thank u for the venom

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    Rivederlo le aveva dato un po' di fiato. Le sembrava sempre di soffocare a Durmstrang. E di certo non aiutava l'opprimente presenza dei suoi genitori, le visite, le terapie e quella fottuta scuola di comportamento che odiava. Dopo due lunghe settimane di lontananza, in cui l'unica nota positiva delle sue lunghe estenuanti giornate era caratterizzata dalla presenza di Pinky, la piccola volpe che ora dormiva sulla poltroncina di quella stanza d'albergo, non era riuscita a trattenersi. Lo aveva raggiunto in stanza e dopo essersi liberata dello zaino che portava con sé, gli era piombata addosso senza troppi preamboli. Nessun giochetto, nessun tentennamento. Sentiva il bisogno di sentirlo. Di sfogare fisicamente lo stress accumulato. D'altro canto, non aveva trovato ostacoli. E sebbene oltremodo soddisfacente, il modo in cui si erano ritrovati, con famelica disperata e rabbiosa passione, non lasciava presupporre alcunchè di buono.

    giphy
    Non era riuscita a carpire poi molto delle motivazioni che oscuravano il volto del ragazzo e che lo spingevano a sfogare la sua frustrazione su sigarette consumate quasi una dietro l'altra. A quanto sembrava un affare doveva essergli andato male, in fumo letteralmente, e Mason rischiava grosso. Helena aveva provato a mostrarsi impassibile dinanzi a quella rivelazione, ma la realtà dei fatti era che saperlo in pericolo le provocava una strana sensazione allo stomaco. Paura.
    Aveva così sfogato la sua frustrazione in un racconto lungo, accalorato e dettagliato, della sua esperienza nella scuola di comportamento. Aveva raccontato lui - che non la degnava di uno sguardo perchè ancora troppo impegnato a fissare foto del disastro a cui doveva porre rimedio – dell'incontro con le due oche, e di quel che ne era derivato. Del ballo a cui avrebbe dovuto prender parte e delle stupide lezioni di portamento che la facevano sentire una cretina. «Cioè, capisci? E' un posto di merda e non so proprio perchè io stia continuando ad andarci.» In mutande e canotta, se ne stava seduta a letto a torturare senza mangiarlo, il gelato preso nel freezer in camera. Di tanto in tanto, lanciava un'occhiata a Mason. Quando però si accorse dell'altro ancora totalmente immerso nel suo mondo, non riuscì più a trattenersi.
    «Pronto? Ci sei?» Scosse il capo roteando appena gli occhi dopo aver mosso una mano dinanzi al suo viso. Non era la sua mancanza d'attenzione ad indisporla. Non più di tanto. Era la sua preoccupazione a preoccuparla. «Dio! La smetti di guardare queste fottute foto e mi ascolti? E' solo un capanno bruciato del cazzo.» Sbottò, spingendo via le foto dal letto prima di mettersi in piedi e buttare il gelato ancora mezzo pieno nel cestino. Afferrò una sigaretta dal pacchetto sul comodino accedendosela. «Invece di mettere il muso come un bambino di due anni per una cosa che non puoi cambiare, potresti tirare fuori le palle e mandare a fanculo chi ti costringe a fare queste cazzate.» E sì, immaginava di stare esagerando ma non ne era del tutto cosciente. A volte, quando era fuori di sé, le capitava di dire cose davvero terribile, di colpire profondamente chi aveva dinanzi per lenire il dolore che provava. «Ma no, figurati. Mason Hollingsworth è solo un cagasotto che non sa far altro che chinare il capo. Dì un po', ti fa male il collo a furia di abbassarti?»


