Il fascino del proibito

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    So che devo tornare al castello per l'ora di cena: ho bene in mente il regolamento dell'istituto.
    Questa atmosfera crepuscolare, in cui il cielo del tramonto viene tinto di un rosso fuoco disperato, quasi fosse del sangue vermiglio, mi galvanizza non poco: metafora stessa della morte del giorno. Ho abbandonato nel dormitorio maschile il materiale scolastico e, evitando di fiondarmi nella consueta doccia pre-cena, sono uscito dall'edificio per recarmi dritto, con passo felpato, al limitare della Foresta Proibita. Sento di stare ottimamente, è indescrivibile la soddisfazione di avvicinarmi ad un luogo così palesemente enigmatico e trasudante l'idea di ignoto.
    Immettersi da solo nei sentierini, in quell'intrico di rami spezzati e di radici significherebbe soltanto una cosa: accettare una sfida, andare incontro ad una sorte stracolma di interrogativi, a possibili avventure, ad un pericolo mortale. Di fronte ad un simile paesaggio, la mia mente spazia notevolmente: si perde - lo ammetto - nei colori spenti e oscuri, che solo il tempo serale riesce perfettamente a donare, con tutte quelle sfumature malinconiche.
    Già, si può affermare che io, lì, sia perfettamente a mio agio.
    Da ovest si alza una folata di vento: scompiglia i miei capelli castani e smuove un poco il mio mantello nero, che copre la divisa di figlio di Salazar. Noto, poi, che c'è una roccia lì vicino. Mi siedo sopra, senza staccare lo sguardo dall'intrico della foresta. Mi pare di sentire dei suoi, dal suo profondo, forse di qualche creatura magica o da qualche centauro - chissà.
    Abbozzo un sorriso, i miei occhi si riducono a fessura.
    Un giorno spero di svelare i segreti, di quell'affascinante oscurità che si dipana così ammaliante davanti a me, minuto dopo minuto.
     
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    Gli ultimi raggi del solo riscaldavano le lande circondanti il castello della scuola, il crepuscolo in cielo offriva una serie di sfumature colorate. Pochi minuti dopo sarebbe sopraggiunto il buio, la notte, il momento della giornata preferito dal francese.
    Mancava poco all’ora di cena, e sicuramente non era quello il momento di una passeggiata, soprattutto conoscendo la meta verso cui vagava il giovane ragazzo.
    Era sempre stato affascinato dalla foresta proibita; il nome trasudava oscurità e paura, si narrava di studenti entrati in quel posto e che mai più fecero ritorno, di creature malefiche e pericolose. Secondo lui in quella foresta poteva anche avere dimora un magnifico Lethifold, la creatura che sognava di vedere da anni.
    Immerso nei tenebrosi pensieri giunse a pochi metri dall’ingresso di quel posto. Poteva scorgere diversi sentieri che in men che non si dica si diramavano e si disperdevano nel buio più totale, immersi in una tetra foschia che non permetteva il passaggio di luce solare.
    Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, cercando di scorgere qualche profumo o fragranza conosciuta, cercando di immaginarsi l’odore della foresta. Ripeté questa azione un paio di volte prima di voltarsi verso destra ed osservare una figura seduta su una roccia: era troppo lontana per poterla identificare con così poca luce naturale, ma a giudicare dall’abbigliamento non poteva che essere uno studente di Hogwarts.
    - Chi, come me, è così affascinato da questo posto? – si chiese.
    Istintivamente si portò qualche passo più avanti nel tentativo di dare un volto a quella persona. Nel momento in cui la distanza fu sufficiente, gli occhi nocciola di Gwénaël si socchiusero leggermente in una smorfia interrogativa: perché Tybalt era lì?
    Si avvicinò ancora per avere la sicurezza di quello che stava vedendo: era proprio il suo compagno di stanza, vestito come lui con la divisa di Howgarts che era seduto sulla roccia in contemplazione della foresta.
