Motives

Helena

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    Lo lasciò fare, aspettando di capire come avrebbe agito al suo obbligo. Non si stupì poi molto nel constatare la meta scelta da Mason per soddisfare il proprio pegno, e non si mostrò sconvolta. Fu innegabile l'effetto che le provocò il contatto ma provò a non mostrargli alcun segno di cedimento.
    Non voleva che lui capisse, più di quanto non avesse già fatto, di avere potere su di lei. Voleva avere la possibilità di fingere di avere il controllo. Almeno in parte. Con Mason però, si sentiva quasi sempre come in balia delle onde. Avere controllo le sembrava impossibile.
    «Non mi aspettavo niente di diverso da questo.» Commentò cinica e con un mezzo sorriso la frase di Mason. Un altro modo di combatterlo, di non dargliela per vinta. Il loro rapporto dopotutto, si basava proprio su quella continua lotta per la supremazia, oltre che sul desiderio di colmare i propri vuoti, abbracciando quelli dell'altro. Erano un casino da separati, ed ancora peggio lo erano da vicini. Eppure sembravano funzionare meglio di qualunque altra coppia potesse essere stata formata prima da Helena. E questo la elettrizzava.
    Ponderò il suo obbligo, prima di scuotere il capo. Capiva benissimo dove ognuno avrebbe spinto per arrivare e non si sarebbe opposta alla fine. Avrebbe solo fatto in modo di rendere le cose più interessanti. Non voleva annoiarsi, e le piaceva l'idea di non essere mai scontata agli occhi degli altri.
    Fu quello il motivo per cui, si ritrovò a scuotere il capo in forma di diniego alle sue parole.
    «Non credo lo farò.» Non lo avrebbe fatto. Avrebbe pagato pegno, ma non avrebbe dato alcuna soddisfazione all'altro. Non subito almeno.
    Quando toccó a lei decidere della sorte del Chesterfield, non si mostrò timorosa.
    Afferrò la sua mano senza aprir bocca. Con lo sguardo fortemente incollato al suo, poggiò la sua mano tra i loro corpi, guidandola senza sosta seppur con fare lentamente estenuante, fin dentro i suoi pantaloni, lasciandosi scappare nel sentire le dita fredde di lui contro il suo basso ventre. A volte nemmeno si rendeva conto della pericolosità dei giochi che metteva in atto e di quanto continuamente si ritrovasse a camminare sul filo del rasoio. Seppur fingeva d'essere grande, di avere il controllo, ogni suo gesto era mosso da quell'ingenuitá tutta adolescenziale, che le spingeva a credere che non le sarebbe mai capitato nulla di male. Che le faceva credere di avere sul serio il controllo ed in realtà si lasciava trasportare dalle sensazioni e dai sentimenti con una tale facilità che non si rendeva nemmeno conto di quanto a largo veniva spinta dalle sue azioni. E Mason, che trascinava con sé, sembrava non avere alcun appiglio per fermarli. Insieme erano probabilmente destinati ad un caotico percorso.
    «Tocca a te. Verità.»

     
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    I loro modi di essere sono fatti di azzardi, di rischi implicati in ciascuna delle parole che pronunciano o si sussurrano l'un l'altro, dei gesti lenti e maliziosi che si scambiano, delle occhiate intense con cui comunicano il più delle volte. Le loro parole sono quasi superflue, un contorno dai tratti irritanti con cui fingere malamente di poter controllare l'infinità di sensazioni che i loro corpi così vicini provano irrimediabilmente. Di tutte le sensazioni eccitanti provate al fianco di qualunque altra ragazza, quelle scatenate dall'atteggiamento di Helena si vestono di colori nuovi, di prospettive mai considerate in precedenza sempre più piacevoli all'esplorazione. Attendere e lasciarsi attendere al contempo è una novità per cui vale la pena battersi insieme alla Haugen. Inarca le sopracciglia stupito dalla direzione presa dall'altra; il suo diniego cancella ogni cliché ed ogni sicurezza fino ad ora montata sulla ragazza, lasciando che Mason si tuffi ancora in acque inesplorate, in lati di lei e della sua maliziosità che dimostrano forza e tenacia, in quella continua sete di potere e supremazia che prende forme sempre diverse. Si lascia guidare la mano da lei, nella risoluzione di quell'obbligo taciuto di cui riceve spiegazione solo attraverso l'avventata intenzionalità delle sue dita che lo guidano. Mantiene viva ogni traccia di lucidità ai suoi occhi, vantando un'indifferenza che non gli appartiene del tutto. Sussulta appena il suo corpo una volta giunto a destinazione, ma permane nella tranquillità e nella pacatezza di chi non sia stato sottoposto a niente di realmente sconvolgente. Si interroga, per un attimo, sulla natura che spinge l'altra ad agire sotto certe vesti. E' una cosa che fa da sempre o è la manifestazione di un trattamento riservato solo a lui, in seguito alle novità verso cui l'ha spinta con esclusività? Represso il leggero fastidio all'idea che lei possa essere abituata a muoversi così con qualunque altro ragazzo, conscio di non avere alcun diritto di prendersela realmente, le lancia uno sguardo furbo, quasi molesto, umettando evidentemente le labbra prima di risponderle. 'Attenta a giocare con il fuoco, non sai mai quando potresti scottarti.' Un avvertimento che va oltre le dinamiche da loro seguite sino ad ora. Un tentativo, forse, di affermarsi con saldezza in una posizione che non ha intenzione di condividere con nessun altro, alla stregua di un atteggiamento che non vorrebbe l'altra assumesse ancora col primo che capita. Nella sfortuna, è stata piuttosto fortunata, graziata da Mason per tutto il controllo che le lascia avere, ma non tutti riescono a crearsi gli stessi scrupoli. Lui stesso in altre circostanze non avrebbe avuto remore ad annientarla dopo aver consumato di lei tutta l'innocenza con cui si approcciava a lui nonostante tutto. Non sopporta l'idea che qualcun altro possa approfittarsene, un pò come quell'individuo viscido nella notte di Capodanno. E' certo di non volerla più sapere in situazioni affini a quella e nel blando tentativo di porre l'attenzione sull'eccessiva sfrontatezza che lui nonostante tutto apprezza, la mette in guardia dalle insidie di un mondo che non è fatto per le seconde possibilità. Col volto vicino al suo, sfiorando la sua guancia con la punta del naso e puntando gli occhi dritti nei suoi, sospira profondamente, intensamente, pensando alla prossima mossa da proporle. Nella sua richiesta di spostare l'attenzione sulle parole e non più sui fatti, stuzzica ancora i suoi nervi nel miglior modo che gli riesce: rivolgendole quesiti irritanti e superbi. 'Sei ancora incazzata?' Esercita una pressione leggera con le dita, stuzzicando la sua intimità con la sicurezza che ha sempre dimostrato anche in quel genere di contesto. Non è nuovo a certi gesti e permettere all'altra di provare anche certi aspetti della loro estrema confidenza è interessante, ma stando alle regole del gioco ed al proprio desiderio di rivalsa, c'è ancora qualcosa che le tocca fare e per cui non ha intenzione di tirarsi indietro. Quindi solleva la mano libera per indirizzarla sul volto dell'altra, carezzando le sue labbra col pollice e sussurrando contro di esse parole prive di qualunque innocenza. 'Devi pagare pegno.' Un tono che non ammette repliche, mentre seguendo l'esempio di Helena afferra la sua mano e percorrendo la stessa strada da lei intrapresa, slacciata in fretta la cintura, la spinge sotto il tessuto della propria biancheria intima, alla ricerca di quella fremente intimità a cui dedicarsi all'unisono col suo tocco irregolare ma costantemente intenso. Nella pesantezza del suo fiato mozzato dagli sforzi appena eccessivi considerate le condizioni, sporto il capo oltre quello di lei, sussurra al suo orecchio la propria presa di posizione. 'Fanculo il gioco, bimba.'


