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Helena

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    Si sente terribilmente inadatto, mentre si appresta a raggiungere la Haugen nei pressi della sua abitazione, nel punto di ritrovo da loro concordato. Si sono sentiti assiduamente nelle ultime settimane. Il Chesterfield ha fatto in modo di non permetterle di patire ancora il peso della loro necessaria distanza, azzardando persino qualche chiamata più insistente attraverso lo specchio per vederla, sentirla, sapere come stesse e tirare un sospiro di sollievo nel saperla al sicuro, serena il più delle volte. Lo stallo in cui si ritrovano adesso è un pò confuso. Chiaro ad entrambi quanto necessitino l'uno dell'altra, non è comunque facile stabilire delle regole per qualcosa che non si identifica con alcun nome. Così si proteggono ancora o tentano di farlo, mentre la paura di ferirsi ancora li rende irrequieti, in oscillazione tra limiti imposti ed eccessi azzardati. Incontrarla però, dopo il trambusto dell'ultima volta in cui si sono visti, tutte le bugie venute a galla e le insinuazioni furenti che si sono urlati addosso, lo mette in agitazione. Sa di doverci andare piano, di dover agire diversamente da come è sempre stato abituato, con lei come con qualunque altra ragazza prima, ma la paura di risultare ridicolo e soprattutto innaturale lo fa pentire di qualunque idea organizzata nella propria mente. Rapportarsi ad una ragazza eliminando del tutto certi impulsi fisici è una sfida per lui, abituato a tutt'altro genere di relazioni. Ed in realtà, non possono neanche davvero definirsi vere e proprie relazioni quelle del suo passato, con sporadiche eccezioni per conto di Hubert ricolme di disinteresse e distacco. E' probabilmente la consapevolezza di tenere ad Helena, di farlo davvero ad irrigidirlo: come ci si comporta in casi come questo? Nessuno gliel'ha mai spiegato ed in fondo a lui non è mai interessato capirlo. Quando finalmente raggiunge la ragazza, immediatamente si sente investito di quel potere benefico che lei continua a scatenargli, nonostante tutto. Peccato sentirsi al contempo braccato da tutti quegli ingestibili timori con cui toccherà ad entrambi fare i conti. Si dice che comportarsi come farebbe sempre, meno le allusioni eccessivamente maliziose che dovrà accantonare per un pò, sia il modo giusto per non innescare strane condizioni scomode ad entrambi. Mandare in frantumi quella sintonia che c'è sempre stata tra loro è l'ultimo dei disastri che gli manca. 'Tira pure un sospiro di sollievo, bimba, il tuo criminale d'eccezione è finalmente arrivato.' A braccia leggermente allargate, si pone con la propria abitudinaria boria nei suoi confronti, salutandola con quell'aria familiare che permetta loro di sentirsi al sicuro. Agita poi una borsa piuttosto grossa retta tra le mani, che contribuisce a farlo sentire ancora più ridicolo, ma cerca di mascherare anche questo aspetto. 'Rifornimenti da parte della cuoca ed un piano perfetto per trasformarti in una criminale come me.' Parole poco rassicuranti, che cerca però di alleggerire con quelle note d'ironia che ne cancellino la rischiosità. O parte di essa. 'Forza, muovi le chiappette, bambina.' La incita così a seguirlo verso la misteriosa meta che ha pensato per loro. Per lei.

    Non è un appuntamento. Anche solo pensare ad un termine così banale e ridicolo gli procura il voltastomaco, l'isterismo. Se però per vedersi è necessario dedicarsi ad attività ben diverse da quelle condivise sino ad ora, portarla lontano da casa, dalla città e farle staccare la mente dai pensieri per un pò, è un escamotage che si è ritenuto necessario. Lo ha fatto, senza però tradire le proprie losche abitudini. Non c'è da stupirsene. Dopo un viaggio di poco più di un'ora in una moto noleggiata per l'occasione, si ferma nelle vicinanze di un edificio isolato, circolare, con una cupola di vetro a fare da tetto. Gesti svelti della bacchetta sulla serratura ed un lumos che rischiari il loro percorso, mentre la guida per i corridoi di quel posto misterioso. Una volta in cima ad una circolare scalinata, sospira soddisfatto. Si gode lo spettacolo che ha ricercato per lei, prima di spingerla a dare un'occhiata più approfondita. 'Niente male, eh?' Esordisce così, mentre apparecchia in modo arrangiato una tavola trasfigurata con la bacchetta. Ci sistema sopra le vivande che si è portato dietro, cercando di carpire la reazione dell'altra e soffocare le strane tracce di imbarazzo che si sente improvvisamente piombare addosso. 'Se poi le stelle ti fanno schifo, sono cazzi tuoi.' Dice infine, facendo apparire due sedie ai lati della tavola apparecchiata e sedendosi scompostamente su di una. Continua a ripetersi, mentre tenta di mantenere il più possibile il distacco di cui ha bisogno, che non si tratti di un appuntamento. Una cena in un osservatorio vuoto, occupato abusivamente per potersi godere in pace il panorama di stelle che ci sarà di lì a poco, al calar del sole, non ha niente di carino, romantico o cazzate del genere. Niente che si ricolleghi ad un appuntamento. Non lo è.


     
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    Non sapeva come sarebbe stato rivederlo. Se da un lato ne aveva paura dopo tutto quello che si erano fatti, dall'altro non vedeva l'ora. E tuttavia, nonostante il tempo passato a parlargli, temeva il momento in cui sarebbero stati di nuovo soli.
