bright lies

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    Pian piano l'angoscia di quell'incubo stava lasciando spazio ad altro. Il suo timore non era svanito, lo conservava ancora perfettamente nei sogni tormentati che la costringevano a risvegli impetuosi a fiato corto, ma durante il giorno le sembrava di aver riacquistato il controllo. Almeno su alcuni dettagli. Seguiva le lezioni a Durmstrang, tormentava chi aveva sempre tormentato e si sentiva di nuovo forte. Pian piano sentiva di essere tornata se stessa.
    Forse sentire Mason quasi quotidianamente l'aveva aiutata, spingendo via o accantonandola almeno, di vedere Lorence ancora libero per molto tempo.
    Parlare con Mason però l'aiutava a rilassarsi. Si stuzzicavano, anche a distanza, e per certi versi sembravano essere tornati quelli di un tempo. Leggeri come dovrebbero essere due ragazzi. Avevano persino ripreso a fare allusioni, a guardarsi oltre quel velo di distanza che avevano instaurato tra loro. Stavano abbattendo insieme ogni tabù, e quel rapporto aiutava Helena più di qualunque altra cosa.
    Così, quando finalmente aveva avuto la possibilità di uscire da Durmstrang, non aveva atteso molto per assecondare la precedente richiesta di Mason di raggiungerla al capanno nel bosco di Bergenwiz.
    Con la fedele compagna al suo fianco, aveva camminato sicura tra gli alberi, superando il verde fitto del bosco per raggiungere quella casa in legno ben nascosta.
    Lui era lì sull'uscio, a fumarsi una sigaretta. Vederlo le provocava sempre una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Si sentiva sempre come se il volto si congelasse in una qualche posizione, mentre il sangue le fluiva comunque a grande velocità al cervello. Si sentiva un casino insomma, ma era piacevole.
    Si avvicinò a lui, rubandogli la sigaretta, prima di entrare in casa.
    Gettò senza ritegno lo zaino sul pavimento, mentre Pinky restava fuori perchè intrattenuta dal cinguettio degli uccelli. «Comunque questo posto continua a fare schifo.» Gli disse quando l'altro fece il suo ingresso in casa, mentre si dedicava una boccata di nicotina.
    Gli sorrise. «Per fortuna che ci sono io.» Avanzò verso di lui, fermandosi a qualche passo di distanza. «E' per questo che non potevi fare a meno di me? Avevi bisogno di qualcosa che rendesse meravigliosa la tua vita?» Si indicò, concedendosi persino una breve piroetta. «Eccomi.»
     
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    Non c'è voluto molto perché tutto tornasse alla normalità o ad una prima impronta di essa. Dopo il rilascio degli Auror, il Chesterfield non ha perso tempo a rimettersi in carreggiata. Si è ripulito, è tornato in Accademia e dopo i primi giorni di riadattamento ad abitudini che gli sembrava di aver perso, è riuscito a ricomporre pezzo per pezzo quell'esistenza di cui si sentiva sicuro, per cui tutti l'hanno sempre conosciuto e temuto. Si divide tra mansioni lavorative e studio, riuscendo a conciliare la ricongiunzione con Merc alle chiamate piuttosto assidue con Helena. Sembra, insomma, tutto così dannatamente perfetto da fargli quasi paura, ma è deciso a goderselo, a tornare orgoglioso e noncurante così com'è sempre stato prima che tutto sembrasse andare a rotoli. Ricerca in ogni piccola cosa quella sicurezza in se stesso che l'ha sempre apparentemente protetto dal mondo e pare seriamente funzionare, al punto da riuscire a spazzare via anche le ultime tracce di quei sensi di colpa per tutto ciò che è stato alla base del suo periodo di reclusione in casa. Si lascia alle spalle tutto di quel capitolo, perché convinto di poterci mettere una pietra sopra senza alcuna conseguenza. E si sente leggero, mentre sbuffa le prime boccate di nicotina poggiato sull'uscio aperto di quel capanno sperduto nelle lande del Nord. Rilassato, mentre la figura di Helena si fa a mano a mano più vicina, fino a rubargli la sigaretta per poi oltrepassare la porta con quella spontaneità che ostenta vivide dimostrazioni di benessere. Divertito, mentre rilascia due carezze con le nocche alla volpe lì presente, prima di seguire l'esempio della ragazza e fare il proprio ingresso scanzonato in quel capanno malconcio. 'Continuo a ripeterti che se vuoi un castello delle principesse, devi rivolgerti a qualcun altro.' Immediato lo scatto di quei meccanismi spensierati con cui si sono intrattenuti sin da principio. Un'ultima, piacevole nota aggiuntiva al sollievo provato nelle ultime settimane, in un'inconscia propensione a provare felicità di riflesso alla serenità dell'altra. Consapevolezze che torna a soffocare sotto quell'aria da padrone del mondo, di cui le fa immediatamente dono riprendendosi la sigaretta trafugata al termine della sua dimostrazione disinvolta. 'Non potevo fare a meno di te, dici? Non ti sembra una considerazione eccessiva?' Non lo è per niente, ad onor del vero. Averla lontana e tenerla a distanza a sua volta, perché immerso in un caos che gli ha risucchiato ogni forza vitale, l'ha fatto sentire vuoto, incompleto. Anche se adesso finge di non rendersene conto. Anche se torna a mettere su questa farsa dettata da una promessa ormai bruciata da entrambi in fin troppe occasioni. Eppure sembra essere l'unico modo per tenersi in piedi, per andare avanti a passo sicuro e deciso. Non è più tempo, per loro, di arrancare verso quelle illusioni tempestate di dubbi asfissianti. Possono ricominciare a prendere l'uno dall'altra quella libertà che solo tra loro riescono a concedersi. 'Potrei chiudere un occhio...' Vago, le restituisce la sigaretta, incastrandola con arroganza dritta tra le sue labbra, prima di allontanarsi di qualche passo e recuperare una bottiglia di whisky, anch'essa a riportare a galla quelle memorie condivise di cui sente la mancanza. La stappa, mentre ne beve un primo sorso per poi porgerla all'altra. La trattiene però con fermezza, intenzionato a non lasciare la presa se non prima le proprie condizioni saranno accettate dalla ragazza. '...se mi dici quanto ti sono mancato.' E non c'è alcuna traccia di sentimentalismo nel suo tono di voce. Solo quell'accesa malizia che scorre imperterrita nelle sue vene, mentre i suoi occhi si posano con eccessiva eloquenza sul corpo dell'altra, preparandosi a qualcosa che sazi finalmente la sua fame incolmabile. La sua fame di lei.


