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Otis

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    Erano passate due settimane. L'essere ritornata subito a Durmstrang le aveva tolto il peso di temibili incontri. Eppure non era stato più facile sopportare lo scandire del tempo. I suoi sogni erano tormentati da ricordi che tornavano continuamente prepotenti nella sua mente, e la preoccupazione per Mason a volte le toglieva il fiato. Continuava a chiedersi cosa sarebbe accaduto se non si fosse convinta a denunciare testimoniando con la sua verità, ma più immaginava quel momento, più tornava a sentirsi male.
    Non si era mai sentita così debole, continuamente sul punto di dover piangere o scoppiare. O forse entrambe le cose.
    Quel giorno sarebbe stato atroce da sopportare. Era il primo weekend di ritorno al villaggio, ed avrebbe dovuto incontrare i suoi genitori. Per l'occasione persino Otis li avrebbe raggiunti, e l'idea le faceva paura. Era per questo che aveva ricercato in quello specchio il riflesso di Mason. Sentirlo, vederlo, la tranquillizzava, sebbene i loro incontri fossero brevi e sempre più radi.
    Pronunciò il suo nome per più volte ma non accadde nulla e si fece più forte così l'ansia e la tristezza.

    Quando aprì la porta e vide Lorence intento a parlottare allegramente con la sua famiglia, sentì il sangue raggelarsi nelle vene. Era la prima volta che lo vedeva da quando era successo, e vederlo così tranquillo e sicuro, come se niente fosse accaduto le fece schifo. Avrebbe voluto urlare, andargli incontro e picchiarlo fino a perdere i sensi, ma non riuscì a muoversi. Più lo guardava, più nella sua mente si facevano vividi i ricordi di quella notte. Il dolore provato e la sensazione atroce d'essere stata privata di tutto.
    Restò sull'uscio come pronta a scappare. Lo era sul serio. Stavolta però non avrebbe saputo da chi andare. Si fece forza quindi, pronta ad affrontare quel momento. Lo doveva a Mason. «Perchè diavolo è qui?»

    I suoi l'avevano accolta come se quella fosse stata una grande festa. Erano felici, sua madre più di tutti, e non riusciva a spiegarsi il motivo. La infastidiva ogni cosa di quell'evento. I piatti ben preparati, che non aveva nemmeno sfiorato, la tavola accuratamente apparecchiata, le risate che Lorence riusciva a strappare ai suoi genitori. Per tutto il tempo era rimasta a capo chino accanto ad Otis, a stringere i pugni fino a farsi male. Era come se non fosse lì, ed una parte di lei desiderava fosse davvero così. Provava ad isolarsi mentre si faceva forte il desiderio di afferrare lo specchio nella tasca dei jeans.
    Si alzò per allontanarsi ma Lorence la precedette. Si alzò ponendosi dinanzi a lei. La guardò con quello sguardo che le parve dire più di quanto la sua finta faccia d'angelo si ostinasse a fingere di dire, e le mostrò una terribile scatoletta rossa di velluto.
    Non dovette aprirlo per capire cosa vi fosse contenuto. Non glielo avrebbe lasciato fare.
    La lanciò via, spingendolo con forza. «Vattene via dalla mia casa. Fuori dalla mia vita.» Lo colpì, allontanandosi solo per riprendere fiato. I suoi provavano a calmarla, ma Helena era nel pieno di una crisi di nervi. Una delle peggiori dinanzi a cui nessuno di loro si era mai ritrovato a far fronte. Tirò via persino la tovaglia dalla tavola, urlando in lacrime e rossa in viso, mentre rivolgeva a Lorence uno sguardo di fuoco.
    «Devi lasciarmi in pace!» E sapeva quando pericolo sarebbe stato per lei eccedere in emozioni così spropositate, ma il suo obiettivo era proprio quello di esplodere. E quando il tumulto provato arrivò all'apice della sua sopportazione, crollò sul pavimento priva di sensi.
    Dopotutto anche quello era come scappare.

    Quando si risvegliò era nel suo letto. Le ci volle qualche attimo per prendere confidenza con la realtà, ma quando il suo sguardo intercettò quella scatola di velluto sul suo comodino, non fu difficile ricordare ogni dettaglio.
    Sobbalzò quando si sentì sfiorare una mano, guardando con occhi sgranati, come di un cerbiatto impaurito. Lo era. Guardò Otis, negli occhi un disperato bisogno d'aiuto.
    «Se n'è andato?»

     
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    Il clima che vige in causa Haugen non è dei migliori, eppure sembra percepirlo solo Otis. Non che sia una novità, ad onor del vero; Otis è sempre stato quello più attento alle situazioni che lo circondano, studiandone nei minimi dettagli le tempistiche, le dinamiche, le forme assunte da ogni infinitesimale particolare. Un'attenzione che tendenzialmente lo isola, in quanto interessato a cose che per ogni altra persona sono irrilevanti. A tal proposito, durante quel pranzo familiare completato dalla presenza del fidanzato ufficiale della sorella - un elemento che lo disturba più di quanto non dia a vedere - non può fare a meno di rendersi conto del malessere dell'altra, a differenza dai genitori che sembrano troppo impegnati a farsi ammaliare dal sorriso smagliante di Lorence. Un tipo a posto, così sembra, ma un pò troppo estroverso ed invadente per i gusti di Otis, la cui sopportazione nei confronti altrui - ad eccezione dei pazienti che incontra durante il tirocinio - si limita a poche altre persone, all'infuori della famiglia. L'ospite di quel pranzo, non è uno di quelle. Helena non gli è sembrata particolarmente entusiasta sin dal primo istante in cui i suoi occhi si sono posati sul ragazzo ed a tavola continua a dare dimostrazione del proprio disagio, non aprendo praticamente bocca neanche per assaggiare parte di quel cibo su cui, al contrario, Otis si è tuffato nell'immediato. Nonostante la preoccupazione, il suo appetito risulta comunque implacabile. E forse è un bene averne approfittato finché ha goduto di un benessere tuttavia sufficiente, visti i risvolti terrificanti conseguiti ad un gesto che per lui non ha alcun significato logico. E' come se tutti gli altri avessero afferrato un concetto che a lui sfugge ed anche questo fa parte della normalità. A turbarlo, infatti, non è il gesto che fa scattare la scintilla di nervosismo alla sorella, quanto la furia che lei stessa scarica improvvisamente contro il pacchettino rosso portole da Lorence e, immediatamente dopo, contro lo stesso ragazzo. Pietrificato sulla sedia, dondola su se stesso in cerca di una consolazione che non può arrivargli. Tutti gli occhi sono giustamente puntati su Helena ed a lui non resta che rimanere spettatore di quella devastazione che lo porta quasi ad impazzire. Otis non riesce a sopportare le urla, né ogni manifestazione diretta o indiretta di violenza. A completare quel quadro di panico che lo assale è il vederla crollare in seguito all'ennesima delle sue crisi più funeste, mentre ancora bloccato sulla sedia il suo respiro si affanna, il fiato si fa corto e la mano incastrata tra i capelli comincia a picchiettare sulla testa con spasmodica agitazione. A bloccare repentinamente la sua imminente perdita di controllo è il padre, capace di calmarlo come solo i membri del piccolo nucleo degli Haugen hanno imparato a fare. E mentre i coniugi si prendono rispettivamente cura dei due ragazzi, un'atmosfera di serenità va via via espandendosi per tutta la stanza. Un clima calmo e silenzioso torna imperativo tra loro e dopo qualche minuto, recuperato il controllo necessario, Otis non può fare a meno di raggiungere la sorella adagiata sul letto della sua stanza, chiudendo la porta alle sue spalle e decidendosi, come di consueto, a tenerla maniacalmente d'occhio fino al suo risveglio.

