dying queen

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    Le capitava spesso ormai. L'ansia cresceva giorno dopo giorno, accumulandosi dentro di sé. Era raro si rabbuiasse durante il giorno, o esponesse ciò che la turbava. Durante la notte però, quando si lasciava andare a Morfeo convinta d'essere al sicuro, l'angoscia creava mostri nella sua testa che la spingevano a svegliarsi urlando, ansante, piangendo. Profondamente immersa in un trauma che sembrava sempre nuovo, fresco, e da cui le sembrava impossibile venir fuori.
    Le era capitato anche con Mason. Le si era addormentata di fianco, risvegliandosi nel pieno di un attacco di panico a causa dell'inconsapevole abbraccio che li aveva tenuti vicini durante il riposo. Ed era andata sempre peggio.
    Si sentiva sfibrata, come se la notte la privasse di tutte le sue energie. I suoi genitori le avevano concesso una pausa dalla scuola, valutando se a quel punto sarebbe stato saggio tenerla lontana da un luogo così duro visto le sue condizioni. Studiava da casa, cercando di restare al passo col programma, mentre tentava di recuperare le forze e la sicurezza per poter tornare tra la gente. Fissando il giorno rosso cerchiato sul calendario però, si chiedeva quando sarebbe stata pronta a farlo. L'idea di rivederlo, sebbene in presenza degli auror e della sua famiglia, la stava uccidendo.

    I suoi genitori avrebbero dovuto immaginarlo che Helena avrebbe avuto un altro breakdown. Era un turbinio di emozioni. Il caos che aveva dentro era ormai incontrollato. E così, dopo aver sopportato l'ultimo incontro con l'avvocato di famiglia prima della sua testimonianza in tribunale, era scappata. Stavolta li aveva avvertiti di lasciarla in pace per un po', ma era andata via comunque.
    Si era diretta verso il capanno nel bosco dove, di lì a qualche ora sperava Mason l'avrebbe raggiunta.
    Una volta dentro casa, sigillò la porta alle sue spalle. Estrasse dallo zaino le due bottiglie di tequila rubate posandole sul tavolo sgangherato. Fare il suo ritorno lì, era strano ma aveva altri pensieri per lasciare che il ricordo dell'ultimo incontro con Mason all'interno di quella casa potesse turbarla.
    Si sedette, tirando fuori dalla tasca degli shorts i tranquillanti che le avevano prescritto per sopportare la situazione. Ne tirò fuori due pillole, piazzandole sul palmo della mano, prima di far sparire il contenitore all'interno dello zaino. Le guardò, fissando poi Pinky mugolante poco lontano, e le mandò giù con un bicchiere di tequila.

    Quando la porta si aprì, la prima delle due bottiglia era vuota per metà, ed Helena giù su di giri. Il sorriso ben disteso sulle sue labbra, avrebbe potuto ingannare chiunque di primo acchito. «Eeeeehi.» Ma osservando con più attenzione, i suoi gesti lenti ed impastati, avrebbero potuto destare sospetti. Li nascondeva comunque egregiamente dietro la bottiglia mezza consumato ed il fiato alcolico che emanava.
    «Ti ho portato un regalo!» Spinse la bottiglia verso l'altro.
    «Ma la condividiamo.» Aggiunse poco dopo, riempiendosi un nuovo bicchiere che provò a mandar giù in un fiato. Non le riuscì, chiaramente, e per un po' si ritrovò a stringere gli occhi per il bruciore provato a gola e stomaco.
    Quando passò, sporta quasi totalmente sul tavolo e fissandolo, gli sorrise. Non era esattamente conscia di sé quanto della situazione ed in una condizione simile avrebbe potuto dire davvero qualsiasi cosa senza rendersene conto. «Hai già fatto le tue cose da baaaaad boy Si portò una ciocca di capelli a coprirsi il viso, ridendo per il modo in cui aveva pronunciato quelle ultime parole.
     
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    Sa di non dover abbassare la guardia, di non lasciarsi illudere da quello che sembra il primo vero periodo di serenità sotto ogni fronte da quando era ancora un bambino inconsapevole, di dover tenere fede agli avvertimenti di Hubert per non rischiare di farsi anche più male di quanto non sia già successo. Vuole però godersi le belle sensazioni che tutto ciò che lo circonda riesce a provocargli, a partire dagli attimi di respiro che gli sono concessi tra una mansione e l'altra per finire con i momenti condivisi con Helena, ancora più frequenti vista la sua assenza da scuola. E' un particolare che l'ha reso egoisticamente felice, anche se, in fondo, preoccupato per tutti gli incontri cui deve sottoporsi per affrontare quell'incubo ormai sul punto di giungere al termine. O questo è ciò che sperano. Continua a fare affidamento sulla forza d'animo dell'altra, capace di riprendersi anche da quegli attacchi di panico che si sono ripresentati anche sotto i suoi occhi, durante notti di riposo condivise. Si dice sia normale, gli dà peso ma forse meno di quanto dovrebbe e si impegna più per aiutarla a distrarsi da quel problema che ad affrontarlo e questo è il più madornale errore commesso. La raggiunge al capanno al nord, ancora malconcio a seguito dell'ultimo incontro tenuto lì, ma a quanto pare è un dettaglio irrilevante per Helena. Sblocca la serratura della porta, dicendosi sia plausibile lei abbia preferito mettersi al sicuro in quel postaccio, e fa il suo ingresso sul posto, fissando inerme e pregno di sbigottimento la visione che si palesa dinanzi a sé. 'Ma che stai facendo?' La fronte aggrottata, l'espressione interdetta, vagamente contrariata. Si avvicina al tavolo su cui due bottiglie di tequila - una vuota per metà - sono poggiate, lasciando due carezze alla piccola Pinky lì presente prima di raggiungere la sua padrona. 'Dove le hai prese queste?' Incerto possa davvero dargli una spiegazione razionale oltre i sensi già evidentemente inebriati dall'eccessiva dose di alcol ingerita, si limita a sedere di fronte a lei, afferrando con cautela quello che dev'essere l'ennesimo bicchiere d'alcol riempito per allontanarlo dalle sue mani prima che possa finire di berlo. Si muove lento, senza azzardare alcun atteggiamento brusco che solitamente le rivolgerebbe senza troppi rimorsi. Continua ad adattarsi a lei con cautela e comprensione, ma comincia a chiedersi se sia la scelta migliore da adottare quando sembra in così forte necessità di dimenticare una sofferenza che le brucia dentro all'impazzata. 'Ok, direi che per oggi possa bastare.' Poggiato il bicchiere sul tavolo, le prende una mano con delicatezza, poggiando l'altra sulla sua guancia per rilasciarvi carezze morbide che la rassicurino. Spera solo che in quello stato non ne recepisca una soffocante pesantezza che la spaventi. 'Stai bene? Qualcosa non va?' Quella bella illusione sembra ormai sul punto di sparire per l'ennesima volta ed in fondo quasi non se ne stupisce.