    Anche se avevano condiviso così tanto, ed avevano già passato del tempo insieme senza sfociare in atti fisici, temeva che Mason avesse potuto annoiarsi. Ed in fondo non avrebbe nemmeno potuto biasimarlo se fosse accaduto. Si tormentava all'idea di cosa avrebbe potuto offrirgli se non riusciva nemmeno a farsi sfiorare senza irrigidirsi, e c'erano volte in cui aveva seriamente pensato di non rispondere alle sue lettere, di ignorare lo specchio, decidendo così di non vederlo più, di non sentirlo più. Di relegarlo in un cassetto, come faceva con lo specchio, nel vano tentativo di dimenticarsene. Ovviamente non ci era riuscita.
    Così ora era lì, che gli andava incontro con il suo zaino in spalla, mentre cercava di farsi coraggio passo dopo passo.
    Per fortuna ci pensò proprio Mason a smorzare la tensione provata, con quella frase che ebbe il potere di strapparle una risata.
    «A volte ho paura tu possa volare via per quanto sei un pallone gonfiato.» Lo prese in giro, adeguandosi così fin da subito ad una colloquialità che non le pensava e che anzi la faceva stare bene.
    «Ohwww che carino. E' proprio vero che gli uomini vanno presi per la gola.» Commentò anche il piccolo pacchetto che le mostrava, seguendo fino alla moto.
    Sarebbe stato un buon motivo per abbracciarlo senza sentirsi una stupida, o senza andare in panico.

    Lo seguì su quella stradina poco illuminata, guardandosi attorno con fare circospetto. Non aveva mai visto quel posto e non poteva fare a meno di chiedersi dove avesse deciso di trascinarla. Mason sembrava deciso a non anticiparle nulla, e nella testa di Helena vorticavano idee su idee, alcune delle quali persino irrealizzabili.
    «Spiegami un po' della tua passione per questi posti sperduti e lontani dalla città.» Gli disse appena più affannata, mentre si arrampicavano su quella scala circolare.
    Quando però furono arrivati a destinazione, restò senza parole. Restò a fissare il soffitto per qualche attimo, prima di riuscire a riaprire bocca per dire qualcosa.
    «Wow.» Un unico commento che ben esprimeva tutta la sua sorpresa.
    Era la prima volta che andava in un posto simile e l'idea che fosse stata Mason a trascinarla la fece sentire strana. Le guance si infiammarono mentre lo guardava.
    Avrebbe voluto dirgli cosa dovesse significare tutto quello e perchè avesse deciso di portarla proprio lì, ma non riuscì a farlo. Si sedette silenziosamente su quella sedia, rimuginando su tutto quello. Non avrebbe voluto rovinare quel momento, qualunque cosa dovesse significare, e fu per quel motivo che nonostante, l'evidente, imbarazzo provato, si decise a cercare qualsiasi argomento di conversazione. Un'azione davvero complicata per lei, che non poteva fare a meno di sentirsi una vera cretina. Quasi un pesce fuor d'acqua.
    «Quindi cosa ti ha preparato la tua cuoca personale?» Cominciò punzecchiandolo mentre si sporgeva sul tavolo per osservare quel che aveva portato con sé. «Insomma, dimmi qualcosa di questa donna. La torturi o ti vizia di sua iniziativa?» Aggiunse poco dopo. E poi, un'idea.
    Biascicò una sorta di imprecazione prima di alzarsi in piedi. Spostò i contenitori col cibo, per rubare la tovaglia, che distese a terra. Pose tutto l'occorrente su di esso, sedendosi poi sul pavimento. «Così le stelle si vedono meglio, no?» Ed anche in quel momento, con le guance in fiamme, non poteva fare a meno di sentirsi una cretina.
     
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    In quelle note di retorica ironia Helena ha centrato un punto focale nel modo d'essere del Chesterfield. Isolarsi quanto più possibile e decidere di passare volutamente del tempo da solo con se stesso, è sempre stata l'unica scappatoia cui appigliarsi per resistere a tutti i concetti sbagliati che gli ronzavano attorno. L'unica prima che arrivasse lei a dare una svolta completamente diversa alla sua esistenza, a fargli comprendere che la solitudine la apprezzi solo quando non hai valide alternative. Helena lo è di sicuro, anche in questi istanti di fresche novità in cui tentano impacciati di inserirsi, con risultati rigidi e forse un pò bislacchi rispetto alla naturalezza cui erano abituati. Non è semplice per nessuno dei due, insomma, abituati a muoversi in schemi peggiori, così rischiosi e negativi da sentirsi quasi nel posto sbagliato immersi in quella che ha tutta l'aria di essere un'oasi di pace. Lontana da tutto, lontana da tutti. Lei sembra parecchio sorpresa e questo distende i nervi di Mason, distendendo appena le sue labbra in un sorriso mascherato dalle sopracciglia inarcate in modo eccentrico. Lasciarsi andare sembra rimanere ancora un tabù. 'E' pagata per cucinare e pensa che fa il suo lavoro così bene che credo sia l'unico membro del personale che ha superato l'anno di servizio incolume.' Rende semplici ed innocenti quei dettagli fondamentalmente inquietanti in cui la sua realtà si rispecchia con fin troppa facilità. Hubert è un uomo di potere e reca con sé quell'abbondante dose di eccentrica follia che fa da maledizione a chiunque finisca sul suo cammino. Entrare in affari con lui significa sempre camminare sul filo del rasoio e più si va avanti, più vieni bombardato da possibilità di pericolo che, come cannonate, ti colpiscono per farti cadere giù. Mason è sempre stato eccezionalmente escluso da quei rischi più atroci e crudeli, ma nonostante tutto sa bene di non doversi cullare come fosse in un rifugio sicuro. Gli è stato chiaro sin dall'inizio, sotto avvertimenti continui e piuttosto duri, cui ha imparato ad abituarsi senza battere ciglio. 