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Privata

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    Durmstrang cominciava a starle stretta per più di un paio di ragioni. Non era soltanto perchè sentiva di non avere nessuno a cui affidarsi – nemmeno Link che sembrava essersi momentaneamente volatilizzata – ma perchè aveva una costante asfissiante paura. Nonostante la spavalderia provata ai vari controlli e dinanzi alle varie visite a cui si era rifiutata di sottostare, il timore che un nuovo attacco la mettesse ko lì, dove avrebbe mostrato a tutti le sue debolezze e dove non avrebbe trovato nessuno a cui aggrapparsi, la terrorizzava. In momenti come quelli le mancava persino Mason.
    Le lezioni erano state dure e difficili. Una punizione inferta all'intera classe, li aveva tenuti in aula a combattersi per ore ed Helena ne era uscita distrutta. Sentiva che qualcosa non andava e per la paura di scoppiare, aveva cercato un posto isolato dove poter stare male ma da sola. La foresta le era sembrata la scelta più giusta, e quando il peggio era arrivato, l'aveva tramortita fino a farle perdere i sensi.
    Era stata stupida ed incosciente, lo sapeva ed ora, nel bel mezzo della notte, si ritrovava sola, debole ed infreddolita tra gli alberi alti di quella foresta.
    Aveva persino provato ad urlare, incapace di tirarsi in piedi e con le ultime forze che aveva, sbattendo i denti, aveva evocato un flebile patronus. La volpe argentea, saltellando avrebbe raggiunto la prima persona che le era balzata alla mente.

    Si diceva che forse sarebbe morta lì, lontana da tutto e tutti, e che se lo sarebbe meritato. Pensava ad Otis e ai suoi genitori e a quanto avrebbero sofferto, nonostante lei fosse stata terribile nei loro riguardi soprattutto nell'ultimo periodo.
    Poi però, sentì dei passi, e per quanto le costasse, provò a rimettersi dritta aggrappandosi all'albero contro cui si era sistemata. Tremante fissò la figura del ragazzo, asciugandosi il sangue che le macchiava il volto. «So che mi odi, ma non sapevo chi altri chiamare.» Gli confessò ad occhi appena lucidi. Chiedere aiuto a qualcuno, a lui che le aveva mostrato quanto poco l'avesse gradita ultimamente, non era semplice. Chiedere aiuto a Press però, sarebbe stato anche peggio. «Puoi... Puoi darmi una mano a tornare al castello?» Gli chiese con un tono flebile e sommesso. «Per favore E chiunque avrebbe potuto immaginare, quanto difficile fosse stato per la Haugen pronunciare parole simili.
     
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    Gli imperativi di Durmstrang gli stavano scomodi, gli eccessi educativi mettevano a dura prova le sue risoluzioni a cercare il perseguimento di quel percorso d'istruzione inseguendo, ristretti, picchi d'eccellenza la cui prospettiva appariva sempre troppo lontana nel distacco tra la sua morale e quello che effettivamente veniva gli veniva insegnato.
    Eppure restava l'unica linea di divisione tra il mantenere viva un briciolo di speranza e abbandonarsi invece all'inerzia, se quella scuola gli stava stretta, altrettanto si poteva dire della realtà in cui viveva fuori da quelle mura.
    La pace mentale un'illusione, apparentemente destinata a venire logorata in ogni aspetto della sua vita. Quello sociale se possibile divisa in due opposti, ricolma di piccole salvezze quanto di drammatiche devastazioni che a discapito di quanto cercasse di fingersi troppo freddo perché facessero presa in lui, o continuasse imperterrito nella sua routine forzatamente priva di distrazioni, finivano con il rimanergli appiccicate addosso. Piantate come un coltello tra i suoi organi, interazioni fallimentari di cui sentiva la colpa ricadere su di sé anche a distanza di mesi e a cui non riservava grandi tentativi di dissuasione dal senso di malinconia che gli mettevano addosso, che senso avrebbe avuto? Anche lui concordava con il dito che sentiva di avere puntato addosso, spesso un po' troppo materialmente.
    Colpe involontarie, ma anche troppo intersecamene nate dal suo modo di essere da non avere scelta se non accettarne il peso. Sopratutto nella sua incapacità di assoluzione, ostinatamente convinto delle sue ragioni e con una manciata di scelte rimaste invariate nella loro definitezza, non credeva di avere gli strumenti per rimediare a certi fatti.
    Cercare di evitarli, sopratutto nella loro forma più fisica fatta di musi arcigni e occhiali da sole a forma di cuore, era il massimo a cui era arrivato come palliativo di una soluzione.
    Un compito che non sempre si rivelava facile o fattibile, la costanza con cui la Haugen tentava di apparirgli davanti era drasticamente diminuita ma quei disastrosi casi in cui così non era stato erano stati difficili da digerire.
    Una cosa che accomunava quelle situazioni però era come neanche una volta potesse dire la sua presenza fosse stata richiesta direttamente dalla ragazza, a differenza di quella notte.
    Il patronus che si era ritrovato davanti a disturbare un sonno già troppo flebile di suo per non venire spezzato con facilità dall'irrequietezza con cui la candida volpe si muoveva, ci aveva messo un attimo a ricollegarne la forma a un viso, e a quel punto anche dopo qualche istante di esitazione nel timore fosse uno scherzo, una qualche fregatura preludio di una vendetta, l'aveva seguito.

