Abyssus abyssum invocat.

pvt.

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    L’ultima candela stava ancora bruciando, quando il suo soffiò spirò sullo stoppino e la piccola stanza si rabbuiò. Ophelia sedeva immobile su quel legno scuro laccato di una vernice invisibile, beandosi appena del lento dondolìo in quella sera primaverile, contando i rintocchi del pendolo senza alcun fare smanioso.
    La fretta in effetti era una viltà degli uomini che non le apparteneva, né tantomeno credeva potesse esserci qualcosa di peggiore di quella: soppesare il valore dal lento e ineluttabile trascorrere del tempo.
    Restò in una placida attesa, dunque, il viso adorno di un’espressione indecifrabile e sardonica. Sorrideva di rado, la Sibilla, ma in quei rari momenti era possibile scorgere una luce sinistra nel suo sguardo. Gli occhi profondi e cupi erano una dolce promessa fatta di spifferi e angoli appuntiti, e i sottili capelli d’ebano incorniciavano gli spigoli affilati del viso restituendo una luce più selvaggia al suo sguardo, un dardo scoccato che colpisce la schiena.
    Restò in balìa del leggero alitare della brezza, un soffiare quasi inconsistente che per nulla le ricordava la sua terra – luogo inospitale, latrati di vento e cieli di piombo.
    Socchiuse gli occhi, beandosi del Dono. Di tutti gli scricchiolii, fra tutti i sibili possibili, quello dei passi di lui era l’unico a risaltare, coprendo ogni cosa con il ticchettettare scandito della suola di scarpe.
    Si alzò, tornando al tavolo per ricomporre l’amuleto pendente da affiggere alla parete – era fatto di piccole ossa, pietre di fiume e intrecci di giovani fronde.
    È una precauzione giusta, pensò, gratificando se stessa con i fumi biancastri della salvia essiccata e poi accesa.
    E nel momento esatto in cui il pendolo cantava i primi quindici minuti del nuovo giorno, l’aria prendeva un nuovo odore e le travi dell’uscio iniziavano a scricchiolare.
    Si specchiò in un ovale dalla cornice eburnea – le ciglia lunghe, il volto d’una perfezione che è quasi nauseante – poi ripose l’oggetto riflettente e si accostò al pomello della porta. Il suono delle nocche straniere avrebbe segnato il resto.
     
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    Sbattei la porta alle mie spalle e mi liberai del cappotto scuro, gettandolo su una delle imponenti sedie di mogano lucido che Igor amava tanto. Era tardi e dovevo ripulirmi. Un movimento secco del polso e mi sfiorai il viso con la bacchetta, lasciando che questa si portasse via la maschera scura di cui mi ero servito per passare inosservato tra le strade lastricate di Diagon Alley. Era tardi, il villaggio era semi-deserto, nessuno aveva fatto caso a me. Mi slacciai il panciotto e, velocemente, anche la camicia scura: si era macchiata di sangue e dovevo essere impeccabile per la consegna di quella sera.
    La doccia durò non più di dieci minuti. Vestito e pettinato, recuperai, dal mio vecchio comodino, la busta ingiallita all'interno della quale Igor si era riservato di scrivere - con una piuma speciale - l'indirizzo presso cui avrei dovuto effettuare la consegna: avrei avuto solo dieci secondi per memorizzarlo, dopodiché l'inchiostro sarebbe stato riassorbito dalla pergamena, senza lasciare alcuna traccia. Afferrai il piccolo sacchetto di velluto rosso che accompagnava la busta, lo infilai nella tasca interna del cappotto nero e - una volta pronto - strappai il sigillo di cera.
    Notturn Alley era più umida del solito quella sera. Il pallore della luna guidava i miei passi sicuri, mentre ripensavo alle parole di mio padre che mi ripeteva di essere cauto con quel particolare cliente. Raramente mi raccomandava qualcosa e quando lo faceva c'erano sempre dei motivi ben precisi. Per questo, assicuratomi di non essere seguito e bussato con le nocche contro il portone indicatomi da Igor, piegai il capo e attento, attesi che qualcuno mi aprisse, pronto a tutto.

