Nuvole tossiche.

Privata; Samael.

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    Non sono una fumatrice abituale, ma questa sera mi annoio davvero. L'ora di cena è passata da un po', manca giusto una mezz'ora al coprifuoco ed io sono stanca di stare in camera da sola. Spero di trovarmi una compagna di stanza al più presto, ma nel frattempo devo pur trovarmi qualcosa da fare. E' per questo che sono scivolata giù dal letto e, senza tirare l'attenzione, mi sono diretta ai sotterranei. Non ho ancora avuto l'occasione di visitare tutti i piani del castello, ma so per certo che i sotterranei sono un posto che tutti tendono ad evitare. Come biasimarli? Sono freddi, umidi e pieni di lingue biforcute, così mi hanno riferito. In un'altra situazione, avrei dato retta a quel consiglio spassionato, ma ho un drum in mano e tanta voglia di lasciarmi andare per dieci minuti. Il cilindro di carta non contiene niente di illegale, solo del tabacco e i sotterranei sono bui, non credo che qualcuno farà caso a me. E' quello che spero, mentre mi ci avventuro. Come previsto, quei corridoi sono deserti e la scarsa illuminazione fa giusto al caso mio. Mi fermo contro una parete e faccio scivolare tra le labbra il drummino. Accendo, faccio un tiro e socchiudo gli occhi. Ho ancora la testa poggiata alla pietra fredda, quando sento un rumore. «Chi c'è?» domando a nessuno in particolare. Spero solo di essermi sbagliata.
     
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    Avevo da poco salutato mio fratello, eravamo rimasti a parlare del più e del meno, dopo cena, e ormai mancava poco al coprifuoco. Così, guardando i corridoi ormai deserti intorno a me, mi avviai verso i sotterranei, per raggiungere la mia stanza e per andare ad infastidire un pò Scott. Sempre che non si fosse infilato nella stanza di Saule. O peggio, se non si fosse infilata lei nella nostra.
    Ecco, dovevamo decisamente iniziare a stabilire un calendario delle trombate nella nostra stanza o avremmo finito per invaderla in momenti poco opportuni. Giorni pari a me, giorni dispari a lui, o qualcosa del genere.
    Bisognava organizzarsi o avrei finito per beccarmi un pugno in faccia, prima o poi.
    Ma ecco che, mentre cercavo una soluzione per una serena convivenza, riuscii a sentire un odore familiare nell'aria. Qualcuno stava fumando lì nei sotterranei, anche se nulla di illegale.
    Girai l'angolo e vidi una ragazza sulla mia strada, pochi metri più avanti.
    Era un giorno pari o uno dispari?
    "E' quasi ora di rientrare nelle proprie stanze. Lo sai, si?" Esordii piuttosto incuriosito dalla mora. Mi avvicinai a lei, poggiandomi con una spalla alla pietra umida e fissando lo sguardo nel suo.
    Interessante.
    In effetti, da vicino, era persino meglio. Lo sapeva che si trovava sulla strada sbagliata, nel momento sbagliato? Per sua fortuna, però, in compagnia della persona giusta, nel caso avesse scelto di concludere al meglio la giornata.
    Sì, si può fare.
    "Samael." Mi presentai immediatamente, con quel mio solito ghigno ad accompagnarmi. "Tu sei...?" Non che mi interessasse granché sapere il suo nome, ma le buone maniere prima di tutto, no?

     
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    Il rumore si rivelò essere un ragazzo belloccio. Spalle larghe, mascella squadrata, sembra più grande di me e il guizzo di eccitazione che noto nei suoi occhi - per qualche ragione - mi suggerisce che i sotterranei fanno parte dei luoghi in cui il ragazzo si trascina spesso. Qualcosa di lui, comunque, mi mette a mio agio. Sarà la sua espressione, la faccia da schiaffi, o forse il fatto che non sembra preoccuparsi della mia sigaretta. Un prefetto mi avrebbe sicuramente sgridata, invece il ragazzo si poggia al muro con una spalla, proprio affianco a me. E' quasi ora di rientrare nelle proprie stanze. Lo sai, si? Sorrido, tenendo la sigaretta tra indice e medio sospesa a mezz'aria e punto lo sguardo nel suo. «Potrei dire la stessa cosa, sai?» Ma penso che sia una fortuna che nessuno dei due sia effettivamente dove dovrebbe essere. Perdiamo del tempo ad osservarci. O meglio, lui lo fa. Io continuo a tenermi appoggiata alla parete, ma non mi dispiacciono le attenzioni. Samael. Tu sei...? si presenta e riesco a voltarmi in tempo per notare quel sorriso beffardo e leggermente malizioso che credo caratterizzi proprio la sua espressione. Samael mi dà l'impressione di essere uno di quei ragazzi che si lascia scivolare tutto addosso. E' carino. «Una che dovrà essere nel suo dormitorio tra meno di dieci minuti.» ammicco, ricambiando il suo sguardo e portandomi la sigaretta tra le labbra, prima di offrirgliela. In fondo, sono una persona educata. «Che ci fai fuori dal tuo letto, Samael?» gli domando, abbandonando il muro alle mie spalle per posizionarmi difronte a lui. Incrocio le braccia al petto. Come succedeva con mia sorella, noto che ai Serpeverde vengano attribuiti gli aggettivi sbagliati. Li descrivono come malvagi, stronzi da manuale, eppure sono di gran lunga più interessanti di tutti gli appartenenti alle altre casate messi insieme.
     