    Quando Helena finalmente apre gli occhi, Otis non può fare a meno di darle dimostrazione della propria presenza, in un gesto eccezionalmente avventato che li porta entrambi a sobbalzare, lei per la sorpresa nel sentire le dita del fratello sfiorarle la mano e lui per riflesso alla paura altrui. In un attimo, si ridimensiona, fissando lo sguardo verso il soffitto per recuperare quei pochi bricioli di calma che ha momentaneamente perso. Niente di irrecuperabile. 'Ben svegliata.' Annuisce vistosamente, rafforzando la propria gioia nel rivederla ad occhi aperti. Non è passato poi molto tempo o, in ogni caso, ne è passato meno del solito e questo è già estremamente rassicurante. 'No, è ancora di là intento a consolare la mamma che nel frattempo gli implora perdono.'
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    Pronuncia quelle parole con distacco, decisamente indifferente a quella situazione. Non gli importa nulla di quel ragazzo, né di riempirlo di moine o parole gentili affinché perdoni l'irruenza di Helena. Che ci pensino i loro genitori, se proprio lo ritengono necessario. Ben più importante per lui, soprattutto in questo istante, è la salute della sorella. Nel vederla intercettare il pacchettino adagiato sul suo comodino, solleva appena le spalle, sospirando una saccenteria che, questa volta, va a gettarsi tutta contro il loro ospite poco gradito. 'Credevo fosse chiaro che non lo volessi, ma ha insistito per poggiarlo lì. Non sono sorpreso, non è un tipo molto perspicace. Continua imperterrito a darmi quelle fastidiose pacche alla spalla sinistra ogni volta che mi parla.' Probabilmente l'elemento che egoisticamente lo disturba più di tutto il resto. Nelle dinamiche di Otis l'amor proprio è un elemento fondamentale, più di quanto non si riesca a notare dall'esterno. Il proprio benessere deriva innanzitutto da se stesso e non lascia che nessun altro influenzi il suo giudizio circa le cose o le persone che gli sono attorno. Sommare il proprio principio di disturbo a quello di Helena, è stato solo un modo per rafforzare un concetto ben chiaro nella propria mente. Si sente sollevato, per una volta, di avere un pensiero comune da condividere con lei. 'Mi hanno detto di andarli a chiamare quando ti saresti svegliata.' Temporeggia, però, in attesa di un eventuale contrordine dell'altra. Non è la prima volta che ai desideri dei genitori si oppongono quelli di lei e su quella scia di inusuale complicità, anche in questo caso aspetta di capire come agire, secondo i dettami della piccola Haugen.

     
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    «Che cogliona.» Biascicò adirata all'idea che sua madre potesse essere così assuefatta alla presenza di quel verme. Odiava il modo in cui si lasciava abbindolare dalle belle presenze. Non era una cattiva persona, ma proprio non riusciva a volte, a vedere al di là del luccichio fallace di alcune persone. Si faceva comprare dall'apparenza, e forse perché alla disperata ricerca del buono, si affidava agli altri in modo pericoloso. Anche Helena era stata così un tempo. Poi la vita l'aveva cambiata. Si era costretta a farlo, per evitare continue delusioni. Sua madre non era stata invece ancora riuscita a liberarsi di quell'eccessiva ingenuità. Per certi aspetti Otis era così simile a lei.
    «E' uno stronzo.» Non ci pensò su molto a dare quella definizione del ragazzo nell'altra stanza. Ed anzi, il solo saperlo lì, sotto il suo stesso tetto, le provocava forti fitte allo stomaco. Dolori così forti da toglierle il respiro.
    Sfiorò con due dita lo specchio ancora nella tasca dei suoi shorts, desiderosa quasi di sentire la sua voce chiamarla. Avrebbe voluto fosse lì per chiedergli consiglio. Per aiutarla a superare, o sopportare, quel momento.
    «Ti prego, no.» Fu la domanda di Otis a ridestarla dai suoi pensieri. Lo guardo, supplicandolo di non chiamarlo. Di non chiamare nessuno.
    L'unica cosa che sentiva di voler fare era scappare via da quella casa, anche se non aveva la minima idea di dove andare.
    Si mise seduta portando le ginocchia al petto. Coprì il volto con le mani, cercando in quella posizione chiusa verso il mondo, il coraggio di affrontare quella cruda realtà. Le sembrava di essere finita in un incubo senza fine. E più pensava all'espressione soddisfatta di Lorence, più le tornava la voglia di riprendere ad urlare.
    Non provava alcun tipo di senso di colpa e quello le faceva schifo. Era chiaro sentisse d'avere ogni tipo di potere su Helena, e quel dannato anello, qualunque cosa dovesse significare, ne era il chiaro esempio. Diventava sempre più chiaro che l'unico modo di porre fine a quella situazione, era rivivendo il suo dramma.
    «Quando eri a scuola c'erano quei bulli che non ti davano tregua. Ti rubavano le pergamene, le piume. Ti buttavano via i libri. Non hai voluto denunciare niente a nessuno perchè... beh, non l'ho mai capito il perchè. Credevo avessi paura.» Morse il labbro inferiore, tirando lentamente su lo sguardo su di lui. Otis aveva sempre affrontato quelle situazioni con una calma assurda. Di sicuro pativa per quelle ingiustizie ma non lo dava a vedere, non nel modo a cui chiunque sarebbe stato abituato. Helena a volte, avrebbe davvero voluto sapere affrontare la realtà nel modo in cui faceva lui. Sembrava tutto estremamente così semplice. Lineare. «Poi però hanno spinto quel ragazzo dalle scale e ti sei fatto avanti con i professori senza pensarci, anche se ti sei ritrovato con un braccio rotto.» Aggiunse, piegando il capo nel guardarlo, restandosene chiusa in quella posizione. Ora avrebbe voluto avere quel tipo di coraggio, per lei e per Mason. Ed invece non faceva altro che assecondare il gioco di Lorence. «Io... Mi hanno ferito e non ho detto niente. Ho visto un mio... amico venire spinto giù dalle scale e non ho fatto niente.» Sospirò, portando i capelli all'indietro con le mani. «Sono una codarda.»
     
