Someone you loved

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    It's the feeling of betrayal, that I just can't seem to shake

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    L90ChpIErano anni che non la vedevo ed ogni anno continuava a fare male come il primo giorno.
    Spesso mi ritrovavo ad accarezzare l'unica foto che avevo portato con me, uno dei miei compleanni passati al castello, quando io, lei ed Arianne eravamo ancora tre ragazzine che non avevano idea di dove la loro vita sarebbe approdata, che non avevano idea di nulla di quello che gli sarebbe successo dopo.
    L'ultima volta che l'avevo vista era stata cinque anni fa, i suoi occhi grigi, che per me avevano sempre rappresentato casa, erano spenti quel giorno, completamente assenti, ricordavo bene la bacchetta puntata alla gola, ricordavo di averla riconosciuta ancor prima che quella maschera le cadesse via dal volto durante la battaglia, di averla riconosciuta da quei movimenti precisi e secchi della bacchetta, Saule, la mia Saule, era lì, di fronte a me pronta a castare l'incanto. I miei occhi chiari avevano cercato, ancora una volta, i suoi e prima che potessi anche solo pensare di difendermi lei era lì pronta a sferrare il colpo finale. Era sempre stata più veloce di me, sempre un passo avanti lei, sempre più forte, più coraggiosa, sempre la parte migliore di me eppure si era guastata e forse niente di quello che ricordavo risiedeva più in quel corpo esile e agile che mi ero vista di fronte.
    Avevano battuto in ritirata quel giorno ed io avevo fermato mio padre pronto ad inseguirla, l'avevo bloccato rischiando di essere punita per insurbordinazione, perchè avrei permesso tutto ma non avrei mai permesso che qualcuno la catturasse nonostante tutto.
    Ricordavo ancora il nostro ultimo anno, lei sempre più assente, sempre più concentrata sui suoi libri e poi aveva abbandonato il castello a pochi mesi dagli esami finali, quel giorno ero rientrata e , semplicemente, non avevo trovato più niente di lei se non una lettera in cui diceva di dover tornare in Estonia, di non preoccuparsi e che tutto sarebbe andato per il meglio, le avevo creduto, io le credevo sempre nella convinzione che sarebbe tornata, come faceva sempre con quei suoi viaggi, non era più tornata però e avevo passato tutte le mie serate, dopo la ronda, nella stanza dei sotteranei, di fronte allo specchio dei desideri, lì la rivedevo, la potevo rivedere ogni sera e quello mi dava conforto.
    Mi ero trasferita in America con mio padre, avevo intrapreso il corso Auror e alla fine ero divenuta una di loro, nonostante durante l'adolescenza l'idea non mi facesse di certo saltare di gioia ma per me era divenuto catartico, un qualcosa attraverso cui riparare a tutti quegli errori che avevo fatto durante la mia vita, che avevo fatto con le persone e che avevo fatto con Saule, l'avevo lasciata andare , non l'avevo protetta, certo, mai avrei immaginato di trovarla esattamente dalla parte opposta di quella barricata immaginaria che divideva bene e male, giusto e sbagliato, loro da noi, lei da me.
    Strinsi la cintola dov'era la bacchetta nascondendola sapientemente sotto il cappotto scuro, ficcai le mani in tasca e mi presentai al luogo dell'appuntamento : Nocturn Alley, casa mia, o quello che ne rimaneva visto gli anni in cui era rimasta completamente disabitata.
    Salii le scale con calma, qualcosa che non mi apparteneva ma che era funzionale a scaricare l'angoscia che mi premeva lo stomaco, sapevo che mezzo ministero era sulle sue tracce, sapevo che se avessi avuto atteggiamenti sospetti mi avrebbero seguita e sarebbero arrivati a lei in un battito di ciglia, sapevo che stavo rischiando tutto ma per lei avrei rischiato anche la mia vita se fosse servito a redimere la sua anima.
    Aprii la porta con le chiavi arruginite che avevo tenuto nel baule per anni ed entrai spezzando il silenzio intorno con il rumore degli stivaletti scuri
    << Fai come fossi a casa tua Karubach>> sussurrai ad una Saule già presente, seduta sul vecchio divano consunto dal tempo e dalla polvere
    << Ti stanno cercando, devi spostarti di nuovo, ti dirò io dove >> perchè non l'avevo vista per tutti quegli anni ma avevo continuato a scriverle in codice, come quando eravamo ragazzine, un qualcosa che ci divertivamo a fare per non farci capire e che, in quegli anni, si era rivelato soprendentemente utile per indicarle dove andare.
    Senza parlare oltre allungai il passo fino alla cucina, trascinando da lì al salone, una sedia di legno e ponendola esattamente di fronte a lei, non sapevo cosa ne sarebbe stato di lei, non sapevo niente di più di quanto già non sapessi anni prima: era mia sorella e dovevo proteggerla, ad ogni costo
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    C'è il crepitio di un vuoto che si fa pieno,
    un passo leggero,
    qualcuno che sale le scale.
    Se affini le orecchie puoi sentire, ed è un crepitio che non ti scuote, il suono degli unici passi che hai imparato a non temere.