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    "Potresti, sì." Le confermai. "Ma direi che ci è andata piuttosto bene." Tutto sommato, tardare un pò con Aiden era stata una vera fortuna.
    Ora bisognava solo vedere che intenzioni avesse la ragazza che avevo davanti.
    Una cosa sembrava piuttosto chiara: le presentazioni non interessavano poi tanto neanche a lei, se non voleva rivelarmi il suo nome. O, in alternativa, voleva lasciare quel velo di mistero che, tutto sommato, non mi dispiaceva affatto.
    Accettai volentieri la sua offerta, afferrando la sigaretta che mi stava porgendo.
    Feci un paio di tiri, senza fretta. Alla fine non mi interessava granché del coprifuoco, vista la situazione che si era venuta a creare. E lei non aveva di certo un'espressione preoccupata.
    "In realtà stavo giusto rientrando, quando ti ho incrociata sulla mia strada. Sarei perfettamente in orario, se non mi avessi distratto." Replicai, restituendole poi ciò che mi aveva gentilmente prestato.
    Una distrazione più che piacevole. Stava giocando, e a me piaceva giocare.
    "Se dovessimo finire nei casini, mi dovrai delle scuse." Ci scherzai su.
    Non andava di corsa, non era infastidita dalla mia presenza o dal mio atteggiamento, e sembrava addirittura studiarmi. Cosa le passasse per la testa non potevo saperlo, ma di certo volevo provare a scoprirlo.
    "Allora, Emily..." Cominciai, divertito. In fondo in qualche modo dovevo pur chiamarla, no? Se non voleva dirmelo lei, me lo sarei inventato io, un nome da utilizzare momentaneamente e da dimenticare il giorno successivo. "Sono tornato da poco ad Hogwarts, ma non mi sembra di averti mai vista prima." Dove per "prima" intendevo due anni prima. "Sei nuova qui o per qualche strana ragione non ti ho mai notata, tra le mura del castello?" Sì, era giunto il momento di dare il via a quella serie di stupide domande di circostanza, volte ad intrattenere un pò la persona che si ha davanti, fino al primo segnale che permettesse di portare la conoscenza ad un livello superiore. E per "superiore", in quel caso, intendevo chiaramente un comodo materasso.
     