    Senza dire nulla si portò a pochi metri da lui. Non serviva parlare in quell’atmosfera magica che solo l’oscurità sapeva offrire, eppure senza pensarci Gwénaël disse con un tono non troppo rude:
    “Dovremmo andarci, un giorno. Preferirei andare da solo, ma non credo sia fattibile”
    Era la prima volta che iniziava un discorso con qualcuno, finora erano sempre stati gli altri a doverlo spronare, in un modo o nell’altro, a tirare fuori delle parole.
    “Inoltre,” aggiunse, “la tua conoscenza delle arti oscure potrebbe fare comodo in quel posto”
    Non si mosse da dov’era e non lo guardava, proprio come il russo aveva lo sguardo perso nella profondità di quell’intreccio alberi e rami.
    Il sole, intanto, lasciava sempre più spazio alla notte.
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    In questa situazione che sembra quasi a-temporale per il suo fascino sublime, forse per il misterioso silenzio dell'ignoto che si staglia davanti a me, si avvicina una figura. Cerco di captare ogni minimo rumore, dallo spostamento d'aria al crepitio delle foglie secche sotto la suola delle scarpe. Non mi volto, lascio il mio cuore augurarsi che non sia un seccatore o una sfigata, decretando di degnargli (o degnarle) attenzione una volta che entra nello spazio di mia pertinenza.
    La voce è una voce che mi dà sollievo. Di un ragazzo con il quale c'è stato uno scontro iniziale, ma attraverso il quale abbiamo preso le misure l'uno dell'altro.
    Nessun saluto, preferisce andare subito al sodo. Che dire? Ha tremendamente ragione. La foresta esercita su di noi l'azione di una calamita: sento che un giorno ne varcheremo i confini.
    Lo guardo negli occhi intensamente, con un'espressione seria, ma non eccessivamente tesa.
    Già. telegrafico, conciso e un piccolo sospiro, per poi portare lo sguardo verso l'intrico degli alberi. Ci sto. gli comunico, in modo altrettanto laconico ed efficace: può contare su di me. Potremmo davvero esplorare nuovi spazi, farceli nostri e tramare contro il sistema. Renderci estremamente potenti da sovvertire l'ordine stabilito per perseguire una politica purista: ogni feccia babbana o mezzosangue cancellata dalla faccia della terra. Mi mancano le Arti Oscure. gli confido a mezza voce, tornandolo a guardare in volto. Quando le padroneggi e riesci ad eseguirle ti rendi conto fino a quanto può giungere il nostro potere, fino a manovrare la psiche altrui, annientare l'essere, stravolgere le fisionomie. Peccato non poterle applicare qui. Con la feccia che potrebbe servire da carne fresca da macello. Conducono un'esistenza inutile, dopotutto.
    Gli lancio un'occhiata indagatoria. Hai mai visto compiere una maledizione, Prézé? chiedo, con un tono pacato e tranquillo.
     
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    Il ragazzo seduto sulla roccia, Tybalt, reagì bene alla presentazione del francese, senza sembrare infastidito: le dinamiche tra quei due si stavano modificando giorno per giorno e l’iniziale tensione e disprezzo l’uno nei confronti dell’altro stava pian piano lasciando posto ad un tentativo di conoscenza profonda, di curiosità reciproca.
    Se da una parte Gwénaël viveva con estremo disagio questa situazione, dall’altro si chiedeva che effetto poteva fare avere un vero amico, avere un qualcuno con cui potersi confrontare alla pari.
    In maniera piuttosto concisa ma non sgarbata, il moretto dagli occhi verdi approvò l’idea di andare a visitare quell’angolo oscuro nel mondo magico, quella parte tenebrosa e proibita di Hogwarts.
    Chissà, magari come lui sognava una creatura in particolare.
    Il discorso del russo, però, non si fermò a questo: dopo avergli confidato la sua nostalgia verso le arti oscure, interrogò il francese chiedendogli se avesse mai visto una maledizione.
    Il suo sguardo per tutta la durata del discorso fu un ping-pong tra la foresta e Gwénaël, infatti alternava contemplazioni alla vegetazione a sguardi incuriositi verso di lui.
    Il bretone, che fino a quel momento restò immobile ad ammirare gli alberi, si voltò e fece un passo in avanti.