     
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    «Non preoccuparti per me. Nel fuoco ci sono nata.» Continuare a combattere contro il carattere dell'altro, era una delle poche certezze che possedeva. L'unico modo che Helena sentiva di avere per non farsi totalmente abbattere dal potere persuasivo di Mason. Eppure, sotto quel tocco che lei stessa aveva ricercato, restare rigida e forte le sembrò impossibile. Sospirò contro il suo mento il modo in cui la faceva sentire, mentre puntava lo sguardo nel suo quando le pose la sua domanda.
    «Tu che dici?» Non era arrabbiata. Non più. E forse non avrebbe dovuto esserlo da principio visto il patto fatto da entrambi per salvaguardarsi. Eppure le era bastato averlo accanto per dimenticare ogni cosa. Ogni motivo che aveva alimentato la sua ira, ed ogni buon proposito.
    Assecondò i suoi gesti, lasciando che Mason guidasse la sua mano verso lidi simili a cui era approdata la mano del ragazzo. Lo imitò, adeguandosi al ritmo da lui imposto, mentre gli bisbigliava poche parole.
    «Non può finire sempre così.» Eppure non riuscì a fermarsi. Si sentì persa sotto il suo tocco, inebriata dalle sensazioni che era in grado di provocarle ogni centimetro di quel corpo contro cui cercava di sostare poco a causa dei lividi che coloravano la sua pelle. Presa dall'enfasi, si scagliò contro il suo volto, catturando il suo labbro inferiore ad occhi chiusi, nascondendo in un bacio famelico i gemiti che Mason riusciva a strapparle. E mentre faceva del suo meglio per adeguarsi a quello standard, troppo impegnata a stimolare la pazienza ed i limiti di Mason nello stesso modo in cui lui faceva con lei, un rumore la ridestò.
    «Cazzo.» Scattò a sedere, liberandosi della presa di Mason e mettendo brutalmente fine a quell'oasi di pace quasi raggiunta. Ed ebbe appena il tempo di rimettersi in piedi e di allontanarsi dal ragazzo mezzo nudo e con ancora i suoi occhiali tra i capelli, quando vide i suoi genitori fare capolinea sull'uscio della propria stanza.
    «Mamma. Papà.» Provò a sistemarsi i vestiti ed i capelli, ma sentiva che il peggio doveva ancora arrivare.

    Le parole urlate nel soggiorno, sarebbero state perfettamente udibili anche nell'altra stanza. In quel momento però, troppo presa dalla lite in cui era stata coinvolta, non si preoccupò di abbassare il tono. Sua madre aveva cominciato a blaterare idiozie su Mason e su quanto chiaramente dovesse essere un malfattore visto il modo in cui era conciato. Suo padre aveva minacciato di denunciarlo vista l'evidente differenze d'età. E non erano state quelle parole ad urtarla, quanto i continui limiti che i suoi genitori sembravano imporle soprattutto da quando avevano scoperto della sua malattia. Le dicevano cosa fare, come sentirsi, chi frequentare ed era stanca. Esasperata. Lei voleva essere libera. «VAFFANCULO. Decido io della mia vita! Smettetela di starmi addosso. Mi fate sentire già morta.» Lo urlò ad occhi lucidi prima di precipitarsi di nuovo nella propria stanza e sbattere la porta alle proprie spalle. Girò la chiave nella toppa, restando con le spalle contro la superficie di legno a tentare di placare il respiro. Sapeva che se fosse rimasta lì, probabilmente sarebbe esplosa e non voleva.
    «Devo andare via. Vieni?» Gli chiese mentre indossava velocemente qualcosa di adatto al rigido clima esterno, prima di aprire le finestre da cui si sarebbe calata.
     