     
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    «Beh... bevo?» Rise dinanzi a quella che le sembrava una domanda ovvia. Lo era. Tuttavia lo era perchè Helena si era fermata alla superficialità di quel quesito. Era chiaro che Mason cercasse altro oltre l'ovvio, ma la Haugen non si sentiva ancora pronta a darglielo.
    Mugugnò infastidita quando l'altro le sottrasse il bicchiere, ed accogliere il suo contatto fisico, non fu semplice. Non le riuscì farlo. Volse il capo dalla parte opposta al palmo della sua mano, prima di afferrarle entrambe e tenerle ferme sul tavolo. Le sue su quelle di Mason. La parvenza di un controllo che ormai sentiva di non avere più.
    Le provocò un'immensa tristezza, che tuttavia non riuscì a dimostrargli.
    Avrebbe sul serio voluto godere d'ogni aspetto di Mason, a volte ci pensava quando era sola ma l'idea di avanzare anche soltanto di un passo verso una fisicità più spiccata, la terrorizzava. Non aveva mai avuto tanti limiti. E a volte si chiedeva cosa la preoccupasse realmente. Se era lui a spaventarla, e la possibilità di non poter più reggere i suoi ritmi, o la sensazione pedante e sempre presente di essere ormai contaminata. Sporca.
    «Sto bene.» Finse, piegando il capo, mentre rilasciava lentamente le sue mani. Poggiò la schiena contro il supporto della sedia, lasciando che le dita tamburellassero sulla superficie di legno del tavolo.
    «E' che ero stanca.» Ed almeno quella non era una bugia. Riusciva a dormire solo grazie a quegli ansiolitici che i suoi genitori erano riuscite a procurarle, ma stava da schifo. Era come se il concentrato di brutte emozioni provate e represse fino a quel momento, avessero preso a scatenarsi. Le stavano scavando dentro.
    Non si sentiva più lei. Nemmeno sapeva in realtà chi diavolo fosse Helena Haugen.
    «Che senso ha continuare a ripetere la mia testimonianza? Ancora e ancora e ancora. Come se cambiasse qualcosa. Il finale resta lo stesso.» Gli confidò, scuotendo appena il capo sotto l'effetto di una risata amara. «Un bel finale del cazzo.» Avrebbe voluto poter dimenticare ogni cosa. Forse sarebbe stato meglio. Forse sarebbe stato più semplice anche per Mason che continuava a guardarla con quello sguardo colmo di sentimenti che apprezzava e che avrebbe voluto condividere ma che la ferivano.
    Si sporse per riafferrare la bottiglia, che portò alle labbra. Si tirò persino in piedi, nonostante l'andamento ciondolante, per evitare che Mason potesse sottrargli anche quello.
    Quando si voltò verso di lui, la bottiglia al petto stretta tra le braccia, lo fissò per qualche istante. Era sempre stata un'egoista, ma vedere Mason così apprensivo, le faceva male.
    Avrebbe voluto liberarlo. Forse così almeno lui sarebbe potuto essere felice.
    «Hai già trovato qualcuna con cui scopare?» Gli chiese, ciondolando appena sul posto, mentre attendeva una risposta. «Magari la biondina dell'accademia. Miss America Latina.» Annuì sorridendogli, mentre si concedeva un altro lungo sorso. Quando si staccò dalla bottiglia, dovette abbassare il capo a causa delle fitte allo stomaco. Qualche istante dopo, asciugatasi le labbra col dorso della mano, tornò a guardarlo. «Vi vedrei davvero bene insieme.»
     
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    E' un duro colpo vederla ritrarsi dinanzi al suo tocco. Se l'aspettava, proiettato nella possibilità fosse un azzardo andare oltre le distanze di cui necessita, ma viverlo è tutta un'altra storia. Accettarlo è difficile. Adeguarvisi fa male, soprattutto considerati i sentimenti nati nei suoi confronti durante l'ultimo periodo. Resta fermo, lasciandola agire come preferisce, con le mani bloccate dalla sua presa e gli occhi intenti a ricercare tracce più chiare dell'emotività di cui è vittima sul suo volto su di giri, poco lucido. La ascolta e dà credito a parte delle sue parole. Non è difficile notare che non stia bene per niente, se non fosse già abbastanza evidente la sua scelta malsana per tentare di sentirsi meglio, ma la stanchezza le si è dipinta sul volto, andando oltre un probabile scarso riposo delle ultime settimane. E' emotivamente stanca, esausta di un problema che non le ha più dato tregua da quando ha scelto di presentarsi. Quella prepotenza e quella violenza si sono incise nella sua anima e grattarne la superficie fino a consumarne l'effetto è un processo duraturo che non si è ancora decisa a svolgere adeguatamente. La paura la sta consumando e l'incapacità di affrontarla alimenta la sua distruzione. Vorrebbe riuscire a fare qualcosa, ma non dipende per niente da lui. Non dipende da nessuno che non da lei stessa. 'Non puoi esserne sicura. Il passato non lo cambi, ma il futuro lo crei tu e potrebbe sorprenderti.' Sembra un pensiero troppo positivo per venir fuori dalle labbra di un ragazzo come Mason. La negatività di cui la sua intera esistenza si riveste ha sempre creato prospettive macabre, prive di via d'uscita, destinate al fallimento, al caos, alla distruzione. Eppure in quelle parole un pò ci crede. Non sa come, non sa perché, ma se è riuscito a sfuggire da quella denuncia ingiusta grazie ad Helena ed al suo coraggio, non vede perché debba andare diversamente. Non vede perché lei non possa decidersi a salvarsi da sola e recuperare tutto il controllo di cui ha bisogno. Tenta inutilmente di anticipare le sue mosse e resta quindi seduto rigidamente sulla sedia mentre la guarda avanzare in quel processo di autodistruzione di cui non vuole fare a meno. Sospira pesantemente, decidendosi a tirarsi in piedi e limitare i danni che la sua incoscienza mista al suo dolore le provocheranno inevitabilmente, ma quella nuova ondata di parole lo bloccano sul posto. La consapevolezza di averle procurato una ferita che ha difficoltà a rimarginarsi fa piombare immediatamente quel senso di colpa che pensava fosse rimasto un mero ricordo. A quanto pare, dovrà averci a che fare ancora per parecchio. 'No, non mi interessa.' Risponde secco alla sua domanda, tentando di mandare via la sensazione di essere sotto accusa, che quelle di Helena siano insinuazioni che porranno sempre un ostacolo nel loro cammino condiviso. Non è l'idea che abbia nominato Sèline con cui entrambi avranno inevitabilmente a che fare per molto tempo, quanto la perdita della fiducia che a fatica era riuscito a guadagnarsi. Ha davvero paura che possa colmare la mancanza di sesso con altre ragazze? E Mason è davvero nella posizione di biasimarla? 'E sono qui con te adesso, quindi non credo sia il momento di pensare a queste cazzate.' Si alza quindi in piedi, avanzando verso di lei, cauto ma deciso. Vederla barcollare e tentennare dinanzi a quelle ombre di fastidio che intravede mentre si attacca alla bottiglia con troppa voracità lo mette in allarme. La paura di mandare tutto all'aria e farla soffrire ancora di più, ancora una volta a causa sua, lo limita. Magari è una punizione che merita per aver sempre agito con menefreghismo ed intenzioni cattive, rasenti un animo malsano, velenoso. 'Dai, Helena, dammi la bottiglia.' Cerca di agguantarla, premurandosi di non sfiorare neanche per sbaglio la pelle dell'altra. Quanto riuscirà a procedere a passi tanto insicuri?