    Edited by mood swing. - 2/2/2020, 22:13
     
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    Il karma è una bestia feroce, potente come poche cose al mondo. Si allea al destino per mettere sottosopra ogni traccia di serenità si affacci all'orizzonte, persino in una vita travagliata come quella del Chesterfield in cui le occasioni positive sono rare, impossibili da trovare ai livelli di un ago in un pagliaio. Guai piuttosto grossi si sono affacciati all'orizzonte ed il loro tempismo è stato impeccabilmente pessimo, piombato all'improvviso proprio nell'unico momento della settimana in cui riesce a concedersi un pò di ristoro sotto le attenzioni di quella spensierata ragazzina che l'ha appena raggiunto nella stanza dell'hotel in cui le ha dato appuntamento. Per un pò, in sua compagnia, ha provato a mettere a tacere il peso della propria responsabilità, sfogando in gemiti sussurrati sulla pelle dell'altra la propria frustrazione. Il ritorno alla realtà ed a tutte le consapevolezze che si porta dietro però è stato persino peggiore, rimbombando nella sua mente come tempo utile sottratto alle ricerche cui dovrebbe unicamente concentrarsi, escludendo tutto il resto. Qualsiasi cosa. Ha creduto di potersi sentire meglio, di poter ottenere da lei e da tutto ciò che il suo corpo suscita in lui la libertà che gli ha sempre donato, ma stavolta i risultati sperati non sono riusciti a perdurare nel tempo. Ascolta distrattamente le sue parole, intento a lasciar consumare tra le labbra l'ennesima sigaretta mentre gli occhi vagano sulle foto sparse tra il letto e le sue mani. Alla ricerca di un dettaglio, anche minimo, che possa finalmente essergli d'aiuto per risolvere il problema alla radice, non è in grado di prestare sufficiente ascolto a lei e chiaramente non è quello il miglior modo per approcciarsi ad una ragazzina col costante desiderio di porsi al centro dell'attenzione. Perché a nervi così poco saldi, non riesce a vederla o giudicarla diversamente, partendo da una considerazione che non porterà nulla di buono, che non lo aiuta a mandar giù il groppo alla gola che lo soffoca. 'Helena, cazzo!' Sbotta malamente, cercando di recuperare le foto che l'altra ha gettato un pò ovunque. 'Te l'ho già spiegato: è una mia responsabilità. Se non trovo il colpevole, la prossima volta ci bruciano anche me insieme al "capanno del cazzo".' Helena non capisce. Non dovrebbe capire, in effetti, cosa quella realtà così cruda significhi e se per certi versi Mason è felice lei non abbia la minima idea di come funzionino le dinamiche di certi oneri, dall'altra la frustrazione provata si amplifica, unendosi al senso di incomprensione che lo fa sentire solo persino al suo fianco. Plausibile. Ignora, almeno inizialmente, le parole cariche di veleno che l'altra gli riserva. In fondo sa bene a che livelli possa arrivare quando si sente privata delle attenzioni che vuole ottenere. Non ha il controllo e questo la manda su tutte le furie, al punto da straparlare eccessivamente. E quando la sua ostinazione tocca un elemento che non avrebbe dovuto, la rabbia del Chesterfield si fa cieca e lo costringe a tirare su il volto per rivolgere all'altra espressioni dure, infastidite, pregne di un disgusto che non vorrebbe mai lasciarle vedere. 'Ok, puoi fare la stronza quanto ti pare, ma se pronunci di nuovo quel cognome ti cucio la bocca col fil di ferro.' Si tira in piedi, solo per raccattare le ultime foto sparse sul pavimento e riporle sul materasso, prima di rivolgerle più da vicino delle occhiate seriamente scocciate e diffidenti, come avesse davanti una persona qualsiasi. La frustrazione che lo soffoca è troppa per potersi permettere anche solo un briciolo di lucidità ed Helena non ha certamente migliorato le cose coi suoi commenti. 'Se non l'avessi capito, i miei non sono problemi da ragazzina che si risolvono scappando di casa per qualche ora.' E' anche inevitabile provare paura per ciò che lo aspetta. Dopo gli avvertimenti di Hubert ed i suoi uomini che gli stanno alle calcagna in attesa del prossimo passo falso, non può permettersi neanche la minima percentuale di errore in ogni suo impiego. Da quando ha incontrato la ragazzina, i suoi affari sono stati tutti una sequela di errori da cui Mason non è più stato in grado di riprendersi e di tutti, questo è certamente il peggiore, di proporzioni epiche, pericolosamente esagerato. La pressione che lo schiaccia non ha mai raggiunto livelli simili. 'Perché non vai da mamma e papà a farti dare un pò di attenzioni mentre io cerco di salvarmi il culo, mh?' Le volta le spalle, dirigendosi di nuovo verso il letto per rigettare lo sguardo nelle foto risistemateci sopra. Di nuovo assente nei riguardi dell'altra, alimenta senza accorgersene il suo astio e questo non può che portare ad un problema anche più grosso. 'Tanto ti sei già divertita a sufficienza, mi pare, quindi puoi anche andartene se ti dà così fastidio il mio lavoro.'


     
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    Strinse i denti dinanzi alla sua minaccia e neppure per un attimo si mostrò intimorita, sebbene una parte di sé, nel profondo, covasse ancora una sorta di timore nei suoi riguardi, e soprattutto verso quella vita che si ostinava a portare avanti.
    «Oh. Sto tremando.» Lo pungolò, pronta a non dargliela per vinta in nessun caso. Avrebbe combattuto a testa alta, anche da ferita. Era quello che faceva sempre. Non avrebbe chinato il capo dinanzi a nessuno. Nemmeno dinanzi a Mason.