    Non sorridi che di rado adesso, in quella casa vuota dove c'è posto solo per il tuo buio, dove le assi cigolano e la toppa ha preso a frignare.
    Londra si è fatta un luogo inospitale per te che sei un insetto, che sei polvere, sei vento, sei una nube nera che spira nel mezzo della quiete. Ma c'è un posto - il posto è quello, è vivo e si muove, capelli d'oro ed occhi di cielo, ha due braccia per due gambe, respira! -, c'è un posto in cui per un poco la tua vita può smetterla di correre, può fermarsi a respirare prima di schiantarsi ancora da qualche parte. È freddo e caldo allo stesso tempo, è un oceano di contrasti col profumo dei tuoi anni migliori, è l'odore di sigarette e whikey che ti solleticava il naso, sporgendoti poc'oltre il tuo letto.
    I passi rintoccano ma non provi nemmeno a sollevare l'impronta del tuo corpo stanco dal vecchio divano, sei tutta spifferi e gesti affilati, ma hai quella luce selvaggia negli occhi che potrebbe fendere persino una fiamma che trema.
    Fai come fossi a casa tua Karubach dice la voce, e non teme la sorpresa di trovarti. C'è una vaga nota grigia dentro quella frase, è il segno del tempo che passa, non senza lasciare traccia. E tu non dici, sei luna cieca in una notte scura, sei tutti i tuoi battiti che stanotte non nascondi al suo orecchio di lupo, sei il rumore dei vostri diciassette anni che scegli di ascoltare.
    Ti stanno cercando, devi spostarti di nuovo, ti dirò io dove continua, perché quel posto - il tuo posto, l'unico posto - non è fatto per l'indugio, non è bello e non è brutto, è semplicemente tutto quello che ti rimane. Sollevi lo sguardo barattando un vuoto - il muro, la parete, una carta da parati ormai scollata - per il pieno, per due occhi insonni e uno sguardo carico d'angoscia,
    dove sei stata, dove sarai, che cosa hai fatto
    ma sincero.
    Annuisci con un cenno del capo ed è il tuo modo di dirle grazie, tu che hai sempre avuto poche parole, lei che ha sempre saputo incastrarle tutte, alla perfezione, nel puzzle che ancora vi tiene in qualche modo unite.
    La osservi silenziosa muoversi all'interno di un vuoto-pieno, farsi strada oltre il salone e accendere una luce lieve, prima tornare indietro con una sedia.
    È casa sua, ti dici, c'è tanto spazio per sedersi ma lei sceglie quello lì, sceglie di starti di fronte e guardarti diretta, lì dove il tuo coraggio invece si spezza: tra di voi è sempre stato così. Ha un cappotto scuro proprio come il tuo, ma le mani sono più pulite, e forse i sogni hanno smesso di farla gridare. Conserva ancora le ciglia folte, l'ovale indurito, i capelli lunghi che vi rendevano così simili e così diverse allo stesso modo.
    Le frughi addosso con iridi d'acciaio e scorgi via via nuove piccole cicatrici. Siete ricami viventi, pagate cara la fitta trama al prezzo del vostro sangue.

    La fiamma piccola della cucina nel frattempo brucia, proietta soffici ombre brune nella tua metà della stanza, lasciando lei semi-illuminata, lei sceglie il bianco, la luce di una candela e nascondendo te - a te tocca il buio - sull'altro capo del filo.
    È così che tiri fuori la mano dalla tasca e lasci emergere i segreti di carta usurati dalle mille volte che li hai tenuti fra le dita. Ti rimane uno stralcio di foto - il suo viso e il tuo, un camino acceso, l'aria di festa - che fai in fretta a conservare e un pezzetto di carta con tre parole appena. La sua grafia elegante, l'inchiostro traditore, in uno schiocco di dita diventano cenere.
    Infine la tua mancina tesa si apre, le va incontro come un fiore che gemma acerbo, senza frutto e poco stelo, i pistilli secchi, un fiore vuoto che si riempie del calore delle sue dita.
    È bello che tu sia venuta dici senza colore, ma la forza con cui la stringi fa rumore più di te.
     