     
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    Avrebbe dovuto limitarsi con quelle insinuazioni, ma non le riuscì farlo. Era fuori controllo. Era come un sacco riempito fin troppo. Non reggeva più a tutto quello che aveva dovuto ingoiare, ed ora traboccava, sputando fuori il suo malessere. Era l'unico modo che aveva per evitare di piangersi addosso ancora ed ancora. Non voleva più farlo. Ognuna delle lacrime che versava, erano come acido sulle sue ferite. Non la facevano sentire meglio, ma avevano il potere esattamente opposto. Non voleva più sentirsi così debole. Aveva bisogno di fingere d'avere il controllo.
    «Non sono cazzate.» Gli disse con un sorriso. Pacata. Non urlava, né gli rivolgeva veleno. Era tranquilla mentre gli diceva quelle cose.
    «Voglio dire, l'hai già fatto! Perchè non dovresti rifarlo?» Eppure, mentre gli poneva dinanzi una possibilità che sembrava quasi volesse l'altro cogliesse, i suoi occhi si appannarono.
    Non lo accusava per quel che aveva fatto, non voleva stuzzicare la sua pazienza in merito. Era che non si sentiva nelle condizioni di avere pretese su di lui. Cosa poteva dargli? Avrebbe sul serio dovuto accontentarsi di quella sbiadita copia di se stessa? Che senso avrebbe avuto costringerlo a quel penoso scenario ogni giorno?
    L'affetto che provava per lui, la spingeva a credere di non volere un destino simile per Mason. Voleva fosse felice. Che si divertisse, godendosi il suo tempo.
    Lei, forse perchè impantanata in quella palude di triste ed insicurezza nata dagli ultimi avvenimenti, non si sentiva più in grado di aiutarlo. Si sentiva svuotata, come se Lorence l'avesse privata d'ogni cosa positiva, riempiendola di nulla.
    «Dai. Non ci credo che uno come te non se ne va in giro a divertirsi.» E se fosse stata in sé forse si sarebbe resa conto di essere anche offensiva nei riguardi dell'altro. Gli stava spiaccicando addosso un'etichetta, quella del cattivo ragazzo e donnaiolo, che non gli rendeva giustizia. Helena sapeva benissimo che quello non era Mason, era ben conscia di quanto l'altro fosse migliore di così. Era però ormai fuori di sé.
    Si concesse un nuovo sorso. «Però... mi raccomando, sii gentile, okay? Non spaventarle o non riusciranno mai più a scopare in vita loro.» E sebbene sul suo volto perdurò quel sorriso, la sua voce si incrinò nel pronunciare quelle parole.
    Allungò il braccio della mano che reggeva la bottiglia alla sua proposta, fingendo di volergliela porgere. «La vuoi?» La ritrasse prima però che potesse afferrarla. Ed arretrò incerta su gambe instabili. «Vieni a prenderla.» Non andò lontano.
    Inciampò sul suo zaino, cadendo di schiena sul pavimento. Riuscì a tenere ancora saldamente la bottiglia contro di sé ma, quando si mise faticosamente a sedere, le pillole malposte nello zaino, erano tutte riverse sul pavimento.
    Le fissò per qualche istante, afferrandone una manciata.
    Forse avrebbe fatto meglio a prenderle tutte. Forse avrebbe aiutato smettere di sentire quel dolore. O ogni cosa.
    Così, prese anche quelle.
     