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    'Perché no?' Rischiare al fianco dell'altra è sempre stato fin troppo semplice, un richiamo irresistibile a cui cedere ogni volta che la loro empatia prende il controllo delle loro parole, dei loro gesti, delle loro intenzioni. Avere una partner in questo genere di comprensione è come respirare una boccata d'aria fresca, immergersi in un mare di compiacimento che inebria ogni suo senso. Una soddisfazione che va ben oltre l'appagamento fisico di cui entrambi sembrano non riuscire più a fare a meno, incastrata tra le parole che si scambiano al pari della foga crescente che quel contatto reciproco gli tira fuori dalle labbra tra un sospiro e l'altro. Se di tutti i rischi a cui il loro passatempo preferito li espone quello sentimentale è stato più volte messo a tacere, il contatto con l'esterno rappresenta un nemico pericoloso, qualcosa con cui non hanno dovuto fare i conti fino ad ora, nel momento in cui la loro intimità è stata colta con le mani nel sacco. Non da sconosciuti qualunque, bensì dai genitori di lei. Inutile provare a rivestirsi, tentare di rendere meno palese ciò che è appena successo riabbottonando i pantaloni; gli sguardi delusi, imbarazzati e furiosi dei coniugi hanno già inesorabilmente raggiunto entrambi. Così adesso, seduto sul letto con la cintura e la maglietta strette in una mano, gli tocca stare ad ascoltare l'accesa discussione degli Haugen dall'altra stanza. Giudizi quelli dei suoi genitori che non hanno niente di nuovo rispetto alla comune visione che chiunque propone di lui e che per tal motivo gli scivolano addosso più di quanto non sembri fare ad Helena. Tuttavia la consapevolezza di rappresentare una presenza potenzialmente tossica per la ragazza gli piomba in testa con insistenza, annullando ogni traccia di benessere e spensieratezza che riesce a provare solo al fianco dell'altra. È difficile fare i conti col peso dei propri pensieri ed è anche peggiore quando assordanti congetture che ne confermano la veridicità piombano all'improvviso per scombussolare ogni equilibrio faticosamente raggiunto. A preoccuparlo maggiormente adesso è comunque il tono della ragazza, sempre più acceso e prorompente, ai limiti di un'esasperazione che non le fa bene. La prova lampante giunge nell'immediato quando una volta tornata in stanza, sul suo volto si dipingono pericolosi scenari di devastazione, mentre i suoi sospiri a fiato corto urlano un malessere che ha già vagamente scorto in passato e da cui ha intenzione di liberarla, non tirandosi indietro dinnanzi alla sua richiesta. 'Si, andiamo.'

    È stato più faticoso del previsto allontanarsi dall'abitazione, ancora reduce di dolori e fastidi che l'hanno visibilmente rallentato. Rimanere in quella casa o lasciarla scappare da sola, però, sarebbe stato indice di una strafottenza che non riesce a dedicare all'altra. Di abbandonarla non se la sarebbe sentita per niente. Avvistata quindi una panchina come un'oasi di ristoro in pieno deserto, fa cenno ad Helena di avvicinarsi per riposare un pò. Silenti per tutto il tragitto, sembra aleggiare tra loro uno strano senso di imbarazzo misto ad una preoccupazione reciproca che si rivolgono per l'uno o per l'altro motivo. Ma è sempre la sfrontatezza del Chesterfield a prevalere su qualunque altra sensazione e per questo una volta recuperato il fiato, tra un soffio di dolore e l'altro, si volta verso la ragazza per accertarsi che il pericolo imminente sia stato scampato. 'Stai bene?' Un quesito applicabile al suo stato fisico come anche allo stato d'animo causato dalla discussione precedente. Probabilmente si aspetta una risposta positiva per il primo che non per il secondo. 'Qualcosa mi dice che per un pò mi conviene stare lontano da quella casa.' Un tentativo vagamente superficiale di smorzare la tensione ed alleggerire l'atmosfera, mentre recupera una sigaretta che accende tra le labbra ed un'altra da porgere all'altra. 'Dai, prendi.'


     
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    Era rimasta accanto a Mason, qualora avesse avuto bisogno del suo aiuto viste le condizioni in cui era. Eppure era tanta la voglia di scappare, correre ed urlare. Non riuscì a fare nessuna di quelle tre cose. Rimase a camminargli di fianco, a capo chino ed il più delle volte ad occhi chiusi, nascondendo le mani tremanti dentro le ampie tasche della giacca che aveva rubato tempo prima al ragazzo. Aveva paura di perdere la pazienza ed il provare timore per la sua condizione, non l'aiutava a stare meglio. Finiva in un circolo vizioso pericoloso che la opprimeva, togliendole la possibilità di guarigione. Ed i suoi genitori non l'aiutavano per niente. A volte si chiedeva se a loro non facesse comodo averla in quello stato. Avrebbero potuto fare di lei quel che voleva. Forse sì, preferivano quell'Helena malata alla ragazza vivace e ribelle che era sempre stata.
    Assecondò Mason, lasciandosi andare a sedere su quella panchina gelida. Si strinse nel suo cappotto, puntando lo sguardo dinanzi sé.
    «Sì.» La risposta fu secca e priva di fronzoli. Non voleva parlare di sé e delle sue condizioni. Non voleva avere intorno persone che sembravano interessate più all'involucro esterno che a quello che realmente provava. Non voleva pensarci e basta. In questo Mason avrebbe potuto darle una mano, nonostante tutto. Le sensazioni che le faceva provare, la allontanavano dalla cupezza di pensieri che tentava costantemente di tirar fuori dalla propria testa. E ci riusciva senza troppa fatica. Forse era anche questo il motivo per cui continuamente ricercava la sua presenza. Sapeva che non c'era cura al suo male, ma lui sembrava esserlo in parte.
    «Fanculo. Tanto non ci sono mai. E quando tornano rompono.» Sbottò infastidita, scuotendo il capo. Non voleva che lui si tirasse fuori dalla sua vita solo perchè a deciderlo erano stati i suoi genitori. Lo voleva con sé. «E poi cazzo, grande tempismo, eh.» Aggiunse, ridendo amaramente.
    Senza stare a pensarci troppo, appena un po' più libera della tensione provata fino a quel momento e per quello stanca, si distese su quella panchina, poggiando la testa sulle cosce del ragazzo. Strinse il suo mento giocando con fare infantile, prima di lasciarlo andare pur restando su di lui. «Tu stai bene?» Gli chiese preoccupata per lui. Era venuto da lei per un aiuto e non era stata capace di offrirgli nemmeno quello. Doveva essere davvero una brutta persona.
    Avrebbe voluto proporgli di scambiarsi i ruoli. Di distendersi su di lei mentre Helena si prendeva cura di lui ma un verso stridulo, le tolse le parole. L'attimo dopo sentì un nuovo verso, e voltando il capo di scatto, non potè fare a meno di chiedersi da dove venisse quel suono.
    «L'hai sentito?»
     