    E sì, poteva capire il suo nervosismo ma non lo condivideva. Vederlo così preso da quello schifo, le stringeva lo stomaco in una morsa quasi mortale. Come faceva a fingere di stare bene in un ambiente come quello? Come poteva perseverare tanto in quel tipo di scelte, sforzandosi pure per risolvere una situazione da cui avrebbe potuto, per Helena, semplicemente tirarsi fuori? Lei non aveva scelta. Il suo destino era già scritto. Ma lui? Cazzo, era un idiota.
    «Io dico quello che voglio.» Continuò, indisponente, scuotendo il capo con stizza. E le sue parole, le sue accuse, non l'aiutarono a mandar via il nervosismo e la frustrazione. Così, quando quel colpo la ferì, non potè evitarsi una reazione.
    «Vaffanculo.» Lo spinse. Sul volto il segno del disappunto.
    «Ero la sola a divertirmi, no?» Aggiunse poco dopo, ancor più inviperita dalle sue parole. Non avrebbe potuto fare a meno di sputargli contro il suo veleno a quel punto. Contenersi non aveva senso, né sarebbe stato in grado di farlo.
    Ricercò il suo sguardo, frapponendosi ancora tra lui e le foto, con un fare forse un po' infantile per quanto insistente. «Perchè sei qui se avevi del lavoro da fare che è più importante del resto? Volevi rilassarti Gli chiese piegando il capo e mostrandogli un sorriso falso, lasciando che la sua allusione fosse ben comprensibile. «Sei patetico, lo sai? Ti credi tanto forte, tanto figo e invece te la fai addosso perchè non sai opporti a qualcuno che ti tratta di merda.» Avanzò verso di lui, tirandosi sulle punte dei piedi coperte dai calzini per guardarlo dritto negli occhi. «Cos'è? Un disperato tentativo di attirare la sua attenzione? Di ricevere una sua gratificazione? E poi chi è il bambino tra i due? »
     
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    Pessima idea quella di sfidare una ragazza come lei. Evitare certi confronti, in qualsiasi circostanza, sarebbe la soluzione migliore per togliere di mezzo qualunque impaccio e garantire ad entrambi una convivenza serena. Certo è che a differenza di molti altri affari di minore entità e facili, per questo, da mettere da parte, il Chesterfield è costretto stavolta a fare i conti con qualcosa di così grave da non poter abbassare la guardia neanche per un secondo. In questo preciso istante, non riescono ad incontrarsi. Il frutto della differenza abissale tra le realtà che gli tocca vivere si avverte con un peso non indifferente nel momento in cui ad uno dei due tocca fare i conti con i propri problemi. L'incomprensione è dopotutto la causa principale di ogni disagio ed il fatto che anche loro ne siano vittime non genera stupore, quanto piuttosto vaga apprensione nei riguardi di una relazione che non dovrebbe sfociare in attenzioni di tale portata. E' questo il campanello d'allarme che risuona nella mente del Chesterfield, che cerca di porsi come se davanti avesse una ragazza qualsiasi, così come entrambi hanno cercato di preventivare in vista di qualunque problema potesse affacciarsi all'orizzonte. Hanno la prova a quanto pare che tra il dire qualcosa e farla davvero c'è un abisso di sentimenti umani costantemente pronti a prendere il sopravvento. 'Che razza di immatura.' Ribatte alle sue parole, sapendo bene di star calcando eccessivamente la mano, ma non premurandosi di porsi alcun limite nemmeno in presenza di lei, che non riesce comunque a porre sullo stesso livello di chiunque altro. Forse a ferirlo e a farlo incazzare anche di più è proprio questo: le ha dato fiducia, tradendo se stesso e mancando alle parole di Hubert e lei sta dando dimostrazione di non aver meritato il suo cedimento. Fa male avere a che fare con certe consapevolezze. Fa anche più male rendersi conto di essersi cacciato proprio nei guai da cui era stato messo in guardia. Il senso di fallimento si fa sempre più prepotente. 'Sicuro, non l'avevi capito? Avevo solo bisogno di svuotarmi le palle e gradirei adesso che non stessi qui a rompere il cazzo e mi lasciassi badare ai miei problemi.' Incassata la spinta dell'altra, non manca di istigarla ancora di più a reazioni che andranno certamente peggiorando. Non può fare a meno, colto dall'ansia e dalla pressione che lo stanno soffocando incredibilmente, di sfogare la propria frustrazione sparando a zero su ciò che prima gli capita. E sfortunatamente la vittima, l'unica persona presente in stanza, è proprio Helena. Non riesce a non darle mentalmente ragione: avrebbe dovuto evitare di incontrarla, mettere a tacere il proprio ambiguo e rischioso desiderio di vederla per badare ai propri importanti affari. Darle buca avrebbe comunque fatto meno male della discussione accesa di cui sono protagonisti adesso. E' questo che si ripete, perlomeno, mentre lascia che l'altra gli sbraiti contro alimentando l'astio eccessivo di Mason. 