     
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    Quel gioco di sguardi, di azzardi, le provocava un miscuglio di incomprensibili emozioni che la rendevano adrenalinica, quasi febbricitante. Sentiva il proprio corpo andare a fuoco e tremare impercettibilmente. Non era insolito. Mason era sempre riuscito a farla sentire totalmente inerme dinanzi al controllo del proprio corpo e si disse fosse normale, quindi, esserne eccessivamente vittima dopo tutto quello che era accaduto. E poi, era più di un mese in fin dei conti, che non si ritrovava così vicino a lui, a condividere quegli spazi, le loro abitudini, quei giochi di limiti infranti e desideri sussurrati con gli occhi. Era normale sentirsi così. Era quello che credeva.
    «Beh, non me lo merito un regalo?» Gli disse, mentre riaccoglieva la sigaretta tra le proprie labbra che per caso sfiorarono anche la sua pelle.
    A volte avrebbe voluto vedersi da fuori in contesti simili, solo per darsi uno schiaffo. Sperava non fosse del tutto visibile il potere che l'altro riusciva ad avere su di lei.
    Ovviamente avrebbe fatto di tutto per camuffarlo, come appunto stava facendo.
    «No.» Finse di non essere eccessiva, ed era divertente. Quel punzecchiarsi a vicenda lo era. Era come uno strano rito di accoppiamento. Ed infatti l'aria tra loro lì in quella stanza era quasi elettrica.
    Provò ad afferrare la bottiglia di whisky che Mason le porse, ma non ottenne risultati. Ci riprovó l'attimo dopo, per poi alzare lo sguardo sull'altro.
    «Hai bisogno di qualcuno che ti gonfi l'ego?» Con pochi passi felpati si avvicinò a lui. Sì concesse l'ultima boccata di fumo prima di tirarsi sulle punte e con le mani poggiate sulle sue guance, rilasció tra le sue labbra un bacio alla nicotina. Un eccesso che si stava concedendo in barba a tutti i divieti che si era autoimposta in quelle settimane. E si sentì bene. Guarita.
    Ritornò coi piedi per terra poco dopo, rubando la bottiglia dalla presa appena più flebile dell'altro. Rise appena.
    «Fregato.» Commentò poco dopo, arretrando fino al bracciolo del divano su cui si appoggiò mentre si dedicava un abbondante sorso di coraggio liquido.

     
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    Si sente già padrone di quella situazione e ne è felice, soddisfatto. Il pensiero di doverla condividere con qualcun altro, specialmente trattandosi di un individuo che le ha fatto così tanto male, l'ha reso debole, eccessivamente vulnerabile. Fin troppo distratto, per riprendere le parole di Hubert che lo conosce meglio di chiunque altro. E' emozionante poter riprendere in mano il controllo, gestire le proprie azioni seguendo il proprio istinto, senza stare a rimuginare su congetture e pensieri soffocanti che l'hanno compromesso. E farlo al fianco di Helena rende il tutto anche più piacevole, nella loro consuetudine pronta a ristabilirsi sulle medesime basi di un principio che è sempre andato bene ad entrambi. 'Solo se ti comporti da brava bambina.' Anche rimarcare quel nomignolo lo riporta ad una familiarità che gli permetta di sentirsi al sicuro, probabilmente da lei stessa condivisa, all'apparenza sempre più certa e ben inserita in ogni maliziosa sfaccettatura di quell'incontro. Comincia a risvegliarsi dal suo torpore, mentre ognuno dei suoi sensi resta coinvolto nell'effetto che lei riesce a fargli. Così assapora anche quel bacio tossico, stando ancora al suo gioco quando riesce a recuperare la bottiglia dalle sue mani per poi farsi indietro sino al bracciolo del divano. Sbuffa una risata divertita, mentre le si avvicina con passi lenti, prolungando volutamente l'attesa sino al contatto successivo che si concederanno. Il sorriso ampio, i denti conficcati con eloquenza sul labbro inferiore, a pregustare gli effetti del percorso ormai evidentemente intrapreso da entrambi. 'Posso pensarci da solo a gonfiare il mio ego.' Scuote il capo e le spalle, dando iniziale dimostrazione di quanto poco lo tocchi la faccenda. Si prepara a smentirsi l'attimo dopo, quando una volta raggiunta, fermo a millimetri quasi inesistenti dal suo corpo, poggia le mani sul bracciolo su cui siede, ai lati delle sue gambe. Si sporge in avanti, catturando per pochi secondi tra le proprie le sue labbra, assaggiandone le tracce alcoliche residue in quei giochetti d'eccessi che non può fare a meno di dedicarle. 'Però è più divertente se sei tu a farlo.' Senza indugio, lascia scorrere le mani sui suoi fianchi, soffermandosi appena sotto il tessuto della maglia, godendo per un pò di poter riagguantare il suo corpo come il destino gli ha vietato per un tempo esageratamente lungo. Si bea di essere giunto al termine di quell'attesa insopportabile e si convince sempre di più che farlo sia l'ultimo passo per mettere fine ad ogni tormento che di tanto in tanto ancora patisce. Helena è sempre stata straordinariamente ed inconsapevolmente la sua risposta a tutto; perché dovrebbe essere diverso stavolta? 'Anche se ammetto che mi piace da matti quando giochi a fare la sostenuta.' Con le mani, passa dai suoi fianchi al suo fondoschiena, soffermandovisi con fervente desiderio, prima di appiattire il proprio bacino contro il suo. Un sospiro pesante quello che si lascia sfuggire oltre le labbra ancora distese in quel sorriso accorto, comunicandole il modo in cui lei riesce a farlo sentire, senza freni di alcun tipo.


     
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    Il suo tocco fu come una scarica di adrenalina. Sì sentì fremente sotto il suo contatto, e tra i sospiri e la voglia di lasciarsi andare si fece largo la paura. Era ancora appena una scintilla, il problema era il mare di paglia che la circondava. Sarebbe bastato oltrepassare quel limite rimasto celato fino a quel momento, per dare fuoco ad ogni cosa. E ne sarebbe venuta fuori una catastrofe, perché tutto ciò che la riguardava, finiva sempre con l'essere esagerato.
    Godette del contatto col suo corpo fino a quando tutto dalla vicinanza estrema dei loro bacini coperti, alle mani di Mason che stringevano con vorace bramosia la propria pelle, la fecero tremare. Fu un attimo, probabilmente ben celato dalla tensione del momento.
    «Dai per scontato che mi piaccia averti intorno.» Biascicò contro le sue labbra, rilasciandole dopo l'ennesimo bacio.
    Si prese del tempo, fingendo - prima di tutto con se stessa - di allungare quel momento solo per renderlo più intenso. Ed invece aveva solo paura.
    Lo spogliò della maglia, lanciandola via ed osó persino tracciare con due dita un percorso immaginario che dal suo pomo d'Adamo scorreva giù, fino alla cintola dei pantaloni. Si metteva alla prova, spingendosi a venir fuori dal gusto in cui si era rinchiusa in quelle settimane, ma non andò oltre.
    Lo allontanò delicatamente, solo per andarsi a sedere sul divano, le gambe leggermente tirate al petto e la gonna della divisa a scivolare appena, scoprendo le cosce nude. Una posizione in definitiva fraintendibile visto il momento.
    Lottava con se stessa. Cercava di vincere la propria paura, di prendersi del tempo perché era stanca di adeguarsi a tutto il male che le era stato fatto. Era quello il motivo che la spingeva a non cedere. A stuzzicare l'altro nonostante la distanza appena messa tra loro. Un gioco pericoloso da cui uscirne sarebbe stato impossibile, non senza ferite.
    Si concesse un generoso e distratto sorso dalla bottiglia, lasciando persino che gocce d'alcol scendessero a macchiarle il mento. Poi porse a Mason la bottiglia. Gesti e segnali discordanti che avrebbero potuto mandare in confusione chiunque.
    «Sono abbastanza sostenuta adesso?»