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    Si costringe a mandar giù quel leggero fastidio che l'opinione di Helena nei confronti della madre ha scatenato. E' stato duro comprenderlo, ma col tempo ha imparato a capire che l'altra non sia in grado di dosare le parole, né di usarle con lo stesso criterio schematico cui lui è così attaccato. Anche un insulto, se venuto fuori dalle sue labbra, potrebbe essere uno sfogo sganciato dalla persona verso cui è diretto. Probabilmente non pensa davvero ciò che ha appena pronunciato o non, in ogni caso, con il significato univoco che quell'epiteto volgare sta comunemente ad indicare. Sulla base di questo, non vi risponde, né la riprende. In silenzio, soccombe alla necessità di adeguarsi a quei modi di fare a cui non sa approcciarsi ed in pochi secondi ogni traccia di disturbo svanisce del tutto. Risente molto meno del medesimo trattamento riservato al ragazzo nell'altra stanza, tanto da ritrovarsi ad annuire vistosamente, ad assecondare quell'opinione con i gesti rigidi che lo caratterizzano. Non può fare a meno di credere che se lei lo giudichi una brutta persona deve esserlo davvero. Per quanto i suoi giudizi siano spesso esagerati e nella maggior parte dei casi adornati di una negatività ed un pessimismo senza pari, darle credito, nella piena fiducia riposta in lei, è un atto spontaneo. Quindi sì, anche se non ripeterà quelle parole, Lorence verrà mestamente catalogato da questo momento in poi come uno "stronzo". E dinanzi alla sua richiesta, così supplichevole da accendere una flebile fiammella di preoccupazione nel suo animo, si decide a rimanere in camera, seduto sul letto al suo fianco per tenerle compagnia, parlarle, ascoltarla o fare qualunque cosa di cui lei abbia voglia. Anche lui, in fondo, è ben lieto di poter evitare il caos che li aspetta nella stanza accanto. 'Va bene. Resto qui.' Composto, ben seduto con la rigidità che la sua mente gli impone, non potrebbe sentirsi più sollevato nell'animo, a dispetto dell'immagine che dà a vedere di sé. Helena si è ormai abituata a tutte le particolarità di Otis che, per chiunque altro, risuonerebbero come stranezze per cui tenerlo alla larga. Lei resta sempre ed è ciò che conta. E nel sentirla parlare, prova un particolare senso di appagamento a scaldargli il petto che ne solleva appena gli angoli delle labbra, senza neanche rendersene conto. Il sorriso spontaneo di chi si sente immerso nel più paradisiaco ristoro, nonostante l'interesse impensierito per il volto ancora triste e desolato della sorella. 'Dicevano che se avessi parlato mi avrebbero "fatto fuori", che poi ho capito significasse che mi avrebbero ucciso.'
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    La leggerezza con cui le fa dono di una spiegazione che prima non le ha mai rivolto è quasi angosciante. La rassegnazione con cui ha sempre affrontato il bullismo ed ogni atto di emarginazione sociale cui è stato costretto ha assunto note dolci, un riparo in cui rifugiarsi per non patire anche di più il dolore di quei trattamenti così meschini ed infami. Un modo di farsi forza per non cedere alle perdite di controllo, permettendo alle proprie crisi di andare via via scemando, di giungere al punto in cui rimanere fermo ed in silenzio ed aspettare che quel dramma svanisse, in attesa del soccorso della sorella o dell'amico, è diventato più semplice. Alle sue parole, in un primo momento sobbalza di timore ed ansia. 'Chi ti ha ferito? Quando? Ti hanno fatto del male?' Nell'osservarla e nel notare l'apparenza incolume, cerca per l'ennesima volta di darsi un contegno, strofinando spasmodicamente le mani tra loro, ad intrecciarne le dita per scacciare il panico venuto a bussare alla porta della sua calma. Segue poi il suo discorso, ritrovandovi un filo logico lineare cui si appiglia nell'ingenuità che non gli permette di rendersi conto delle sfumature metaforiche probabilmente insite in quelle parole. Cruccia appena il volto, quindi, mentre la mente gli si affolla di domande che vorrebbe porle, alcune di importanza rilevante, altre inutili e prettamente di circostanza. Sarà che il campo della medicina sia ormai un pensiero fisso, una sorta di marchio di fabbrica che lo accompagna in ogni occasione. 'E si è fatto male?' Chiede, prima di procedere con quell'interrogatorio più premuroso di quanto non si potrebbe dire. 'Non l'hai soccorso, quindi? Magari l'ha fatto qualcun altro, no?' Domande tecniche che rivolge quasi con freddezza, poco interessato alle condizioni del suo amico, piuttosto concentrato sul cruccio di Helena, che sembra averne patito un dolore che l'altro non riesce a spiegarsi. Sta davvero così giù di morale perché il suo amico è ruzzolato giù dalle scale? 'Perché dici così? Tutti hanno paura di qualcosa, è un normale e comune sentimento umano, anche se non capisco di cosa tu abbia avuto paura, in effetti.' Posa inaspettatamente ed eccezionalmente gli occhi su quelli dell'altra per qualche secondo. Non è mai stato in grado di leggere le emozioni altrui, troppo complesse rispetto alla linearità che lo caratterizza. E' un'incomprensione che si riversa in aspetti scontati per tutti gli altri, ma inaccettabili per lui, come credere che si possa piangere di gioia e non solo per tristezza. Risente parecchio dei suoi limiti e cerca di rimediarvi come può. Trova un contatto che vada oltre la fisicità e si aspetta di infondere nella sorella la fiducia che merita. 'Non sempre quando soccorri qualcuno che cade dalle scale ti ritrovi un braccio rotto.' Avranno davvero senso per lei le sue parole? Riuscirà a consolarla come nel profondo vorrebbe davvero fare?