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    Rimane impassibile alle parole di Helena. Non è nient'altro che una copertura che si impone per non rendere quella situazione ancora più sofferta, per lei, per se stesso. Sa bene che a parlare sia l'alcol in circolo nelle sue vene, ma sa anche che quella non è nient'altro che l'esposizione di una voce interiore che la porta probabilmente a rimuginare su quell'accaduto più di quanto lei stessa non vorrebbe. Quelle cose che ti tieni dentro e contro cui ti fingi impassibile, mentre la loro impertinenza ti tormenta sotto forma di un'ansia che non ti spieghi. C'è sempre un'origine a tutto, anche quando non la si riconosce. 'Perché non voglio farlo.' Una puntualizzazione che l'altra percepisce come acqua fresca. Niente di rimarcabile, niente su cui porre l'attenzione, nonostante in quella volontà sia racchiuso tutto ciò che lo lega a lei, timido, celato, impercettibile anche in situazioni migliori, il che rende impossibile rendersene conto in un momento come quello. Si sente ferito quando la definizione "uno come te" giunge alle sue orecchie, agitando di nuovo il suo animo già parecchio inquieto. Resiste, lo fa per lei, per proteggere quel che resta di uno spettro spaventoso. Più la vede procedere, più ne visualizza tracce trasparenti, come rimasugli di un'anima che troppi elementi hanno soffiato via, consumandola fino a lasciarne un corpo vuoto, colmo di nulla. Emozioni positive soppresse dalla paura, panico recluso prepotentemente nella scatola della sua mente, pronta ad esplodere per un sovraccarico che non può sopportare oltre. Le parole che seguono sono un colpo al cuore. Era già chiarissimo quanto quel trauma la stesse corrodendo, ma questa è la prima volta che lei si accinge realmente a parlare di quel dolore, anche se in modo impersonale, anche se portandolo come un esempio generico, distaccato da se stessa. Pronuncia la propria sofferenza con voce rotta, sotto un sorriso che spezza ancora di più l'atmosfera. Avanza verso di lei, ignorando volutamente quell'affermazione, cercando altre vie per indurla ad affrontare il disagio da lei esposto, ma improvvisamente si ritrova risucchiato in una scena cui mai avrebbe pensato di poter fare parte. Un incubo che si sviluppa tutto attorno a sé nell'arco di pochi fugaci secondi. Lo sembrano: incredibilmente veloci, troppo per poter prevenire qualcosa di così orribile, agghiacciante. La vede inciampare sullo zaino ed in un attimo è in ginocchio dinanzi a lei. Vorrebbe chiederle se stia bene, se sia ferita, ma chiaramente non è in sé. Lo sguardo chiaro dell'altra è perso, puntato su tutte quelle pillole riverse sul pavimento. Il suo sguardo scuro invece si posa sul flacone da cui sono fuoriuscite. Calmanti. Un'occhiata celere, prima di rendersi conto dell'estrema, orrenda soluzione cui Helena sembra voler ricorrere per smettere di sentire... probabilmente qualunque cosa. 'Ehi... ehi, ehi, ehi!' Si precipita alle sue spalle, strappandole di mano la bottiglia che lancia da parte, lasciandola rotolare sul pavimento e svuotarsi del liquido residuo in essa. Senza indugio, guidato da un istinto terrorizzato, scioccato dalla situazione assurda che sta vivendo, la tiene stretta a sé, tentando di braccarla, di impedirle di scapparle ancora una volta, applicando una forza bruta che ritiene necessaria, anch'essa dettata dalla paura che ha preso possesso di lui. Immediatamente una mano fa pressione dentro la sua bocca, sospingendosi fino alla gola pur di liberarla di quelle pasticche di morte che ha tentato di ingoiare. Prese e gesti saldi, ma invase da un tremore che dà dimostrazione del panico che lo percuote. 'Avanti, sputa tutto! Tutto fuori.' Un ordine che non ammette repliche, sotto un tono di voce basso, quasi atono, soffocato, ma incisivo. Impregnato della paura di perderla prima ancora che sia il destino a strapparla via da lui. 'Ti prego!' Straziata la sua supplica, mentre applica ancora più forza, va più a fondo, la stringe con più prepotenza. Non la lascerà andare via. Non in quel modo. Non sotto i suoi occhi.


     
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    Era inciampata in quegli ultimi mesi ma aveva fatto di tutto per tenersi su. Aveva nascosto dentro di sé, la maggior parte del dolore, la paura. L'aveva seppellito sotto strati di finta apatia. Disinteresse. Non era riuscita un granchè nel suo intento, ma almeno era rimasta in piedi.
    Aveva affrontato le prove che le erano state messe dinanzi, ed aveva cercato di superarle. In parte l'aveva fatto.
    Aveva persino creduto, ad un certo punto, con Mason, di riuscire a vedere la luce oltre quel tunnel. Poi i suoi demoni erano tornati a farsi sentire. La paura era tornata prepotente a toglierle il fiato ogni giorno. E più si avvicinava il momento di quell'incontro, più la finta calma di Helena svaniva.
    Era il terrore ad averla condotto a quel punto.
    Non era mai stata masochista. Non aveva mai pensato in tutta la sua vita nonostante le brutte esperienze vissute, di farla finita. Quel gesto era stato veloce ed irrazionale, e l'avrebbe fatta stare anche peggio. Era il frutto di un limite superato da un pezzo, oltre il quale Helena si sentiva sola e totalmente persa.
    Provò ad opporsi soltanto all'inizio alla presa di Mason, poi si lasciò andare. Era l'unica presa in grado di farla sentire al sicuro. L'unica persona con cui sapeva che crollare non sarebbe stato poi così catastrofico. E quindi si affidò a lui.
    Vomitò pillole e alcol sul pavimento dinanzi a sé, fino a quando non sentì lo stomaco leggero. Piano poi allontanò il capo dalla mano di Mason, chiudendo gli occhi lucidi.
    Era rimasta aggrappata al suo braccio per tutta la durata di quel momento. Aveva stretto le dita su di lui, mentre gli occhi le diventavano lucidi per il reflusso e per tutto ciò che metaforicamente stava buttando fuori.
    Quando ebbe finito, spossata, si adagiò contro il petto di Mason alle sue spalle, voltandosi verso di lui. Il volto nascosto contro la sua maglia, una mano ad aggrapparsi al suo collo.
    «Non ce la faccio.» La sua voce era un sussurro scosso dai singhiozzi. Forse si stava autocommiserando. O forse deponeva le armi di fortuna che era riuscita ad accaparrarsi dopo il disastro, ed ammetteva d'essere vinta. Annientata.
    «Non posso farlo. Non voglio...» Continuò, spingendo con più forza il volto a nascondersi contro il suo petto, piangendo contro di lui il suo dolore. La sua paura. «Non posso sopportarlo di nuovo.» E non era come il pianto di un bambino che chiedeva ai propri genitori di evitarsi la scuola quel giorno. Era la resa di una guerriera. Lo scacco matto alla regina.
    Aveva tenuto testa a qualsiasi genere di danno. Era sopravvissuta con la sua tenacia al primo incontro con Mason e i suoi uomini.
    Ora, di quella ragazza caparbia che avrebbe affrontato il mondo senza timore, sembrava non essere rimasto nulla. Era come se quella notte Lorence, le avesse portato via anche la sua forza ed il suo coraggio. Aveva lasciato una ferita indelebile dentro di sè. E così Helena ammise la sua resa: «Ho paura
     