     
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    Quando ebbe spalancata la porta, la notte venne a lei attraverso l’immagine del suo figlio più oscuro. Ophelia sbattè le palpebre una volta sola e il suo labbro s’inclinò in un criptico sorriso, mentre la destra – adorna di anelli – disegnava nell’aria il gesto che sanciva il suo lasciapassare nel piccolo appartamento, del tutto simile al serpente nell’atto di circuire la sua preda. Si voltò poi, lasciando all’ospite la possibilità di chiudere o meno la porta, senza aver timore di dare le spalle.
    Non l’aveva osservato che un momento, eppure lo sguardo lucido di lui – la lastra di ghiaccio che rifulgeva nei suoi occhi – era adesso un vessillo limpido per i suoi trucchi di donna.
    Hai qualcosa per me., bisbigliò padrona, la voce ferma e malleabile e il corpo consapevole, mentre le mani ritornavano alla salvia ancora ardente, adesso messa a soffocare sotto un recipiente di bronzo.
    La pioggia prese a danzare fuori dalla sua finestra, e la delicata luce della luna bastava ad illuminare i profili dei pochi componenti d’arredo.
    Non era mai stata donna d’eccessi, Ophelia, al rumore avrebbe sempre preferito la pace, eppure la sua calma appariva del tutto innaturale in contrasto con il resto delle cose: là dove la vita continuava ad esistere, per lei invece s’era appena addormentata sotto la cortina color cobalto di un cielo nudo e senza stelle.
    Sì voltò con l’usuale lentezza, i capelli neri le ricadevano lungo le spalle come uno scialle di seta mentre i bracciali tintinnavano leggeri e ridenti.
    Lui dov’è? chiese, e gli occhi morbosi - già colmi di una cupidigia affranta – si posavano gravi in quelli del giovane uomo, più brillanti e fuggitivi.
    Non verrà più, non è così? inspirò e parve quasi soddisfatta, mentre porgeva il palmo perlaceo in direzione dell’astuccio cremisi.
    Non è importante, sussurrò infine, e le dita stavano già saggiando il tessuto, Si direbbe che i tuoi pensieri siano addirittura più rumorosi dei suoi.
    Ghignò, e gli indici congiunti ai pollici liberavano l’oggetto dalla prigionia del cordoncino, sotto il frusciare impercettibile del lungo abito dall’orlo stracciato.
     
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    Quando Igor mi aveva detto di rendermi presentabile, appetibile addirittura, non avevo compreso il motivo della sua richiesta. Pensavo di trovarmi difronte a un depravato, o una strega di mezza età completamente fuori di testa, ma non lei.
    Attesi un suo gesto, uno qualunque e, quando arrivò, mi guardai intorno una seconda volta e avanzai. Un semplice gesto della bacchetta - la quale affiorò, sottile, tra le mie dita - e la porta fu chiusa e bloccata. La discrezione era importante, non importava che fossimo a Notturn Alley, anzi, consegnare in quel posto comportava, forse, maggiori rischi di quanti non ne riservassero Hogsmeade, o Diangon Alley. Era facile essere puntati dall'Auror di turno e una porta lasciata aperta era un invito troppo esplicito per i ficcanaso del posto, un modo stupido di rischiare una multa, o - addirittura, in alcuni casi - un biglietto di sola andata per Azkaban.
    Hai qualcosa per me. La sua non era una richiesta, ma una certezza, l'invito a darle quello per cui ero stato mandato lì. Puntai lo sguardo nel suo e la osservai, piegando leggermente il capo, mentre una mano scivolò nella tasca interna del cappotto. In un altra circostanza, prima avverrebbe il pagamento e poi la consegna. Nel caso di persone poco raccomandabili, Igor si prendeva la briga di riscuotere qualche giorno prima che gli dessi ciò che avevano chiesto, ma quel giorno, con quella strega, c'erano accordi diversi.
    Lui dov'è? domandò, nello stesso momento in cui poggiavo sulla superficie legnosa del tavolo il sacchetto di velluto scarlatto. Non verrà più, non è così? Sembrava conoscere le risposte alle sue stesse domande, ma non ci badai. Ci sono io, al posto suo, adesso. mi limitai a dirle, fissando gli occhi nei suoi che - scoprii - essere grigi. Non conoscevo il motivo per cui Alek, alla fine, aveva deciso di mollare, Igor non aveva indugiato sull'argomento, né mio fratello si era mostrato in vena di parlarne. Doveva nascondere qualcosa, sotto quella bellezza, sotto la pelle candida e i capelli corvini, gli occhi grandi e le labbra carnose.
    Non è importante. Si direbbe che i tuoi pensieri siano addirittura più rumorosi dei suoi. Un ghigno si dipinse sul suo volto. Una legilimens? Poteva essere, ma la cosa non mi scompose, sebbene non gradissi quella indiscrezione non richiesta. E' tutto? Igor ti porta i suoi saluti. Sono 25 galeoni, per questa volta. Cinque in meno di quanto accordato per via dell'inconveniente con Alek. Non ero lì per parlare, ma per riscuotere.