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    Non lo dico a voce alta, ma il ragazzo ha ragione. Avrei potuto trovarmi faccia faccia con un Prefetto, un Caposcuola, uno studente-spia, invece mi era capitato lui. Non so ancora se è una fortuna reale o solo apparente, ma ammetto che le sue provocazioni mi divertono. Non avrei potuto chiedere di meglio per quell'ultima mezz'ora di libertà. Lo osservo fumare la mia sigaretta con quel cipiglio malizioso stampato sul volto e la riporto alle labbra quando me la porge nuovamente. «Poverino, ti ho distratto...avevi dei piani importanti da portare a termine?» gli chiedo, piegando leggermente il capo, fingendomi molto molto corrucciata. «Come farò a vivere, schiacciata da questo senso di colpa?» gli domando, sarcastica. Sappiamo entrambi che quella distrazione non dispiace proprio a nessuno, ma negare è più divertente.
    Se dovessimo finire nei casini, mi dovrai delle scuse. Istintivamente sorrido e muovo un passo verso di lui. Allungo la stessa mano che continua a stringere la sigaretta e gli punto l'indice proprio al centro del petto. «In quel caso, e solo in quel caso, saprò farmi perdonare.» lo informo, lasciando che la mano scivoli nuovamente al suo posto, lontana da lui.
    «Emily...carino, sì.» Sicuramente meglio del nome che ha scelto mio padre per me. Sono tornato da poco ad Hogwarts, ma non mi sembra di averti mai vista prima. Sei nuova qui o per qualche strana ragione non ti ho mai notata, tra le mura del castello? «Sono sicura che ci saremmo visti prima, se fossi stata tra queste mura qualche anno fa.» gli dico, guardandolo senza alcun timore mentre gli parlo. Sembra uno abituato ad avere lo sguardo adorante delle ragazze addosso. Per qualche ragione, forse la sua insolenza, o quel suo ghigno malevolo, qualcosa di lui mi spinge a non interrompere qualunque cosa stessimo facendo. «Ilvermorny, ho vissuto in America per quasi cinque anni.» gli spiego. «Neanche tu hai un viso conosciuto, comunque. Ti nascondevi nel tuo piccolo antro segreto, o...?» Non immagino quale possa essere l'altra opzione. Lascerò che sia lui a togliermi ogni curiosità.
     
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    "Oh sì, avevo dei programmi per stasera, ed è saltato tutto a causa tua. Puoi sentirti in colpa." Replicai, particolarmente divertito dalla risposta pronta della ragazza.
    Dall'atteggiamento che stava tenendo, era chiaro che non fosse una sprovveduta. Sapeva come tener testa ad un ragazzo e si divertiva persino a provocare, data la frase che seguì poco dopo.
    Guardai il suo dito puntato sul mio petto e risollevai subito lo sguardo nel suo, mentre, qualche istante dopo, riprendeva le distanze.
    Se voleva giocare, io ero ben disposto. Non poteva lanciare il sasso e nascondere la mano.
    "Ilvermorny eh?" Non conoscevo la sua età, ma magari ci eravamo persino incrociati nei corridoi della scuola americana, se aveva vissuto lì per cinque anni. "Oltre ad essere più o meno gli unici a vagare ancora per la scuola a quest'ora, sembra che abbiamo qualcos'altro in comune." Tuttavia, più la guardavo e più ero certo di non averla mai incrociata prima.
    Mi sarei sicuramente ricordato di lei.
    A quel punto fui io ad avvicinarmi, deciso a farla indietreggiare quel tanto che bastava per farla tornare con le spalle al muro. Con il braccio teso e il palmo della mano poggiato contro la parete, poco sopra la sua spalla, mi posizionai davanti a lei, senza tuttavia invadere eccessivamente i suoi spazi. D'altronde, dall'atteggiamento che aveva mostrato, non sembrava essere infastidita da quel genere di vicinanza, o sarebbe stata la prima ad imporne una maggiore.
    "Io non mi nascondo, Emily." Le comunicai, in un sussurro.
    "Sono tornato solo da pochi giorni, e il castello è grande. Ma, fortunatamente, non abbiamo dovuto aspettare molto prima che le nostre strade si incrociassero." Se fosse realmente una fortuna ancora non potevo saperlo, ma di certo non mi stava annoiando, e la cosa prometteva bene.
    "Tornando a quanto hai detto prima..." Lasciai per qualche secondo la frase in sospeso, giusto il tempo di prendere ancora mezzo passo verso di lei. "Com'è che avresti intenzione di farti perdonare? Nel caso in cui finissimo nei casini, e solo in quel caso, chiaramente." Mi preoccupai di sottolineare, esattamente come aveva fatto lei poco prima.
    Non sapevo che ore si fossero fatte, ma le lancette indubbiamente avevano continuato la loro corsa e lei poteva iniziare a prendere in considerazione anche questa possibilità.
     
