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Hogsmeade, Abitazioni. Febbraio 2020.

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    Studente Serpeverde
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    Saaremaa, Estonia.

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    Gli anelli sono vuoti – pensava Saule a sette anni, guardando i gioielli di sua madre.
    Sono incastrati negli spazi del portagioie dorato e non catturano altro che l'aria.
    Rubini, zaffiri, diamanti: un tripudio di colori che adombrava i suoi pensieri.
    A volte, soprattutto la sera, se lo chiedeva. Si chiedeva se sarebbe passata a lei, un giorno, tutta quella ricca collezione. E la consapevolezza di essere la primogenita -l'unigenita - della prestigiosa famiglia Karubach la sfiorava per davvero in quei momenti.
    In cui tutto quel vuoto diventava un peso insostenibile.

    Gli anelli sono pieni – aveva realizzato tredici anni più tardi, assistendo quasi per caso a una proposta di matrimonio nel centro di Hogsmeade.
    I due fidanzati dai capelli rossi li riconosce: il timido e romantico Cormell e la brusca ma premurosa Philips. L'aveva vista sorridere mentre scuoteva la mano con ostentazione, e non aveva potuto fare a meno di sorridere anche lei.
    È questa la funzione che dovrebbero avere gli anelli, aveva pensato: uno solo portato con orgoglio e non tanti lasciati impolverati nei cassetti.
    Sul dito di Daisy, quell'anello era diventato pieno – di carne, di amore, di senso.
    È lo stesso senso che si era scoperta per la prima volta a desiderare anche lei*.

    Gli anelli sono tondi. È la considerazione più ovvia, ma Saule arriva a rendersene conto solo a vent'anni passati, quando lei e lui sono uno di fronte all'altra a fissare un cumulo di oggetti che le sono appartenuti una vita fa. Lo capisce osservando la piccola fede d'oro bianco scivolare in disparte dal mucchio e rotolare sotto ai suoi occhi.
    Un vuoto che sarebbe potuto diventare pieno, un vuoto di cui non ha mai avuto tempo a sufficienza per riflettere sulla forma.
    Sono tondi, come la figura perfetta, il cerchio senza inizio e fine che marca l'infinito.
    (sposami; ed io non scapperò mai più)

    Quando ritorna a calpestare quel vialetto è una banalissima domenica mattina. Cammina piano, quasi avesse paura di arrivare, il ticchettio sordo delle suole a sancire ogni passo.
    Stavolta non è buio, stavolta è meno freddo. Sono passati dei mesi e non è del tutto sicura di ciò che sta per fare.
    Le dita tamburellano nervose sul lato della gamba sinistra, mentre con la destra si ravviva appena la giacca. Sembra una domenica come tante, a Hogsmeade.
    Sembra una domenica come tante per tutti, ma non per lei.
    Smuove leggermente i capelli e le sembra di starsi scompigliando i pensieri, può distintamente sentirli agitarsi come tante piccolissime bolle effervescenti, pronte ad esplodere al primo sussulto. C'è un bel sole a Hogsmeade, quasi ci si è dimenticati delle macerie, del tempo che passa, di aver ripulito tutto. Una sensazione grave, come di una strana pesantezza, le si appoggia in grembo. Questa notte non ha chiuso occhio, ha sognato giunchiglie e i suoi sogni non mentono.
    Non ha chiuso occhio e ha sognato giunchiglie, le fa perfino male il cuore. Saule si preme le dita appena sotto la clavicola sinistra e pensa che anche il suo corpo non mente, che sta cercando di dirle qualcosa forse perché sa esattamente dove vuole andare.
    Inspira con ostentata pacatezza, in fondo l'hai già fatto altre volte, si dice mentre avanza come un condannato. Si tratta solo di un'ultima occhiata, mente, e da lontano già sente l'odore di erba tagliata di fresco.

    La casa di lui sta in un complesso di villette a schiera - semplici, murate, dalla forma perfetta. Ha le finestre che si affacciano sull'ingresso, ma dall'ultima volta sono comparse delle tendine sui vetri.
    Le avrà messe prima o dopo che ci siamo incontrati?
    La fissa da dieci minuti, soffiando volute di fumo che il vento sottile trasporta altrove.
    La cenere è ancora lì, appesa al mozzicone ardente.
    È da questi piccoli dettagli che si capisce che Saule è nervosa.
    Inspira per l'ultima volta, poi effettua un lancio deciso di quel che resta della sigaretta, stirandosi a fatica le pieghe dai vestiti. Con le mani che tremano, diventa tutto più difficile.
    Infine avanza oltre il piccolo cancello basso e procede fino alla porta d'ingresso, spingendo un indice sul pulsante bianco del campanello. La luce blu del led si illumina, dev'essere in casa.
    Fa un passo avanti, salendo sul gradino di mattoncini rossi dell'atrio proprio l'istante prima che la serratura scatti e che il viso di lui faccia capolino oltre l'apertura.
    Non c'è nessun "ciao", soltanto un lungo sguardo alla sua figura, prima di decidere di riprendere a respirare.
    "Mi fai entrare?" chiede, le parole seguite da un cenno secco del capo.
    Qualcuno - la voce é acuta e lamentosa, un bambino che strilla? - protesta sonoramente dall'interno una volta, due volte, tre volte.
    Lukyan resta come immobilizzato, se lei non fosse certa di avere la testa saldamente ancorata al collo potrebbe persino pensare che lui la stia fissando in cerca di un qualche pezzo mancante.
    "Sta piangendo." termina, come a volerlo riportare coi piedi per terra.
    Il traffico ha smesso di fare rumore.
     
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