     
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    Se avesse dovuto azzardare una descrizione, Ophelia era certa di poterlo definire un uomo di polso, oltre ogni ragionevole dubbio. Il modo in cui portava sezionati i capelli, quello in cui si frugava nella tasca del lungo cappotto rimandavano a chiare lettere ad una persona che, incuriosita e risoluta allo stesso tempo, non vedeva l’ora di mettere il naso fuori dall’uscio.
    Il suo sorriso enigmatico s’incrinò, mentre il grigio spento dei suoi occhi già catturava la vita che vibrava in quelli di lui: animosa, ruggente, non ancora sazia di potere.
    Controllò che la sua merce fosse a posto, evitando di indugiare a lungo sul suo viso. Non ha nulla di suo fratello, si ritrovò a pensare, mentre la mente liberava dalle sue catene il ricordo degli incontri passati. Oh, gli occhi di Alek non erano così vivi, l’odore affatto erbaceo e pungente. Sembrava sempre in preda ad un delirio, quello, e la cattiveria gli bruciava l’anima.
    Ma questo…!, questo trasudava di passione, e tormento, e il dubbio che lo assaliva lo rendeva quanto più simile possibile ad un essere umano.
    Una debolezza, forse? Una rarità.
    Lo osservò, posando lo sguardo sul collo di lui, puntando dritta all’Occhio. Era forse già segnato quel destino? Non ricordava più nulla degli strattoni secchi del maggiore, del fiato mozzato che alitava al suo orecchio.
    Lo aveva manipolato, dunque?
    E non erano forse assai simili, per quello?
    Senza fretta, Chernyvolk senza fretta, la sua stessa voce tintinnò, e la lama del suo sorriso squarciò in due la bocca formosa. Avrebbe avuto quei galeoni a momenti, ma c’era ancora un’ultima questione a cui rimediare.
    Non vuoi prima sentire in quale modo potrei esserti utile?, lo interrogò sibillina, disponendo il pagamento sul tavolo senza perdersi un solo istante della reazione di quegli occhi.
    Io l’ho trovata, lupo., e dondolò appena la testa, avviando quel gioco in cui era assai esperta. Non è quello che volevi?
     
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    Lo sguardo di Ophelia, come una brezza leggera, mi sfiorava laddove lei lo posava. La sentivo studiare il mio corpo, come se riuscisse a leggervi la storia che c'era scritta sopra, un insieme di inchiostro e cicatrici che lei tentava di sbrogliare, di tradurre in una lingua che le risultasse più comprensibile.
    Con la mascella serrata nella solita morsa nervosa, osservai lo spazio tutto intorno a me. In quel posto, lugubre e affascinante al tempo stesso, c'era un continuo richiamo alla natura: l'odore aromatico della salvia, quegli amuleti - di ossa, ramoscelli e piccole pietre - che aveva appesi qua e là nella stanza, i simboli runici intagliati in uno o più parti della stanza. Era forse quello, quel richiamo alla terra, ad infondermi una sensazione - inaspettata - di calma? Una sensazione alla quale mi sarei arreso, avrei rilassato ogni muscolo che in quel momento era teso e in allerta, se non fosse stato per il ghigno che riuscivo a riconoscere fin troppo spesso nel viso della strega.
    Senza fretta, Chernyvolk senza fretta. Le sue labbra si aprirono, formando un sorriso che aveva del sinistro. Non vuoi prima sentire in quale modo potrei esserti utile? domandò, ed io non potei non seguirla con lo sguardo, le iridi puntate sulla sua figura, sui galeoni che lasciò scivolare sul tavolo e che io mi limitai a contare velocemente tra me e me. Non le risposi, non a voce, ma il mio sguardo doveva essere espressivo, perché lei continuò. Io l’ho trovata, lupo. Non è quello che volevi? Studiai il suo viso e le sue parole. Cosa hai trovato, strega? domandai, posando l'accento su quell'ultima parola. Qualcosa, però, nel suo compiacimento, mi suggeriva che la domanda giusta fosse chi. E allora chi aveva trovato, Ophelia? E quale sarebbe stato il prezzo da pagare per scoprirlo? La fissai, con le mani giunte all'altezza della cintura e le gambe leggermente divaricate. Nessuno avrebbe mai potuto comprendere quanta irrequietezza nascondesse quel mio atteggiamento calmo e composto. Sperai, allo stesso modo, che nemmeno Ophelia avesse quel potere.