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    [FONT='Palatino Linotype']Non avrei mai detto che ci saremmo trovate così io e lei, ad un passo di distanza senza raggiungerci davvero mai, tra tutti me e lei. Io che l'avrei seguita in capo al mondo, che se solo mi avesse detto di lanciarmi giù da una scogliera l'avrei fatto senza neppure chiederne il motivo, io così sicura che lei mi avrebbe salvata sempre, io che non avevo mai avuto nessuna certezza a parte lei. Questa era la cosa che più mi aveva distrutto e fatto incazzare in quegli anni, che tra tutte le persone che avevo perso, tra tutte , Saule era sempre stata un prezzo che non volevo pagare e che invece avevo pagato con il sangue, con le cicatrici che entrambe portiamo addosso e dentro e non è difficile capire quali siano le più profonde.
    Non avevo mai avuto una famiglia e lei ne aveva avuta una disfunzionale, noi eravamo la nostra famiglia ed era stato quello forse a farmi scegliere, di nuovo, sempre lei, luce, buio, giusto e sbagliato, tutto si piegava di fronte ai suoi occhi grigi e spenti che incrociavano i miei. Continuavamo a somigliarci di quella somiglianza che non vedi nei tratti ma che senti nell'anima, la pelle diafana, gli occhi stanchi di chi ha già visto molti più orrori di quelli che si dovrebbero vedere in una vita solamente, era una vita unica la nostra, non c'ero "me", non c'era "tu", c'era solamente una vita che si divideva in due strade diverse, una ramificazione che ci aveva fisicamente separate, ed era stato lo stesso dolore di venire alla vita di nuovo, un dolore che dimentichiamo ma che io e lei eravamo costrette a vivere all'infinito.
    Gli occhi chiari indugiarono su suoi tratti sottili, ancor più appuntiti se fosse mai stato possibile, sulle sue mani che, scarne ma sicure, tiravano fuori il mio biglietto e nel tempo di un battito lo bruciavano, riducendolo in cenere e di cenere erano i suoi occhi, di cenere le mie promesse a Sebastian di lasciare che la catturassero, di cenere era ricoperto il pavimento e altra se ne aggiungeva cadendo dalla sigaretta maltrattata che avevo infilato in bocca e da cui ora aspiravo un altro avido tiro. Quello che continuavo a chiedermi era come, come eravamo diventate così?
    - E' bello che tu sia venuta-
    E vidi la sua mano aperta avvicinarsi alla mia e per un secondo solo gli occhi andarono a rotolare e ad incastrarsi tra le sue dita sottili, avevo combattuto troppe volte, combattevo da anni in quella guerra che sembrava non avere più fine, sapevo che di quelli come lei non ci si fidava, quelli come lei avevano ucciso famiglie, quelli come lei avevano distrutto il mio mondo fatto di speranze e progetti, quelli come lei però non erano lei, non per me . Le dita della mano libera andarono a prendere le sue e in quella stretta tra mani rovinate, in quello sporco che ora macchiava anche le mie dita, in quell'unico mescolarsi, è lì che ci ritrovammo di nuovo come le diciassettenni che bevevano troppo e la cui camera profumava di tabacco e incensi
    << Volevo vederti>> e lo ammisi in quell'innocenza che non appartiene più a nessuna delle due , che ci è stata strappata via molto prima di quel momento, ma è a quella che mi aggrappai, nell'unica verità che conoscevo e che potevo pronunciare, solo per i suoi occhi avrei mostrato il mio cuore di nuovo
    << Non potrai scappare per sempre Saule, tu devi ... Smetterla>> dissi seria e la mascella si indurì nella consapevolezza che non avrebbe mai potuto smettere che l'unica fine per lei sarebbe stata Azkaban o la morte. Il nostri toni erano così diversi, non vibravano più alla stessa nota, il suo era spento, il mio era vivo, ancora, anche stanco.
    << Avrei voluto che me lo dicessi, che mi chiedessi aiuto prima >> e continuai in quel disperato bisogno di sapere che non era colpa mia, che quel senso di colpa che mi schiacciava il petto da anni non era mio da portare, perchè non avevo smesso un secondo di dirmi che io avrei potuto salvarla.[/FONT]