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    I tentativi di Helena di mettere a tacere i propri bisogni e nascondere i sentimenti sotto un tappeto d'orgoglio alimentano quella preoccupazione nascente a cui il Chesterfield non è abituato. Sa bene che sarebbe un errore per entrambi scavare a fondo sulle ragioni del loro malessere, ma c'è quell'assurda sensazione di fastidio che si mette in mezzo ogni volta che vede l'altra soffrire, in un modo o nell'altro, che scatena sempre una lotta interiore contro parti di se stesso che non avrebbe mai creduto esistessero. Solleva appena le spalle nel sentirla parlare aspramente dei suoi genitori, una consuetudine delle cui dinamiche non riesce a comprendere ancora abbastanza. Come potrebbe capire cosa si nasconda dietro una famiglia unita come sembra quella degli Haugen? Nei repentini e reciproci tentativi di smorzare la tensione, si ritrova a ridere sommessamente alla battuta sul loro tempismo. Senza peli sulla lingua, riportare ciò che di peggio sarebbe potuto capitare gli sembra un buon modo per risollevare l'animo dell'altra o anche solo per imbarazzarla al punto da lasciar passare in secondo piano la rabbia ed il rancore che infuocano rischiosamente il suo umore. 'Pensa se fossero entrati trenta secondi dopo. Sarebbe stato anche peggio.' Le lascia un pizzico leggero sul braccio, distendendo la schiena quando la vede poggiarsi sulle sue cosce per permetterle di stare comoda. Resta sempre colpito dal suo atteggiamento così leggero, vivace e privo di timori, al punto che nonostante le parti appena indolenzite sotto il peso del suo capo, la lascia fare, passando distrattamente le dita tra alcune ciocche dei suoi capelli in maniera quasi impercettibile. 'Alla grande!' Risponde alla sua domanda soffocando nel medesimo modo il proprio stato di malessere fisico, come anche quel vago fastidio che prova a livello morale, destinato a scemare con l'arrivo di un'atmosfera più calma anche da parte di lei. Punta quindi lo sguardo sul suo, inarcando un sopracciglio e facendole dono di quell'insieme di espressioni poco serie e di smorfie sfrontate che non riesce a fare a meno di rivolgerle. 'Non c'è niente che possa spezzarmi, bimba.' Uno sguardo ammiccante, prima di afferrarle il mento con due dita così come lei stessa ha fatto poco prima e stringere delicatamente, con la sola intenzione di vestirsi della presunzione necessaria per non permettere a quel momento di cadere nuovamente nello sconforto. E se anche ce ne fosse stata la possibilità, un nuovo elemento improvviso pare essere arrivato per ridestare entrambi da quelle considerazioni. Allo stridulo verso che si ode non poi così lontano, Mason volta il capo verso quella che potrebbe esserne la probabile fonte. 'Si.' E più trascorrono i secondi, più quel misterioso lamento sembra rompere il silenzio della zona circostante. Lascia sollevarsi con delicatezza Helena dalle sue gambe, per poi tirarsi in piedi e, tra un mugolio sofferente e l'altro, avanzare di qualche passo. 'Aspetta qui.' Puro e sincero istinto di protezione nell'eventualità ci sia qualcosa di potenzialmente pericoloso che potrebbe ferirla. Non ha intenzione di lasciare che la giornata degeneri completamente ed in generale non permetterà più a niente e nessuno di farle male in alcun modo. Compresa la fonte di quei versi striduli, vi si avvicina lentamente, allentando notevolmente la tensione nel momento in cui, sportosi oltre un cespuglio pieno di rovi, intravede sembianze, colori ed una coda piccola e morbida che non hanno decisamente niente di spaventoso. 'Uh, vieni un pò a vedere.' Invita Helena a raggiungerlo, cercando di capire come quell'innocua bestiola si sia incastrata tra i pungenti rovi di quel cespuglio. 'Sembra incastrata.' Conclude infine, cercando di sollevare con le dita nude alcuni degli ispidi rami che la bloccano. Un diffindo potrebbe essere la soluzione, ma il rischio di colpire la creatura, tanto è piccola, potrebbe essere fin troppo alto.