    “Su altre persone no. Ho visto solo lanciare qualche maledizione minore su alcuni oggetti. Hai avuto la possibilità di testarle su qualcuno? Ne conosci qualcuna particolare?” chiese con aria interrogativa e curiosa in volto, ma senza mai tradire la sua atonia e senza voler sembrare invasivo: d’altronde non era da lui fare interrogatori ad altre persone.
    Dalla foresta si levò un rumore ambiguo, difficile da decifrare senza conoscenze delle creature che la abitavano. Una specie di nitrito molto grave, breve, interrotto bruscamente. Istintivamente Gwénaël si portò con un passo verso la foresta, ancora più vicino al limite della stessa. Come poco prima, inspirò nuovamente ad occhi chiusi, nel tentativo di azionare ogni senso e di captare quante più informazioni possibili.
    Sarebbe stato da incoscienti, quel giorno, fiondarsi alla cieca in quel mosaico naturale, ma nella sua testa risuonò forte il suo pensiero:
    - Un giorno entrerò in questo posto. Entrerò e dimostrerò a tutti che solo i deboli temono l’oscurità, mentre i grandi la controllano, la dominano, la fanno propria
    Con lo sguardo cercò poi nuovamente il suo compagno di stanza: essendo concentrato nel percepire suoni ed odori provenienti dal luogo proibito non realizzò se Tybalt fosse rimasto su quella roccia o se si fosse avvicinato anche lui in reazione a quel grido.
    Per la prima volta lo osservò senza avergli parlato o aver interagito, ed egli stesso non ne comprese il perché.
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    Lo seguo nei suoi movimenti: il francese si sta avvicinando di più alla foresta, quasi nel sottobosco. Mi sta dicendo forse che non ha paura, che davvero vorrebbe sfidare l'arcana incognita che ci attende là dentro? No, io non ho mai avuto dei dubbi a proposito di Gwénaël: la sua personalità lo porterà certamente a grandi gesta. Altrettanto scontato che io non sarò da meno e il mio nome di famiglia, noto ad est e ad ovest, con me s'innalzerà in tutta la sua grandezza, come sinonimo di potere, influenza, ambizione verso il meglio. Insomma, un anelito verso l'ideale e la supremazia.
    Mi viene automatico, per i motivi sopra citati, muovermi a mia volta, come se il linguaggio corporeo sottolineasse i miei pensieri: io so che tu vali ed io altrettanto sogno l'oscurità quanto te.
    Mi sposto in sua direzione, senza aggiungere parola, e mi ritrovo pure io più prossimo alle tenebre, a pochi passi da lui. Non vado oltre, però, non voglio ledere il suo spazio vitale, poiché io stesso mi trovo a disagio per una distanza troppo ravvicinata. Ora il mio compagno di stanza può udirmi distintamente: non occorre nemmeno tenere un tono troppo altro. Le orecchie della feccia, si sa, sono molto lunghe: non siamo dei figli di Godric che ostentano. Noi progettiamo, con l'astuzia che ci contraddistingue in quanto verdeargento.
    A Durmstrang si apprendono le Arti Oscure. frase lapidaria, che sancisce la profonda differenza tra occidente e terre del patto nordico. Dopo una breve pausa in cui inspiro l'aria serale proseguo con un tono pacato ed esplicativo: Nelle lezioni ci si esercita con diverse maledizioni, di volta in volta. Per ora ho visto castare la cruciatus e l'imperio. stolgo un attimo lo sguardo, per poi proseguire. Per quanto riguarda la cruciatus, l'ho castata su un compagno e l'ho ricevuta a mia volta. Così sono i programmi scolastici laggiù. E mio padre la utilizza per punire gli Elfi domestici. In Russia è legale.