     
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    'Perché è la verità.' Ormai nel pieno inizio di quell'atto liberatorio, restano poche le parole impregnate d'arroganza che si rivolgono, intenti a ritrovarsi in gesti e tocchi che enfatizzino la loro voglia d'aversi. Un ragionamento forse univoco, in cui nonostante le reciproche attenzioni che si riservano, il Chesterfield appare più disinibito, quasi preso da un coinvolgimento maggiore. Sembra essere preda di quei modi rozzi e barbari di cui neanche si rende conto e colto da una frenesia cui ha ambito per troppo tempo, non riesce a rendersi conto di quei timidi elementi che stonano di tanto in tanto. Vede tutto come un gioco, perché è sempre stato così. Una volta, però, erano entrambi paradossalmente meno incasinati, anche se fingono adesso un ritorno a quel benessere lontano. Non molla la presa mentre si lascia spogliare della maglietta. Sempre più catturato dalle attenzioni di Helena, percorre linee di avidità sulla sua schiena, sui suoi fianchi, sulle sue gambe, finché lei glielo permette. Poi, appena deluso nel vederla arretrare, resta ad osservarla per qualche attimo con fare interrogativo. Si chiede se si tratti di un ennesimo tentativo di girare intorno a quella situazione per renderla più duratura, più piacevole ed allettante da godere o se ci sia qualcosa che non vada. Le sue movenze dicono "prendimi", il suo sguardo assente dice l'esatto opposto. Tentenna un pò prima di raggiungerla, continuando a studiarne l'espressione e quel comportamento vago che lo confonde mentre tracanna un'abbondante dose d'alcol dalla bottiglia recuperata. La mette da parte dopo un pò, sedendo al suo fianco, ricominciando a sentire l'impellenza di quel bisogno fisico che non è ancora scemato neanche di un pizzico. 'Direi di sì. E anche un pò troppo rigida.' Posa la mano sulla sua nuca, rilasciandole un bacio quasi tenero sul collo, come preludio di un ritorno a quella concupiscenza interrotta che ancora una volta è lui ad innescare. In fondo è sempre stato lui, anche in passato, ad istigare l'altra con la sua superbia e quelle note di volgare maliziosità che la facessero cedere dopo i vari tira e molla iniziali. Credere che si tratti di quelle stesse dinamiche, per quanto ingenuo, non è poi così colpevole. Forse sarebbe bastato soffermarsi un pò di più su quegli accenni d'incertezza che non è stato in grado di cogliere. Forse avrebbe dovuto dare più ascolto a lei, che non alla propria impellente voglia di riconfermarla propria. 'Che c'è? Hai voglia di farti desiderare stavolta?' Il suo sorriso da sereno riacquista poco a poco le stesse linee di cupidigia che lo sovrastavano pochi istanti prima. Quell'illusione di perfezione lo cattura in un vortice di desiderio che gli offusca la vista, la mente. Così continua a dedicare baci a mano a mano più intensi alla pelle liscia e bianca del suo collo, mentre la mano curiosa scivola sulla sua coscia, risalendo per intrufolarsi senza vergogna sotto la gonna. Imperterrito e concentrato, nel ricercato tentativo di ritrovare ristoro nella vicinanza dell'altra.


     
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    Since the world is full of roles that we play
    And as long as we do there's no time to regret
    All the ways how you and I had come together
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    Fingere non le era mai sembrato così complicato. Ci stava provando a mettere a tacere i propri pensieri, ma più si addentravano in quella foresta fatta di rovi graffianti e spinose intenzioni, più l'angoscia malcelata tornava a galla mozzandole il respiro.
    Vederlo farsi avanti, su di lei, non riuscì più a provocarle, quel senso di insofferenza dinanzi all'attesa, non si sentiva nemmeno più così eccitata. Vederlo farsi avanti, come a rallentatore, le riportò alla mente immagini che avrebbe voluto dimenticare.
    E non aiutarono le sue parole, che la bloccarono provocandole un nodo alla gola.
    Le sue mani sulle sue cosce, i suoi baci. Persino il suo sorriso adesso sembrava così tagliente.
    Provò a mandar via quelle sensazioni, a chiudere gli occhi e a lasciarsi andare, ma si sentiva oppressa sotto il suo corpo. Le mancava il respiro. I suoi baci affamati la facevano sentire preda inerme e quando la sua mano imperterrita oltrepassò i limiti imposti fino a quel momento, ogni sua difesa crollò.
    Eppure non riuscì a dir nulla. Per qualche secondo, rigida come se avesse appena visto un mostro, restò con Mason su di sé, ad accogliere tremante le sue attenzioni respirando appena. Quando però chiuse gli occhi lucidi, e le tornarono chiaramente alla mente i dettagli di quella notte che le sembrava di aver dimenticato.
    Mugolò infastidita, prima di agire. Si mosse di scatto, così velocemente che la sua fronte cozzò con forza contro il naso dell'altro. «Basta! Non mi toccare!» Lo spinse via, sgattaiolando ansante a qualche passo di distanza.
    Lo guardava e le sue parole le rimbombavano nella mente come una sorte di condanna.
    Essere rigida. Farsi desiderare.
    Che cazzo aveva in testa? Era quello che pensava di lei? Era quello che aveva pensato di lei in quelle settimane di lontananza?
    «Vaffanculo.» Gli urlò contro, in piedi ma con le ginocchia tremanti. Strinse le braccia al petto come a voler proteggersi così.
    «Rovini sempre tutto.» E sì, esagerava, scaricando la colpa su Mason perchè era più semplice. Perchè era più facile fingere fosse stato lui a rovinare l'atmosfera, piuttosto che accettare l'idea che quel demone era ancora fisso nella sua testa e che non se ne sarebbe andato senza combatterlo realmente.
     