     
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    Rise appena scuotendo il capo. «Era una metafora Otis.» Nessuno era caduto dalle scale, ma forse sarebbe stato meglio affrontare una ferita simile piuttosto che quella provocata dall'atto di Lorence.
    Fece spallucce rimuginando sulle sue parole. «Massì, penso si sia fatto male. E no, credo nessuno lo stia aiutando e questo mi fa sentire anche peggio.» Ed era chiaramente così. Dubitava che la famiglia di Mason, che suo padre o quel che era, si stesse occupando di lui ed il timore che invece potesse pagare a caro prezzo quella colpa che non aveva, le corrodeva il fegato riempiendola d'ansia.
    Avrebbe voluto aiutarlo, così come Mason aveva fatto con lei quando ne aveva avuto bisogno, ma l'unico modo che aveva per farlo, era anche quello che le faceva più paura. E forse sì, era così dannatamente egoista da non riuscire a lasciare la presa sul suo timore, lasciando così che quello vincesse su tutto. Su di loro.
    «E' che magari me lo sono già rotto. E ho paura possa succedere qualcosa di ancora più orribile.» Continuò su quella scia di frasi intricate, che immaginava potessero mettere Otis in serie difficoltà. «E' una metafora anche questa.» Aggiunse quasi dopo, volendo chiarirgli ogni dubbio.
    Sarebbe stato più semplice raccontargli la verità, ma temeva che Otis non avrebbe potuto reggerla. Chi avrebbe potuto in definitiva? Persino lei che aveva sempre creduto d'essere invincibile, si sentiva minuscola al cospetto di quella realtà che tornava a farle visita prepotentemente.
    «E se pure trovassi il coraggio di parlare, di raccontare la verità, ho paura che mamma e papà non mi crederanno. Qualunque cosa io voglia dirgli.» Aggiunse poco dopo, sporgendosi oltre la sua chiusura, per afferrare quel dannato scatolino rosso. Se lo rigirò tra le mani per qualche attimo, prima di aprirlo e visualizzarne il contenuto. Non si azzardò a sfiorare quell'anello. Sottile, argenteo, bello. Si sentì soffocare solo a guardarlo.
    «Così il mio bullo non smetterà di rovinarmi la vita.» Si morse la guancia dall'interno, non riuscendo a distogliere il proprio sguardo triste da quel dannato oggetto. «Non so cosa fare.»
     
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    Capisce di doversi sforzare un pò di più per comprendere l'esempio da lei riportatole. Comprendere le metafore è una falla del suo sistema. Un'azione così spontanea e scontata che per lui si presenta come una sfida dura da superare. Non se ne tira comunque indietro. Per questo continua ad ascoltarla, fissando nella propria mente la consapevolezza di dover dare alle sue parole un significato più astratto, scacciando via la concretezza che ne rende la logica inesatta. Quasi ci ricasca, quando i suoi occhi curiosi e confusi si gettano sul suo braccio alla ricerca di segni che manifestino la rottura di cui lei parla, ma si ritrova a tornare a quella realtà simbolica in seguito al suo chiarimento. 'Oh, va bene.' Più semplice concentrarsi sulle paure da lei avanzate subito dopo, alle quali cerca di rispondere con una razionalità che la spinga a reagire, a fare qualcosa per se stessa, perché la sua situazione triste, qualunque sia, migliori. Essere spettatore del suo abbattimento lo rende sempre piuttosto inquieto. 'Però se non provi a dirglielo non lo scoprirai mai. Se poi ti credessero, che succederebbe?'
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    Alcuni accenni di curiosità cominciano a sollevarsi nei riguardi della sorella e dei segreti che sta mantenendo, che non ha il coraggio di rivelare a nessuno a quanto pare, per motivi che gli sono sconosciuti. Molto spesso i suoi genitori hanno dato dimostrazione di non dare credito alle parole di Otis, mettendone da parte la credibilità perché ancorata a quei limiti che si porta dietro e che lo rendono poco attendibile e, per motivazioni diverse, lo stesso è valso per Helena. Qualcosa di cui lui è certo è però che entrambi possano contare sul loro aiuto, che le loro presenze saranno costanti e non si ritroveranno mai a confrontare un abbandono. Ne ha discusso spesso in terapia, così da avere elementi positivi ai quali aggrapparsi per non rischiare di cedere alla convinzione di essere solo al mondo. E' tramite quei piccoli passi che ha capito di poter contare sulla propria famiglia e che ha cominciato a lavorare sullo sviluppo della propria fiducia. Lui stesso sente che di rimando sarà sempre pronto a proteggerli, soprattutto sua sorella. Si chiede, pertanto, cos'è che la turbi al punto da non poter fare affidamento su nessuno di loro. Vorrebbe solo essere abbastanza predisposto alla libertà per indurla a parlare con chiarezza. 'I bulli non durano per sempre. I miei sono spariti da quando ho terminato gli studi scolastici e adesso mi sento molto meglio.' Una rivelazione che non sa quanto sia applicabile alla storia dell'altra. Non ne conosce praticamente nulla e non gli resta che navigare in quei dubbi apparentemente irrisolvibili, mentre riporta le ipotesi e le soluzioni più semplici che possa concederle. Se solo riuscisse a comprendere che la vita sia molto più complessa di come gli appare... 'Magari anche il tuo bullo sparirà e tu potrai tornare ad essere felice e non temere di romperti un braccio.' Annuisce vistosamente, incerto se l'esempio appena riportato sia velato di razionalità o meno. Poco importa. 'E comunque potresti essere ancora in tempo ad aiutare il tuo amico metaforico.' Una supposizione confusa, un pò scombinata, che però lei potrebbe recepire nel modo giusto. Solleva appena lo sguardo, puntandolo da una parte all'altra della stanza, lasciandolo scivolare per le pareti in cerca della tranquillità di cui ha bisogno. E' più semplice osare quando si sente immerso nella propria comfort zone. 'Non vuoi raccontarla neanche a me, la verità?' Il tono di voce ingenuo. Lo sguardo assente, ma le orecchie ed il cuore in ascolto.

