eppure sono qui. Lo sento. È più semplici sentirsi reali quando mi confronto con Jonas. Deve essere perchè le nostre lunghezze d'onda si sovrappongono, unendosi per dar vita ad un'unica sfumatura di colore. La variazione cromatica che ci dipinge, ci inserisce in uno stesso intervallo. Questo mi fa sentire finalmente affine a qualcuno.
O forse, siamo solo pazzi entrambi.
“Qui posso essere chiunque o nessuno. Resterei comunque pazzo e sarei qualcuno, tutto sommato, e sarebbe comunque migliore dell'etichetta che mi aspetta messo piede fuori da questo ospedale. Qui, siamo liberi.” Annuisco, facendo spallucce l'attimo dopo, rimuginando su un tentativo da fare per provare a tenerlo qui con me.
“Potresti esserlo anche tu. Fuori chi saresti invece se non il ragazzo pericoloso che potrebbe uccidere qualcuno a suon di pugni?” Ed attendo solo un attimo.
Un attimo in silenzio, prima di poggiare una mano sulla sua spalla, e spingerlo con forza.
Attendo un attimo, prima di rifarlo.
Jonas ha provato a convincermi a suo modo. Io proverò a trattenerlo secondo il mio. Lui vuole liberarsi del suo mostro. Io lo voglio qui con me.. -
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.Un colpo, basterebbe un colpo.
La caduta di un solo tassello per veder venir giù come fosse un domino la sua inutile parvenza di normalità. Potrei lasciarmi andare ad un atto simile. Soffiare sulle sue convinzioni, soltanto per vederle crollare, ma non lo faccio.
Mi limito ad osservarlo, sotto di lui. Non mi oppongo, non mostro alcun timore. Non ne ho.
Ci sono momenti come questi, momenti in cui la realtà diventa ostica, in cui mi sembra di non riuscire più ad entrare nel mio corpo. È quasi come se vivessi dall'esterno ciò che mi capita, calmando i miei nervi e svuotando il mio sguardo.
Le spalle sono molli, la mia espressione rilassata, mentre lo osservo come se non fossi nemmeno qui.
“Okay.” Non oppongo resistenza. Non pizzico ancora la sua pazienza ma semplicemente mi adeguo. Deve essere una sorta di insito meccanismo di protezione. Quando vivi a lungo all'inferno, un po' ti abitui alle fattezze del diavolo. Sai com'è fatto e cosa farà. Il modo migliore per evitarsi dolori, è adeguarsi. A nessuno piacciono gli eroi, e quelli non vivono mai a lungo.
Poggio delicatamente una mano sulla sua, per tentare con pacatezza, di allontanarla da me. Sono gesti lenti, calcolati, quasi come se sapessi esattamente come fare per evitare il peggio. È quel che spero.
Soltanto dopo, mi lascio andare ad una confessione nel guardarlo. L'unico colpo che non posso tener per me. Una verità di cui, da amico, sento la necessità di metterlo al corrente. “Tu sei questo. Potrai ingozzarti di pillole quanto vorrai, ma resterai sempre lo stesso.”
La verità tuttavia, è sempre la strategia peggiore. Sono poche le persone in grado di ascoltarla, ancor meno quelli capaci di accettarla. La verità è una pugnalata di realtà in un corpo fatto di finte e fantasie. Siamo tutti fatti così. Nel nostro corpo, nelle nostre vene, scorrono bugie insieme al sangue. È nel nostro DNA. Ci raccontiamo fandonie fin da quando apriamo gli occhi, lo facciamo anche in modo totalmente inconscio. È il nostro modo di sopportare il mondo, perchè vivere è la cosa più paurosa che possa esistere.
Avvicino il mio volto al suo, mettendo su un'espressione distesa. Non c'è sfida nel mio sguardo, né tumulto tra le mie labbra. Solo la pura sincerità di chi riesce a vedere il mondo da un angolazione differente. “E lo sai perchè lo so?” Procedo ricercando il suo sguardo, nel desiderio di catturarlo. Di inoculare nei suoi occhi come nella sua mente, il seme della realtà.
“Perchè ti conosco.”. -
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