    Sto diventando loquace, me lo sento. è come se Gwénaël mi spronasse implicitamente a parlare, a renderlo partecipe di una parte di me, della quale ho nostalgia. Ancora oggi mi chiedo perché cazzo mia madre si sia incaponita di spostarmi qui, in Scozia, per seguire le orme della sua famiglia e diventassi un Serpeverde come lei. A Durmstrang tutto mi pareva così dannatamente completo! Cioè, ad esempio, voi francesi come punite gli elfi? Cosa fa tuo padre per far vedere chi comanda? chiedo curioso, ancora incapace di comprendere come le maledizioni senza perdono siano ad ovest così illegali da essere quasi un tabù.
     
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    Lo aveva seguito: Tybalt aveva ripercorso i suoi passi, avvicinandosi al limite del concesso, al limite oltre il quale terminavano le sicurezze di una scuola così importante e prendeva il largo un luogo dove in molti hanno provato ad intrufolarsi, ma in pochi hanno fatto ritorno sulle loro gambe.
    Con un tono di voce piuttosto calmo e basso, il russo continuò il discorso rispondendo alle domande di Gwénaël, mettendo bene in chiaro quale fosse la linea sulla quale viaggiavano le terre del patto del Nord, sul sottile filo che divideva ciò che nell’occidente era definito illegale ma non lo era altrove.
    Sapeva castare la maledizione cruciatus, non una maledizione qualsiasi come poteva essere la gemino o la flagrante, ma una maledizione senza perdono, una maledizione che causava dolori tanto più forti quanto più importante fosse la volontà di fare del male all’altra persona. Una magia oscura, che provocava angosce simili a quelle di ferite causate da coltelli incandescenti – o almeno la letteratura così le definiva – e in pochi erano riusciti a resistere ad una tortura simile. La letteratura parlava di questa maledizione come una delle più usate durante il dominio del signore oscuro, diversi anni prima.
    Ciò causava nel francese un forte sentimento di stima nei confronti di Tybalt, non era da tutti alla loro età conoscere maledizioni di questa caratura.
    Il russo completò poi il suo discorso con una domanda dettata la curiosità, chiedendo in che modo la famiglia Prézé punisse i suoi elfi domestici.
    “Non immaginavo potessi castare una maledizione di questo tipo,” iniziò il discorso Gwénaël, con una vena di ammirazione nei suoi confronti che probabilmente avrebbe percepito, “non sarebbe male impararla. Immagina utilizzarla su quelle due”
    Concluse con disprezzo nella voce, sapeva benissimo che il compagno di stanza avrebbe compreso il riferimento.
    Allungò la mano destra verso la foresta come nel tentativo di acciuffare qualcosa al suo interno.
    “Sai, nella mia famiglia c’è la credenza che gli elfi domestici non vadano degnati dell’uso della magia, per cui solitamente sono puniti con calci e pugni, spintoni. Se invece commettono qualcosa di grave, solitamente, si puniscono da soli. Solo una volta un elfo si comportò così male che mio padre lo liberò: ebbe un effetto così forte su quella creatura che decise di togliersi la vita. Patetico. Tuttavia, i nostri elfi sono devoti e accondiscendenti, sai, erano le uniche creature con le quali scambiavo delle parole fino a qualche tempo fa
    Disse quest’ultima frase guardando l’altro negli occhi, era la prima volta che raccontava a qualcuno del suo passato ed inoltre era un modo per fargli capire che, prima di lui, in Hogwarts non aveva scambiato parole con nessuno se non obbligato dalla situazione.
    Continuò, si trattava più di una sorta di monologo ora, non stava realmente raccontando qualcosa ma solo esprimendo un suo pensiero a parole:
    “Non sarebbe male andarsene a Durmstrang. So che solo i maghi purosangue sono accettati nella scuola e che tutti i corsi sono incentrati alla conoscenza delle arti e delle magie oscure”
    Aveva parlato tantissimo, per i suoi standard. Molti conflitti interni stavano avvenendo nella sua testa, non capiva il perché avesse raccontato anche solo una minima parte del suo passato a quel ragazzo.
    Una folata di vento sopraggiunse tirando verso l’interno della foresta, come a voler nascondere al suo interno tutti i pensieri e le parole proferite sinora. I raggi del sole si facevano sempre più flebili, il cielo aveva assunto una colorazione quasi pittoresca, con un blu molto scuro che si sfumava in un arancio molto acceso e brillante in prossimità delle montagne dietro alle quali si stava nascondendo.