'Sono io ad essere patetico? Non tu che dai di matto perché non sei al centro dell'attenzione per cinque minuti piuttosto che provare a metterti nei miei panni? Cazzo, sei veramente una bambina, non manchi mai di dimostrarlo.' Scuote il capo con aria scocciata, riservandole sguardi misti di durezza e di cinismo, di ironica rabbia che gli curva le labbra in sorrisi falsi, fatti di rancore ed ostilità. 'Parli, parli, parli, come se sapessi tutto di me e della mia fottuta vita solo perché ti ho raccontato di aver visto i miei genitori e mio fratello sgozzati davanti ai miei occhi. Ma tu non sai un cazzo, Helena, ficcatelo in quella testolina che ti ritrovi.' Punta il dito sulla fronte dell'altra, senza alcun intento violento, guidato però dalla stizza che non riesce più a trattenere nei confronti dell'altra. Solo perché si sente profondamente ferito dal suo atteggiamento. 'Io rispetto le persone che lo meritano, non sputo su tutti i sacrifici che sono stati fatti per crescermi quando la vita ha scelto di mettermi alle strette.' E ribadire il concetto d'immaturità che non smette di leggere oltre l'atteggiamento eccessivamente scontroso di lei è solo un modo per appigliarsi a qualcosa che non rischi di superare limiti anche peggiori. Seppur quasi completamente in balia di una perdita di controllo, riesce fino ad ora a trattenersi dal ferirla nel peggiore dei modi. 'Non tutti sono dei bambinetti ingrati come te, lasciatelo dire da chi non è cresciuto con gli abbracci di mamma e papà.' Si chiede però quanto una persona orribile e patetica come lui possa ancora resistere.


     
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    Quando sentì l'altro pronunciare quelle parole, le montò su una rabbia indescrivibile. Sentì il volto andare in fiamme mentre, senza nemmeno pensarci, il palmo aperto si dirigeva senza remore contro la guancia dell'altro.
    «Vattene a fanculo.» Lo disse con furia cieca, con gli occhi lucidi e i denti stretti. Si sentì come quella volta in Accademia. Si sentì esattamente come si sentiva per tutti: una stronza qualunque. Mason però aveva il malaugurato potere di incidere ancor di più sul suo umore e sulla sua autostima. Sentirgli pronunciare quelle parole, la fece sentire una stupida. La ragazzina ingenua che aveva promesso a se stessa, in modo fallimentare, di non farsi prendere in giro da un ragazzo come lui. Ed invece...
    Si allontanò stizzita, afferrando velocemente i suoi vestiti per indossarli alla cieca. La volpe, attirata dall'umore nero della sua compagna umana, mugolava guardandola.
    «Quello qui tra i due che non sa niente dell'altro, fidati, sei tu.» Continuò mentre indossava anche gli stivali. Non voleva passare un minuto in più lì con lui dopo quel che si erano detti. Non aveva più senso.
    Lo aveva scelto perchè le era sembrato di poter smettere di pensare a tutto quel che l'opprimeva quando stava con lui, ma chiaramente non era più così. Non avrebbe potuto lasciare che qualcuno le facesse male. «Fai schifo come tutti gli altri.» Gli sputò contro il suo veleno, afferrando la volpa che tenne sotto braccio. L'animaletto faceva scorrere il suo sguardo su entrambi, piangendo. Helena però, era troppo impegnata a sfogare la propria frustrazione contro Mason che l'aveva ferita.
    «Vai a leccare il culo a chi preferirebbe vederti morto.» Continuò a parlare nel tentativo di colpirlo lì dove sapeva avrebbe potuto far male. Perchè era esattamente quello che voleva, che l'altro soffrisse quanto lei. Era l'unico modo che conosceva per sfogare il proprio dolore e per trovare una sorta di ristoro.
    «Io tempo con uno stronzo patetico come te non lo perdo più che sia anche solo per svuotarti le palle E sebbene furiosa, pronunciò quelle parole con un tono di voce appena un po' indeciso, tremulo. Non azzardò ad aggiungere null'altro. Decisa a rispettare le sue parole, con la piccola Pinky sotto braccio, si catapultò fuori da quella stanza senza il giubbino, quello stesso che aveva rubato al ragazzo e deciso di far suo a Londra.