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    Si sente sollevato in minima parte quando sotto la sua presa ferrea Helena riesce a liberarsi di quella morte certa mandata giù per la gola. La sente arrendersi alla sua preoccupazione e la regge per tutto il tempo, stretta a sé con un braccio, mentre asciuga alla bene e meglio la mano sui propri vestiti, prima di reggerle la fronte e rilasciarvi, sul finire di quello sfogo necessario, qualche carezza col dorso. Ancora tremante, la accoglie nel proprio petto quando si volta verso di lui, con l'espressione di un cucciolo impaurito ed un evidente dolore che ha il potere di straziargli il cuore. Le carezza la testa, indietreggiando appena e trascinandola con sé per allontanarla dal disastro riverso sul pavimento, che si occuperà di pulire dopo. Adesso vuole solo farla sentire al sicuro, aiutarla ad avvertire la sua presenza e smettere di patire almeno parte di quella paura che si è finalmente decisa a confessare, insieme a quella resa così lontana dalla forza che ha sempre dimostrato. Il pensiero che quell'individuo sia riuscito a prendersi così tanto da lei, dalla sua bimba, scatena un tumulto furioso dentro il Chesterfield. E' costretto a tenerlo da parte per il momento, dedicando tutte le proprie forze alla ragazza. Ha bisogno di lui e non la lascerà sola ad affrontare tutto quello. Non permetterà più che accada. 'Sshh...' Così cerca di confortarla, di indurla a calmarsi e cacciare via quel senso di sconfitta che non vuole la faccia sentire peggio. Anche la piccola Pinky, incuriosita e magari preoccupata per le condizioni di Helena, si avvicina mestamente cacciando i suoi soliti mugolii lamentosi, insidiandosi tra loro per poggiare il musino sulle gambe raggomitolate della padrona. Lo sguardo di Mason è fisso verso il vuoto. Ancora incredulo, ancora preoccupato come se da un momento all'altro avesse paura di perdere di nuovo il controllo su Helena, di vederla sfuggirgli ed andare via per sempre, le sue carezze risultano tremule, incerte. Si sente nauseato, innervosito, terrorizzato come mai prima. Non ha mai temuto per la propria vita, ma si rende conto in quel momento di quanto tema per quella di Helena. E non se ne stupisce. E resta vittima della consapevolezza che prima o poi gli toccherà comunque convivere con la sua mancanza, anche se fino ad ora ha scelto di non arrendervisi. Non sa cosa lo spinga a formulare tutti quei pensieri nella propria mente, se sia il trauma per ciò che i suoi occhi hanno visto poco prima o il timore che possa succedere ancora. Resta chinato su di lei, con le braccia strette attorno alla sua schiena, cullandola lentamente per calmare lei e calmare se stesso, le cui gambe cominciano a tremare spasmodicamente insieme a tutto il resto. 'Va bene avere paura. Tutti hanno paura.' Tenta così di consolarla, di farla sentire meno debole, meno colpevole della propria angoscia, come sembra essere da troppo tempo a questa parte. Cerca di immedesimarsi in lei, di comunicarle comprensione e desiderio di aiutarla. 'Ho paura anch'io.' Ma non ne specifica l'origine, sebbene adesso si affaccino con più insistenza tutti quei timori legati alla figura dell'Haugen. Non sono dettagli rilevanti, adesso. Vuole solo che capisca di non essere nel torto, di non essere sbagliata. 'Ma non voglio più sentirti dire che tu non possa farcela, perché non è così.' La lascia sostare ancora un pò col volto nascosto contro il proprio petto. Poi poggia le mani sulle sue guance, ricerca il suo sguardo, solleva il suo viso per permetterle di guardarlo. Ci prova, mentre poggia la fronte sulla sua. 'Non devi affrontarlo da sola. Ci sono io con te, lascia che ti aiuti.' Sospira pesantemente, chiudendo per qualche secondo le palpebre nel tentativo di mandare indietro le tracce umide di quell'angoscia che si fanno avanti. Non vuole che la loro pesantezza la raggiunga, perché non vuole incrementare il dolore già provato. 'Ti giuro che finché vivrò non ti accadrà più nulla di male. Stavolta davvero.' Arrivato quasi al limite, però, non riesce più a controllare le proprie sensazioni. A controllarsi. Così si lascia scappare un singhiozzo straziato, accorato, prima di stringerla ancora a sé, di lasciarle affondare di nuovo il viso sul suo petto, mentre poggia il mento sulla spalla dell'altra. Non una lacrima viene fuori. Solo sospiri pesanti, spezzati di tanto in tanto da quel malessere che lo annienta dall'interno e lì vi rimane, come sempre.


     
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    Con la fronte poggiata contro la sua continuó a piangere per il proprio dolore, aggrappandosi a lui con più tenacia quando tornò a poggiare la testa contro il suo. Le sue mani si strinsero a stringere la sua pelle, quasi avesse paura di vederlo sparire da un momento all'altro. Una possibilità non così remota dopo tutto il male che gli aveva direttamente ed indirettamente rivolto.
    «Non te ne andare.» Biascicò in una supplica, piangendo contro il suo petto contro cui restò. E fu proprio il suo odore, la sua presa ed il rumore cadenzato del suo battito a placarla. La sua mano scivoló in quella dell'altro quando sentì il suo petto venire scosso da un sospiro più forte degli altri. Strinse la sua mano, mentre l'effetto dell'alcol cominciava a farsi sentire, rendendo le sue palpebre più pesanti.
    E fu dopo un lungo silenzio che riuscì a confidargli un: «Ti voglio bene


    Gli si era addormentata addosso, esattamente come una bambina. Stanca e spompata dall'alcol, aveva ceduto tra le lacrime, risvegliandosi con un atroce capogiro e le guance ancora brucianti. Era accoccolata su di un fianco sul divano, con Pinky contro di sé.
    Presa confidenza con. La realtà, le ci volle qualche attimo per intuire che Mason non le fosse accanto.
    «Mason?» Richiamò il ragazzo ancora con voce impastata, colta dal panico l'attimo dopo. L'attraversò l'idea che Mason potesse averla lasciata sola, sparito a risolvere con metodi errati il problema da cui Helena aveva ammesso di essere terrorizzata. «Mason!» Chiamò ancora il suo nome, con più ardore, fino a quando non lo individuò.
    Le sembrò di poter tornare a respirare, che fu esattamente quello che fece.
    «Scusami, io credevo che...» Si scusò invano per la reazione eccessiva avuta in quel momento. Avrebbe dovuto chiedergli scusa anche per tutto il resto, ma non le riuscì.
    Sì portò le mani al viso, massaggiandolo per qualche attimo.
    Soltanto poi, preso a mordere il labbro inferiore, parló.
    «Non... non sono una drogata.» Cominciò, convinta di non dover specificare di cosa stesse parlando.
    «Sono per gli attacchi di panico.» Fece spallucce, sospirando amaramente mentre dedicava a Pinky carezze distratte.
    «Stai bene?» Per quanto inadeguata potesse sembrare quella domanda, le era venuta dal cuore. Dopo tutto quello di cui era stato testimone, e le accuse che implicitamente o meno Helena gli aveva rivolto, si chiedeva come potesse restare ancora lì.