    Una metafora della vita, la luce che si spegne lasciando posto all’oscurità sovrana.
    A breve i due avrebbero dovuto andarsene da lì, ma ogni attimo prima del rientro era importante, ogni secondo a contatto con quella sensazione di ignoto era da ricordare.
    Solo il buio sapeva renderlo sé stesso, solo la notte.
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    Percepisco in lui una nota di ammirazione nei miei confronti e questo mi insuperbisce: non dev'essere comuni ricevere le attenzioni di un tipo come il Prézé, quindi ne vado silenziosamente fiero. La mia superbia, per di più, accresce nel momento stesso in cui ho consapevolezza di essere potente. Tuttavia, per le basi di una solida e fruttuosa alleanza è necessario, a questo punto, condividere il potere e tale conoscenza. Ho visto nelle sue iridi - o almeno mi è parso - lo sfavillio di chi è interessato ad apprendere le Arti Oscure e ciò mi sprona a renderlo partecipe di quello che so, dal momento che per ora il piano sarebbe affrontare la foresta - ora - mentre, in futuro...chissà.
    Posso sempre insegnartela. gli propongo con un'espressione calma, senza tradire alcuna emozione. Sembra degno di questo apprendimento, mi darà enormi soddisfazioni. In camera, intanto ci siamo solo noi due. infatti, meglio non dare spettacolo di queste cose. Aggrotto la fronte: ci serve qualche cavia per la maledizione. Sarebbe interessante usare come bersaglio un undicenne nato babbano, ma ma non credo ce ne siano nella nostra casata - Merlino ne scampi! -. Ci dovremo accontentare di un topo sottratto a qualche Tasso. ghigno di gusto, mentre socchiudo gli occhi al pensiero di Hermia e Tess barbaramente torturate, sino alla follia e al puro delirio.
    Quelle due sono delle emerite idiote. Tess ha osato toccarmi, capisci? Ero lì, seduto con i miei pensieri e... mi ha invaso lo spazio vitale. Due volte. Deve pagare. guardo l'intrico della foresta, per poi continuare il discorso, liberando la mia fantasia. Per questo ho detto che non sarebbero sopravvissute a Durmstrang. Al primo assaggio di cruciatus sarebbero lì a piangere come agnelline. Non sanno contro chi si sono messe. e infine, lapidario, con una punta di soddisfazione, congiunta a quest'ultimo pensiero: Implorerebbero pietà con le lacrime agli occhi.
    Ascolto con attenzione le abitudini francesi sul modo di trattare la servitù: Quell'elfo non aveva nient'altro di sensato da fare. Enormemente patetico. gli faccio eco.
    Esprime poi tutta la sua approvazione per la politica di Durmstrang e non posso che annuire con il capo: La scuola della famiglia di mio padre, ci tornerei subito. Peccato si sia frapposta mia madre e le sue idee. Secondo lei dovevo proseguire la tradizione Serpeverde lal sua famiglia. Ma ti pare?
     
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    - Posso sempre insegnartela
    Quelle parole pronunciate dal russo ebbero un doppio effetto sul francese.
    Istintivamente, come ogni volta in cui qualcuno si poneva come migliore di lui, un sentimento di ira crebbe dentro, spento subito dai collaterali pensieri che nacquero successivamente. Andare d’accordo con una persona che conosceva la cruciatus ed aveva visto l’imperio, poterle apprendere, imparare ad usarle, padroneggiare una delle più potenti maledizioni, lo rendeva curioso, interessato.
    Abbassò la mano che era estesa verso la foresta e la riportò lungo il suo fianco, stringendola in un pugno.
    Continuò il discorso proponendo svariati modi per esercitarci su quella maledizione.
    “Sì, accetto. Voglio imparare a padroneggiare le arti oscure. Potremmo, in alternativa, prendere in prestito un gufo dalla guferia” propose a sua volta, guardando il suo complice negli occhi con un sorrisetto malefico stampato sul viso, come a volergli far capire che era sadico come lui, che avrebbe amato poter torturare dei nati-babbani allo stesso modo.