'Non lo so, dà un'occhiata...' Ma mentre si accinge a sistemare il proprio operato, l'ingenuità bambina di Helena agisce prima che lui possa anche solo battere ciglio. La osserva mentre trasferisce le vettovaglie sul pavimento, organizzando quello che sembra un vero è proprio picnic sotto le stelle. Un pensiero soddisfatto attraversa la mente del Chesterfield, convinto che debba esserle davvero piaciuta quell'idea e che in qualche modo riesca a sentirsi a proprio agio, che è poi ciò che lui più di ogni cosa bramava. Anche se guardarsi più intensamente sembra ancora un'utopia. Anche se entrambi sono più intenti a capire cosa stia succedendo che a godersi il momento abbandonando ogni fune di razionalità che li ancora alla paura. 'Seduti a terra come dei cavernicoli, dici? Pare di sì.' La punzecchia prima di raggiungerla, accondiscendendo alla sua idea ben volentieri a dispetto di ciò che si potrebbe pensare. In fondo Mason è un ragazzo semplice in aspetti come quello; è lieto sia stata lei a pensare a quel gradevole cambio d'ambiente. 'Oh! A quanto pare mi vizia davvero!' Esordisce con una vaga nota d'entusiasmo nel volto, mentre scopre un vassoio ancora magicamente tiepido di pollo con patate per contorno, uno dei suoi piatti preferiti. E' così che si lascia sfuggire una nuova confessione, mentre si serve ed aiuta l'altra a servirsi di conseguenza. 'E' che è l'unica persona che sia rimasta abbastanza tempo da sapere cosa mi piaccia, in effetti. Quella casa è un viavai di gente.' Salta volutamente i dettagli su come la gente venga cacciata dall'abitazione, per non disturbare Helena che sembra abbastanza serena almeno per il momento. 'E poi non sono molto loquace quando si tratta di me, te ne sarai resa conto. Suppongo sia sempre stata particolarmente attenta.' Attenzioni che non gli sono passate inosservate, ma che si è costretto a dare per scontate agendo con la superbia di chi si ritiene superiore, al personale come a chiunque altro. E' ciò che Hubert pretende, anche implicitamente. 'Assurdo, no? Ci sono io che non vengo cagato neanche da un cane e poi tu che vieni soffocata di attenzioni. Eppure siamo entrambi scontenti.' Lancia quella considerazione a cuor leggero, rassegnato ad una condizione che nel suo caso non potrà mai cambiare. Si gusta la cena sotto quel piacevole panorama stellato e si sente leggero, come se parlare di se stesso non fosse poi così drammatico. In presenza di Helena è sempre stato più semplice del previsto.


     
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    «Già, eh?» In un'altra occasione forse si sarebbe lasciata scappare anche di peggio. In quel momento, nonostante tutte le buone intenzioni per evitare di incrementare quel rancore che non poteva mettere da parte però, si accontentò di quella piccola domanda retorica. Non andò oltre, lasciando che lo sguardo che aveva distolto, pungolasse il senso di colpa dell'altro. Che poi si chiedeva davvero ne provasse. Insomma, perchè avrebbe dovuto? Loro non erano niente.
    Vederlo così entusiasta per del cibo, riuscì a strapparle un sorriso. Sembrò quasi un bambino in quel momento, ed immaginò la cuoca come una nonna premurosa che si occupava del suo nipote adorata. Quell'immagine la intenerì. Durò comunque relativamente poco.
    Le parole di Mason la colpirono in qualche modo. Era purtroppo vero, erano entrambi scontenti, ma odiava l'idea che l'altro potesse credere che le reazioni di Helena fossero spropositate. A volte lo erano, ma sentiva di avere delle ragioni in quel contesto. Non era solo una bambina viziata, come credevano tutti. Non del tutto almeno.
    «Non è sempre stato così.» Riuscì a dirgli dopo qualche attimo, distogliendo lo sguardo per puntarlo verso i piatti che aveva dinanzi.
    «I miei hanno cominciato a soffocarmi quando le mie crisi hanno iniziato a peggiorare.» Annuì inarcando le sopracciglia. Era purtroppo la verità. Non che i suoi genitori fossero stati degli ignobili distratti, erano solo diversamente attenti nei suoi riguardi. Non avrebbero potuto far diversamente viste le problematiche presenti all'interno della loro famiglia.
    Portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, mentre si accingeva ad esporsi più di quanto avesse mai fatto con altri su quell'argomento.
    «Fino a qualche mese fa, facevo davvero di tutto per attirare la loro attenzione. Ho persino perso un anno a Durmstrang, perchè sai, ad un certo punto non mi interessava ottenere la loro approvazione. Mi bastava dar loro la prova della mia esistenza. E' che erano sempre troppo occupati a stare dietro quel che faceva mio fratello, e le sue di crisi.» Non amava parlava di sé, e di sicuro non amava parlare di Otis e delle sue problematiche. «Ha un disturbo autistico. A volte capita sia violento anche se molto meno di recente.» Riuscire a confidarsi con qualcuno, era straordinario. E la cosa ancora più assurda era che aveva sentito il bisogno di farlo, perchè aveva davvero voglia che almeno Mason potesse conoscerla per davvero.
    «Era chiaro che i miei dovessero essere particolarmente attenti con lui. Solo che prima non riuscivo a capirlo.» Annuì, arricciando il naso. «Che bambina egoista, eh?» Aggiunse amaramente, prima di rubare una patata dal suo piatto.
    Tirò le gambe al petto, poggiandoci sopra il mento mentre lo osservava in quel contesto. E si sentì una stupida per aver pensato a quanto gli piacesse lui, sotto la flebile luce della luna. «Sul serio tuo padre non ti dà considerazioni?» Gli chiese, piegando appena il capo nel guardarlo, attendendo attentamente una sua risposta a riguardo. «Ti ha punito per gli arresti domiciliari?»