    Il clima di Durmstrang sapeva essere punitivo quanto ogni altro suo aspetto in quel periodo. Una constatazione a cui fu costretto velocemente una volta messo piede fuori dalle mura e dai corridoi percorsi con l'angoscia di una punizione a strattonare la sua ansia.
    Non che fosse l'unica cosa a dargliene.
    Non aveva timore della foresta della tenuta, a discapito di quanto saggio potesse essere ci passava ore tra la ricerca di solitudine e posti dove nascondere bottini di sostanze che gli avrebbero garantito problemi peggiori che una cruciatus se scoperti tra le sue mani, ma non lo rendeva esattamente tranquillo venirci trascinato a quell'ora da qualcuno che per quanto ne sapeva probabilmente passava il suo tempo a desiderare gli scoppiasse la testa.
    Timori estremamente infondati quelli alla fine, ne ebbe la conferma con quello che si ritrovò davanti una volta raggiunto il posto in cui la piccola volpe l'aveva portato.
    'Cos'è successo?' Grondante di allarme la sua voce, come prevedibile ritrovandosi davanti qualcuno nello stato in cui riversava Helena. Le cui parole gli apparivano superflue al momento, troppo lontane dal vero punto della situazione perché potessero catturare a pieno la sua attenzione. Trovava strano avesse chiamato lui? Forse, in realtà non esageratamente visto quanto inutili sapessero rivelarsi i loro compagni, ma gli appariva irrilevante interrogarsi sui dettagli di quella scelta.
    'Cosa- No che non ti odio, di cosa stai parlando?' Scosse il capo in una negazione sbrigativa, avvicinandosi di qualche passo ed esitando in un principio di un intento di toccarla con le mani a mezz'aria, nel dubbio se fosse il caso o se le avrebbe dato fastidio.
    Era sincero sul suo non odiarla, era stato arrabbiato con lei, in più di un'occasione e con svariate intensità, ma era un sentimento che tendeva a spegnersi una volta passato il momento, soffocato da un più duraturo dispiacere.
    'Ti ha picchiato qualcuno?' Forse poco delicato come interrogativo nell'implicito insinuare pensasse fosse un rischio che correva, a sua discolpa gli sembrava una realtà facile di cui cadere vittima in quel posto, anche ignorando quanto affilato fosse il carattere altrui.
    'Ovviamente.' Un mugugno a fronte corrucciata quello con cui confermò il suo aiuto, tentando di ignorare la fitta di malessere che provò al pensiero non fosse scontato agli occhi altrui che l'avrebbe fatto. Tentennò in un momento di nervosismo su cosa fare, finendo per obbligarsi ad andare per gradi, sfilandosi la felpa che si era infilato alla rinfusa sopra la maglia del pigiama per offrirgliela con un 'Prendi.' appena accennato tra le labbra.




     
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    Fu grata di vederlo arrivare. Un po' meno lo fu di sentirgli pronunciare quella domanda, chiaramente aspettata. Non gli avrebbe risposto. Non avrebbe potuto farlo. Non in quel momento. E dopotutto cosa avrebbe potuto dirgli? Che aveva una malattia che la stava consumando dall'interno? Non si sentiva ancora pronta a condividerlo. Lo sapevano già troppe persone per i suoi gusti.
    Optò quindi per rispondere al suo seguente quesito. «Oh andiamo.» Rise appena scuotendo il capo, sebbene le sue condizioni la facessero sembrare più rallentata del solito. Lo era ed odiava sentirsi a quel modo. «Pensi davvero qualcuno possa picchiarmi? Me?» Gli chiese autoindicandosi, lasciando presupporre con quelle parole quanto fosse stata assurda la sua ipotesi. Era però un'idiozia. Non era vero che nessuno poteva toccarla. Era solo che faceva finta non le importasse.
    Fu sorpresa dal suo gesto, quanto di vederlo lì. Eppure non potette rifiutare la sua felpa. La indossò velocemente, sentendosi subito vagamente meglio.
    «Grazie Riuscì a dirgli, non potendo fare a meno di sentirsi ancor più ignobile nei suoi riguardi. Averlo di nuovo dinanzi, dopo tutto quel che era successo ed il modo orrendo in cui Helena si era comportata, la faceva sentire ignobile. Davvero male.
    «Quelli come te mi fanno sentire un mostro.» Gli disse quindi, aggrappandosi al suo braccio per poter sostenersi alla meglio. «Ho sempre tirato fuori il peggio di me e tu sei comunque gentile. Avresti potuto ignorarmi.» Scosse il capo, lasciandosi scappare una risatina dal sapore amore.
    «Non so proprio come fai.»
     
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