    Dopo questo accordo preso, Šeremetev andò avanti nel suo monologo, facendo capire a Gwénaël che la sua compagnia non era disdegnata, altrimenti non avrebbe avuto ragione di raccontargli delle situazioni personali.
    “Cosa ha fatto?” chiese con una leggerissima vena di stupore negli occhi, a sancire uno dei primi sguardi meno freddi e distaccati del solito.
    “Mi chiedo perché certe persone non stiano al proprio posto. Ed hanno persino osato dire di essere di stirpe pura. Che vergogna, traditrici del sangue magico. Sono d’accordo, non sopporterebbero neppure una fattura di livello infimo, figurarsi una maledizione”
    I suoi occhi si socchiusero e le sue labbra si sollevarono in un ghigno. Sarebbe stato divertente torturarle, vederle soffrire, implorare pietà, perdono. Non aveva mai avuto modo di dimostrare ai suoi genitori quanto fosse riconoscente per gli insegnamenti dati – seppur la sua educazione derivasse per la maggior parte dalle governanti – e sicuramente quello sarebbe stato un ottimo modo per farlo.
    Rivelò poi che era a causa della madre che si trovava costretto ad Hogwarts: la sua famiglia aveva una tradizione serpeverde da portare avanti.
    “Immagino debba essere seccante. Passare da una scuola piena di purosangue per trovarsi immerso in tutta questa feccia. Questa foresta sembra l’unico barlume di ragione in questa scuola, dato che persino nella nostra casata ci sono persone che hanno a che fare con i babbani e ne infangano il nome” disse riferendosi al ragazzo col quale aveva avuto un diverbio in biblioteca e poi reincontrato nella sua villa londinese.
    Spostò gli occhi dalla foresta per portare lo sguardo verso le montagne. Ora che quasi non si vedeva più il sole, anche quei rilievi assumevano un aspetto affascinante e tenebroso, pieno di mistero.
    Tornò sulla foresta per fare un’osservazione: “Credo dovremmo rientrare. Resterei davanti a questo spettacolo per tutta la notte, ma se ci vedessero verremmo puniti, e non ho intenzione di essere la causa di perdita di punti”
    Si voltò senza però spostarsi, e per la prima volta dava le spalle alla foresta, osservando una Hogwarts illuminata separata da loro solo da un’estesa pianura di erba umida.
    Aspettò immobile. Se Tybalt avesse scelto di andarsene via con lui lo avrebbe aspettato, avrebbero percorso insieme la strada, sicuramente senza proferire parola.
    Era abbastanza, per quel giorno.
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    Come immaginavo: il Prézé accetta di buon grado i miei insegnamenti: direi che possiamo iniziare molto presto, in modo che io stesso possa ripassare un po' le mie amate maledizioni. Il gufo è un animale ottimo sul quale cimentarsi, qualora vengano meno delle cavie umane. Annuisco silenziosamente, suggerendogli così tutto il mio appoggio.In questi giorni ci organizzeremo per i dettagli. gli comunico, con un filo di voce, ma deciso e fermo nei suoi propositi.
    Ritornando ancora al discorso della purezza delle famiglie magiche e di essere circondati dalla feccia, non può che trovarmi d'accordo: Solo la nobiltà della famiglia può sancire con sicurezza la sua purezza intrinseca. Quelle due, sebbene dicano di essere purosangue, avranno il loro albero genealogico insozzato fin dall'alba dei tempi. Quando sostiene che esistono dei Serpeverde che sono mezzosangue o hanno a che fare coi babbani, ho un conato di vomito: Non li considero neanche compagni di casata, sarebbero da espellere seduta stante. Salazar Serpeverde si starà rivoltando nella tomba.
    Dice che è ora di rientrare: ha ragione, rimanere qui per lungo tempo non ha senso. Questo spettacolo tra non molto sarà sicuramente nostro.
    Andiamo! esclamo.
    Mi avvio verso il castello con lui.
     
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