     
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    Recepisce senza alcuna difficoltà l'allusione tagliente dell'altra, calando lo sguardo e mandando giù un grosso boccone della cena per togliere di mezzo gli accenni di nausea del proprio senso di colpa. Si è sentito meglio per averle rivelato quella realtà occultata che lo tormentava, anche se avrebbe preferito farlo in maniera diversa; tuttavia - e non gliene può davvero fare una colpa - Helena non l'ha presa bene e, conoscendola, potrebbe portare avanti gli effetti di quel fastidio evidente a lungo. E' riuscita a farlo anche quando non c'erano eventi concreti a portare vaghe ombre di quello che si ostinano a definire un tradimento. Adesso che ha tra le mani la verità, difficilmente eviterà di rinfacciarla al Chesterfield e probabilmente un pò se lo merita. Ne è convinto. Tira un sospiro di sollievo quando l'attenzione si sposta su tutt'altro argomento, delineando un profilo della ragazza su cui la sua conoscenza non si era ancora posata. Stralci di un passato che l'ha resa ciò che è, dandone un'immagine giustificata in quella natura che Mason aveva carpito di tanto in tanto, a cui è molto più facile adesso dare una forma e migliaia di motivazioni più che valide. La sua necessità di stare al centro dell'attenzione muta in ben altro che un semplice capriccio da ragazzina viziata. La paura del rimanere all'ombra del fratello si rende molto meno egoista di quanto lei stessa non si ostini a credere o a confermare poco dopo. 'Eri solo una bambina, che potevi capirne?' La difende a spada tratta, quindi, senza dare alcun accenno d'ironia, di sbruffonaggine, né di scherno. La comprende, sebbene le loro esistenze continuino a rivelarsi due estremi opposti che non hanno in comune nulla, se non forse il fulcro centrale di un amore che hanno sempre bramato e mai realmente agguantato, crescendo poi con la necessità di allontanarlo, di non cedervi per non rischiare di rimanerne feriti una volta perduto ancora. E' un pò l'elemento che li lega e li porta a respingersi al contempo. E' il centro di tutto il loro strano e contorto rapporto. 'Non dev'essere stato facile, sembra roba pesante.' Ha notato una strana rigidità in quel ragazzo, ma non se n'è mai realmente curato. Ha persino rimuginato per un pò sulla "crisi" che pare aver avuto contro Lorence a casa loro, che avrebbe spinto la stessa Helena a vuotare il sacco coi genitori e solo adesso sembra avere tutto più senso, per quanto comprenderne le dinamiche sia impossibile, ai limiti dell'assurdo. Tutto troppo umano per un selvaggio senza educazione morale come lui. 'Però credo di capire anche perché ti stiano così addosso.' Una considerazione che si lascia sfuggire infine, cercando di renderla meno opprimente di quanto potenzialmente non lo sia già per Helena. Anche loro sembrano essere in una brutta posizione ed in qualche modo riesce ad immaginare quanto spaventoso debba essere vivere con la consapevolezza di poter vedere un figlio morire sotto i propri occhi o, peggio, lontano da essi da un momento all'altro. Ha sperimentato una cosa simile e fa schifo; non riuscirebbe ad augurarla ad una famiglia come quella degli Haugen, che in fondo sembrano delle brave persone rispetto a tanta altra gentaglia incontrata sul proprio cammino. 'Ehi ehi ehi! Fai pure la ladruncola, adesso?' Per un attimo la tensione si stempera nuovamente, quando si dedica a quel gesto infantile che lo aiuta ad alleggerire quei discorsi della pesantezza di cui sono pregni. Ricambia con la stessa moneta, afferrando con le dita un pezzo del suo pollo e portandolo alla bocca, per darvi un morso poderoso e restituirlo all'altra. Anche sentirla inorridire, che sia per scherzo o sul serio, per i suoi modi rozzi riuscirebbe a strappargli un sorriso o farlo sentire ancora meglio, così da affrontare a cuor leggero o quasi le strade tortuose della loro discussione. 'No, non mi ha punito. Mi ha rimbeccato e messo in guardia, che forse è anche peggio. Non sai mai cosa aspettarti da lui.' Esordisce così, prima di tirare un sospiro pesante e procedere con spiegazioni che non le ha mai concesso prima. 'E' complicato. A volte credo che la sua "considerazione" si limiti a tenermi sotto controllo prima che faccia qualche cazzata che possa mandare in fumo la sua reputazione o i suoi affari.' E' la prima volta che pone i propri dubbi nelle mani di qualcun altro. Persino con lei è sempre rimasto vago, dandole principalmente visione della propria devozione senza mai scavare a fondo sulle paure che si stagliano nella sua mente ogni volta che ha a che fare con quel mondo estremamente marcio e rischioso. 'Mi ha accolto con sé quando ho perso la mia famiglia, è vero, ma non si è mai impegnato ad accudirmi come un figlio. Mi ha cresciuto come una macchina da guerra e mi è tornato utile in molte occasioni, ma per il resto...' Solleva appena le spalle, scuotendo la testa. Sorride, ma di un'amarezza ben evidente che descrive come si senta realmente in merito alla propria condizione. Lascia che l'altra sia spettatrice, insomma, di timide e reali confessioni della propria frustrazione, che ha solitamente difficoltà ad ammettere persino a se stesso. 'Non sono una brava persona, la gente mi teme o mi tiene alla larga ed io mi impegno perché succeda. Quanto riuscirò ad andare avanti prima di impazzire?' Comincia seriamente a domandarselo, visto quanto abbia influito su di lui quell'unico mese di reclusione, lontano dalle proprie scappatoie: l'Accademia, Mercury, la scultura... Helena. Come riuscirà a sopravvivere quando non gli resterà più niente o nessuno? 'Che vuoi farci? Morirò solo come un cane. O come un poeta tormentato ed incompreso, se vogliamo renderla più elegantemente tragica.' Le lancia un occhiolino, quindi, nel tentativo di rendere anche quell'ultima considerazione un pò meno asfissiante. Non perché non ci creda, ma perché anche questa è una possibilità a cui si è costretto rassegnarsi.