     
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    «Trenta secondi dopo sarebbe stato tutto finito.» Lo canzonò, colpendolo lì dove ogni uomo avrebbe sofferto nel vano tentativo di difendere la propria esagerata orgogliosa virilità. Ovviamente non credeva nemmeno lei a quelle parole, viste le ultime esperienze avute con lui, ma punzecchiarlo era divertente. La divertiva. Le faceva sentire che quel rapporto era davvero privo di limiti e si sentiva libera di poter essere chiunque volesse, ed, in modo ancor più rivoluzionario, sentiva di poter essere con lui semplicemente se stessa. Dopotutto, prima o poi non si sarebbero più visti. La voglia di cercarsi, di spogliarsi, di aversi sarebbe passato e quel che avevano, qualunque cosa fosse, sarebbe sparito. Poteva dirgli qualunque cosa con quel presupposto. Fare qualsiasi cosa.
    «Oh beh, se ne sei sicuro.» Fece spallucce, poco convinta dalle sue parole. Da che si conoscevano, non erano state poche le volte in cui lo aveva visto ammaccato. Ricordava perfettamente il braccio ingessato, il labbro che lei stessa gli aveva spaccato e probabilmente non avrebbe dimenticato il suo busto ricoperto di lividi e tagli.
    Lo seguì quando lo vide muoversi, pur restare dietro di lui. Quando si fermò e sentì di nuovo quel verso anomalo, quasi sobbalzò, ma quando Mason la invitò ad avvicinarsi e si ritrovò dinanzi quel batuffolo peloso, parte del timore provato si sciolse.
    Provò ad aiutare il ragazzo a liberare quel piccolo cucciolo, e prima che potesse anche solo riuscire a prenderlo, il piccoletto si fiondò sulle sue gambe, cercando calore contro il suo ventre.
    «Ehi.» Non era abituata ad atti di genuina tenerezza e quel gesto la irrigidì all'inizio. Durò poco. Poi, incuriosita dal pelosetto, lo afferrò tra le mani e lo tirò su a mezz'aria per poter osservarlo meglio.
    «Ommiodio. Cosa sei?» Piegò appena il capo nel guardarlo. E sarebbe stato inutile negarlo, quanto quel musetto l'avesse già ammaliata.
    «Cos'è? Un cane? Una volpe?» Chiese a Mason, prima di tirarsi in piedi e prendere a guardarsi intorno. «Dovremmo cercare la madre. Si sarà perso. O persa.» Fece appena un paio di passi. Quando, poco lontano, video il corpo esanime di una volpe adulta, si voltò di scatto, quasi a voler evitare quella visione al piccolo che aveva tra le braccia. «Cazzo. Cazzo.» E senza nemmeno rendersene conto gli occhi le erano diventati lucidi. Coprì la piccola volpe con la sua giacca, guardando Mason in cerca di aiuto. «Cosa... cosa facciamo?»
     
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    È un sollievo constatare quanto semplice sia stato liberare la creatura dalle grinfie di quei rami spinosi che avrebbero potuto rischiare di ferirla. Ancora più interessante è osservare la dinamica della sua libertà, che la spinge ad affidarsi dritta alle cure di Helena e, con grande probabilità, al calore del suo corpo. Una scena dai tratti teneri, tenui e delicati, una carezza premurosa su uno sfondo dal clima rigido. Qualcosa per cui Mason necessita di uno sforzo in più per non cedere al sorriso che la visione della ragazza in piena fase di osservazione gli provoca. 'Uh. A quanto pare tra cuccioli ci si intende.' Un'ironia che scivola fuori dalle sue labbra con la leggerezza di una piuma che si posa delicata sulla consapevolezza altrui. Un semplice rimarcamento di un concetto ben chiaro nella sua mente, solito riferirle ormai con abitudinario atteggiamento che sta bene ad entrambi. In fondo al cospetto di tutto il resto, agli occhi del Chesterfield, Helena ed il cucciolo che regge tra le mani sembrano minuscoli, così piccoli ed indifesi da mettere in agitazione il suo inusuale senso di preoccupazione. Convivere con tale effetto, che solo Helena riesce a tirare fuori, a volte è dura. D'altronde si tratta dei rischi di quella relazione così inusuale quanto eccitante. 'Un cane? Ma dai.' Sebbene in fondo ci siano esemplari di cani molto simili alle volpi, quella coda, la pelliccia, il suo colore, il muso e tanti altri elementi sospetti la inseriscono secondo Mason nella seconda categoria menzionata dalla ragazza. Ed è curioso poter stare ad osservare così da vicino una volpe, soprattutto di dimensioni così ridotte da far intenerire il cuore di chiunque... O, perlomeno, chiunque abbia un animo buono così come Helena dimostra. 'Dev'essere nei paraggi, immagino...' Una supposizione posta in risposta al suo quesito stroncata nell'esatto momento in cui gli occhi di entrambi si posano su quella che sembra essere la carcassa di una volpe adulta. Una spiegazione cruda ma palese alla situazione, evidentemente dura da accettare per l'altra, colta da un anomalo dispiacere che le incupisce il volto e rende lucido il suo sguardo. 'Ehi... Tranquilla, non è niente.' Avanza il proprio conforto in una breve frazione di tempo, passando la mano sul suo braccio per trasmetterle un senso di protezione che spera la aiuti a tranquillizzarla, prima di tornare serio in volto nel tentativo di permettere all'altra di farsi forza e lasciare alle spalle quella visione che pare averla turbata eccessivamente. 'Chiaramente non è al sicuro qui. Dovremmo liberarla da qualche altra parte.' Avanza la sua ipotesi dopo qualche attimo di rimuginamento. È la soluzione più logica, indolore e probabilmente eticamente corretta da fare... Eppure non appare la migliore ai suoi occhi, intenti ad osservare il turbamento dell'altra e la preoccupazione sincera con cui tiene stretto a sè l'esserino microscopico. D'altro canto, anche quello sembra trovarsi piuttosto a proprio agio sotto la giacca di lei, tenuto con cura dalle sue dita attente e premurose. Sembrano davvero avere una sorta di sintonia che pizzica la curiosità del Chesterfield, permettendo ad una nuova opzione di balenare nella sua mente, magari persino capace di smuovere l'altra ad un'approvazione più convinta e libera dal rimpianto almeno per un pò. 'Ascolta, avevo intenzione di prenotare una stanza in qualche locanda per dormire stanotte. Potresti venire con me, la portiamo al caldo e domani decidiamo a mente lucida cosa fare.' Una soluzione che la vede lontana da casa, che la distragga dai problemi emersi nell'ultima ora, che la tranquillizzi nei confronti della piccola volpe da cui sembra essere tanto colpita e che permette al contempo a Mason di godere della sua presenza ancora per un pò. Comunque vadano le cose, non gli dispiace la prospettiva di una notte passata insieme all'altra nonostante tutto, anche se solo per prendersi cura di un cucciolo di volpe. Ed è un pensiero strano per lui da metabolizzare, eppure estremamente sincero. 'Ci stai?'