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    Limiti. Non se n'è mai posti. Li ha sempre oltrepassati, calpestati, lasciati indietro per procedere nella strada verso il potere, dove nessuno esiste all'infuori di sé. Ha tenuto fede al proprio modo d'essere sin dall'inizio e non ha mai mostrato segni di reale cedimento, ad eccezione del mese di reclusione trascorso da poco. Si è sentito pronto a rimettersi in gioco, a riaffermarsi sopra ogni cosa e persona e gli tocca adesso fare i conti con le conseguenze di un menefreghismo che gli costerà caro, sotto la miriade di aspetti che in un flash passano tutti nella sua mente. Caccia un grido soffocato a seguito dell'improvviso colpo che Helena gli riserva. Non sa dirsi se ne sia stata consapevole o meno, ma dinanzi al suo rifiuto così sofferente resta pietrificato. Non è in grado di spiegarsi come da quello che sembrava un desiderio comune adesso si ritrovi a vestire i panni di un molestatore. Di nuovo. Pensare di averla violata, seppur inconsapevolmente, rendendosi così simile a quell'essere disgustoso che l'ha fatto sul serio, gli fa piombare un macigno sulla testa. Comincia a sentirsi distrutto, mentre le consapevolezze del presente cadono a picco sulla sua coscienza insieme con le omissioni di natura simile che le tiene nascoste, con la stessa intensità del sangue che gli cola sul mento e sull'addome ancora scoperto. Era un rischio che forse avrebbe dovuto aspettarsi. Risolvere le cose cercando di nasconderle sotto un tappeto di bugie non sradicherà mai del tutto il problema. Forse è una regola che vale per entrambi. 'Ma che cazzo...?' Solleva lo sguardo verso di lei, spaesato, confuso più che mai, mentre stringe inutilmente il naso tra le dita. Il dolore provato è atroce ed un vago mal di testa comincia a fare il proprio ingresso per unirsi alla sofferenza generale. Ma ciò che fa più male, in fondo, resta Helena, tutte le accuse che gli rivolge, il tono di voce disperatamente adirato, il tremore delle sue ginocchia, le sue braccia strette al petto. Tutto di lei lo ferisce e si sente un miserabile per non essere riuscito ad accorgersene prima, guidato da un egoismo che ha nuociuto ad entrambi. 'Ma che ti ho fatto?' Le chiede con lo sguardo abbattuto di un cerbiatto impaurito. Ci si sente, incredibilmente. Ha esagerato così tanto nell'immergersi in quel misto di abitudini che lo aiutassero a riprendere controllo e sicurezza della propria vita, che non si è reso conto di ciò che gli stava succedendo attorno. E se magari anche lei gli avesse reso semplice l'avanzata in quella via di perdizione, si dice che sarebbe stato in grado di accorgersene se davvero fosse stato in sensi, se fosse tornato se stesso come sperava d'essere. Invece tutto il suolo attorno a sé è crollato e non se ne spiega la ragione. O perlomeno, non se l'è spiegato fino a quando non ha incontrato quelle tracce di terrore sul volto dell'altra. Così collegare i puntini diventa più facile, automatico. 'Stai tremando...' Constata rimanendo ancora seduto sul divano, asciugando malamente e distrattamente le tracce viscide rossastre che lo macchiano con la maglietta recuperata dal pavimento, lontano da lei così come Helena stessa sembra richiedere per calmarsi. Eppure il ritorno di quel distacco, di quella distanza tanto fisica quanto, soprattutto, emotiva lo getta di nuovo in balia delle onde violente di un oceano in tempesta. Quanto passerà prima di tornare ad annegare nel senso di colpa e nel timore? 'Hai paura di me?' Ed in quella stessa domanda, risuonano note della paura che prova nei confronti dell'altra. La paura di ferirla, di perderla ancora una volta. Di perderla per sempre.


     
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    Restò chiusa in quella posizione, stringendo convulsamente e senza nemmeno rendersene conto, di più le braccia al petto. Tremava. Avrebbe voluto dirsi di avere freddo ma non era così. E non riusciva a fermarsi. Non riusciva a dare un freno alle sue ginocchia, alle sue labbra. Non riusciva a calmare i suoi denti battere sotto quella spinta d'eccessivo sentire.
    Avrebbe preferito tornare a non sentire niente, o fingere di farlo, piuttosto che sentirsi così dannatamente vittima dei suoi sentimenti.
    «Non ho paura di nessuno!» Esordì adirata, quasi come se Mason con quelle parole l'avesse offesa. In parte era così. Helena non voleva accettare l'idea di essere stata ferita così irrimediabilmente da qualcuno. Non poteva e non riusciva a fare i conti con quel trauma. L'aveva soltanto spinto lontano, convinto potesse bastare a stare meglio. E non era così.
    Vedere Mason conciato in quelle condizioni a causa sua, col naso rotto e gocciolante e quell'espressione colpevole di chi non sa nemmeno cosa ha fatto per esserlo, la coprì di un angosciante senso di colpa.
    «Io...i-io mi dispiace.» Biascicò, portando le mani al volto mentre tornava a sedersi sul divano, dal lato esattamente opposto a quello di Mason.
    Sebbene non riuscisse a dirlo, o a capirlo, aveva bisogno di spazio ed era il suo corpo che autonomamente se ne prendeva.
    Rimase lì, con le mani sul volto per qualche attimo, massaggiandosi la fronte.
    «E' che quello che hai detto... io non sono rigida, okay?» Gli disse voltandosi, cercando un appiglio nella realtà. E sì, anche se le sue parole avevano funto da campanello d'allarme nella sua mente, non erano le fautrici di quel dolore.
    Helena però aveva il vizio di riversare sugli altri i propri sentimenti, soprattutto se negativi. Sentiva la necessità di riavere il controllo, e ferire l'unica persona che era lì presente, era l'unico meccanismo di difesa che le era rimasto.
    «Magari sei tu ad essere abituato a ragazze che la danno via come se non fosse propria. Ma io ho un po' di amor proprio e dignità.» Scosse il capo, alzando appena il tono dinanzi a quelle accuse.
    «E se pensi che io mi faccia desiderare, come se fossi un'oca frigida del cazzo, cioè, vaffanculo...» E poi d'improvviso, si fece chiara nella sua mente l'idea malsana, che lui come Lorence, e forse qualsiasi altro uomo sulla terra, non aveva alcun interesse per lei. E perchè avrebbe dovuto averne? L'aveva persino fatto richiudere ingiustamente per un mese.
    Forse se Helena era adesso lì, in un capanno nel bel mezzo del bosco, era solo per un bisogno fisico e nient'altro. «Oddio. E' chiaro, che stupida. E' per questo che mi hai chiesto di venire.» E si sentì una stupida per averlo pensato, una stupida per averlo detto. «Vuoi solo scopare.»
     