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    «Ilvermorny.» gli confermo, annuendo brevemente. Mi stupisce sapere che anche il ragazzo ha camminato tra le mura di quella scuola, ha frequentato gli stessi posti, le stesse lezioni che ho seguito anche io per degli anni.
    «Sei americano?» gli domando, mentre mi costringe spalle al muro. Mi vergognerei ad ammetterlo ad alta voce, ma amo la sensazione che si prova quando sai di avere qualcuno in pugno. Inoltre Samael risponde alle mie provocazioni e questo non fa altro che rendere il gioco più divertente per entrambi.
    Io non mi nascondo, Emily. mi sussurra, ed io istintivamente sorrido. Sono tornato solo da pochi giorni, e il castello è grande. Ma, fortunatamente, non abbiamo dovuto aspettare molto prima che le nostre strade si incrociassero. E' divertente come i ragazzi credano di avere sempre tutto sotto controllo e a me piace lasciarglielo pensare. Stendo il braccio destro davanti a me, fino a poggiare l'avambraccio contro il suo trapezio, un muscolo che spiccava, tra gli altri. «Quindi consideri una fortuna il fatto di avermi incontrata...» ripeto, sfiorandogli con un dito il profilo di una mascella ben squadrata. «E sentiamo, cosa te lo fa pensare?» gli domando, continuando quella farsa che ci aveva assorbiti entrambi in un gioco di ruolo piuttosto intrigante.
    Com'è che avresti intenzione di farti perdonare? Nel caso in cui finissimo nei casini, e solo in quel caso, chiaramente. Si fa più vicino mentre me lo domanda, ma Samael pare aver dimenticato che - per il momento - non si sono verificate le condizioni giuste perché potessi spiegargli nel dettaglio come intendevo sdebitarmi. «Temo lo scoprirai solo se, entro i prossimi cinque minuti, un prefetto qualsiasi ci ritroverà fuori dai rispettivi dormitori.» gli sussurro vicino alle labbra e alzo lo sguardo per incontrare il suo, prima di tornare con le spalle al muro. Oramai, la sigaretta si è spenta e non ho più alcuna scusa per trattenermi nei sotterranei col Serpeverde, ma decido di concedermi qualche minuto in più. In fondo, se era una distrazione quella che cercavo, potevo affermare di averla trovata.
     
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    "Manhattan, per essere precisi. Ho studiato sei anni ad Ilvermorny, finché non mi hanno buttato fuori, quattro anni fa. E ora eccomi qui..." Era bastata più o meno una frase per riassumere tutta la mia vita. Non c'era bisogno di aggiungere altro, specialmente in quel momento.
    Vidi il suo braccio stendersi verso di me, mentre con un dito ripercorreva la linea della mia mascella, in un tocco leggero e piuttosto piacevole. "Certo, la considero una fortuna." Le confermai. "Hai trasformato un noioso rientro in stanza in un piacevole incontro. Comunque vada, posso ritenermi fortunato, non credi?" Allungai il braccio ancora libero verso di lei, sfiorandole un fianco e insinuando le dita appena sotto l'orlo della maglia. Un modo come un altro per tastare il terreno e valutare fin dove mi avrebbe concesso di arrivare.
    La ragazza che avevo davanti, qualunque fosse il suo nome, sapeva bene come giocare, e non era quindi da escludere la possibilità di prendere un bel due di picche. Ma in fondo avevo ben poco da perdere. Se fosse andata male, sarei tornato per la mia strada. Al contrario, se la sua risposta fosse stata positiva, mi sarei ritrovato a concludere la giornata nel migliore dei modi.
    "Temo lo scoprirai solo se, entro i prossimi cinque minuti, un prefetto qualsiasi ci ritroverà fuori dai rispettivi dormitori." La sua non fu una risposta del tutto inaspettata, potevo immaginare scegliesse di replicare in quel modo. Fu per quel motivo che mi sfuggì un sorriso divertito.
    Continuava a provocare, avvicinandosi e cercando un minimo contatto, e poi a tirarsi indietro, ripristinando un minimo di distanza tra noi. Non che gliene avessi lasciata poi molta.
    "E se non dovesse succedere, lasceresti che io vada a letto così? Senza sapere come intendessi sdebitarti?" Inclinai leggermente la testa di lato, guardandola per qualche secondo. "E' davvero crudele, da parte tua." Aggiunsi quindi, facendo un piccolo passo verso di lei, per guadagnare quei pochi centimetri che ancora rimanevano tra i nostri corpi.
    Le labbra erano ormai a pochi centimetri dalle sue, riuscivo a percepire chiaramente il suo respiro sulla mia pelle. "A questo punto ritengo che tu abbia già qualcosa di cui scusarti. E non ci serviranno prefetti..." Prima che potesse replicare in qualsiasi modo, mi sporsi in avanti quel tanto che bastava per premere una volta per tutte le labbra sulle sue e zittirla.
    O almeno provarci.