    Fuori, sotto la neve ed il vento freddo che s'alzava ad ogni minuto, prese a camminare senza meta. Non sarebbe tornata a casa, lì dove sarebbe stata anche peggio.
    Avrebbe trovato un altro posto in cui sentirsi al sicuro, in cui sentirsi bene. Sentiva però di aver appena lasciato l'unico posto in grado di farla sentire a quel modo.
     
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    Incassa lo schiaffo dell'altra senza battere ciglio, immobile anche in presenza del conseguente pizzicore che gli intorpidisce la guancia. Non si piega davanti a nessuno e con la medesima naturalezza non riesce a farlo neanche dinnanzi a lei. Non riesce a cedere, ad abbassare la cresta, a giocare d'umiltà per una volta, dove forse ce ne sarebbe più bisogno. Le circostanze prendono una piega atroce, in cui l'unica via d'uscita si riflette nell'attaccare l'altro con quanto più veleno possibile. Si tratta di soffrire insieme, di infliggersi a vicenda la stessa dose di dolore per poter zittire almeno in parte il proprio. Un impiego sprecato che non li porta ad altro che ad infervorarsi maggiormente, ad ogni secondo che passa. Non batte ciglio, ma non si sente comunque impassibile come vuole dimostrare di fronte alle parole dell'altra. Le sue constatazioni, il suo paragonarlo ad uno stronzo come tutti gli altri, lo feriscono in un certo senso. Opinioni condivise da qualunque altro essere umano che abbia avuto a che fare con lui e che per tal motivo fanno anche più male, perché pronunciate da lei, l'unica che sembrava riuscire a convivere con tutto il caos di cui è pregna la sua vita. Un'illusione per cui gli tocca pagare le conseguenze, ascoltando a capo sollevato e mascella serrata ciascuna delle parole pronunciate dall'altra. E' il caos totale. Assiste alla disfatta di quella ragazzina avvertendo uno strano fastidio alla bocca dello stomaco, accentuato dai versi innocenti della volpe colta dall'agitazione della padrona. Uno spettacolo che stuzzica la propria preoccupazione e che ha il potere di farlo sentire infimo, misero, a livelli talmente bassi da non credere di poter toccare il fondo a causa di una bambina. E' tutto sbagliato. 'Dove cazzo vai?' Sovrasta le sue parole con una domanda che gli preme porle, nel vederla rivestirsi e prendere tra le braccia il cucciolo di volpe. 'Helena!' A preoccuparlo maggiormente, però, è il constatare che sia andata via senza coprirsi adeguatamente. Nonostante il dolore inaspettato ed inusuale e la rabbia che gli è montata dentro, gli riesce impossibile non avanzare certe premure nei confronti dell'altra. Ed è umiliante e destabilizzante essere vittima di sentimenti del genere, specie dopo essersi promesso di mantenersi alla larga da sensazioni di questo tipo. 'Fanculo.'

    Si è rivestito in fretta pur di raggiungerla prima che fosse troppo tardi. Conscio dell'ulteriore perdita di tempo negli affari di cui dovrebbe occuparsi, non si sofferma minimamente a pensare alla propria salvaguardia sapendo che l'altra sia fuori a rischiare la morte per ibernazione. Una prospettiva esageratamente tragica che si ripete nella sua mente nel tentativo di istigarlo a non mollare la presa, a non avere alcun ripensamento neanche per un secondo. E le è alle calcagna, accelerando il passo ogni istante di più e cercando di richiamarla da dietro, constatando l'altra, cocciuta com'è, non abbia la minima intenzione di tornare sui propri passi, né di voltarsi per chiarire le cose. Non se ne stupisce per niente. Si rende necessario proprio per questo motivo raggiungerla in modo tale da rendere la distanza tra loro minima, afferrandola per un polso e costringendola a fermarsi, finalmente, e concedergli un pò di ascolto. Ci spera davvero, mentre la fronteggia tenendo ben salda la presa. 'Fossi in te metterei l'orgoglio da parte ed eviterei l'ipotermia. Metti la giacca.' Un ordine che tenta di imporle con fermezza, poggiandole prepotentemente la giacca sulle spalle ancor prima che l'altra possa ribellarsi. Ci prova, finché può, ad evitare il peggio per lei, per i suoi nervi e per il suo fisico. Non solo per le prospettive tetre che le sono state diagnosticate, quanto per l'assurda paura di vederla stare male che cova dentro di sé. Affrontarla mettendo le cose in chiaro, evitando di sputarle in faccia altre cattiverie che non giovano a nessuno dei due, sembra l'unica soluzione plausibile per ritornare ad un equilibrio più o meno stabile. 'Avanti, parla. Qual è il problema? E' quello che faccio?' Indagare su ciò che l'altra prova e sul perché abbia reagito a quel modo potrebbe essere un buon punto d'incontro per entrambi. Pressa appena con più intenzione le dita attorno al suo polso. Lo sguardo intenso e rabbioso si getta in quello dell'altra senza alcun velo di timore. Ha bisogno di sapere, di capire. 'E' quello che sono?' Ed ha bisogno, se necessario, di metterla in guardia prima che sia troppo tardi. 'Perché se il problema sono io, puoi andare. Non sei obbligata ad avere a che fare con me.'