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    Tutto precipita inesorabilmente. Quel dolore, quello ben stampato sui loro volti feriti, li spinge verso un baratro di angoscia, dettato dall'incomprensione di cui sono vittime per cause esterne. Questo a rendere la situazione anche più asfissiante, impossibile da sopportare, atta a stuzzicare con prepotenza i nervi non poi così saldi di un Chesterfield già mirato all'autodistruzione. Il dispiacere dell'altra lo fa sentire una merda, ma venire attaccato pochi istanti dopo, mentre lei gli siede così lontano, peggiora spietatamente le cose. Crudele il modo in cui il destino scelga sempre di mettersi contro di loro, insidiandosi come un tarlo d'odio che li spinga sempre ai poli opposti delle loro esistenze. Non riuscire a ritrovarsi è la maledizione più potente di cui soffrono. Sopportarla comincia a diventare complicato. 'Cazzo, erano solo parole! Da quando dai così tanto peso a quelle stronzate?' E lo erano davvero, parole al vento. Il risultato di quel piacere fisico innescatosi in lui, come conseguenza dell'effetto che lei gli ha sempre fatto. Niente di diverso rispetto al solito. Ad essere diversa, probabilmente, è Helena stessa. Non se ne stupisce, ma accettarlo è meno semplice del previsto. Dà ascolto alle sue parole, ma non riesce a dargli un senso. Sembrano i fili sconnessi di un discorso che non ha niente a che vedere con la situazione corrente. Stralci di fastidi accantonati che ha probabilmente covato dentro per tutto questo tempo e che vengono a galla per scontrarsi con la prima cosa, la prima persona che capita a tiro. E questo gli fa incredibilmente male. Avrebbe migliaia di ragioni per giustificarla, per dimostrarsi comprensivo come è stato sino ad ora, ma avere qualcosa di anche più ignobile da nasconderle e sentirsi sputare addosso accuse che ledono alla sua coscienza è insostenibile. Si pentirà ancora una volta di tutto il male che la indurrà inevitabilmente a provare, ma non trova alcuna soluzione alla sua tossicità. Nella melma ci naviga quotidianamente e trascinarla giù con sé è qualcosa che le ha riservato, purtroppo, sin dall'inizio. 'Ok, datti una calmata adesso, ti rendi conto delle merdate che stai tirando fuori?' Probabilmente no. Quel fiume in piena di terrore continua a riversarsi su di lui ed il culmine della sua pazienza arriva in seguito alle ultime accuse che gli vengono rivolte. A quel punto trattenersi diventa utopia. Sbottare è l'unico sfogo per liberarsi di quel peso che gli tortura l'animo, nonostante la consapevolezza di poter solo peggiorare le cose sia in agguato. 'Sai che c'è, Helena? Vaffanculo.' Duro, si tira in piedi dal divano, come se adesso servisse anche a lui mantenere le distanze da lei. Lo sguardo rabbioso però continua a puntarsi con prepotenza su quello dell'altra, a ricercarlo per un confronto di cui sente la necessità. 'Dopo tutto quello che abbiamo passato stai ancora a dipingermi come il pezzo di merda a cui interessa solo scoparti? Cazzo, che razza di immatura!' Ogni traccia di quel nervosismo nasconde una ferita accumulata nel tempo. Sarà che rivestire i panni del criminale anche con lei non gli sta più bene, che si sente soffocare al pensiero lei gli attacchi quella pellaccia da delinquente che non riesce più a togliersi di dosso. Quella condanna da cui solo lei lo liberava e con cui adesso lo colpevolizza per qualcosa che non ha fatto. 'Uno stronzo che "vuole solo scopare" ti avrebbe nascosta per più di una settimana in casa propria? Si sarebbe beccato una denuncia senza controbattere pur di proteggerti? Sarebbe impazzito in quell'appartamento del cazzo per non raccontare la realtà che tu cerchi ancora di negare a te stessa?!' La distrugge, perché è solo questo ciò di cui è capace. Mason causa distruzione, semina il caos attorno a sé e poi ne ride beffardo, ne gode come un matto, per riempire di soddisfazione il vuoto incolmabile che si porta dentro. Farlo con Helena lo spinge solo ad allargare quella voragine interiore e non essere in grado di evitarlo, di fermarsi e darsi un contegno, dimostra quanto tossico sia persino per se stesso. 'Non puoi scaricare le colpe degli altri su di me solo perché sono un delinquente del cazzo, ok?!' Sbuffa, a mano a mano più innervosito, colto dai primi accenni di nuovi sensi di colpa che vanno a mischiarsi a quelli precedenti. Fattore che lo rende anche più nervoso, mentre le sputa contro una bugia imperdonabile, con un amaro sorriso dipinto sulle labbra. 'E sta' tranquilla. Se avessi solo voglia di scopare, mi andrei a cercare una puttana.' E la consapevolezza di averlo già fatto, lo annienta più di quanto lei possa davvero comprendere.


     
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    Le sue parole ebbero il potere di ferirla più di quanto si sarebbe aspettata potesse accadere. Ed avrebbe voluto urlare in risposta, ma non ci riuscì. Scattò in piedi poco dopo di lui, ponendosi comunque a debita distanza.
    In cuor suo sapeva fosse tutto dipeso da lei, ma non riusciva a fare i conti con quella sofferenza. Se ne sentiva sconfitta in quel momento più che mai. Così, se la prendeva con Mason, nella vana speranza di sentirsi meglio. Chiaramente però stava sbagliando ogni cosa.
    «Vaffanculo a te. Io non sto negando un cazzo di niente.» Continuava a farlo, mentre le lacrime venivano fuori sole e senza controllo. Si infuriò ancor di più. Non solo non aveva più il controllo sulla propria esistenza, ma nemmeno sulle proprie emozioni. Come aveva potuto ridursi in quello stato? Come aveva potuto che altri potessero avere un simile potere su di sé? E non parlava soltanto di Lorence e dell'atrocità che le aveva fatto, ma anche di Mason. Le sue parole scavavano dentro una ferita già aperta.
    «Se io sono immatura, tu sei un fottuto stronzo!» Gli lanciò contro con violenza uno dei cuscini del divano, la prima cosa che gli capitò a tiro.
    Era furiosa ed avrebbe voluto che l'altro lo sapesse. E sapeva quanto pericolosa sarebbe potuta essere in quella situazione perchè per quanto turbata potesse essere, non era abituata a lasciar perdere.
    Si sarebbe feriti in modo irrimediabile. Lo stavano già facendo.
    «Ho passato i giorni a contattarti senza ricevere una misera risposta e ora dovrei credere che ti importi di... questo?» La sua voce si incrinò pericolosamente mentre lacrime rabbiose le macchiavano le guance rosse.
    Aveva tenuto per sé la delusione di quegli incontri mancati durante la loro reclusione. Eppure ognuno di quegli incontri saltati l'avevano ferita, fatta sentire ancor più sbagliata di quanto già non si sentisse.
    Aveva fatto di tutto per proteggerlo, e si era ritrovata sola.
    «Anche io ti ho protetto, okay?» Si battette la mano sul petto, prima di voltarsi ed urlare la propria ira. Urlò a pugni chiusi e capo chino, calciando una sedia fino a farla cadere, mentre le sembrava di rivivere nella sua mente quei momenti atroci in quella suite. Lorence, ancora libero, avrebbe goduto nel vederla così: distrutta.
    Si voltò di scatto, ridendo amaramente alle sue parole, reprimendo faticosamente l'istinto di colpirlo. «E allora che cazzo aspetti ad andare eh? Magari loro non si faranno desiderare. Ti daranno quello che vuoi, compreso la gonorrea che meriti.»
     