     
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    L’uomo accostò gli occhi taglienti a quelli spiritati di lei, e la mascella contratta lentamente rilassava il morso mentre lei sorrideva.
    Circondati da una luce fioca e tremolante, gli attori di quell’incontro rimanevano immobili all’interno dello spazio chiuso dell’appartamento e, neppure troppo di sottecchi, si scrutavano.
    Non ci volle molto prima che l’operazione di scambio terminò, eppure inaspettatamente non c’era fretta nelle mani di lui, nel contare il denaro che gli si doveva. Esaminò ogni singola moneta mentre la voce di lei lo accarezzava come un pesante drappo di velluto - morbida e suadente - e lo ammaliava.
    Incalzante, come un serpente che stringe la preda, allo stesso modo il corpo di lei compiva dei piccoli movimenti impercettibili; quasi vibrava. La vita che emanava dallo sguardo aveva un sentore di erba e fresco e umida brughiera ma, pur sicura delle sue apparenze, Ophelia sapeva con precisione di calcolo che dentro di lei v’era solo marciume.
    Lo specchio azzurro dello sguardo dell’uomo allora le appariva come un vetro trasparente ed incolore, ideale per immergersi senza riflettervisi all’interno, per scrutare senza lasciarsi cadere.
    Così la donna lo attraversò - tiepida e placida e cauta -, attingendo da quei ricordi che parevano fermi come acqua di stagno, leggendolo fino ad arrivare all’anfratto più nascosto del suo cuore ferito.
    Rinvenne, il tempo non era passato e l’attesa aveva solamente aumentato la voracità del desiderio di conoscere di lui. Oh, avrebbe potuto tormentarlo per ore con quell’interrogativo, poteva cogliere la scia del dubbio accendergli un lampo nello sguardo, renderlo fulgido e lucente come lama di spada.
    Non diede seguito a quella prassi, però: questo figlio di Igor non avrebbe mai chiesto – per noia o per orgoglio, o per sottomissione -, e dunque sarebbe tornato.
    Tutto ciò che desideri.”, gli soffiò, e con un gesto della mano lo stoppino smise di ardere vivo sulla candela. Aveva molte ambizioni, ma l’animo ancora anelava alla luce, lottava per non arrendersi a se stesso. “Saprai vagliare le possibilità?” riprese, mentre con un nuovo gesto la fiamma prendeva a splendere più brillante, più intensa, più alta. Ora rischiarava tutto.
    Varca il confine delle tue paure” lo invitò, e il pugno schiuso nel frattempo gli porgeva in dono un amuleto di amazzonite.
     
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    Il mio mal celato nervosismo si contrapponeva nettamente alla calma di lei. Le sue iridi scivolavano sul mio corpo, nel mio sguardo. La sentivo insinuarsi negli angoli appuntiti del mio passato, conoscevo la sensazione perché Igor aveva sempre provato ad inculcarmi l'importanza dell'Occlumanzia, mio malgrado, però, non riuscivo a cacciarla. Ci avrei messo così poco a sbatterla al muro e puntarle la bacchetta alla gola che - per un momento - il pensiero mi sfiorò. Se non lo feci, fu solo per il timore di mandare in fumo l'accordo che ella aveva con mio padre. Ophelia si era rivelata un'ottima cliente, o mio padre non avrebbe avuto tante accortezze nei suoi confronti.
    Tutto ciò che desideri. sussurrò. Saprai vagliare le possibilità? Sfiorò lo stoppino di una candela e quella si riaccese. Varca il confine delle tue paure. mi invitò, passandomi un amuleto. Restai in silenzio per degli istanti: la mascella serrata pulsava, il capo era piegato, le labbra curve in un breve ghigno. Sbattei lentamente le ciglia una volta, poi passai a raccogliere il denaro che aveva posato sul tavolo. La tasca interna era stata incantata per riuscire a contenere più di quello che avrebbe potuto altrimenti. Recuperato tutto ciò che era mio, dopo l'ennesimo sguardo, mi diressi verso l'uscio - ignorando così la sua proposta allettante di condividere i miei segreti con una perfetta sconosciuta. Mi bastava sapere che faceva affari con mio padre per riconoscerne la pericolosità. Non avrei dato la chiave dei miei pensieri ad Ophelia. Troppe donne l'avevano tenuta tra le mani. Erano la mia debolezza, le donne. Lei lo sapeva, lo avevo visto nel suo sguardo.
    Desideri riferire qualcosa a Igor? le domandai, voltandomi a metà busto, così da poter posare nuovamente le iridi cerulee sulla sua sagoma scura, sottile, affilata come una lama. Se mi avessero chiesto quale forma assumeva il male, avrei risposto che Ophelia ci assomigliava molto.