     
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    «Ho paura anche di questo.» E non mentiva. Temeva il momento in cui la verità sarebbe venuta a galla. Aveva paura non solo di non essere creduta, ma anche che qualcuno le desse ascolto. Cosa sarebbe successo a quel punto? Quel dramma sarebbe diventato reale e come avrebbe potuto affrontarlo? Era atterrita all'idea, e questa consapevolezza la spingeva a quell'immobilità tramortente.
    E tuttavia non potette fare a meno di rilassarsi appena, nell'ascoltare le parole di Otis. Il modo in cui, seppur con una semplicità inaudita, i suoi discorsi sembravano filare, la stupiva sempre ed anche la sua grande capacità di arrivare al punto nonostante fosse ben celato.
    «Fanculo. Perchè ho un fratello cervellone?» Lo prese un po' in giro. E in quel momento più delle altre, fu difficile reprimere l'istinto di abbracciarlo. Sentiva di averne un patologico bisogno. Si era tenuta lontana da tutti e da qualsiasi tipo di rapporto, ma cominciava a sentirne la mancanza.
    «Ho paura possa farti male quanto ne fa a me.» Scosse il capo, distogliendo lo sguardo e mettendosi in piedi seppur con i limiti imposti dalla sua condizione precaria. Aveva bisogno di prendersi una breve pausa.
    «Devo andare in bagno.»

    Percorse il corridoio, dopo essersi assicurata che fosse tranquillo. Senza far rumore, quasi fosse una ladra in casa sua, camminò verso il bagno, ma poco prima di poterci arrivare, a pochi centimetri dalla porta, si sentì afferrare dalle spalle. L'attimo dopo era con la schiena contro il muro ed il corpo di Lorence a sbarrarle la strada. Le mancò il respiro.
    Avrebbe voluto urlare ma non lo fece.
    Si ricordò della promessa fatta a Mason e le montò su una rabbia senza uguali. Tirò su la testa, puntando il proprio sguardo ferito e tagliente in quello dell'altro. Se avesse potuto fargli scoppiare la testa con la sola forza del pensiero, probabilmente lo avrebbe fatto. «Ti ho già spaccato la testa una volta, ricordi?» Sputò contro di lui veleno, mentre fingeva forza. Malcelava però il tremore del suo corpo.
    Le sue mani sulle sue braccia le raggelarono il sangue. Fu come ritrovarsi in quella maledetta stanza a risentire le sue urla e quel dolore. «E cosa aspetti? Sarà divertente vedere i tuoi genitori prendersi cura di me mentre ti danno della pazza furiosa. Cosa che hai già dimostrato di essere poco fa.» Volse il capo verso destra. Gli occhi lucidi a sporgersi oltre la sua figura e a ricercare aiuto. Si sentiva in trappola nella sua stessa casa. «Non ti può aiutare il tuo fratello ritardato.» Quelle parole però la ridestarono. Si mosse con uno scatto, tirando una testata sul naso del ragazzo. Ne approfitto per spingerlo lontano ed allontanarsi.
    «Vattene lontano da me e dalla mia famiglia.» Biascicò, rabbiosa verso l'alto, contenendo il suo tono solo per non allarmare la sua famiglia più di quanto non avesse già fatto.
    L'altro però avanzò, e prima che Helena potesse anche soltanto provare a scappare, si ritrovò di nuovo spalle contro il muro. «Oppure? Manderai il tuo amico criminale a farmi spaventare? Sai che se dirai qualcosa, troverò il modo di farlo finire in una prigione vera?» La presa ferrea delle sue mani sulle sue braccia, diventò asfissiante. Si sentì di nuovo in trappola. In lacrime.
    Qualunque cosa avesse detto o fatto, Lorence sembrava avere l'ultima parola.
    Come poteva liberarsi di quell'incubo, se ad ogni passo rischiava di trascinare a fondo tutti con sé? «Mi stai facendo male.»
     