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    Implacabili, gettano sempre più benzina sul fuoco divampante dei loro malesseri. Il problema peggiore dei loro caratteri è che non c'è via d'uscita da quei contrasti così accesi. Più si scontrano, più sentono la necessità di perpetuare in quell'attacco devastante. Alla fine, nessuno dei due ne esce vincitore. Si sconfiggono a vicenda, per poi pentirsene quando troppe ferite sono già state inferte a sangue freddo. La prepotenza delle lacrime che le rigano il volto, non lo calmano; lo infuocano anzi di più, spingendolo ad impazzire in quell'impeto che lo fa sentire inadatto, fuori controllo. Afferra con ferocia il cuscino che gli piomba dritto in faccia e lo straccia con una violenza spaventosa. Impulsivo, esasperato, riversa tutto il proprio dolore in gesti estremi, in parole che non hanno nulla di sincero, frutto di una stizza folle che gli ha dato il tormento, che ha tentato invano di dimenticare, di sotterrare sotto una normalità forzata. Questa lite ne è l'inevitabile effetto. 'Avevo mio padre alle calcagna! Avrei dovuto lasciare che venisse a minacciare te o la tua famiglia, perché si è reso conto di come tu mi avessi fatto perdere la testa?!' Non è certo di quanto chiare possano essere all'altra quelle condizioni, quelle dinamiche di cui persino lui non ha ben chiare le regole. La pericolosità di Hubert è innegabile, nonostante sia stato in grado di dimostrargli, in quel periodo condiviso tra le mura del loro appartamento, di provare un riguardo speciale nei suoi confronti. Il modo in cui Mason gli è devoto è sempre stato una condanna. Accettare i suoi modi di fare, anche quelli che più lo spaventano, l'ha forgiato, ma ha anche messo a repentaglio la maggior parte delle sue opportunità di felicità. Questo Helena non può capirlo. Nessuno potrebbe mai capire davvero. 'Io ti ho protetto, non tu. Hai lasciato che mi arrestassero e non hai fatto niente. Credi che parlarci attraverso un fottuto specchio potesse migliorare le cose?!' Sobbalza dinanzi all'irruenza di lei, mentre si poggia alla parete alle proprie spalle nel tentativo di lenire parte di quel dolore fisico che gli fa pulsare le tempie. Continua a perdere sangue e quel dolore lancinante lascia presupporre che il naso si sia effettivamente rotto. Non è comunque più annichilente della frattura che lo sta ponendo così lontano da Helena. Vittima di un ultimo impulso incontrollato, le infierisce un colpo mortale. Mortale per entrambi. 'L'ho già fatto, stronza!' Nel pronunciare quella confessione terribile, si pietrifica lui stesso sul posto. Si era deciso a tacere su quella faccenda ed ha fallito. Ha pensato di raccontarle la verità, ma farlo in modo diverso ed ha fallito. Ha tentato di tutto per riportare quel caos ad un ordine che non ferisse nessuno dei due ed ha decisamente, miseramente fallito. 'L'ho fatto quando mi sentivo solo perché non avevi il coraggio di parlare coi tuoi genitori o con gli Auror.' Ancora agitato, il suo tono di voce è roco, spezzato da quel malessere che torna a fargli provare una nausea senza eguali. Il segno imprescindibile di un tradimento, perché non riesce a percepirlo diversamente, anche se per tutti quei mesi si sono mentalmente raccontati il contrario. Il disgusto verso se stesso, lo rende patetico e per questo un tremore nervoso lo coglie all'improvviso, dandone un'immagine disumana. Il mostro che Hubert ha messo su sembra venire a galla. 'Sei felice, adesso, di avere un valido motivo per darmi del pezzo di merda senza sentimenti?' Le chiede infine, straziato da quella situazione così assurda, insopportabile. Batte la mano sul proprio petto imitandola, ma mettendoci ancora più forza, come a volersi far male. Non vive che di questo, l'unica certezza che alimenta il suo motore di bastardaggine: il dolore. 'Perché sembra tu voglia rimarcare solo questo. Allora fallo, no? Che aspetti? Dimmi che sono un lurido criminale senza cuore! Fallo!' Rosso in viso, come nel petto rimasto vittima di quell'incontrollato autolesionismo, le si avvicina pericolosamente. L'odio dipinto sul volto, verso se stesso, verso la sua vita, la sua atroce esistenza da incubo. 'Vuoi colpirmi? Dai, fallo! Che aspetti? Colpiscimi!' Urla con impeto eccessivo, spaventoso. Dà di sé l'immagine che non avrebbe mai voluto Helena vedesse, ma che gli è sembrato ricercasse più di ogni altra cosa. Si illude di accontentarla, non rendendosi conto di quanto assurdi ed inesatti siano i suoi pensieri. 'Colpiscimi! Cazzo!' Solleva le mani minacciosamente, bloccandosi appena in tempo per non sfiorare neanche di un millimetro la sua faccia. Si volta di scatto, recuperando tra le mani la sedia che l'altra ha calciato, scaraventandola ripetutamente dritta contro il pavimento. Finge che ognuna di quelle schegge che si spargono sul pavimento rappresentino le frustrazioni che si è tenuto dentro per tutto questo tempo. Ma anche dopo averne avuto abbastanza, non si sente meglio. Con le mani tremanti, macchiate del proprio sangue, e gli occhi lucidi, si sente misero. Distrutto come mai gli è capitato prima d'ora. Devastato, perché ha permesso all'altra di assistere a quelle parti peggiori di sé di cui non riesce a liberarsi.


     
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    «Vaffanculo!» Avrebbe voluto colpirlo ma la verità era che aveva paura ad avvicinarsi a lui in un momento del genere. Se la propria rabbia era esplosiva quella di Mason era catastrofica. Ne coglieva tutta la violenza nei respiri affannati, nei gesti veloci e rozzi. In un momento come quello si vedeva tutta la sofferenza che il ragazzo si teneva dentro e che aveva lasciato macerare all'interno di sé in un ambiente che aveva coltivato quella rabbia per trasformarla in qualcosa di pericoloso ed ora incontenibile. In un momento come quello insomma, Helena capi perché il padre di Mason tenesse tanto ad avere ancora il controllo su di lui e si chiedeva come poteva Mason non riuscire a capire, non riuscire a vedere la verità.
    «Se non avessi dovuto proteggerti perché sei una testa di cazzo con una vita di merda, forse non mi sarebbe mai successo nulla.» Non avrebbe dovuto ribattere con così tanta veemenza, ma non riusciva a sopportare le sue accuse. Sminuiva il suo operato e per Helena di conseguenza anche tutto ciò che ne era seguito. Lei aveva provato a salvarlo da un destino che non meritava e aveva dovuto pagare per le sue azioni. Sul serio Mason riusciva a sputare su quello?
    Si sentì così tremendamente sola ed incompresa, che avrebbe voluto urlare ma non ci riuscì. Furono le lacrime ad avere la meglio, mentre stringeva i pugni e i denti per tentare di contenere il proprio fastidio.
    Poi però fu Mason a raggiungere il culmine della propria pazienza, e quando le si avvicinò vestito di quella furia terribile che ebbe il potere di spaventarla, Helena non potette fare a meno di arretrare. Inciampò persino nel farlo, finendo la propria corsa contro la parete alle sue spalle. Il respiro mozzo e gli occhi sgranati, pregni di paura.
    Chiuse gli occhi quando le mani dell'altro si alzarono ed anche se una parte di lei sapeva che Mason non avrebbe mai potuto farle niente di male, dopo tutto ciò che era accaduto non poteva fare a meno di sentirsi intimorita. Crolló contro la parete, coprendosi le orecchie e serrando le palpebre mentre Mason sfogava la propria furia violenta contro il pavimento.
    Soltanto quando ebbe finito, e si fermò ansante, Helena riuscì a rompere il silenzio con le lacrime a bagnarle il viso.
    «Eri l'unica persona a cui pensavo. L'unica che volevo sentire.» Cominció col tono tremulo, tirando su col naso mentre asciugava le lacrime inutilmente visto il nuovo carico che prese a bagnarle le guance.
    «E mi spiace non essere riuscita ad aiutarti prima, okay? Ci pensavo tutti i giorni a quello che stavi passando per colpa mia ma io non ti ho lasciato solo. Sei tu ad averlo creduto.» Si malediceva ogni istante per quello. Si incolpava di ogni cosa per quella faccenda, ma ricevere le stesse accuse da Mason la faceva soffrire in modo inimmaginabile.
    Restò lì, con le gambe al petto, lasciandosi andare ad un ultimo commento. «Ti odio.»