     
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    Tentennò, e fu in quella piccola faglia, in quello spiraglio di dubbio che lei s'introdusse. D'altro canto è il motivo per il quale le crepe sono assai pericolose: basta una rottura sottile e -seppur minima - ogni cosa è pronta ad entrare o ad uscire.
    Non si oppose, lui, e avrebbe potuto farlo. In effetti avrebbe potuto molte cose, ma per qualche strano motivo si limitò semplicemente ad accumulare rabbia, reprimendo quel sentimento sulla cui base avrebbe potuto edificare intere crociate.
    Ophelia osservò la sua mascella prendere vita, smuoversi, respirare quasi sotto il sottile strato di pelle che la ricopriva. Gli occhi, immobili, stavano fissi in quelli di lei e non parvero sbilanciarsi se non per un breve, velocissimo battito di ciglia, prima di tirarsi fuori da quell'auto incanto e muovere i passi verso le monete già sistemate nel sacchetto.
    No, non avrebbe portato con sè la pietra. D'altronde come potergli dar torto, pensò, limitandosi a sussurrare lieve E' un vero peccato, e lasciando che l'oggetto si dissolvesse lentamente nella stretta delle sue dita candide e appuntite. S'incamminò verso la porta poi, nel gesto di andarsene come a voler suggerire che il conto fosse stato già regolato, che non ci fosse nient'altro che imponesse la sua presenza.
    Indi si voltò appena, riservandole l'ultimo taglio del suo sguardo. Qualcosa ad Igor?, si stupì della domanda rispondendo con un sorriso di sguincio e calcando sulle ultime due parole.
    Oh, non ho nessun messaggio per Igor, in caso di necessità mi farò viva. Quanto a te, invece... incrociò le braccia, compiacendosi appena della figura dell'uomo che aveva di fronte, scorrendo lo sguardo dal basso verso l'alto fino ad artigliare i suoi occhi in quelli glaciali e lividi di lui. Ti consiglio di fare più attenzione a quello che custodisci, riprese, avvicinandosi alla sua sagoma ferma, facendo per camminargli intorno come un avvoltoio sopra la carcassa. Potrebbe finire nelle mani sbagliate, evidentemente, spiegò, per ultima cosa assottigliando la voce in un sussurro che lo raggiunse all'orecchio. E tu non lo vuoi, questo. Non è così? lo interrogò, mentre all'improvviso davanti a sè si dipanava un fumo biancastro e, al suo interno, v'erano dissolte le immagini poco nitide di quello che aveva scorto dentro la sua testa.
    Capelli d'oro, un incanto, un bambino che piangeva. E il volto di una donna che fuggiva preoccupata.
     
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    Ero sicuro che potesse contattare Igor da sé, all'evenienza, la mia era stata una semplice forma di cortesia, ma sembrò non farci caso. Non era lui che gli interessava, sempre che di "interesse" si potesse parlare. La vidi incrociare le braccia al petto, osservarmi, studiarmi e avvicinarsi. La fluidità nei suoi movimenti mi dava l'impressione di avere difronte una creatura degli abissi, una di quelle affascinanti ma letali al tempo stesso.
    Ti consiglio di fare più attenzione a quello che custodisci. Potrebbe finire nelle mani sbagliate, evidentemente. Un monito che mi diede l'impressione di essere una minaccia, un avvertimento. Che lo avesse fatto in buona fede o lo avesse detto solo per mettere il dito nella piaga, non mi era ancora chiaro, ma ero portato a credere che - l'aver scovato con tanta facilità il mio punto debole - l'avesse incuriosita. Alzai un sopracciglio e lasciai che un debole ghigno si dipingesse sul volto. Tu cosa vuoi, invece, strega? le domandai, passando avidamente lo sguardo sul suo corpo. Con quell'aspetto, ne ero certo, avrebbe potuto ottenere da ogni mago dotato di occhi funzionanti qualunque cosa desiderasse. Cosa stai cercando da me? Eravamo tutti in cerca di qualcosa, in fondo, no?