     
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    Morse il labbro inferiore, prima di fare spallucce alle sue parole. «Sì, quando sei bambina è difficile capire che se tuo fratello sclera quando lo abbracci non è perchè gli fai schifo.» Gli disse storcendo il muso. Erano stati anni complicati per lei. Un periodo che aveva modulato il suo carattere, spingendola a diventare più dura con gli altri quanto con sé stessa. Col tempo aveva capito che Otis non l'allontanava per mancanza d'affetto, ma le era comunque mancata quella dose di calore. Si era sempre sentita scomoda, poco apprezzabile, di troppo. Si era sempre sentita sbagliata e questo suo modo di sentirsi l'aveva poi condotta ad errori su errori nel corso della propria esistenza. Aveva innanzitutto allontanato chiunque, credendo che fingersi impenetrabile l'avrebbe preservata dal sentire ancora dolore e poi aveva cercato in rapporti semplici il calore che potesse colmare il vuoto affettivo provato. Ovviamente non ci era mai riuscita. Aveva finito con il dare per scontato tante cose combinando errori di cui a quel punto anche Mason era complice e consapevole.
    «Uhm.» Avrebbe voluto dirgli che capiva anche lei il motivo per cui i suoi genitori si stavano affannando tanto per lei. Avrebbe voluto dirgli che capiva perfettamente che il motivo per cui si fossero d'improvviso sentiti obbligati a riservarle attenzione che le avevano fatto tanto male, era perchè avevano paura della morte. Quella però faceva paura a tutti.
    Non disse nulla, restando in quella posizione, con le ginocchia al petto, pronta ad ascoltare la sua realtà. E non si stupì di recepire quelle notizie.
    Aveva temuto per il peggio sapendolo in trappola a causa sua. C'erano state volte in cui il panico l'aveva assalita all'idea che Mason potesse pagare tanto per ciò che non aveva commesso ed anche se almeno apparentemente sembrava stare bene, era chiaro dalle sue parole che così non fosse. Quella situazione, in modi diversi, aveva turbato entrambi.
    Le ci volle qualche attimo per cercar di mandar via l'angoscia che aveva incupito il suo sguardo. Quando ci riuscì, non aspettò altro tempo per chiarire un concetto.
    «A me non hai mai fatto paura.» E glielo aveva dimostrato fin dal primo momento. Aveva temuto l'altro potesse azzardare reazioni spropositate, ed aveva combattuto per allontanarlo, ma non aveva mai avuto paura.
    «Non me ne fai ora.» Anche dopo la lite al capanno, anche dopo essere stata testimone della furia violenta e distruttiva che Mason si portava dentro.
    E sì, forse era assurdo, e lei una stupida, ma si trovava più a suo agio con lui che con chiunque altro nel suo mondo. «Quindi... se ti va posso farti compagnia io fino a quando saremo in vita.» Si sentì quindi di aggiungere, concedendogli persino un breve sorriso.
    Sospirò, storcendo il muso nel guardarlo.
    Era odioso il modo in cui si adeguava al suo destino nonostante l'evidente voglia che avesse di discostarsi. Non riusciva a vedere le catene che Mason si sentiva alle caviglia. Buttava via la propria libertà ed il proprio futuro, per cosa?
    «Non ci hai mai pensato a dirglielo... o allontanarti?» Gli chiese, guardandolo. E sì, forse gli aveva già posto una domanda simile, ma come poteva non riuscire ad aprire gli occhi. Cazzo, che razza di padre poteva essere uno che pagava persino una puttana per distogliere un ragazzo dai suoi interessi? «Se pestare di botte persone non ti entusiasma, magari non dovresti farlo e basta.»
     
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    Facile rivedersi in quelle parole, seppur sotto sfumature diverse. Il punto è che entrambi sono stati bambini privati di gesti così semplici ma profondamente significativi e calorosi come gli abbracci e crescendo ne hanno dovuto affrontare le conseguenze, sino a diventare le persone diffidenti che sono adesso, dal carattere forte e talvolta schivo. Forse è proprio l'implicita condivisione di aspetti tanto simili del loro passato ad averli uniti sin dall'inizio, anche se non potevano chiaramente rendersene conto. L'unica differenza sta nel fatto che Mason ne ha sperimentato la mancanza, Helena il rifiuto. Non sa dirsi se una delle due sia peggiore, ma le conseguenze che ne sono derivate non sono state certamente piacevoli. Reprimere l'istinto di annullare la distanza tra loro e dedicarle quella che sembra essere un'eccezionale necessità per entrambi è dura e diventa anche più complicato quando quelle opinioni vengono timidamente fuori dalle sue labbra. Si è accorto sin dall'inizio di come la Haugen gli abbia tenuto testa e se n'è sempre compiaciuto, al punto da ricercarla proprio perché per una volta ha trovato qualcuno che gli reggesse il gioco, che si dimostrasse all'altezza di affrontarlo sì da lasciargli abbassare la cresta. Anche se ha continuato a combatterla imperterrito, non ha mai davvero desiderato sconfiggerla. Si è reso conto soprattutto dopo averlo fatto di quanto se ne sentisse destabilizzato, soprattutto per esserci riuscito senza una reale intenzione. Solleva lo sguardo verso l'alto, celando in un'espressione distratta il tepore avvertito all'altezza del petto, precipitatosi nell'immediato sui suoi occhi sorridenti, sulle labbra rilassate. 'Cazzo, devo rimediare o mi rovinerai la reputazione.' Scuote appena il capo, sbuffando quel briciolo d'ironia prima di puntare nuovamente gli occhi sull'altra. 