    Edited by Nessie - 28/3/2020, 13:44
     
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    La morsa stretta del passato è una tenaglia che non accenna a ridurre l’intensità della presa. Ma i sogni senza futuro si chiamano ricordi, e tu questo lo sai.
    Lukyan ti dice spesso ch’è una zavorra ingombrante di cui devi liberarti, la tua vita di prima, ma ogni volta che lo guardi c’è qualcosa – amore forse, o solamente devozione - , qualcosa che lo fa desistere dal continuare. Qualcosa che si arrende davanti alla tua incrollabile tenacia, nonostante lo scorrere dei giorni.
    Credi che in fondo sia lei, la tua debolezza. E credi di essere quella di lui. Lo capisci dal modo in cui posa il suo sguardo su di te l’attimo prima di calare la maschera, è quel vizio di volerti proteggere dalla cattiveria del mondo come se non fossi ancora abbastanza indurita da saperlo prendere così com’è.
    Non è un uomo di molte parole, non lo è mai stato, ma sei certa che ad ogni sguardo corrisponda una nuova apprensione, allora ti fai più vicina e gli sfiori il taglio della mandibola con un movimento fluido delle dita. Prima di andare via.
    Proprio adesso è lì fuori che ti aspetta, da qualche parte, in una qualche ombra che facilmente lo celerà agli occhi di chi vi sta cercando.
    Anche lui lo sa, sa che è lei la tua debolezza e tuttavia ti accetta per quello che sei; è questo che lo rende l’unico ai tuoi occhi.
    È la forza con cui ti cerca, quella con cui lo cerchi - l’amore non è euclideo ma capriccioso, spesso crudele.

    (il vostro non si è mai arreso).

    Anche io dici, e non c’è spazio per alcuna menzogna fra di voi, non c’è fazione che tenga.
    Sei sincera e non temi di essere ferita, stavolta, anche se la verità lo fa. Ferisce, e fa male, e dissangua,
    ma per un’ora di tempo lì con lei saresti disposta a rivoltare il mondo, e non hai paura di essere tradita.
    Da lei, da lui, gli unici cardini su cui puoi costruire la tua vita. Due direzioni diverse, certo, ma pur sempre reali.
    Ti aspetterà, e non ne parlerà con nessuno come sempre. Non ti chiederà cosa vi siete dette – lui non lo fa mai -, né ti prenderà le mani fra le sue. Saprà fare silenzio, saprà trovarti pronta quando vorrai parlare, e tu gli credi e lo ami di un amore ch’è tossico e fedele, sai che è così.

    Questa volta schiudi appena le labbra ma già non v’è più traccia d’innocenza sulla tua bocca, e sono gli occhi a sorridere per un istante, prima di riconsegnarli al vuoto che ti avvolge. Sono le sue parole a restituirti per un momento alla vita, ti rimettono al mondo, ti fanno sentire ancora degna di speranza, ti fanno credere che un’altra strada sia possibile.
    E tu le vuoi bene, la ami con quella forza che scuoterebbe le montagne perché non senti di riconoscerti in un altro che non sia lei; eppure davanti a quel suo fuoco quasi tremi.
    Sollevi le spalle nel momento esatto in cui lo capisci: ha appena realizzato anche lei che tu non hai nessun’alternativa. È un gesto che non ha nulla della tua fretta, della tua solita durezza. È morbido, avvolgente, è fatto di una rassegnazione che hai imparato ad accettare senza per questo doverla subire.
    Tu non sei la tua scelta, in questo frangente ne sei consapevole; sei semplicemente tutte le cose che ti portano a reagire.
    È davvero di questo che vogliamo parlare? chiedi, la lancetta corre veloce e non è l’amaro quello che vuoi portare via con te, non è la sensazione di non avercela fatta né l’eco di una paura senza rimedio.
    In lontananza c’è qualcuno che latra, e tutto ciò che ti resta di quel guizzo iniziale si perde nella tua pelle di cera e in un paio d'occhi - i tuoi occhi - già vuoti.
     