     
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    Istintivamente sorrido. Al contrario di quanto era successo a me, costretta dalle circostanze ad allontanarmi dall'america, Samael era stato cacciato da Ilvermorny. «Un bad guy, mmh?» lo provoco, con un mezzo sorriso sulle labbra. E' chiaro che lo sia, non ho alcun dubbio a riguardo, ma questo non mi frena dal pungerlo continuamente, in attesa della sua prossima reazione, il suo prossimo sguardo, la sua mossa.
    Hai trasformato un noioso rientro in stanza in un piacevole incontro. Comunque vada, posso ritenermi fortunato, non credi? mi domanda e nel farlo la sua mano si avventura sotto l'orlo della mia maglia, all'altezza del fianco. Abbasso lo sguardo per osservarla. E' un contatto piacevole e lui sembra sapere esattamente cosa sta facendo, ma non gli dò la soddisfazione di vedermi indebolita da quel suo gesto azzardato. Semplicemente lo lascio fare, tornando con lo sguardo dritto nel suo. «Dovresti, in effetti.» gli annuisco, mostrandomi decisa ed ironica al tempo stesso. E se non dovesse succedere, lasceresti che io vada a letto così? Senza sapere come intendessi sdebitarti? E' davvero crudele, da parte tua. E un accento va su quell'aggettivo che credo appartenga più a lui che a me. «Mi spezzi il cuore, così» mento, notando le sue labbra ormai vicine alle mie. Mi mordo il labbro, in un mezzo sorriso. Faccio scivolare al centro del suo petto la mano che fino a quel momento gli aveva sfiorato il viso e, senza metterci realmente forza, gli impedisco di annullare del tutto la distanza che ci separa. Almeno momentaneamente, perché pare che lui non voglia arrendersi e, senza preavviso, le sue labbra finiscono sulle mie in un bacio che non risparmia nessuno dei due. Non siamo certo ragazzini e né io né lui siamo immuni alla reciproca attrazione. Lo stringo per il mento, mentre intrappolo il suo labbro inferiore tra i denti e lo lascio andare solo nel momento in cui, allontanandomi dalle sue labbra, mi scivola via. «Ora devo proprio andare.» gli dico, sfuggendo dalle sue labbra quando prova ad avvicinarsi ancora. «Non vorrei incontrare un Prefetto...» gli sussurro a pochi centimetri dal viso. Un ultimo sorriso e mi libero dalla sua presa. Mi allontano senza voltarmi, finché...«Ah, mi chiamo Sophie, McCallister.» lasciando il tempo al ragazzo per associare il mio cognome a quello di mio padre, il famoso allenatore di Quidditch. «Buonanotte, Samael.» aggiungo, in un ghigno che faticherà ad andare via.
     
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    La mano poggiata sul mio petto comunicava un debole rifiuto, ma tutto il resto del suo corpo non la pensava allo stesso modo: mandava messaggi piuttosto chiari e il bacio che seguì ne fu la prova.
    A quel punto, la volontà di spingersi oltre era evidente, probabilmente da entrambe le parti. Peccato che lei sapesse bene come farsi desiderare, e scelse di lasciare tutto in sospeso. Impossibile nascondere la momentanea delusione per essermi preso in pieno quel palo che, seppur immaginato, avevo fino all'ultimo sperato di evitare.
    Al suo "devo andare" quindi feci un secondo tentativo, che questa volta rifiutò sul serio. Che altro aggiungere? Era riuscita ad incuriosirmi più di quanto potessi aspettarmi. Dovevo dargliene atto.
    "Ora sei tu a spezzarmi il cuore, però." Replicai divertito, abbassando lo sguardo sulle sue labbra, che sembravano chiamarmi ancora. Fortunatamente per lei, scelse di liberarsi dalla mia presa prima che potessi tornare all'attacco, e la guardai mentre si allontanava fiera, chiaramente diretta verso il suo dormitorio.
    "Te l'ho detto che sei proprio crudele, sì?" Domandai, approfittandone per guardarla bene da lontano.
    Degna di nota sotto tutti i punti di vista.
    Quando si voltò per comunicarmi finalmente il suo nome, le sorrisi e mi scostai dalla parete, per fare un paio di passi indietro, nella direzione opposta alla sua. "Sapevo che sarebbe stato un incontro interessante." Strizzai l'occhio. McCallister, un cognome che di certo non passava inosservato.
    "Buonanotte, Sophie." Aggiungo infine, voltandomi e lasciando quindi che quel nostro piacevole incontro si concludesse con dei punti di sospensione.
    Magari avremmo ripreso un altro giorno, quel discorso lasciato a metà.
     
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