    Non seppe quanto tempo passò, forse almeno dieci minuti. Quel silenzio pesante su di loro però sembrò durare ore. Rimasero entrambi seduti sul pavimento, in parti opposte della stanza a non guardarsi.
    Helena non era riuscita a smettere di piangere se non fino a qualche minuto prima. Si sentiva tramortita, stanca. Si sentiva delusa da sé stessa per non essere riuscita a tenere testa a quella sofferenza. Quanto sarebbe durata quella sensazione? Per quanto ancora sarebbe stata vittima di quel ricordo? E Mason? Avrebbe continuato a reputarla inconsciamente o no, responsabile di tutto quello che gli era accaduto?
    Si asciugò le guance con i palmi delle mani, prendendo a fissare il pavimento dinanzi a sé con mascella serrata. Provò sul serio a riacquistare la calma. Tuttavia nella propria mente si affollavano domande che non le davano tregua, e seppur non guardandolo, si decise a spezzare quel rumoroso silenzio.
    «Quante... Quante volte è successo?» Non sarebbe cambiato nulla e forse non era nemmeno necessario saperlo. L'idea però che l'altro avesse potuto farlo anche dopo la pseudo fine di quell'incubo, la spezzava.
    Anche se non stavano insieme.
    «É stato prima o dopo esserci sentiti? O forse quando mi ignoravi?» E ancora, si affollavano domande condite col dolore di quello che, sebbene l'indefinibilitá del loro rapporto, Helena non poteva fare a meno di definire tradimento.
    E di nuovo le lacrime, al cospetto di quella consapevolezza, presero a precipitarsi inermi dalle sue palpebre, rotolando giù come massi sulle sue guance. Il cuore le pesava nel petto come un masso.
    «È stato bello? Ti sei divertito?» Gli chiese la voce spezzata mentre riprendeva a coprirsi il volto con le mani.
    Quando era diventata così succube?
    Era l'idea che Mason potesse di nuovo davvero ricorrere ad altre ragazze a ferirla. Lui era l'unica persona che voleva nella sua vita in un momento come quello, ed anche l'unica a ferirla in quel modo. E se Helena non sarebbe mai più riuscita a farsi toccare, temeva l'avrebbe perso per sempre. Temeva di aver perso per sempre non solo il controllo sulla propria esistenza, ma anche sulla propria femminilità.
    «Me l'avresti detto?»
     
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    Si sono azzannati a lungo, strappandosi via a vicenda quella fiducia che erano lentamente e con fatica riusciti a riporre l'uno nell'altra. Le loro parole hanno mandato in fumo quel progetto caotico che ha sempre incredibilmente funzionato: due incasinati nel posto sbagliato, perfetti solo insieme. E quella perfezione l'hanno frantumata, come la più delicata delle bolle di cristallo colpite con una noncuranza ferita. Loro lo sono. Feriti da se stessi e dal mondo intero. Feriti l'un l'altra, precipitati in un oscuro burrone di menzogne che si sono sputati contro senza freni. Uno da una parte della stanza, l'altra alla parete opposta. Frontali, ma non in grado di intercettarsi. Gli occhi puntati altrove, il silenzio pesante come un frastuono insopportabile, le anime distrutte. Con la testa poggiata al muro, rivolta verso l'alto, se ne resta ad occhi chiusi a rimuginare su tutte le parole pronunciate e quelle incassate. I sospiri di pianto dell'altra martellano violentemente nella sua mente fragile, spezzata anche quella dall'evento di cui sono stati vittime pochi attimi prima, iniettando un'ulteriore dose di sofferenza ai dolori già provati. Un insieme di dispiaceri, sensi di colpa e di ferite subite accumulate nel tempo che dopo quell'esplosione l'hanno lasciato vuoto, nel più negativo dei sensi immaginabili. Ciò che gli fa più male è sapere di averla annientata dopo tutto ciò che Helena ha patito negli ultimi mesi, solo e soltanto a causa sua e, per riprendere le sue giuste parole, della sua vita di merda. Sapeva lei avesse bisogno di lui e ad un certo punto ha mollato la presa, dimostrandosi il solito debole, codardo essere incapace di rapportarsi agli altri. La sua presenza virulenta avvelena se stesso e chiunque gli sia intorno. Helena, accovacciata dinanzi a lui con l'atteggiamento sconvolto di una bambina impaurita, non è che la dimostrazione di quel male cui condanna il resto del mondo. Così come l'odio alimenta il suo modo d'essere, lui stesso alimenta il caos ed il male dell'universo intero. Non ci si può aspettare niente di buono da una persona come lui; il suo unico rammarico è che entrambi se ne siano illusi con così tanta facilità. Non riesce a posare gli occhi sulla ragazza quando la sente parlare. Col capo ancora sollevato verso un punto indefinito e le palpebre serrate che sovrastano i primi segni misti di rossore e tracce violacee piantatesi sotto di esse, ai lati del naso ormai asciutto ma impiastricciato di sangue pestato, dà ascolto ad ognuna delle sue domande. Non specifica a cosa si riferisca, ma Mason sa benissimo di cosa stia parlando e si sente anche più colpevole. Lei pone le proprie fragilità nelle sue mani, attraverso quei dubbi che sembra la stiano torturando prepotentemente. Sta da schifo e va sempre peggio ad ogni quesito posto. Non riesce a darle alcuna risposta. Così secondo dopo secondo il silenzio del capanno torna a riempirsi del suo tono debole e fratturato, degli effetti di un pianto tornato crudelmente a prendere possesso di lei e di quegli interrogativi che pesano come macigni sulla coscienza devastata del Chesterfield. Sono solo sospiri quelli che si concede, esausto dal cedimento fisico ed emotivo che l'ha reso miserabile, colto da una tristezza che richiama la depressione delle settimane precedenti, in modo anche più accentuato, critico. Si è dimostrato per il mostro che è, davanti all'unica persona che sia realmente stata in grado di dirgli, più di una volta, che non fosse così male come si ostinava a credere. Averle aperto gli occhi potrebbe essere stata una protezione per lei, ma si rende conto che sia la sua più grande rovina. Perché a differenza di ciò che lei probabilmente crede in questo preciso istante, non vuole e non può fare più a meno di lei ed è stata proprio questa paura a farlo sbandare, a mandarlo completamente fuori strada ingigantendo un casino già catastrofico per entrambi. Non sa dirsi quanto tempo passi dal suo ultimo quesito al momento in cui finalmente riesce a concederle delle risposte. Secondi, minuti... Un tempo comunque interminabile, così come capita ogni volta che la prepotenza del destino tenta di separarli, ferendoli irrimediabilmente attraverso le loro stesse mani. 'Non lo so.' Esordisce così, puntando il principio delle proprie risposte sulla conclusione delle sue domande. Ha pensato di dirglielo, ma ha anche pensato di non farlo. Che senso avrebbe illuderla con una promessa che magari non sarebbe stato in grado di mantenere? Scagionarsi, farlo anche in modo impeccabile, non cancellerebbe comunque lo schifo di quel gesto irrimediabile. Indietro non si torna. 'Non era importante. Ho fatto in modo che non lo fosse, trovando qualcuno che non potesse avere neanche un minimo di coinvolgimento emotivo a seguito di quell'incontro.' Passa una mano sugli occhi. Le palpebre si schiudono finalmente, ma lo sguardo continua a rimanere vagamente puntato verso il soffitto, offuscato dalla stanchezza fisica provata. Niente cui non sia abituato. 'Avrei potuto chiamare un'amica, una qualunque delle figlie dei clienti di mio padre o una studentessa dell'Accademia, ma non l'ho fatto.' Arriva così quel chiarimento, a seguito di una dura deglutizione con cui cerca di cacciare il nodo soffocante che gli si è formato alla gola. 'Hubert ha pagato, perché voleva spingermi a toglierti dalla mia testa.' Rimarca così quel termine, che dia una visione più specifica ad Helena della realtà dei fatti. Un vago senso di delusione e vergogna lo raggiunge nell'ammettere quella verità, mentre gli occhi scorrono verso il basso, puntandosi dritti contro il pavimento. 'Ci ho pensato per un mese intero, perché la verità è che io non volevo dimenticarti. Per un pò ho creduto che mi avessi abbandonato e mi dispiace averlo fatto. Mi sei mancata da impazzire e quando ho perso totalmente la speranza, ho ceduto. E poi mi sono sentito anche peggio.' Risponde così alle sue domande, racchiuse in un discorso che le racconti per filo e per segno cosa abbia provato, perché si sia lasciato andare e le sensazioni provate in quel periodo che ha tentato di mettere da parte, senza affrontarlo prima come invece tenta di fare adesso. Rimedia ad un errore che ha causato la loro distruzione; è un peccato lo stia facendo troppo tardi. 'Quello stesso pomeriggio è arrivata la lettera di assoluzione. E il giorno dopo gli Auror mi hanno liberato.' Continua a maledirsi mentalmente per la brutale coincidenza. Se avesse tardato anche solo di un'ora, forse sarebbe stato in grado di evitare quel disastro. Qualunque cosa gli accada, sembra sempre essere l'effetto del destino bastardo così prepotentemente accanito contro di lui. Comincia a credere di meritarlo davvero e che non ci siano vie d'uscita a quella maledizione perpetua. 'La prima cosa che ho fatto è stata venire da te. Solo quando ti ho vista mi sono sentito davvero libero, anche se soffrivo ancora i postumi di quell'inferno.' Le confessa, ricordando perfettamente le sensazioni provate quando i suoi occhi si sono posati sull'altra, anche se alle sue spalle, anche se ancora col terrore dipinto sull'iride. Poco a poco, è riuscita a scacciare ogni traccia di quel malessere, ad illuderlo di poter ricominciare mettendo una pietra sopra quel caos. Tutto sbagliato, chiaramente, ma se ne rende conto soltanto adesso. 'Potrei giurartelo sulla mia stessa vita, ma lo capisco se non hai più voglia di credermi... se non ti fidi più di me.' Solo adesso solleva appena lo sguardo, ancora vagamente puntato sulla parete di fronte, non sul volto intristito dell'altra. Passa ripetutamente le dita sulle palpebre, tentando di annullare l'imminente effetto di quel pizzicore che gli brucia fastidiosamente gli occhi. 'Sei la cosa migliore che mi sia mai accaduta.' Annuisce debolmente, credendo fermamente nelle parole pronunciate, arreso ora più che mai a quella condizione così spaventosa, a quella presenza che è stata in grado di scombussolargli la vita ed offrirgli visioni nuove capaci di allontanare le angosce precedenti. E' con lei che ha realmente iniziato a vivere. 'Ed io sono la peggiore che sia accaduta a te.' Ed al contrario, è a causa sua se Helena è andata in rovina, così come ogni episodio di cui sono stati protagonisti da qualche mese a questa parte ha ben dimostrato. Solo adesso le sue pupille si scagliano contro di lei, tremanti di un dispiacere che vi resta crudelmente incastrato, perché venire fuori sarebbe solo un'ulteriore condanna. Per entrambi. 'Mi dispiace.' Mai fu più sincero nel pronunciare quelle parole.