     
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    Batteva i denti, avanzando tra la neve crescente. Niente però avrebbe potuto fermarla. Se Mason non avesse bloccato la sua corsa trattenendole il polso, Helena avrebbe continuato a camminare senza alcuna meta. Era fatta così. Quando si metteva in testa qualcosa era difficile farle cambiare idea, e la necessità di scappare a volte diventava impellente.
    Lo strattonò cercando di liberarsi dalla sua presa e di andarsene lontano, molto lontano da lui. Mason però la precedette, mostrandole quel tipo di premura che, in un momento come quello, poteva essere deleterio. Non si liberò però del giubbotto sulle spalle, troppo infreddolita per abbandonare quel supporto.
    «Mi hai rapito. Te lo sei dimenticato? So perfettamente cosa sei e quello che fai.» Sputò ancora acido contro il ragazzo senza alcuna remora. Perchè avrebbe dovuto averne dopotutto? Lui non si era fatto scrupoli a ferirla, che era esattamente il motivo per cui avrebbe voluto, o anzi dovuto, non avere niente a che fare con un ragazzo così. Mason era pericoloso e non per la vita che conduceva, quanto per l'immotivato peso che riusciva ad avere nell'esistenza della ragazza. La Haugen si era convinta di poter gestire il peso delle emozioni che l'altro era in grado di provocarle, ma più andavano avanti, più si rendeva conto di quanto fosse impossibile farlo.
    Si era illusa. Era stata solo quel che era: un'ingenua bambina.
    Strinse i denti sul labbro tremulo, puntando lo sguardo lucido e rabbioso in quello del ragazzo che aveva dinanzi. Avrebbe voluto raccontargli una qualsiasi bugia per toglierselo davanti, per uscire vincitrice da quella storia, ma non ci riusci. La verità salì spontanea sulle sue labbra.
    «Sei l'unico con cui riesco a parlare o a non farlo ma a stare bene comunque Gli disse, il tono appena scosso dall'incidenza di un'emotività eccessiva che la faceva sentire una stupida. «Se ti fai ammazzare a me non resta nessuno.» Aveva la sua famiglia, Daphne, Link ma con loro si sentiva sola. Non era riuscita ad aprirsi realmente con nessuno di loro. Mason era l'unica in grado di farla sentire esattamente normale pur conoscendo per intero la sua storia.
    Ed il timore che la sua vita pericolosa, lo conducesse ad un bivio troppo distante dall'esistenza della Haugen, la avviliva. Era quello il motivo che l'aveva portata ad esplodere e che, anche ora, la spingeva a farlo.
    Così, quando senza poter fermarsi le lacrime cominciarono a bagnarle il volto, non potè fare a meno di reagire con la violenza a quella debolezza. Lo spinse urlando la sua furia.
    «Ti odio. Lasciami in pace.» Odiava che un ragazzo fosse in grado di farla sentire a quel modo. Lei era Helena Haugen. Non poteva permettere che ciò accadesse. «Torna a Londra. Fatti ammazzare, o fai quello che ti pare. Io però non voglio più vederti.» Urlò ancora. Il volto rosso ed il fiato corto, spezzato.