     
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    Poté sentire il suono della natura in quel frangente, l'ululato soffuso del vento e quello del cuore di lui danzare nell'aria allo stesso vorticoso ritmo. Era sospettoso il figlio della Luna, quando ghignando le rivolse parola, ma la Sibilla capì quale tormento stava già insinuandosi nella sua anima opaca. Saggiò l'odore della sua paura con tocco leggero, schiudendo appena le labbra mortali in una fessura morbida e sinuosa. Gli umani, quali esseri vili e feriti...! le ripeté condiscendente l'eco nella sua testa, mentre gli occhi del Lupo adesso la studiavano da parte a parte con furiosa bramosia.
    Quello che io voglio alitò tiepida, gli occhi di brace, non è cosa che dovrà destarti preoccupazione, giovane Chernyvolk.
    Era così vicino, ed ella mai aveva visto creatura tanto bella. Saettò lesta con lo sguardo, ritornando appena un passo più indietro.
    Il petto le strinse, chiudendole il muscolo cardiaco in una morsa dolorosa e calda che ormai conosceva bene, ma non era tempo, non era ancora il giusto tempo per abbandonarsi alle onde, e l'energia selvatica di lui illuminava la stanza, caricava il suo potere.
    Eppure sì, il tuo spirito non sa mentire se non a se stesso continuò, e con la mano tesa chiamò a sé la prima delle lame di un antico mazzo di carte. Non la guardò neppure, mentre la esibiva all'uomo, Il sacrificio degli amanti è un dolore amaro e dolce incominciò esibendo l'arcano che mostrava due corpi nudi stretti in un abbraccio eterno. Molti uomini si fregiano di aver trovato qualcosa per cui valga la pena vivere, ma tu, oh, tu!, saresti pronto persino a morire. pronunciò mentre la debole fiamma tremava.
    Non v'è energia più pura e più potente di questa, non v'è arma che sia peggiore. L'amore, mio caro, è una forza oscura e pericolosa.
    E di tutta la sua umanità, era ciò che più gli invidiava.
     
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    Stregato dal suo fascino, mi resi conto di essere rimasto immobile per la maggior parte del tempo. Così, stanco di essere oggetto delle sue osservazioni, mossi dei brevi passi intorno al vecchio tavolo di legno antico che spiccava proprio nel centro della stanza. Sfiorai quindi la superfice ruvida del legno con i polpastrelli e ne osservai le venature, interessato, prima di alzare lo sguardo in quello di lei. Eppure, hai appena ammesso che c'è qualcosa che vorresti, strega. L'epiteto non era del tutto corretto, ma ero altresì certo che non ci avrebbe fatto caso. Qualunque fosse la sua vera essenza, sapeva mascherarla bene per via della sua forma, delle sue forme.
    Quando fummo vicini, a meno di un metro di distanza, percepii qualcosa: inquietudine. Riuscii ad avvertire il suo turbamento, ma fu un attimo e subito riuscì a distogliere la mia attenzione dalla sua figura. La osservai fare un passo indietro e armeggiare sapientemente con un mazzo di carte. La lasciai parlare, affinché mi illustrasse ciò che vedeva nelle carte e solo quando lesse gli arcani che, di volta in volta, scopriva con un semplice gesto delle dita, mi stupii di aver sempre sottovalutato quella branca della magia. Fissato lo sguardo nel suo e aiutato dalle tenebre nelle quali era immersa l'abitazione della strega, fu facile scivolare verso di lei, fino ad afferrarle il collo con una mano. Pochi istanti durante i quali i nostri sguardi si incrociarono e i corpi si fecero vicini. Non c'era alcun rancore nel mio gesto, solo il desiderio di zittirla, malgrado tutto fosse stato detto.
    Lo schiocco delle mie dita segnò il momento in cui il mio corpo si dissolse in una nuvola scura. Nessuna banalissima formula di saluto, solo la tacita promessa che - a distanza di un lasso di tempo ancora indefinibile - mi sarei ripresentato lì, pronto a soddisfare, ancora una volta, i suoi più oscuri desideri.

     
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