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    L'atmosfera sembra alleggerirsi. Tra uno sguardo fugace e l'altro, Otis sembra cogliere sfumature più rilassate nelle espressioni di Helena, riuscendo lui stesso a sentire le note della propria preoccupazione scemare, farsi sempre più lontane, inudibili, per svanire del tutto alla fine. I momenti che condividono insieme passano sempre da un estremo all'altro: o sono tragicamente turbolenti o sono rassicuranti come nient'altro al mondo. La seconda delle ipotesi è chiaramente quella che preferisce e proprio come adesso ne gode estremamente, al punto tale da ritrovarsi, mentre la sorella si dirige verso la porta, come inebriato nello spirito, mentre gli occhi continuano a vagare per i muri rosa di quella cameretta. Batte persino le mani tra loro per tre volte, contenendosi solo sull'orlo del quarto battito. Nell'ambiente silenzioso che lo circonda avverte però, dopo qualche minuto, un'improvvisa pesantezza che stona con l'oasi di pace appena raggiunta. Le sue orecchie attente ed il suo sesto senso talvolta spaventosamente perspicace lo inducono a tirarsi in piedi per raggiungere la porta. Una volta oltrepassata, lo spettacolo che gli si presenta davanti lo pietrifica sul posto. Le pupille dilatate scorrono imperterrite ora sulle dita di Lorence strette attorno al braccio di Helena, ora sui suoi occhi malevoli, ora su quelli arrabbiati dell'altra. Rivede stralci di un passato traumatico in quella presa e per un attimo sente il terreno mancargli da sotto i piedi. Un tremore inusuale ed esagerato si impossessa di lui, così immedesimato in quella situazione che lo nausea. E' stato dall'altra parte e ricorda bene quanto male faccia ricevere trattamenti come quello. Non può sopportare che succeda ad altri, ma ogni limite di tolleranza scende sotto lo zero se si tratta della sorella. 'Non toccare mia sorella.' Così palesa la propria presenza, a labbra strette, occhi lucidi di nervosismo, dita compresse alla testa, tra i capelli che afferra con frenesia. Perde il controllo. 'Non toccare mia sorella.' Ribadisce, quando l'altro tenta di giustificarsi, con quel sorriso da cui Otis non si lascia abbindolare. Non vale niente, rispetto all'espressione preoccupata di Helena. E ad innervosirlo ancor più delle parole che vengono fuori dal suo ghigno malefico, sono le dita puntate sul braccio dell'altra, in una stretta che sembra farsi anche più prepotente. 'Non. Toccare. Mia. Sorella.' Il disco rotto del suo disturbo che ne palesa la più comune delle manifestazioni. Col tempo ha imparato a controllare i propri istinti, ma ci sono ancora elementi, parecchi elementi, che possono riportarlo nel baratro in tempo record. Non esiste la razionalità quando quello spettro interiore prende il controllo delle sue azioni. Così, con il fiatone di un toro che si prefissa un obbiettivo da incornare nella propria mente, raggiunge con scatto meccanico ma incalzante l'altro, gettandosi a capofitto sul suo corpo nel tentativo di staccarlo da Helena. Parte dei suoi scatti d'ira, però, è l'annebbiamento totale della mente. In un attimo, non riesce neanche più a ricordare cosa stia facendo. Nell'automaticità che si è impossessata di lui, colpisce ripetutamente il ragazzo dinanzi a sé. Una furia spaventosa nelle mani, il tremolio negli occhi lucidi, un rossore purpureo sul volto crucciato, incagnito, così lontano dalla pacatezza che dimostra di consueto. Quella realtà che Helena conosce, ma che quel ragazzo che ne è vittima non si sarebbe probabilmente mai immaginato.
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    'Non toccare mia sorella! Non toccare mia sorella! Non toccare mia sorella!' Urla che risuonano come un allarme nel silenzio di quella casa, provocando un repentino arrivo dei genitori esasperati e terrorizzati da quella situazione. Di nuovo, è il padre ad occuparsi di recuperare il ragazzo, beccandosi più e più colpi mentre lo tira via dall'ospite. Servono pochi secondi per ristabilire l'ordine nella sua mente, ma stavolta niente sembra funzionare. Anche quando la presa di Lorence si fa più debole, sino a lasciare definitivamente il braccio della ragazza, sembra ancora troppo vicino. Una furia cieca che nessuno riuscirà a comprendere, all'infuori dei due ragazzi protagonisti di quell'episodio avvilente. Ed anche in quel caso, solo Helena riuscirà a capirlo fino in fondo. Ecco perché per calmarsi sente la necessità di ricercare lei, di saperla al sicuro accanto a sé, lontana da chiunque possa farle del male in alcun modo. 'Non la toccare. Non la toccare.' Una nuova cantilena che si alterna a respiri profondi, esasperati, ansiogeni. La pesantezza che sciocca la madre, col volto rigato di lacrime silenziose, ed irrigidisce il padre, incapace di placarlo. Arranca prepotentemente verso la ragazza, per poggiare la mano nello stesso punto in cui Lorence ha stretto le dita. Vorrebbe concedervi delle carezze, ma non ne vengono fuori, in quella frenesia nervosa, che delle pattate poco gentili. Solo così, però, il suo respiro comincia a regolarizzarsi. Così cerca di comunicare la necessità di lasciarsi calmare da lei, perché non sente di poterci riuscire diversamente. Con lo sguardo lucido puntato su di lei, le implora quella supplica poco chiara, in attesa di ritrovare la calma e togliersi dalla mente le immagini disturbanti di qualche attimo prima.

     
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    L'idea di poter rivivere lì, e in casa sua, quel trauma la immobilizzò del tutto. Avrebbe voluto urlare ma sembrava aver perso persino la facoltà di parlare. Attese lì, spalle contro il muro, sperando che potesse accadere qualsiasi cosa, o che, anche meglio, potesse risvegliarsi da quell'incubo da un momento all'altro. Il dolore che sentiva alle braccia però la riportava bruscamente alla realtà, ricordandole purtroppo la veridicità di quell'evento.
    Fu lo straordinario intervento di Otis a darle un po' di speranza, e a spaventarla d'altro canto. Aveva visto, e a volte purtroppo patito, le crisi di suo fratello. Sapeva bene quanto potessero essere eccessive, e vederlo riversarsi contro Lorence le fece paura.
    Non riuscì a far nulla. Restò spalle contro il muro, a vederlo agire mentre i suoi genitori, accorsi perchè attirati dalle urla, si ritrovarono ad assistere a quella scena inermi.
    Otis si calmò soltanto quando Lorence fu lontano, e sentire il tocco di suo fratello sulla propria pelle, le fece venir voglia di lasciarsi andare.
    Lo fece solo quando i suoi genitori si allontanarono con Lorence. Helena, a quel punto, stanca e riconoscente, poggiò la testa sulla spalla di Otis.
    «Mi dispiace così tanto.» Fu un sussurro.

    Lorence era andato via, dando a tutti la possibilità di respirare. A lei e ad Otis in particolar modo.
    I suoi genitori, avevano richiesto una patetica riunione di famiglia per cercare di capire cosa fosse accaduto. Spiegato ogni dettaglio dell'evento appena accaduto però, erano andati a ritroso, scorgendo finalmente uno scoglio oltre il mare in tempesta che Helena provava a nascondere.
    Alla fine, con lo sguardo puntato sul pavimento per la vergogna ed il senso di colpa che ancora sentiva, disse la verità.

    Era stato atroce sopportare le loro reazioni e ad un certo punto aveva preteso di andare via, di prendersi una pausa. Non voleva pensare in quel momento a cosa fare. Le bastava sapere che i suoi avrebbero ritirato la denuncia contro Mason, e che loro fossero finalmente dalla sua parte. Le avevano persino chiesto scusa, in lacrime.
    Era stato tutto troppo duro da sopportare per lei. Aveva ripreso a respirare, e piangere, una volta in camera.
    Avrebbe voluto avere qualcuno con cui parlare. L'unica persona che avrebbe potuto darle il supporto di cui necessitava però, non rispondeva al suo richiamo. Lo specchio restò vuoto, ancora.