     
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    Provò a trattenere le lacrime mentre dava ascolto alle sue parole. Non fu semplice. Si sentiva a pezzi. Aveva dovuto sopportare così tanto quel giorno, dopo aver creduto di poter fra fronte a qualsiasi difficoltà, che ora non sapeva dirsi come fare ad andare avanti. Avrebbe voluto soltanto chiudere gli occhi e non pensarci più. Addormentarsi e risvegliarsi in una realtà differente, dove Lorence non esisteva e dove nulla di quello che Mason le aveva appena raccontato fosse accaduto.
    Non riusciva a sopportare l'idea di Mason con un'altra, il pensiero del ragazzo con una ragazza, le faceva ribollire il sangue nelle vene. Eppure cosa avrebbe potuto fare? Era davvero in diritto di prendersela e di infuriarsi dopo avergli ripetuto così tante volte che loro non erano niente? Era lei che nel tentativo di difendersi, aveva imposto una distanza, seppur fallace. Ora non poteva certo pretendere un comportamento diverso da quello ricercato.
    Ripulì quelle tracce di tristezza dal proprio volto, tenendo lo sguardo basso ben lontano da quello dell'altro. Ora non poteva sopportare di guardarlo. Se lo avesse fatto, probabilmente sarebbe scoppiata di nuovo in un pianto incontrollato e non era ciò che voleva.
    Temporeggiò sulle sue parole.
    Sentirgli dire di essere per lui la cosa migliore, non la faceva sentire meglio. Come poteva esserlo dopo tutto quello che gli aveva inferto, volontariamente o meno?
    Corrugò la fronte, scuotendo debolmente il capo. «Non sei la peggiore.» Biascicò in risposta dopo qualche lunghissimo attimo di profondo silenzio. Ed era la verità. Lui le aveva salvato la vita. L'aveva riempita di emozioni che nessun altro era stato in grado di darle. L'aveva fatta sentire desiderata, apprezzata per quello che era. Con lui non si era mai sentita sbagliata o doverosa di un cambiamento. Non c'era niente di sbagliato in quello.
    E forse sì, aveva dei lati negativi ma chi non ne aveva? Di Mason le piaceva ogni cosa, ed era questo più di ogni altra cosa a farle paura.
    Senza dir nulla, scivolò sul pavimento fino a raggiungere il punto in cui era seduto l'altro, seppur tenendosi comunque ad una generosa distanza.
    Afferrò una sigaretta dal pacco lì accanto, lasciandolo poi tra loro. L'accese ispirando un po' di calma, o almeno così sperava.
    Scontarono un altro lungo silenzio prima che Helena riuscisse a parlare di nuovo.
    «Non so quanto tempo ci vorrà.» Si morse il labbro inferiore, continuando a fissare il pavimento dinanzi a sé per evitare lo sguardo dell'altro. Sussurrò quella consapevolezza tenuta nascosta fino a quel momento.
    Aveva creduto che qualche settimana potesse bastare a stare meglio, a dimenticare ogni cosa ed andare avanti. Si era illusa. Aveva mentito a se stessa prima che agli altri.
    Ora che si ritrovava a fare i conti con la realtà, si facevano largo in lei dubbi che avevano il potere di tramortirla.
    «E se non dovessi più tornare quella di prima? Magari non avrò nemmeno più il tempo per farlo...» E se non fosse riuscita ad andare avanti, a superare quel trauma? Se non sarebbe più stata in grado di sopportare quel tipo di contatto fisico, a Mason sarebbe andata bene lo stesso?
    Non riusciva a darsi risposte, e comunque tutte quelle che si dava non erano positive.
    Fu così, dopo un'altra lunga boccata di nicotina, che si concesse una rivelazione dolorosa per sé. Un chiarimento dovuto viste le mancanze che sentiva d'avere, le colpe che si sentiva addosso. Si sentiva come macchiata in modo indelebile, e non poteva chiedere a nessuno di condividere con lei quel supplizio. «Non devi pensarci adesso ma se deciderai di non poter più aspettare... Io lo capisco, okay? Solo... solo per favore non tenermelo segreto.»
     
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