     
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    E' andato tutto in fumo. I loro progetti, i loro tentativi di rimanere indifferenti l'uno all'altra se non per particolari minimi e meramente volti alla condivisione di momenti di pace, di estraneazione dai propri problemi, sono miseramente falliti. Ed il peso di tale fallimento li sta inesorabilmente schiacciando, incrinando la voce di lei che si appresta a confessioni che fanno paura al Chesterfield, mai toccato da parole così vere, sincere, gentili rivolte nei suoi confronti. Una novità per cui chiunque gioirebbe, che invece scatena il panico nel suo animo malconcio ed inadatto a certi tipi di sentimenti. Certo, è ciò che è andato raccontandosi una vita, che l'amore, l'affetto, le attenzioni in ogni loro forma non fossero adatte a lui, perché sarebbe stato come tentare di infilare una forma rotonda dentro uno spazio quadrato. Innaturale dedicarsi alla propria umanità, perché convinto fermamente di non averne una. Helena ha fatto in modo di far emergere quelle parti di sé assopite da così tanto tempo da non ricordare neanche esistessero. Ed è un male, perché fare i conti con le proprie debolezze sembra quasi come iniziare una partita con la consapevolezza di uscirne sconfitti. In fondo, è ciò che sta succedendo ad entrambi: si sono sconfitti a vicenda e non esistono vincitori nella loro storia. 'Cazzo, ma fai sul serio?' Tentativo vano, il suo, di allontanare l'altra dalle convinzioni che pare aver avanzato nei suoi confronti. Ci spera fino all'ultimo secondo, che la sua sia un'esagerazione, una botta di testa, una frase tirata fuori impulsivamente ma che non reca con sé alcun accenno di intenzionalità reale, di quella pericolosa profondità da cui entrambi dovrebbero tenersi alla larga. Quando le lacrime le bagnano il volto però tutto si fa chiaro, cristallino, e la sua sincerità viene messa a nudo, posta dritta tra le mani di Mason che non sa che farsene, che avverte tutto il peso di un'impotenza che non ha mai patito fino a tal punto in vita sua. Non doveva andare così. 'Ti scongiuro, non piangere...' Una supplica sussurrata che non ha tempo di raggiungere l'altra, già in preda a limiti di non sopportazione che la costringono a scagliarsi contro di lui, per l'ennesima volta. Incassa la spinta con meno calma rispetto agli attimi precedenti, respingendola con altrettanta durezza nell'esternazione della frustrazione provata per troppi elementi tutti in una volta: il disastro del capanno, le confessioni di Helena, i continui attacchi che sta subendo da parte sua, le sue lacrime. Un insieme di visioni e consapevolezze che lo turbano, costringendolo ad indurire più del dovuto il proprio volto e a sbraitare contro di lei usando la medesima furia che gli è stata riservata. Al limite della propria pazienza, non riesce a comportarsi diversamente. 'Smettila di colpirmi e smettila di fare la bambina!' Gli fa male urlare con astio e quel tono aspro un appellativo che le ha sempre riservato con tono ironico, scherzoso, leggero, in alcuni casi persino intimo, ma davanti a quell'atteggiamento apparentemente capriccioso con cui lei continua a mascherare il proprio modo di essere ed i propri sentimenti, non riesce a parlarle diversamente. Si è dimostrato comprensivo, stranamente gentile nei suoi confronti, ma Mason resta comunque il pezzo di merda che tutti conoscono ed Helena, in fondo, lo sa più che bene. Sospira pesantemente, cercando di darsi un contegno, di recuperare la calma, sperando ardentemente che anche lei riesca a placare la propria furia violenta e trovare un punto d'incontro. E' chiaro, ancora ora, che sia l'unica strada possibile per potersi lasciare senza il rammarico di tutto il veleno sputatosi addosso. Perché si, forse la soluzione migliore per entrambi è che le loro strade si dividano una volta per tutte. Peccato sia più semplice ipotizzarlo che trasformare in realtà i propri propositi. 'Che ne è del nostro patto? Eravamo stati chiari, era il nostro modo per proteggerci e adesso?' Lo sguardo vagamente lucido del Chesterfield continua imperterrito a tuffarsi negli occhi tristi della Haugen, ricolmi di quella devastazione che continua a scorrere imperterrita sulle sue guance. 'Che cazzo stiamo facendo?' Disperato il tono di voce che si affaccia oltre il suo sguardo stanco, frustrato, immerso in un volto piegato di rammarico e preoccupazione. Di paura sotto tanti fronti e punti di vista. Scuote il capo debolmente, sospirando ancora nella completa incapacità di pensare con razionalità alla soluzione da adottare. Vorrebbe abbandonarsi a quella premura, all'importanza che lei ha scelto di affibbiargli, a tutto ciò che di stravolgente la sua presenza ha scelto di donargli per la prima volta nella vita... Ma sente di non poterlo fare. Perché metterebbe in pericolo, ancor prima che se stesso, lei. Perché amare o provare qualunque cosa di affine, significherebbe scavare la tomba ad un'anima innocente e Mason non può permetterlo. Se si venisse a scoprire di lei, del suo punto debole, cercherebbero di strappargliela via e non è il destino che le spetta. Non è nel terrore che deve passare il resto della sua vita, indipendentemente da quanto esteso sia o meno. Non è giusto. 