'Insieme fino alla fine, no?' Tira fuori quella promessa che le ha rivolto, di cui non si è dimenticato neanche per un secondo, neanche quando ha seriamente creduto che le loro strade fossero destinate a separarsi. Forse perché non ci si è mai rassegnato, straordinariamente. Forse perché anche se il destino sembra urlargli una prospettiva nelle orecchie, alla fine preferisce comunque urlare anche più forte ciò che vuole. Riesce a farlo quasi sempre. Infatti gli tocca poco dopo mettere ancora più in chiaro quel concetto su cui hanno più volte dibattuto, prendendosi il proprio tempo per formulare un discorso valido, che sappia di sincerità, quella che lei merita. 'A volte sì.' Le confessa senza giri di parole, prima di procedere con spiegazioni più accurate. 'Allontanarmi... L'ho fatto quando siamo stati alla baita, ad esempio. E' inutile dirti che non l'abbia presa poi così bene, ma in fondo sono qui a raccontarlo.' Una visione tragicomica che gli strappa una risata sommessa, non realmente divertita, quanto probabilmente esasperata dal modo in cui si sia posto sotto i riflettori del padre in modo negativo. La distrazione di cui è stato accusato ha coinvolto anche quell'episodio. 'Non è vero, a volte è soddisfacente.' Smorza così la tensione, prima di svuotare il proprio piatto degli ultimi bocconi ed accingersi a recuperare una sigaretta da accendere con immediatezza. Lascia il pacchetto sulla tovaglia, così che anche lei possa unirsi a lui quando avrà finito. Dopo le prime sbuffate di fumo, si appresta a procedere. 'Non è così semplice. Io pesto di botte la gente, ma c'è gente pronta a pestare di botte me. E' un circolo in cui una volta entrato non puoi uscire così facilmente.' Cerca di spiegarle celermente alcuni dei meccanismi di quel mondo squallido e pericoloso, ma è comunque ancora più complicato di così. E' un rischio continuo, una cosa che ti si cuce addosso e che non si scolla più. Non sai mai davvero quando sentirti al sicuro, neanche quando credi di esserne uscito del tutto. La vendetta è lenta ed atrocemente crudele, spietata, assetata di sangue. 'E poi te l'ho detto, non me la sento di voltare le spalle all'uomo che mi ha salvato la vita quando ero rimasto solo. Se mi avesse trovato uno di quegli stronzi prima che arrivasse lui? Magari adesso non sarei neanche qui.' Aspirata un'altra boccata di nicotina, si lascia andare ad una confessione più tenera, intima. 'Hubert mi ha protetto e lo fa tuttora, anche se con metodi un pò... anticonvenzionali. Gli voglio bene, anche se non mi ha mai letto una favola, né mi ha mai dato un abbraccio.' Si tira in piedi dunque, cercando una distrazione dalla pesantezza di quei discorsi, nonostante l'altra possa probabilmente tornarci con la sua caparbia insistenza nell'arco di pochi minuti o secondi. Le si avvicina, appostandosi alle sue spalle piegato sulle ginocchia. 'Ma tu sei ancora una bambina e qualche abbraccio forse te lo meriti.' Un avvertimento con cui annuncia le proprie intenzioni, prima di cingerla con le braccia e poggiare per qualche istante il mento sulla sua spalla. Si sente finalmente soddisfatto per aver ceduto a quell'implacabile voglia di farle dono di un abbraccio che entrambi meritano di concedersi. Non è l'abbraccio di un fratello, né quello di un genitore, ma c'è affetto insito in quel contatto e questo lo rende anche più piacevole. Quando ne ha abbastanza e comincia, dopo un tempo difficile da quantificare, ad avvertire le prime tracce di disagio, stringe appena un pò la presa attorno a lei, tirandosi in piedi per sollevarla tra le braccia. 'Quindi davvero non hai paura di me? Vediamo se cambi idea mentre tento di buttarti giù dalle scale!' Solo un modo per temporeggiare e riportare un'atmosfera più leggera in quell'ambiente piacevole e calmo.


     
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    Ascoltò le sue rivelazione, cercando d'essere imparziale. Ci provò sul serio. Cercò di immedesimarsi in lui e di capire il suo punto di vista. E se da un lato riusciva a comprendere quel senso di devozione nata quella situazione che l'aveva visto vittima, non riusciva ad andare oltre. Non riusciva a capire come Mason potesse realmente accettare lo stato delle cose. E le fece male scorgere l'immagine di quel ragazzino solo, ancora presente nel corpo quasi adulto dell'altro. Quel bambino ferito e solo, era ancora lì a piangere la sua solitudine ed il suo dolore sotto atti duri e crudi, sotto spigoli taglienti che non lo proteggevano affatto.
    «Uhm.» Abbassò appena lo sguardo, storcendo il muso a quel discorso. «Non mi sembra un bel mondo in cui vivere.» E non potette evitarsi quel commento, perchè non riusciva davvero ad essergli di supporto in quel contesto. Aveva paura. Essendo fuori dal suo schema quotidiano, riusciva a vedere limiti a cui forse Mason aveva smesso di guardare. E se un giorno quegli scontri a cui si dedicava, avessero oltrepassato quei limiti? E se un giorno le sue mani si sarebbero macchiate in modo indelebile del sangue di qualcun altro? Sarebbe stato in grado di sopravvivere con un peso simile? Lo scrutò per qualche attimo, lasciando che quella domanda sbattesse più e più volte tra le pareti della propria scatola cranica.
    Poi, tornò a fissare il pavimento, raccolta in se stessa fino a quando non sentì il contatto col suo corpo.
    Il suo calore riuscì a strapparle un sospiro ed un tenero sorriso. Si rilassò contro ogni pronostico, poggiando ad occhi chiusi, la guancia contro la sua. Inspirò a fondo quell'odore e dimenticò ogni cosa. Dimenticò il suo discorso ed ogni dolore provato. C'erano solo loro e quell'abbraccio e le sembrò che tutto fosse perfetto. Le sembrò di aver finalmente colmato quel vuoto che aveva sempre sentito dentro.