     
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    Ironico come un nuovo carico di paure, seppur diverso dal consueto, gli impedisca di godersi quell'ultima premura affettuosa che Helena gli ha sussurrato dolcemente prima di addormentarsi. Un calore esausto, frutto del suo aggrapparsi all'unica persona che riesca a farla sentire meglio. Un ruolo di cui Mason continua a sentirsi immeritevole, ma che al contempo lo rende fiero, sereno, portandolo a sentirsi desiderato in ambiti che vadano oltre i fattori fisici che l'hanno sempre mosso ed alimentato. Si sente apprezzato. Si sente amato per ciò che è e per quanto rischioso sia per chi ha deciso di rivestirlo di così tanta importanza, non può fare a meno di goderne come fosse il dono più bello che la vita gli ha concesso. Per questo continua a tenerla stretta a sé, a cullarla e carezzarle il volto per diversi minuti, quando il sonno l'ha catturata per concederle un pò di ristoro. Poi, altrettanto bisognoso di riprendersi dallo shock che l'ha eccezionalmente colpito, si è tirato in piedi, adagiandola comodamente sul divano e lasciando che la volpe la raggiungesse, per darle il calore, il conforto ed un appiglio di vicinanza cui affidarsi. Così si mette da parte, affacciato ad una finestra mal fatta di quel capanno disastroso, dopo aver pulito l'ambiente con la bacchetta, per restarsene un pò da solo coi suoi pensieri, il flaconcino di medicinali stretto in una mano e con una serie di sigarette che lo aiutassero a riprendersi. Non è difficile, a mente lucida, capire cosa l'abbia scombussolato tanto. Come avrebbe potuto superare di vedere un'altra delle persone a cui tiene morire davanti ai suoi stessi occhi? Rimanere inerme, di nuovo, sarebbe stato utopico ed anche se in quella situazione chiunque si sarebbe dato da fare per prevenire il peggio, se anche si fosse trattato di qualcosa di peggiore e tempestivamente rischioso non si sarebbe tirato indietro. Mentire a se stesso, raccontarsi di avere il pieno controllo della situazione, di essere perfettamente in grado di domare quei sentimenti rendendoli alla stregua dell'inesistenza, non vale più a niente. E' così da un pò, ma è un concetto che di recente si è rafforzato plausibilmente. Si ridesta dal proprio torpore distratto nell'avvertire il tono di voce impastato e flebile di Helena, buttando la cicca consumata per metà e raggiungendola nell'immediato quando la sua voce agitata dà conferma del suo risveglio. 'Sono qui, tranquilla.' Le risponde sveltamente, accovacciandosi dinanzi a lei per controllare il suo stato fisico. Sembra una ragazzina qualsiasi che tenta di riprendersi da una sbronza. Preferirebbe riuscire a vederla solo secondo quel contesto superficiale. Annuisce in assenso alla sua spiegazione, non stupendosi più così tanto della necessità di assumere farmaci che calmassero i suoi nervi. Dopo aver assistito alla lampante evidenza di quanto tutta quella storia l'abbia sconvolta, non può far altro che crederle. 'Sto bene.' Altrettanto celere la sua risposta, proiettato già sul benessere dell'altra, per niente interessato a discutere del proprio, soprattutto in quel momento. 'Tu stai bene? Ti fa male la testa, qualcos'altro? Hai fame?' Impugna in fretta la bacchetta attirando un bicchiere e riempendolo d'acqua, prima di porgerglielo ed invitarla a bere. Dev'essere disidratata, oltre che stanca. Vorrebbe toccare con mano la situazione, sentire scorrere la sua pelle sotto i propri polpastrelli per rendersi conto che lei sia ancora lì, che stia bene, che non abbia più nulla di cui temere. Si limita però, per il momento, ad osservarla, ancora incerto lei riesca a sopportare anche il minimo contatto. Dopo averle lasciato qualche istante per riprendersi, cerca spudoratamente ed apprensivamente il suo sguardo col proprio. 'Perché non me l'hai detto prima?' Delle medicine, della propria paura. Di essere arrivata sull'orlo di un punto da cui ha rischiato per poco di non poter più fare ritorno.


     
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    Accolse il bicchiere d'acqua che l'altro gli offriva, bevendone a sorsi ma non rispose alla sua domanda. Fu come dissetarsi dopo ore passate senza bere. Fu piacevole. Poi, col bicchiere tra le mani, distolse lo sguardo dalla figura del ragazzo accovacciata dinanzi a sé. I ricordi tornavano man mano a costruire con ordine l'immagine di ciò che era successo qualche ora prima, ed Helena non poteva fare a meno di sentirsi in imbarazzo. In colpa. Uno stato d'animo comune negli ultimi tempi.
    Si coprì il volto con una mano, scuotendolo appena. Persino lei si chiedeva come avesse potuto rischiare tanto. Era stata così stupida, eppure rimuginando su quel gesto, rivedendosi in quel contesto, era come se avesse agito di getto senza neanche pensarci. Lei non voleva morire e tanto meno uccidersi. Non aveva mai pensato di farlo, né ci pensava adesso. Era quella dannata situazione che la mandava in crisi.
    Avrebbe soltanto voluto liberarsi di quel macigno che le opprimeva il petto.
    «Credevo non fosse importante.» Biascicò poco dopo, distendendo le gambe dinanzi a sé e mordendosi nervosamente il labbro inferiore. E non mentiva. Aveva finto che quella situazione avesse un peso minore del reale nella propria mente. Col tempo però, l'oscurità aveva nidificato nella sua psiche, costringendola a pensieri oscuri ed eccessi che non sapeva più gestire. A volte ne era sopraffatta.
    «A volte mi sembra davvero che vada meglio. Con te sto bene. Poi torno a casa, chiudo gli occhi e mi piomba addosso come un macigno quel ricordo.» Aprirsi a qualcuno non era così semplice. Non era facile accettare quella realtà e dirla anche a se stessa. Aveva semplicemente sperato che ignorando il problema potesse sparire, ma chiaramente non era stato così.
    Sospirò, sporgendosi appena per posare il bicchiere mezzo vuoto sul pavimento.
    Lanciò uno sguardo a Mason.
    Avrebbe voluto chiedergli scusa per tante cose. Era ingiusto il modo in cui lo stava trattando ma non riusciva ad aprire bocca. Riabbassò lo sguardo chiudendo gli occhi.
    «Lo sogno di continuo. E... non riesco ad urlare, non riesco a muovermi. Lui è lì e... rivivo ancora ed ancora quel momento. E fa sempre più male.» Lo disse a palpebre serrate. Credeva non avrebbe mai avuto il coraggio di parlarne e farlo con Mason era paradossalmente più semplice di quanto aveva creduto, nonostante la pesantezza dell'argomento.
    «E mi tormenta l'idea che, sai, sì, forse avrei dovuto fare di più. Forse dovevo colpirlo più forte? Forse avrei dovuto urlare di più? Avrei dovuto oppormi a tutto questo fin dall'inizio e invece... non ho risolto un cazzo. Tu sei stato arrestato comunque e lui ha vinto.» Scosse il capo, coprendosi il volto con le mani. Non pianse. Il suo racconto era carico di emotività ma i suoi occhi non si colmarono di lacrime. Forse non ne aveva nemmeno più. Era solo stanca. Spossata. Avrebbe voluto dormire senza gli incubi a tormentarla. Avrebbe voluto riuscire a credere che di lì a breve tutto sarebbe passato e quello sarebbe stato solo un brutto ricordo.
    «Ed ora non è lui che ne paga le conseguenze. Sono i miei genitori che piangono per me, come se non lo facessero abbastanza. Mio fratello. Tu. E mi dispiace così tanto perchè io... io lo vedo il modo in cui vi impegnate per me ed io invece non riesco a fare altro che rovinare tutto. Lo faccio di continuo.» Lo guardò per un attimo, deglutendo. Puntò lo sguardo verso l'alto, cercando di reprimere il noto pizzicore agli occhi. Non avrebbe versato una lacrima. Non più. Non voleva più soffrire.
    Poggiò la schiena contro la testiera del divano a fissare il soffitto. «Forse è colpa mia. Forse me lo sono meritata.»
     