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    Nonostante fossero passati anni non c'era stato più nessuno come lei nella mia vita, nessuno con cui riuscissi a non dover parlare, a lasciar da parte tutte quelle parole in cui mi perdevo sin troppo spesso, non ero mai stata una dai grandi discorsi eppure lei riusciva sempre a capire tutto, i suoi occhi metallici freddi e vivi, riuscivano sempre a catturare ogni minima espressione sul mio volto, le sue orecchie, che parevano poter avere un udito migliore del mio, riuscivano sempre a percepire la differenze nel tono della mia voce, era un rapporto assoluto quello, che non lasciava spazio ad altro, che ci legava ma riusciva a non vincolarci. Eravamo libere di andare e venire come meglio credevamo, eravamo libere, eppure legate a doppio filo, non c'era niente che sarei mai riuscita a paragonare a lei, nessuno che fosse riuscito a riempire quel vuoto che era partito da un letto lasciato intatto per troppo tempo nella nostra stanza ed era arrivato al centro del mio petto, uno spazio incolmabile e che aveva ancora, dopo tutti quegli anni, la forma esatta della nostra amicizia.
    Non appoggiavo la sua scelta, lei sapeva, io sapevo ma la sua scelta per me non sarebbe mai stata lei, lei era tutt'altro, lei era le proprie conseguenze, lei era le proprie dita intrecciate alle mie, la schiena che toccavo con i polpastrelli durante la notte in quella paura del buio ridicola per la mia età, lei era tutti i segreti che aveva tenuto stretti per me, lei era tutti sogni che avevamo fatto insieme e tutte le battaglie che avevamo combattuto, lei era un giorno di pioggia e uno d'estate e non importava se il suo viso mostrasse una nuova età, se la sua voce cambiasse, non importava quale nuova forma avesse preso, lei per me era sempre stata tutte quelle cose che mi avevano riportato a casa, ogni volta.
    Una sincerità disarmante la mia che venne ripagata con la stessa moneta, non ne avrei mai dubitato, mai la tenacia con cui le avevo sempre creduto avrebbe potuto vacillare
    Anche io
    Sorrisi appena, un sorriso spento, appena accennato, quello era tutto ciò che potevamo regalarci, lo sforzo di provare almeno a mimare le emozioni che non riuscivamo più a provare, che si erano accartocciate sotto tutte quelle responsabilità, sotto quel continuo scappare e rincorrere, che erano divenute di plastica ma , non per questo, meno reali.
    I suoi occhi incontrarono i miei di nuovo, come ogni volta, come la prima volta in cui , di sfuggita si erano incastrati nella sala comune e da lì non si erano più lasciati, in quel linguaggio segreto che era solo nostro, non c'era niente che potessi dirle che non avrebbe preso la sua forma, niente che potessi vivere che non richiamasse anche lei, eravamo diverse, eppure ci somigliavamo così tanto ed avevamo passato così tanto tempo insieme da prendere l'una i modi dell'altra, di lei mi era rimasta impigliata addosso l'austera compostezza.E i suoi occhi metallici, in cui non riuscivo più a specchiarmi, mi rimandarono addosso l'interezza del mio senso di colpa, di quanto continuassi a ripetermi che l'avevo lasciata andare, che tra tutte , io, avevo perso l'unica battaglia che non avrei mai dovuto perdere ma era un pò il mio talento no? Il perdere le uniche cose con cui non non sarei mai riuscita a sopravvivere
    È davvero di questo che vogliamo parlare?
    Sbuffai un sorriso, lasciai che la testa ciondolasse in avanti e si scuotesse appena in diniego, sapevo che non aveva tempo, non ne avevamo, e mi veniva quasi da ridere nel pensare a quanto ne avevamo perso in quegli anni in cui credevamo che non ci sarebbe mai stato niente che ce lo avrebbe rubato con tanta scortesia, ed invece era successo, le lancette correvano ed ad ogni minuto che passava un pezzo di lei mi viniva strappato via dalle mani
    << Hai ragione>> confessai guardandola di nuovo , lasciando che la mano libera dalla presa con quella altrui si ficcasse nel cappotto e ne tirasse fuori una piccola foto ritraente un piccolo fagottino biondo in braccio a suo padre
    << Lei è Cassandra, è tua nipote , le parliamo spesso di te >> soffiai in un sussurro impercettibile
    << Karl le canta sempre quella canzoncina estone che mi hai insegnato, sembra che le piaccia >> continuai stringendo la presa sulle sue dita sottili, avrei voluto che la vedesse ma sepevo quanto fosse impossibile.
    Karl aveva cercato di capire, lui sapeva, non c'era ombra di bugia tra me e lui, non c'era spazio per quelle, non più, sapeva dove ero stata, dov'ero e probabilmente sapeva meglio di me dove sarei stata nel futuro, sapeva e con preoccupazione inforcava i suoi occhiali, scuotendo appena la testa ma non osava dire altro, sapeva che niente mi avrebbe fermato dal tornare da lei, come l'onda ritorna nel mare
    << Ti ricordi la prima volta che hai mangiato una gomma da masticare?>> sorrisi ancora, lasciandole una gomma rosa e rettangolare sul palmo della mano, il tempo passava, correva veloce ma noi avevamo il nostro modo per fermarlo in quell'intreccio di dita e ricordi.

     
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