    Aveva provato a riposare ma senza ottenere risultati. Si era ritrovata a rigirarsi tra le coperte, con l'angoscia a crescerle dentro. Tutti quei sé e quei ma che le affollavano la mente le facevano venire voglia di vomitare. La facevano sentire come oppressa ed in mancanza d'aria, tant'è che per sfuggire ad un nuovo possibile attacco di panico, decise di tirarsi in piedi. Pinky la seguì mentre Helena ripercorreva il corridoio, stavolta per raggiungere la camera di Otis.
    «Posso stare con te stanotte?» Lo vide ancora sveglio, intento a fissare il soffitto. Sapeva quanto infantile potesse sembrare la sua proposta, ma ne aveva bisogno. Aveva bisogno di sentirsi vicino a qualcuno dopo aver passato un mese ad allontanare chiunque. «Non riesco a dormire.»

     
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    Giornata tragica, una di quelle che somigliano ad incubi terribili, di quelle che sarebbe meglio dimenticare, se solo fosse possibile. Chi mai, però, ci riuscirebbe? Quale fratello al posto di Otis potrebbe mai accettare tutto il male patito dalla sorella, insito in quelle rivelazioni che sono andate oltre la scena vista coi propri occhi? Realtà che la rendono quasi innocente al loro cospetto, che tormentano l'animo fragile dell'Haugen più di quanto non si possa notare all'esterno. La routine di quello che sarebbe dovuto essere un qualsiasi giorno di riposo dallo studio e dal tirocinio si è trasformata in un disastro. Ogni pronostico concepito in aspettative liete e rilassanti è stato drasticamente raso al suolo, sradicato senza alcuna pietà da parte del destino. E' questo che rende ancora irrequieto il ragazzo, seduto sul proprio letto ad un orario in cui normalmente sarebbe già sotto le coperte, con gli occhi chiusi, pronto a riposare e rifocillarsi per affrontare al meglio il giorno successivo. Vestito del pigiama, con gli occhi puntati sul soffitto, respira lentamente nel tentativo di convincere se stesso che la calma raggiunta non gli verrà più portata via, almeno per il resto della serata. Dall'altra parte, però, le notizie apprese sulla sorella e su quello che sarebbe dovuto diventare il fidanzato ufficiale da un momento all'altro continuano a ronzargli fastidiosamente nella mente, come un insetto che non ha intenzione di dargli tregua. Ogni ticchettio dell'orologio da polso posato sul comodino segna un'immagine irrazionale che visualizza in testa. Ad alcune riesce a dare forma, mentre altre appaiono come buchi neri in cui il volto spezzato della sorella appare in modo disturbante. Neanche quando avverte la sua presenza fare la propria entrata in camera, con la sua fedele volpe al fianco, riesce a distogliere l'attenzione da quei pensieri. 'Sì, puoi restare.' Meccanico, distaccato come di consueto, ma sincero, perché mai potrebbe essere diversamente. 'Hai provato con una camomilla? O una tisana a base di erbe o piante come la melissa, la valeriana, il meliloto...' E nonostante la propensione ad elencare diverse delle proprie conoscenze, giunge al termine della propria esposizione quasi immediatamente, in un tempo assai breve rispetto agli sproloqui cui è abituato in quel campo. Non è difficile notare che ci sia qualcosa che non vada, qualcosa di diverso su cui mai nessuno si è soffermato. Individui come Otis generano preoccupazione nei loro momenti incandescenti, quelli più su di giri o euforici, sfrenati. I suoi silenzi vengono ignorati il più delle volte, finché quei drammi interiori non scemano da soli e tutto torna alla normalità. Spesso gli è toccato vedersela da sola ed in questo è migliorato gradualmente. Helena, però, non si fermerà a questo. Testarda e combattiva com'è, andrà oltre. Con lei, in effetti, parlare è sempre stato più semplice, nonostante tutto.
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    'Fa male.' Esordisce dopo un pò, senza osare spostare neanche per un secondo lo sguardo apparentemente perso dal soffitto di quella stanza dalle pareti celesti. 'Non riesco mai a proteggerti, anche se l'ho promesso alla mia terapista.' Spiega dunque, rivelando di sé e delle proprie condizioni più di quanto non abbia mai fatto. Non al di fuori di quelle visite a cui si è sottoposto per anni, per migliorare sebbene una fine dignitosa non sembri davvero raggiungibile. 'Lei ha detto che avrei dovuto cominciare a concentrarmi anche sugli altri, oltre che su me stesso. Ed io le ho promesso che l'avrei fatto con te. Anche perché ho solo te, mamma e papà.' E l'amarezza che se ne percepisce non deriva dalla solitudine che avvilirebbe chiunque, no. Quello non è un problema che lo preoccupa, né lo spaventa; è anzi un sollievo cui non potrebbe mai rinunciare, schivo e solitario com'è. E' tutto il contorno della sua incapacità a rendere tutto estremamente pesante. Anche se ci convive sapendo di non poterle superare con facilità, si rende conto di quanto diverso lo rendano dagli altri. Ed a volte fa paura. 'Però ho fallito, perché non ho capito. Non capisco le cose. E se non capisco le cose, non posso proteggerti. E se non posso proteggerti, fa male.' Immobile, in un quieto stato di rassegnazione che lo pietrifica, solo gli occhi sembrano dare accenni delle emozioni provate. Si riempiono di lacrime che non vengono fuori. Timidamente, si incastrano negli angoli delle palpebre, tremando. Lo stesso tremolio emotivo che pizzica il suo animo, scatenandone un malessere che lo rattrista. 'Fa male.' Ribadisce, ancora una volta, rinchiuso in quell'inceppo di cui non può fare a meno. 'Fa male a te. E fa male a me.' Un modo parecchio contorto di mostrare il proprio dispiacere. Di chiederle scusa per essere un fratello diverso dagli standard che di tanto in tanto crede fermamente l'altra meriterebbe.