    Ed avrebbe potuto restare in quella posizione di una tenerezza estrema per un tempo indefinito, se non fosse stato per l'improvviso cambio di programma. Si ritrovò con le gambe sospese per aria, aggrappandosi fortemente alle braccia del ragazzo.
    «No. Cazzo! Mettimi giù.» Lo minacciò, ma in fondo era divertita. Poter semplicemente giocare, era un lusso che non si prendeva da mesi. E rise. Rise di gusto, mentre provava a liberarsi. «Sei un coglione.» Poi, nel tentativo d'avere la meglio, si sporse per mordere il suo braccio. Ci riuscì appena prima di liberarlo. «Giuro che ti mordo fino a quando non mi metti giù.»
     
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    Si sente bene e potrebbe giurare di non aver provato sensazioni simili per troppo tempo. Ne riscopre persino di nuove, immerso in un'atmosfera diversa dalle consuete cui si sono ritrovati spesso in passato, insieme. La mancanza di fisicità dai tratti maliziosi dà il via libera ad una sfera tutta nuova di elementi da applicare a quel rapporto. Non si sono mai conosciuti davvero, sebbene entrambi sapessero l'uno dell'altra più di quanto sapesse chiunque altro, ma adesso a prevalere è la voglia di scavare più a fondo, di afferrare tra le mani quelle profondità celate e lasciarle scorrere tra le loro dita per prendersene cura. Con leggerezza. Con comprensione. Con la pace che si meritano dopo tutti i disagi patiti. 'Ehi! Non ti conviene offendere così qualcuno che potrebbe lanciarti chissà dove da un momento all'altro.' Una minaccia tanto finta quanto quelle che l'altra gli rivolge, mentre si muove nell'ambiente circostante adattandosi al suo dimenarsi giocondo. Lei stretta tra le sue braccia, i loro sorrisi che si uniscono, le paure annullate, la gioventù riagguantata. Uno scenario perfetto che non sarebbe mai neanche riuscito a sognare, immerso nella fredda e dura razionalità in cui è cresciuto, senza mai abbandonare i paraocchi. Mugola con esagerazione per il morso ricevuto, che non gli ha realmente provocato alcun dolore, se non istigare ancora di più quella risata spontanea che forse non è mai giunta neanche alle orecchie di Helena prima d'ora. Continua ad avanzare, scuotendola di tanto in tanto come per controllare la sua finta furia, ovviamente senza successo. 'Certo che ti metto giù! Preferisci le scale o vuoi che ti butti dalla finestra?' Così scherza ancora, tenendola stretta per un altro pò, andando avanti con quel botta e risposta che ha un aspetto tutto nuovo, reggendola instancabilmente perché felice di poterle stare così vicino nonostante tutto. Sembra davvero bastargli questo, per sentirsi meglio. Sembra essere lei la sua medicina, anche solo sfiorandola senza assaggiarla, come un placebo. La ribalta all'improvviso, sollevandola fin sulla spalla e reggendola come fosse davvero il sacco di patate che più volte le ha affibbiato in passato come nome. E' il metodo con cui l'ha trascinata spesso per costringerla a seguirlo, ma è chiaro che dato il momento anche quel gesto assuma connotati migliori, più piacevoli per entrambi. Azzarda così una mossa di troppo, rifilandole due colpetti svelti e disinteressati con la mano sul retro degli shorts, prima di esordire con una frase che accompagni la faccia da schiaffi che lei non può vedere. 'Ah! Questo mi mancava.' Le dice infine, mandando avanti quella farsa per un pò e decidendosi dopo qualche istante a rilasciarla prima che tutto quel movimento li scombussoli e li spossi. La tira giù dalla spalla, quindi, restando a guardarla per un pò, faccia a faccia, mentre ancora la regge tra le braccia. Si aggrappa ai suoi fianchi e alla sua schiena come fossero la sua ancora di salvezza, l'unico contatto che lo porti ad una realtà migliore, più bella rispetto al grigiore cui è abituato. Poi, in ricordo della sua necessità di mantenere gli spazi, la rilascia del tutto prima di cedere a quegli istinti che potrebbero portarla a soffrire e a patire il peso delle proprie paure ancora una volta. Una premura che le rivolge con sprazzi d'amarezza celati sotto un occhiolino ed una smorfia che distolga l'attenzione dalla loro eccessiva vicinanza, mentre si appresta a recuperare un'altra sigaretta dal pacchetto ancora sistemato sulla tovaglia. 'Le avevi mai viste così tante stelle, prima? Ce l'avete una torre d'astronomia o qualcosa di simile a Durmstrang?' Le chiede quindi per spostare l'attenzione su altro, forse anche per costringersi a calmare il proprio entusiasmo per quanto provarlo sia riuscito a farlo sentire bene come non mai. Cerca con tutto se stesso di far scemare il sorriso stampatosi sulle sue labbra, ma appare più complicato del previsto. Per questo punta gli occhi sul manto celeste ed argenteo che si estende sulle loro testa, con le iridi lucide di un brillio tenero che lo veste di una luce nuova. Leggere poesia in quel contesto è il tocco finale a completare quella meravigliosa opera che hanno messo su insieme. Sentirsi parte di un capolavoro come quello gli fa assaggiare i primi veri accenni di felicità dopo una vita di limitazioni e superficialità.