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    Ascoltare le sue parole è sollevante ed avvilente al contempo. Da una parte la consapevolezza lei stia finalmente svuotandosi di quel carico d'angoscia che l'ha oppressa per tutti quei mesi; dall'altra l'avvertire ulteriori tracce di distruzione che ha deciso sia giusto infliggersi da sé, dandosi la colpa di cose in maniere che non dovrebbero neanche sfiorarle la mente. Due strade opposte che viaggiano in parallelo, attraversando la coscienza del Chesterfield che tenta di trattenersi dall'interromperla, nonostante si ritrovi spesso a scuotere il capo, a sospirare il proprio disaccordo, ad accennare dissensi che vadano contro le colpe che si attribuisce. Ancora chino dinanzi a lei, la lascia libera di ricercare il proprio spazio, di goderne sì da avere la libertà giusta per buttar fuori ogni rimasuglio di paura che le è rimasto in corpo. Dura con se stessa, si giudica il fulcro di un malessere ricaduto tutto su chi le è accanto, su chi la ama e le vuole bene, ignorando la realtà dei fatti: c'è solo un colpevole in tutto quello e non è certamente lei. 'Non sei tu che avresti dovuto fare di più, è quel... cane che non avrebbe dovuto fare niente.' Non può evitarsi di rendersi offensivo, con termini spiccioli che le ha risparmiato per troppo tempo. Vorrebbe evitare di mostrarle la furia che imperversa ancora dentro di sé ogni volta che la figura di quel bastardo si fa largo tra i loro discorsi o anche solo tra i suoi pensieri più avvilenti, ma non vi riesce con facilità. Non dopo aver toccato con mano tutto ciò che lui ha causato, dopo aver assistito all'esasperazione di ciò che le ha provocato e che Helena ha nascosto a chiunque per troppo tempo. Anche a se stessa. Ciò che vorrebbe adesso sarebbe tornare indietro nel tempo, lasciar ciondolare tra le dita una giratempo che lo riporti a quel momento per far sì che non avvenga mai, incurante delle conseguenze, imperterrito in una soluzione impulsiva dettata dalla voglia di cancellare dalla mente dell'Haugen quell'incubo travestito da ricordo. Sente che anche solo provare a vendicarla riversando tutto il proprio astio e la propria furia contro quel ragazzo, farlo meglio di come sia riuscito la prima volta, non sarebbe comunque abbastanza. Frapponendo il benessere di lei al proprio, si trattiene dallo smaterializzarsi altrove e farla finita con quella storia. Tutto ciò che compie, nei riguardi di quella storia, dipende solo e soltanto da lei. 'Ok, non posso stare ad ascoltare ancora queste stronzate. Parlo io adesso.' Si tira in piedi, quindi, solo per sedersi sul divano al suo fianco, cercando il suo sguardo con insistenza prima di richiamare la sua attenzione con un azzardo in più, che non può fare a meno di concedersi. 'Guardami.' Poggia i palmi sulle sue tempie, invitandola a mantenere fisso il contatto dei loro occhi. Ne ha bisogno più che mai. 'Non è colpa tua.' Ribadisce con sicurezza, con una durezza paradossale atta solo a proteggerla, a calmarla più che a rimproverarla. Un messaggio che le manda forte e chiaro, prima di cercare le parole giuste da rivolgerle. E' complicato per chiunque, ma per lui che non è abituato ad esplorare sentieri tanto fitti e profondi sembra un'impresa anche più complessa. 'Nessuna donna merita ciò che hai passato tu. Ma esistono esseri disgustosi sulla terra che pur di sentirsi importanti, di non arrendersi al fatto di non valere un cazzo per niente e nessuno, hanno bisogno di scegliersi delle vittime ed indurle a sentirsi deboli, per sentire su di sé il potere.' Deglutisce, parzialmente provato dalle parole appena pronunciate. E' una categoria, quella, a cui lui stesso appartiene, anche se non scenderebbe a meschinità simili per innalzarsi agli occhi di Hubert. Mason fa male alle persone, lo fa quotidianamente, per elevarsi, per sentirsi meglio, riempito di qualcosa dopo aver perso tutto ciò che gli è stato ingiustamente negato. Non si sarebbe mai esposto così tanto prima, vergognandosi di tutte quelle azioni di cui finge di andare orgoglioso. Rendersene conto è più semplice, però, in compagnia della Haugen. Forse gli serviva patire tutto questo per comprendere di non voler diventare tutto ciò verso cui è stato instradato. Si chiede se sarà altrettanto facile allontanarsene, ma questo adesso non è importante. 'Parlarne ti rende già più forte di lui ed affrontarlo ti aiuterà ad uscirne e vinceremo, bimba, sarai tu a dare un calcio in culo a quel figlio di puttana dritto verso la sua cella.' E pronuncia quelle parole con molta più sicurezza di quanto non ne abbia avanzata sino ad ora. Infonde in lei il proprio desiderio di vederla superare quel caos e la certezza di vederla riuscirci, in un modo o nell'altro. Perché lei può farcela e di questo ne è assolutamente cerco. 'Tutti hanno ciò che meritano, prima o poi.' Carezza i suoi zigomi con i pollici, cercando di convincerla a resistere, a non mollare la presa solo per un altro pò, così da poter poi agguantare il premio che le spetta. 'E tu meriti la libertà, da qualunque cosa.'