     
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    Strinse a sé il piccolo animaletto, cercando di confortarlo qualora ne avesse avuto bisogno. Probabilmente però era lei ad essere quella più scossa. Il tocco di Mason riuscì a calmarla, almeno in parte ma quella figura le restò impressa in mente. E non era nemmeno l'idea di aver visto un essere vivente, ora morto. Era proprio l'idea della morte a spaventarla. Le stringeva lo stomaco, le bloccava il respiro, la faceva sentire inerme dinanzi ad un destino che stava soltanto rimandando fingendo di aver accettato, ma di cui in realtà aveva una fottuta paura.
    «Okay.» Annuì alla sua proposta. A quel punto le sembrò l'unica cosa da fare. Cercare riparo, costruirsi un nuovo rifugio perchè non si sentiva al sicuro e Mason era davvero l'unica persona di cui potesse fidarsi in un momento come quello.

    Si lasciò andare su quel letto dopo aver sistemato la volpe a caldo nella sua giacca. Sembrava apprezzare molto il calore donato da quell'indumento ed Helena non voleva privargliene. Si liberò delle scarpe, accomodandosi in modo scomposto al centro del letto.
    «Che bettola.» Non era poi così male a dire il vero. Certo non aveva nulla a che fare con la stanza eccessivamente rosa in cui erano stati fino a qualche ora prima, ma era lontano dai suoi genitori, al caldo, e per qualche ragione, le infondeva sicurezza.
    Rimase a fissare il soffitto per qualche attimo, torturandosi il labbro inferiore. Poi così, dal nulla, si lasciò scappare un pensiero che non aveva smesso di torturarle la mente da quanto quel piccolo batuffolo peloso le era saltato in braccio. «Che sfiga che le è toccata.» Cominciò, piegando appena il capo per poter guardare Mason.
    «Come si supera una perdita così? Cioè cazzo, è sola al mondo ora.» E solo a quel punto, dopo aver pronunciato quelle parole, ricordò come in un flash, le parole che il ragazzo le aveva urlato contro quella volta a Londra. Quella mezza rivelazione sulla sua famiglia e sull'ingente perdita che lo aveva visto orfano e cresciuto da un uomo che non aveva remore a spingere un ragazzo in un ambiente pericoloso come quello in cui costantemente Mason si muoveva.
    Strinse le labbra, scuotendo debolmente il capo. «Scusami, io non...» Non era un granchè brava con le scuse ed in quel momento si sentì una stupida. Le capitava di dire le cose sbagliate, ma di solito non le importava. Con il Chesterfield però non avrebbe potuto mostrarsi disinteressata. Non dopo tutto quello che stava facendo per lei.
    Temporeggiò qualche attimo. E lo sapeva che il modo migliore di andare avanti con quella conversazione, sarebbe stato quello di cambiare discorso eppure non ci riuscì.
    «Come... com'è successo?»
     
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    'Il castello delle principesse era già al completo, ti tocca accontentarti.' Ribatte al commento semi-disinteressato dell'altra, più intenta a trovare un modo per spezzare il ghiaccio che a commentare con reale cinismo la stanza in cui hanno appena fatto il loro ingresso. Non è il massimo del lusso considerata la rapida ricerca dell'ultimo minuto, ma è abbastanza comodo da risultare confortevole, seppur rustico e probabilmente lontano dagli ambienti a cui Helena è abituata. Il calore che li avvolge è però un'ottima motivazione per rimanervi e sembra essere d'accordo anche il cucciolo di volpe che non accenna minimamente a sgattaiolare via da quella giacca. Toglie la giacca e le scarpe per mettersi comodo, ma resta per un pò in piedi per studiare ogni dettaglio fondamentale della stanza ed assicurarsi che non si nascondano brutte sorprese in alcun angolo. Tuttavia sembra pulita, ordinata e ben fornita. Volta appena il capo verso Helena nel sentirla pronunciare quella dura constatazione sulla volpe e sul destino che le è toccato. Ricondurre l'esperienza dell'animale alla propria non è immediata, proprio per la necessaria capacità sviluppata nel tempo di mettere sempre a tacere ogni ricordo amaro del proprio passato, ma nel momento in cui lei stessa realizza di aver toccato dei tasti di cui conosce le sommità più cupe e dolorose, diventa impossibile non soffermarsi sulla pesantezza di un problema del genere. In cuor suo le risposte che le rivolgerebbe sarebbero una sequela di affermazioni su quanto dura sia e su come traumi del genere sei costretto a trascinarteli dietro praticamente per sempre, anche fingendo che non esistano o sforzandoti di convincerti di poterli mettere da parte senza lasciarti influenzare. Un modo come un altro per appigliarsi alla vita piuttosto che arrendersi alla consapevolezza che la propria grigia esistenza non ha più senso d'esistere se svuotata dell'essenziale. Per Mason il proprio piccolo nucleo familiare era quanto di più pieno potesse ricevere in dono dalla vita e soffre ancora di quella lotta con se stesso per rimembrarsi che piangere sul passato sia uno sputo in pieno al presente e a chi ne fa parte. Quindi sceglie di mostrarsi distaccato o si ostina, probabilmente, a credere che oltre i suoi occhi seri nessuna sfumatura di dolore sia anche solo vagamente percettibile. Una falsa convinzione cui si appiglia, mentre raggiunge l'altra sul letto per raccontarle di sé qualcosa che nessuno prima d'ora all'infuori di Hubert ha mai scoperto. 'Eravamo in quattro: i miei genitori, mio fratello maggiore ed io. Una famiglia per bene come un'altra, niente di rimarcabile, né di losco.' Introduce così il proprio discorso, facendo luce su diversi particolari che chiaramente all'altra non saranno passati inosservati e che la aiuteranno a capire anche di più sul suo conto, sulle sue parole, sulla sua durezza, sul suo atteggiamento schivo e diffidente. 'Un pomeriggio qualsiasi degli uomini si sono introdotti in casa nostra. Non so chi fossero e credo non lo sapessero neanche i miei, ma ti garantisco che sono certo non avessero alcun motivo per essere lì... Né per fare ciò che hanno fatto.' Spiegazioni che le rivolge quasi disinteressato, per allungare un brodo che sarebbe troppo bollente da riversare nel suo concentrato di sofferenza ed interrogativi che rendono il tutto anche più ingiusto. Un sospiro appesantito viene sbuffato oltre le labbra semi-aperte, tentennanti nell'atto di procedere, solo per qualche altro istante. Puntando lo sguardo altrove, rivelarle la propria realtà senza giri di parole sembra più semplice. 'Avevamo capito di essere in pericolo, io e mio fratello, ma lui è stato più coscienzioso... E più coraggioso.' Piccola la pausa, breve la deglutizione con cui cerca di mandar via il pesante groppo alla gola dell'ammissione pronta a venir fuori. 'Mi ha nascosto sotto il letto, per proteggermi. Ed io da lì ho visto tutto... Li ho visti morire. Tutti e tre, con i miei occhi.' E continua a vederli, nel rimembrare quel momento così atroce, in quello spettacolo rivoltante che nessun bambino dovrebbe vedere. Che nessun essere umano può sopportare. 'Ho visto il loro sangue, i loro corpi... immobili. Ho sentito le loro urla, ho visto... Ho visto un bambino di undici anni senza...' Senza vita. 'Io ne avevo sei.' Conclude così il proprio racconto, tirando un sospiro pesante mentre le dita si premono con insistenza contro le palpebre. Ha sempre tenuto questa storia per sé, come se pronunciare certe realtà potesse essere in grado di riportare a galla la nausea provata in quel momento. Invece è solo il perenne senso d'angoscia a cui solitamente non riesce a dare forma che si palesa come una conseguenza di un dolore che non si zittirà mai davvero, nonostante i tentativi di metterlo a tacere concentrandosi su tutt'altro. E come potrebbe, in fondo, alla luce di tutto l'amore ricevuto in quei sei anni di vita che gli è stato poi brutalmente strappato via senza ricordo alcuno? 'Mi ha trovato il mio capo. Lo considero come un padre perché chissà cosa mi sarebbe successo se fossi rimasto da solo in quella casa.' Un pò più leggero nell'animo, parlare di Hubert lo tiene al sicuro, alimentando la convinzione di star agendo nel migliore dei modi da allora, sebbene farlo non rispecchi praticamente mai la propria volontà ed i propri ideali. 'Mi ha accolto con sé, mi ha fatto godere della migliore istruzione possibile e non mi ha mai fatto mancare niente. Non posso non essergli riconoscente e per questo cerco di adeguarmi alle sue volontà, anche se questo significa mettere a tacere le mie.' Solleva le spalle, frugando nelle tasche alla ricerca del portafogli per tirarne fuori un documento che porge all'altra, aggiungendo un'ulteriore spiegazione di cui, in egual modo, non ha mai fatto parola con nessuno. 'Chesterfield è il suo cognome.' Punta il dito sul nominativo d'interesse impresso sul documento. Si presenta così per la prima volta ad Helena, facendole dono della parte più vera di sé. Del sincero Mason di cui nessuno conosce l'esistenza. 'Ufficialmente sono Mason Hollingsworth.'