     
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    Vivere di nuovo solo la sua età, le fece bene. Ridere sinceramente senza dover tener conto di nulla, la fece tornare a respirare. Si sentiva bene e non accadeva da mesi. Era assurdo che soltanto Mason riuscisse a farla sentire in quel modo. Era assurdo perchè nessuno mai si sarebbe aspettato che da un ragazzo come lui, potessero venire pulsioni così forti Perchè ormai, avrebbero potuto continuare a negarlo all'infinito, ma era chiaro che i sentimenti che provavano l'uno per l'altro, fossero estremamente forti. Insomma, chi altri avrebbe potuto organizzare una simile serata per lei? Chi altri avrebbe potuto accettare, viste le dinamiche precedenti del loro rapporto, di azzerare qualsiasi contatto fisico? Da uno come Mason, nessuno se lo sarebbe aspettato. Eppure, era lì.
    Continuò a restare aggrappata a lui, come faceva continuamente di recente, godendo di quel benessere.
    «Sei proprio un demente.» Gli disse divertita, poco dopo che l'altro la mettesse finalmente giù. E replicando il suo gesto, posò uno schiaffo leggero sul retro dei suoi jeans, prima di mostrargli una linguaccia giocosa.
    «Questo mi mancava Lo imitò, prima di stendersi sulle coperte lì poste. A gambe e braccia aperte con lo sguardo puntato verso l'alto, si perse per qualche attimo a fissare il cielo con un'espressione rilassata.
    Probabilmente fuori da quel posto, non sarebbe riuscita a recuperare quello stato d'animo, ma aggrapparsi a quei ricordi era certa che le avrebbe fatto bene.
    Saltò di stella in stella, perdendosi in quel manto infinito, quasi come se ne fosse stata assuefatta. In parte era decisamente così.
    «Ne abbiamo qualcuna sì.» Annuì vagamente, rispondendo alla sua domanda. «Però non mi ci sono mai soffermata a guardarle.» Non aveva mai avuto interesse a farlo. A fermarsi. Aveva sempre optato per una vita di corsa, lontano dai momenti di stasi che avrebbero potuto darle tempo e modo di pensare a cose a cui non avrebbe voluto pensare. Eppure in quel momento non potette farne a meno.
    Volse il capo verso Mason, scivolando poco a poco sul pavimento per raggiungerlo. Una sua mano, senza permesso, andò ad intrufolarsi tra i suoi capelli mentre, riversa su un fianco, poggiava la testa sulla sua spalla.
    E non disse assolutamente nulla. Non ce n'era bisogno. «Potrei anche addormentarmi così.» Disse alla fine, mentre le dita di Helena giochicchiavano delicatamente tra i suoi capelli, dedicandogli così quelle carezze e accortezze gentili che la ragazze era sicuro l'altro non avesse mai ricevuto.
    E non c'era bisogno di altro. Non c'era bisogno di spogliarsi per stare bene. Si sentiva legata a lui più di quanto non si fosse mai sentita prima.
     
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    Dare una spiegazione a quell'incontro gli è impossibile. Anche in quel contesto, non gli serve alcuna etichetta per definire qualcosa di troppo bello per rientrare in canoni generici o prestabiliti. A delineare la natura del loro rapporto in quel dato momento è solo la predominante tenuità che l'ha caratterizzato dall'inizio alla fine. Perché il principio ci ha messo un pò a svuotarsi della paura e poco a poco, passo dopo passo, sono giunti ad un epilogo di meritata armonia. Ragazzate che Mason ha riscoperto solo al fianco di Helena, quelle che lo spingono a rimanere disteso al suo fianco, in una posizione altrettanto rilassata, concedendosi una profondità d'animo che non ha mai lasciato intravedere neanche a se stesso. 'Guarda un pò che ti sei persa.' Le risponde calmo, quasi sorpreso l'altra non sia mai riuscita a prendersi del tempo per dedicarsi a qualcosa di così semplice, di quelle cose che la vita ti regala senza volere niente in cambio e che per tal motivo spesso si tende a dare per scontate. Le stelle, la notte; fattori che per Mason sono sempre stati piccoli sfoghi di libertà, momenti di nulla in cui starsene da solo lasciando da parte lo studio, il lavoro, i rischi. Solo lui, la natura e talvolta qualche libro di poesia. Attimi celati a chiunque altro, rimasti soltanto suoi almeno fino ora, che ne condivide una parte con chi ne sembra altrettanto meritevole. Gli va bene così, ma si sente anche meglio quando sente Helena avvicinarsi a lui. Spontanea, delicata, sicura e privata di ogni timore che ha scorto sul suo volto in occasioni precedenti. Vederla stare bene, lo aiuta a sentirsi meglio. Sentirla su di sé, nella più pura delle intenzioni, lo riporta alla vita. Godere del tocco delle sue dita tra i capelli, lo culla dolcemente in un ristoro che ha inconsapevolmente atteso per un'eternità ed in cui adesso che è arrivato navigherebbe fino alla fine dei suoi giorni. Il calore, l'affetto, quello vero e profondo, è qualcosa di meraviglioso. Non si spiega perché Hubert abbia tentato di tenerglielo così lontano, di precludergli una possibilità di felicità come questa, anche per mano di altre persone come la ragazza in questione. Chi dice che sia destinato a finire? E perché dovrebbe essere sbagliato goderne finché c'è? 'Allora fallo.' Sussurra infine alla sua volta, col capo piegato verso il suo ed un vago sorriso pregno di rilassamento che non riesce a cancellare dalle proprie labbra. La tiene stretta a sé, col braccio disteso sotto il suo corpo e l'avambraccio piegato per carezzare la sua schiena, la sua spalla, la sua nuca. Anche questo nelle intenzioni più pure ed affettuose che sia mai riuscito a concederle. Nel vederla chiudere gli occhi, avvicina poco dopo le labbra alla sua fronte. Le pressa appena, augurandole così la buonanotte e beandosi ancora di quella tenerezza prima che la visione celestiale dinanzi ai suoi occhi venga oscurata dalle palpebre calate su di essi. Si concedono quel riposo, finalmente liberato da tutti i tormenti patiti in precedenza e non c'è niente di meglio.


     
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