     
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    Ascoltare le sue parole, per quanto dure, le fecero bene. E d'improvviso nemmeno il contatto fisico le sembrò più così scomodo. Puntò il proprio sguardo lucido nel suo, recependo ogni parola da parte del ragazzo. E forse era proprio di quello che aveva bisogno fin dall'inizio, di qualcuno che le aprisse gli occhi. Di qualcuno che con decisione, proprio come stava facendo Mason in quel momento, le diceva che no, non aveva alcuna colpa.
    Aveva trattenuto ogni emozione, incassando gli effetti di quella notizia sulle persone che aveva intorno. Aveva visto la tristezza angosciata di Otis nel sapere di non essere riuscito a proteggerla, la sofferenza dei suoi genitori. Aveva accolto la furia di Mason dinanzi alla sua rivelazione, ed aveva nascosto i suoi sentimenti per paura. Li aveva lasciati sepolti dentro di sé, fino a quando celarli non era diventato impossibile. Quando il tumulto era diventato ingestibile era esplosa, quasi di sovente nell'ultimo periodo, in azioni esagitate. Soltanto adesso però si sentiva libera, almeno in parte, di quel peso gravoso.
    Sapeva che avrebbe dovuto ancora affrontare la deposizione e poi il processo, che avrebbe dovuto rivedere Lorence e rivivere quell'esperienza dinanzi una giuria, ma in qualche modo si sentiva meglio.
    Si mosse piano, sgusciando via dalla sua presa solo per gettare delicatamente le braccia contro il collo dell'altro. E per un po' non fece altro, né sentì la necessità di aggiungere qualcosa.
    Nascose il volto nell'incavo del suo collo, restando a respirare il suo profumo, lasciandosi inebriare da quell'odore ormai così familiare.
    «Sei migliore di quello che pensi.» Lo disse ad occhi chiusi senza pensarci, ma era vero.
    Ripensandoci senza di Mason probabilmente non avrebbe affrontato così bene quella situazione. Lui c'era stato fin dal primo momento, nonostante gli alti e bassi, gli scontri e i riavvicinamenti che li caratterizzavano. E c'era qualcosa in quel legame che si era formato e che andava via via consolidandosi anche durante quella tragedia, che la faceva sentire bene. Per la prima volta in tutta la sua vita, era conscia di avere una spalla, qualcuno su cui poter piangere senza dover giustificarsi. Qualcuno su cui poter fare sempre affidamento qualunque cosa le fosse capitata. E non importava che tipo di legame fosse quello. Erano una squadra. «E sei l'unica persona con cui mi sento al sicuro.» Aggiunse poco dopo, rilasciando mano a mano quell'abbraccio ma non le sue mani, che afferrò e che tenne tra le sue mentre lo guardavo perdendosi in quegli scuri che placavano ogni onda del mare in tempesta che si portava dentro. E si lasciò andare. Si sporse verso l'altro, rilasciando sulle sue labbra un bacio puro.

     
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    Intravede il cambiamento nei suoi occhi e se ne sente stupito, compiaciuto. Ammaliato da quella presa di coscienza, ben impressa nelle iridi glaciali che si riempiono della profondità che le ha sempre caratterizzate, si sente già più rilassato. Non si preoccupa quando Helena sfugge dalla sua presa, perché entro pochi secondi è lei a ricercare un contatto maggiore, uno di cui probabilmente entrambi hanno avuto bisogno per troppo tempo. Più caloroso, più confortante persino del momento di svago che si sono concessi sotto quella cupola dipinta di stelle brillanti. Quel profondo ed attento senso di sicurezza ben si percepisce nella stretta fitta che l'altra gli dedica. La ricambia senza pensarci su, chiudendo gli occhi per godere di ogni particella di lei, del suo profumo, della morbidezza della sua pelle e dei capelli su cui lascia scorrere delicatamente i polpastrelli, della minutezza che avvolge tra le braccia allacciate attorno al suo torto. E sente di aver ritrovato la perfezione, quella che solo loro sono in grado di creare con quella complicità riscoperta dopo un'attesa interminabile. L'opera d'arte più bella, la scultura del loro affetto intrinseca nella loro vicendevole premura. 'Chissà.' Un dubbio pregno di leggerezza, da cui non si lascia sopraffare rischiando di rovinare quell'attimo di calma e serenità. Si lascia cullare dalle parole di Helena, dalla fiducia che ripone in lui più di quanto chiunque altro abbia mai fatto. Partita irrazionalmente e finita poi con lo scovare quelle parti che è riuscita a far riemergere, rendendolo davvero migliore di quanto si creda. Di quanto lui stesso creda. Ci si illude per un pò, piegando appena la testa verso quella dell'altra, poggiandola in quella posizione di completo relax, di un appagamento emotivo che profuma di una piacevole e confortante novità. Quando Helena scioglie l'abbraccio, continua a stringere le mani che lei tiene imperterrita tra le sue. La sente appigliarsi a lui senza paura, farlo perché ha voglia di tenerlo vicino a sé, non per allontanare le negatività che la circondano e che erano sempre pronte a tornare quando si salutavano, talvolta persino quando erano ancora insieme. E' come poggiare i piedi su un terreno sicuro, stabile, abbandonando definitivamente quelle zolle di terra ondeggianti sul mare dei loro drammi. Il loro equilibrio sembra pronto a ritornare e lo fa con una prospettiva migliore, con intenzioni ancora più piacevoli da accogliere ed assaggiare. Ricambia quel bacio ricercato, assaporandone ogni piacevole dettaglio. A mandarlo su di giri, per una volta, non sono gli ormoni, ma quella scarica elettrica che gli percuote la schiena facendolo sentire emotivamente ricco del più prezioso dei tesori. Si sente al sicuro anche lui, tanto quanto lei stessa gli ha rivelato prima di abbandonarsi ad un istinto finalmente liberatosi di ogni rigida paura che l'ha intrappolata ingiustamente fino ad ora. La fronte poggiata sulla sua, il respiro lento e rilassato che si mescola a quello dell'altra, in pochi attimi di pausa in cui avanzare il rinnovo di una promessa che le ha già rivolto, anche inconsapevolmente, da tempo. 'Sarai sempre al sicuro, finché sarai con me.' Terrà fede a quella promessa ancor più di tutte quelle rivolte fino ad ora. Promette anche a se stesso di impegnarsi, di non mollare più la presa neanche quando le cose si faranno difficili, perché in fondo nel caos ci sono nati e cresciuti entrambi ed anche quel loro pronto a razionalizzarsi è stato puro caos sin dall'inizio. Le comunica così la propria voglia di esserci, suggerendole il proprio silenzioso, timido amore nelle carezze che rilascia sulla pelle del suo viso e nei baci che posa sulle sue labbra. Delicato nei modi, intenso nelle emozioni da cui si lascia trasportare. Non hanno bisogno di altro.


     
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