     
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    Ascoltò il suo racconto senza proferire parola. Non c'era niente che potesse dire senza sembrare inopportuna, ed in definitiva l'unica cosa da fare in un momento come quello, era tacere ed offrirgli la propria attenzione. Dopotutto era stata lei a ricercare la profondità di una rivelazione simile, e sebbene stupita dall'aver trovato terreno fertile in Mason, non disse nulla. Si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo dinanzi alle verità più cruente. Non riusciva ad immaginare quanto spaventoso sarebbe potuto essere per un bambino vedersi portar via l'intera famiglia a quel modo e provò una sensazione tutta nuova per il ragazzo che aveva dinanzi. Non era solo compassione e dispiacere, ma anche il desiderio impellente di stringerlo, di fargli sentire che non era solo e che su di lei avrebbe potuto contare. Non lo fece. Restò a letto, a disegnare immaginari cerchi sul piumone sul quale era distesa. «Uhm. Mi spiace.» Fu tutto quel che riuscì a dirgli, voltando il capo per guardarlo. Avrebbe voluto essere diversa. Le sarebbe piaciuta essere priva dei suoi schemi mentali, essere a volte come suo fratello, spontanea da lasciare spiazzati, ma non ci riusciva. Era il timore del mondo a costringerla a quella chiusura.
    Rimuginò un po' in silenzio, prendendo a fissare il soffitto, prima di riuscire a porre all'altro una domanda. «Quali sono le tue volontà? Cioè... se potessi cambiare la tua vita, cosa faresti? Cosa cambieresti?» Immaginava di aver posto una domanda complicata. E a ben pensarci, a parte invertite, non avrebbe saputo bene come rispondere. Provò comunque a dare la sua versione. Mason le dava sempre la possibilità di mettersi in gioco, anche quando non glielo chiedeva espressamente. «Io... magari... Non lo so. Forse cambierei il mio modo di guardare gli altri. E magari smetterei anche di correre dietro alle cose che mi fanno male.» Chi avrebbe mai detto una cosa del genere di lei? Nessuno avrebbe mai potuto vedere la Haugen come una vittima, eppure era così che si era sentita per anni. Era quel malato meccanismo a muovere gran parte dei suoi eccessi. Persino la conoscenza con Mason, e tutto ciò che ne era derivato seppur mutato in una proficua collaborazione, era cominciato con il peggiore dei presupposti.
    Annuì, bloccata poi dall'intervento della piccola volpe che, forse stanca di restarsene da sola, l'aveva raggiunta mugugnando ed accoccolandosi contro il suo petto. «Ehi.» La accarezzò con uno spontaneo sorriso sul volto, prima di alzare il volto illuminato verso Mason. «Credo la chiamerò Pinky. Almeno avrò qualcuno a tenermi compagnia quando te ne sarai andato.»
     