     
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    Vedere Otis così provato da quella situazione, le fece montare su un senso di colpa senza eguali. Era anche quello il motivo per cui avrebbe voluto evitarsi quella confessione. Sapeva che Otis più di tutti ne avrebbe pagato il prezzo. Alla fine però non aveva potuto evitarlo. Non si era sentita improvvisamente più coraggiosa, semplicemente non poteva lasciare che i suoi genitori credessero che Otis avesse dato di matto e senza alcun motivo. Ne aveva approfittato quindi per dire tutta la verità. Eppure, non si sentiva meglio.
    Si sedette accanto ad Otis, mentre Pinky mugolava stendendosi sul pavimento e guardando i fratelli Haugen da lì.
    Il suo discorso le spezzò il cuore, rendendo il suo sguardo lucido. Era assurdo che per l'azione di un vile, fossero loro a pagare il prezzo. Lei, Otis, Mason, ora anche i suoi genitori, mentre Lorence era ancora tranquillo a godere delle sue agiatezze, credendo d'avere il mondo ai suoi piedi. Quel mondo le faceva schifo. Presto però le cose sarebbero cambiate.
    «Non è colpa tua.» Fece scivolare la mano tra le sue, provando a calmarlo con un contatto fisico delicato e prolungato. Puntò il proprio sguardo sul viso del ragazzo, aspettando la guardasse.
    Sapeva non ci fossero cose giuste o sbagliate da dire. Tutto ciò di cui poteva fargli dono, era parte della sua realtà. «Non puoi proteggere gli altri da ogni cosa. Ci sono cose che succedono e basta e non puoi far niente per fermarle.» E sì, probabilmente non lo avrebbe consolato sul momento, ma col tempo magari avrebbe imparato a capire che non tutto era manovrabile. C'erano cose su cui era impossibile avere controllo, e la vita in particolare rientrava grandemente in quella categoria.
    «Ma non è colpa tua. O mia.» Aggiunse poco dopo, concedendogli un debole sorriso, stringendo appena un po' più forte le sue mani.
    «E poi prima mi hai salvata. Poteva farmi ancora male, ma c'eri tu.» Azzardò un contatto più ravvicinato, posando un bacio sulla sua guancia, prima di poggiare la testa sulla sua spalla. Sapeva quanto poco Otis apprezzasse quel genere di contatto, o il contatto in genere, ma non aveva potuto evitarlo. Era l'unica persona che non aveva paura ad aver vicino in un momento come quello.
    «Sei il mio eroe.»
     
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    Uno degli aspetti più limitanti di Otis è la testardaggine, in un miscuglio caratteriale che si lega saldamente alle caratteristiche generiche del disturbo da cui è affetto. Inizialmente credere fermamente che la colpa non sia sua è complicato, quasi rasenta l'impossibile. Il peso della sua presenza minima lo disturba e la consapevolezza di non potersi accorgere di nulla che non accada sotto i suoi occhi o non venga udito dalle sue orecchie lo fa sentire più colpevole di chiunque altro. La saggezza inaudita che si ritrova ad ascoltare poco dopo però, lo culla. Dopo brevi attimi di rigidità, si impegna per abituarsi al contatto ricercato dall'altra. Incastra le dita di una mano in quelle di Helena e poggia l'altra sul suo dorso in una stretta forte, affettuosa, mista di inflessibilità ed inusuale morbidezza al contempo. Stranamente, riesce a sentirsene sollevato. Un meccanismo contraddittorio, il suo, in cui ogni contatto inutile lo innervosisce incontrollabilmente, ma quelli di natura più tenue e sentimentale, in famiglia, ne calmano ogni senso. Nel profondo, se ne sente felice. 'E' molto, molto saggio.' Dice, con appena qualche nota di accennata soddisfazione sul volto. Fierezza quella che prova, nei confronti della sua sorellina, che cresce forte ed intelligente sotto i suoi occhi. 'Anche se fa male lo stesso non poter fermare alcune cose.' Un pensiero probabilmente comune a molte persone, che lo rende un pò meno robotico e schematico del solito. E' raro che si esponga così tanto, dando dimostrazione di quell'umanità particolare che si cela sotto comportamenti bislacchi, movenze rigide ed un'organizzazione maniacale che non tutti sono disposti ad accettare. Sente però di aver fatto la cosa giusta in questo momento, insieme all'altra, perché il risultato è un sollievo continuo che comincia a scacciare tutte le paure interiorizzate fino a pochi minuti prima. E' adesso che abbassa di poco lo sguardo, non puntandolo con fermezza su quello dell'altra, ma poggiandovisi sopra di tanto in tanto. Più di quanto di norma non riuscirebbe a fare. 'Non è colpa mia. O tua.' Ribadisce, lasciandosi calmare definitivamente da quelle rivelazioni, cercando di trasformarle in convinzioni che li aiutino entrambi a superare quello che non è che l'ennesimo di un brutto momento da cui poi, in fondo, sono sempre venuti fuori. A renderlo appena più felice, sotto uno sguardo che da lucido si fa appena più vispo, sono le parole che lei pronuncia subito dopo. Come improvvisamente risollevato da quell'apatia, si sente più vivo. Soddisfatto di se stesso e di come sia riuscito ad affrontare quel disastro, visto ciò che lei stessa gli sta confessando.
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    'Davvero? Sono un eroe?' Le dice, arretrando appena in un riflesso incondizionato nel sentire le sue labbra poggiarsi sulla guancia, tremando di emozione, febbricitante come raramente gli capita. Anche questi repentini cambi d'umore fanno parte di lui. Sono quegli aspetti che lo rendono estremamente complicato per certi versi, ma molto semplice e malleabile per altri. 'Sono il tuo eroe!' Pronuncia entusiasta, come se ribadire quel concetto lo rendesse anche più reale. E con la gioia di un bambino improvvisamente stampatasi sul suo volto, stringe ancora più saldamente la presa sulle sue mani, lasciando Helena libera di poggiarsi comodamente sulla sua spalla. Gli piace averla così vicino, più di quanto non sarebbe stato pronto ad ammettere tanti e tanti anni prima, privo di quella terapia che l'ha aiutato a lavorare anche su questo. Non è pronto ad abbracciarla o a permetterle di farlo, ma a piccoli passi avanza nel suo cammino verso condizioni più accettabili. Per lui e per chi gli è intorno. 'A me basta che tu stia meglio, adesso.' Ed in fondo spera che lei stia sempre meglio, mentalmente, fisicamente. Spera che lei finalmente riesca a liberarsi di tutto ciò che la porta a soffrire, anche nei momenti in cui lui non se ne rende conto. L'ha salvata una volta ed è sempre più deciso a salvarla definitivamente. Resta il suo obiettivo principale. Sa di potercela fare e farà di tutto per riuscirci. 'Ti voglio bene.'

     
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