'Qualunque cosa ti stia succedendo, devi fartela passare. Per il tuo bene, non per il mio, non sto facendo il moralista del cazzo, ok? E' così. Devi credermi.' Una pretesa eccessiva, che certamente non la aiuterà a capire. Lui stesso continua a non capire le dinamiche di tutto quel disastro e degli avvertimenti ad esso legati. 'Lo sai che sono un poco di buono e che la mia vita è un casino. E' come se ci fossi nato in questo ambiente, Helena, perché non riesci a capirlo?' Sospira ancora, rimuginando sulla propria natura, sulle imposizioni di cui è vittima da sempre. Sullo schifo che lo riguarda e che lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni. 'Se ci resto dentro rischio di morire, ma se me ne tiro fuori sono morto comunque. Non ho scelta.' Lei stessa sa cosa significhi non poter scegliere, seppur la situazione sia diversa. I miei punti interrogativi sono quasi una salvezza in confronto alle oscure certezze che le hanno cucito addosso. Per certi versi, però, entrambi non possono godere della libertà che meriterebbero, rinchiusi in una gabbia da cui non gli sarà mai concesso uscire. 'Ma non voglio che tu ci stia così male, non è giusto... Non doveva andare così. Non dovevo trascinare persino te in questo cazzo di casino. Non dovevo distruggere...' L'unica cosa bella che gli sia mai capitata. 'Hai ragione. Non dobbiamo più vederci.' Dice infine, sforzandosi estremamente per non mostrare neanche una minima punta dell'incertezza che il pronunciare quella proposta necessaria ma indesiderata gli scatena. Va contro se stesso, va contro il proprio benessere ed il proprio desiderio di stare bene, ma in fondo ci è abituato. 'Deve finire qui e adesso, stavolta sul serio, Helena.' E' da tutta la vita che zittisce i propri desideri per accondiscendere agli ordini altrui. 'Perché se continuiamo a vederci ti distruggerò.' E forse non ha davvero potuto evitare che accadesse fino ad ora.


     
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    Si chiedeva come era potuta essere così stupida. Sì era ripromessa di non cadere in un errore così grande e deleterio ed invece ci era saltata dentro a piedi uniti. Si era illusa di poter controllare Mason ed i suoi sentimenti, ed ora invece si ritrovava faccia a faccia con la realtà. E a farla sentire così furiosa, ferita, non era soltanto l'apprendere di non essere stata abbastanza forte, quanto l'incapacità di cogliere con uno stato d'animo leggero la consapevolezza che di lì a breve tutto sarebbe cambiato. Quel loro che le aveva donato tanta pace in un periodo così atroce, sarebbe morto.
    Ed era assurdo, pensò, come tutto ciò che la riguardava fosse destinata a quella sorte. Divertente, tutto sommato.
    «Non lo so.» Risponde confusa alle domande di Mason, provando ad asciugarsi le lacrime mentre stringeva a sé una pigolante Pinky, sempre più affranta dalla situazione venutasi a creare. Doveva essere davvero un animale empatico.
    «Non lo so ti ho detto!» Urlò infastidita poco dopo all'ennesima domanda del ragazzo. La colpa era soltanto sua, lo sapeva. Aveva dato troppo ad un ragazzo che non poteva darle niente. Cosa pensava, sul serio di poter riscattarsi? Una come lei non la meritava la felicità o anche solo la serenità. Helena Haugen era cattiva, una vipera, e dalla vita meritava solo il peggio.
    Le parole di Mason non resero più semplice quell'esperienza. Helena si sentì profondamente ferita da ognuna di quelle frasi, ed era perfettamente visibile sul suo volto. Le sembrava di aver subito il peggiore dei torti e non si era mai sentita così. Svuotata. Debole.
    Si costrinse a non piangere ancora sebbene forse le sarebbe servito farlo.
    Strinse i denti sul labbro inferiore fino a farsi uscire il sangue. Solo quando le sembrò di aver raggiunto un vago autocontrollo, si costrinse a parlare.
    «Vorrei non averti mai conosciuto.» Ed in parte era vero. A quel punto sarebbe stato tutto più semplice. Lei avrebbe continuato a fare del suo meglio nel rovinare lee vite altrui per non pensare alla propria, e tutto sarebbe stato perfetto.
    Ora però quella rovinata sarebbe stata lei. Sì sarebbe ritrovata di nuovo sola ed ora più che mai né avrebbe sentito il peso.
    «Avrei dovuto denunciarti fin da subito. » Aggiunse allontanandosi di qualche passo pronta per andare via. Aveva bisogno di sfogare tutta la propria rabbia. Era davvero al limite.
    «Fottiti.» Non aggiunse altro. Sì liberò della giacca scrollando le spalle e corse via.
     
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