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    Forse si aspettava una reazione diversa. Forse si era già preparato ad assistere ad uno stupore eccessivo, ad un dispiacere che avrebbe commosso l'altra a livelli che avrebbero scatenato inevitabilmente disagio in entrambi. Credeva già di aver assegnato alla serata sorti cupe, più grigie di quanto già le prerogative non avessero permesso. Le loro esistenze in fondo non sono altro che cumuli di oscurità e colori smorti che si mescolano insieme perfettamente, ma non sempre riescono a mutare la propria natura devastata ed asfissiante. Quella resta sempre in agguato, accentuandosi nei momenti di quotidianità ed assopendosi in parte solo nel tempo condiviso. Una consolazione non da poco, per certi versi. Un sollievo alla stregua di quello provato nel non essere vittima di nient'altro che di comprensione da parte della ragazzina, abbastanza forte da non cedere ad alcun movimento di troppo, né a parole azzardate che rischierebbero solo di innervosirlo. La sua vulnerabilità è completamente scoperta ed è fiero di potersi dire al sicuro nelle mani di Helena, tanto da non soffrire per le realtà rivelate. Certo in merito alla domanda successiva, nessuna risposta riesce a fuoriuscire dalla sua bocca, neanche dopo qualche attimo di sincera ponderazione. Ha già raccontato tanto di sé, più di quanto non abbia mai fatto, e si è liberato di un peso che fa un pò meno male se condiviso con l'altra, ma i timori sono ancora affacciati all'orizzonte e la necessità di preservarsi batte qualunque briciolo di umanità lei sia riuscita ad attirare da parte di Mason. Preferisce tacere ed ascoltare la sua risposta, sollevando appena le spalle dinnanzi alla sua rivelazione. Dovrebbe davvero smettere di cacciarsi nei guai ed inseguire qualunque elemento potenzialmente pericoloso e doloroso per lei. Tuttavia se l'avesse fatto, lui adesso non potrebbe godere della sua presenza e questa è già una prospettiva che si allontana dall'egoismo che li tiene ancora vicini e che non ha più la forza necessaria di accogliere come avrebbe fatto mesi prima. 'Ti basterebbe amarti un pò di più.' Pronuncia secco, con fare indifferente come avesse appena elargito un commento qualsiasi sul tempo o su una partita di Quidditch. Punta il volto verso il suo, inarcando un sopracciglio ed annuendo rassegnato ad una realtà che sembra un pò un cliché, ma che ha, in fondo, una buona componente di verità in sé. 'Si, lo so, sembra una frase del cazzo che scrivono sui tubetti di crema idratante, ma è così. Non avresti bisogno di correre dietro le cose che ti fanno stare male se imparassi a stare bene con te stessa.' Un consiglio spassionato che le dà, mentre si sistema alla bene e meglio per prepararsi alla notte. Toglie il maglione, mantenendo una maglietta che lascia scoperte le braccia tumefatte e violacee, ancora un pò indolenzite ma meno fastidiose rispetto a qualche ora prima. Continua, nel frattempo, a rivolgerle la propria opinione a riguardo. 'Credevo fossi un'amante del rischio o un'incosciente, ma c'è ben altro, adesso lo so.' Le confessa, non per psicanalizzarla, quanto per cercare di darle modo di adattarsi ad una nuova condizione che la aiuti a sentirsi meglio, con se stessa e con gli altri. Non tutto è perduto. Helena potrebbe avere ancora del tempo ed andare avanti credendo davvero di aver rimosso ogni possibilità di rimpianto lungo il suo cammino. 'Hai davanti un esperto in fatto di odiare se stessi, bimba, ti assicuro che posso capire almeno in parte.' Tolta la cintura che rilascia sul comodino, slaccia i pantaloni solo per starsene più comodo, premurandosi comunque di non toglierli e di mantenere un certo rigore e rispetto per Helena, che ha solo bisogno di riposare in questo momento, senza cadere in giochini che potrebbero risultare persino superflui considerata la giornata appena passata. E' con queste intenzioni che si stende di nuovo al suo fianco, poggiando parte della schiena sui cuscini premuti contro la testiera, sospirando profondamente per il sollievo provato alla schiena. Nel frattempo la volpe si è fatta di nuovo avanti, alleggerendo ulteriormente il clima di quella stanza rustica ma sicura. Dinnanzi all'originalità - o scarsa originalità, dipende dai punti di vista - del nome che la ragazza ha scelto di affibbiare al cucciolo, uno sbuffo velatamente divertito si fa avanti automatico, in un divertimento spontaneo che la semplicità di lei per certi versi riesce a suscitare. 'Paragoni la mia compagnia alla sua? Starà con te ogni giorno, potrei quasi esserne geloso.' Le rivolge quella rivelazione fingendosi estremamente ironico, mentre nella sua mente si proiettano possibilità che in parte lo allettano. Sarebbe davvero bello poterla vedere ogni giorno? O è bello incontrarla proprio perché succede una volta ogni tanto? Non sa darsi una risposta e come potrebbe in fondo, immerso in una realtà completamente nuova? Non ha mai rivisto nessuna delle sue avventure di letto, né tanto meno ha passato il tempo a ricercare la compagnia di una vittima dei suoi affari loschi. Dare una forma a tutto quello ha dell'assurdo e per questo preferisce mettere a tacere ogni etichetta e godersi il periodo fino a quando non sarà finito per mano di qualunque cosa voglia frapporsi tra loro. Non si aspetta diversamente: tutte le cose belle finiscono. 'Bene, mi sono già esposto abbastanza per oggi, penso sia arrivato il momento di riposare.' Si sistema un pò più comodo sul materasso, fino al raggiungimento di un sollievo che annulli quasi del tutto i fastidiosi dolori che tempestano i suoi muscoli e la sua pelle violacea. 'Non fatemi agguati durante la notte o ve la faccio pagare.' Chiude gli occhi, esausto. Forse l'unica cosa plausibile da fare adesso è lasciarsi alle spalle le strane disavventure di questa giornata e sperare in tempi migliori. Per entrambi.


     
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