I don't miss u

Privata

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    Se ne resta lì a bere il latte con insolenza, ridendo interiormente delle parole che l'altra gli rivolge in merito al letto su cui ha dormito e al verso appena disgustato per il gesto da lui compiuto. Mettere su la maschera da prepotente spocchioso gli riesce semplice persino con lei, probabilmente perché è ben consapevole Helena sia capace di accettare persino quel tipo di ruolo che lui intraprende, permettendogli di lavorare sul proprio isolamento senza sentirsi in colpa per alcun motivo, né avvertire l'opprimente senso di soffocamento che l'essere qualcuno che generalmente la gente disprezza di solito gli provoca. Una volta soddisfatta la propria sete, ripulisce le labbra inumidite con la lingua, prima di passarvi sopra il dorso della mano e schioccare la lingua sul palato con soddisfazione. Solleva poi il dito medio in direzione dell'altra, inarcando il sopracciglio con fare molto poco accomodante dinnanzi a quella risposta che gli sta effettivamente un pò comoda. 'Bada bene che ieri ti è andata bene, potrei non essere così gentile da assecondarti ancora.' Un avvertimento che ha un che di vero sotto la sua superficie apatica e spocchiosa. E' conscio Mason di provare per l'altra sentimenti contrastanti che la pongono ben al di sopra di ogni altro rapporto più o meno intimo instaurato con altre ragazze o altre persone in genere. Ci sono però fattori che mettono tutto in serio pericolo, perché per quanta finzione ostenti tramite i suoi modi rozzi, volgari e palesemente menefreghisti, ci sono fondi di verità incorporati nel suo carattere che non può fare a meno di considerare. Di pazienza lui ne ha poca e se davvero l'altra ha intenzione di giocare da ragazzina che vuole avvalersi della nomina di avere un ragazzo più grande che le corre dietro per potersene vantare con le amiche, avrebbe decisamente preso una direzione che la manderebbe dritta contro un muro. Non ha ancora avuto modo di comprendere alla perfezione le sue intenzioni ed ora che si è esposto così tanto, si sente costantemente in pericolo. Mandare tutto all'aria per qualcuno che potrebbe rivelarsi esattamente come quelle bambine immature che ha sempre schivato sarebbe un duro colpo. Assecondarla con moderazione sembra essere la chiave per risolvere parte del problema. Annuisce alle sue parole, dunque, superando l'isola della cucina con calma piatta, lasciandole uno sguardo misto tra il distacco ed il velato interesse che le ha sempre rivolto, mollandola con un rozzo rutto una volta oltrepassata la porta per dirigersi verso il bagno. Cerca di scaricare tramite l'acqua calda quell'accumulo di stress e pensieri disorientanti che gli affollano la mente, concentrandosi sui benefici del tiepido vapore che scalda lo spazio non poi così stretto in cui si è chiuso. Sanno davvero trattarsi bene in quella famiglia e questo è un bene almeno per quanto riguarda il comfort di cui ha usufruito nelle ultime ore. Quanto al resto, è solo una casa come un'altra, roba di poco conto considerando il rapporto quasi nullo tra lui e la ragazza. Ne avverte la voce dopo parecchio tempo, costringendosi ad affacciarsi oltre il getto d'acqua per verificare di aver compreso bene ciò che Helena gli ha domandato. 'Pattinare?!' Urla per ricevere conferma della proposta avanzata, dedicandosi ad un sorriso divertito ed al contempo incuriosito che va perdendosi sotto l'acqua che gli scorre addosso. Non risponde ulteriormente, ponderando sulla proposta come su molti altri aspetti dello strano rapporto che si è venuto a creare tra i due. Perché nonostante i timori e la necessità di porre un limite alla possibilità di esporsi emotivamente troppo in sua presenza, sente di voler ancora avere a che fare con lei. Non sa dirsi se l'attrazione sia data da un bisogno fisico semplicemente più accentuato rispetto ad altre ragazze belle ma non capaci di incarnare i suoi ideali di perfezione o se si nasconda una nuova profondità che lo tiene ancorato a quella ragazzina destinata ad una realtà troppo dura da sopportare. Non sa neanche se sia l'empatia condivisa che lo attiri a tal punto. L'unica cosa che riesce a fare, ormai rilassatosi per merito della lunga doccia calda, è dirigersi verso la stanza dell'altra per poter comprendere meglio cosa si nasconda dietro le sue parole, leggermente incerto sui risvolti strani verso cui la giornata sembra essere sul punto di virare improvvisamente. Con un'asciugamano che continua a passare imperterrito sui capelli umidi ed un'altra a coprirlo sotto l'addome, si affaccia alla porta di quella che ha l'aria di essere un'esplosione incontrollata di rosa accecante. Passata la sorpresa iniziale, ricerca il suo volto, notandolo poi appena affacciato oltre le coperte del comodo, grande letto da lei nominato poco prima. 'Ma cos'è, la stanza delle barbie?' Commenta scettico, scuotendo il capo l'istante dopo per ribadire un concetto su cui gli preme indagare ulteriormente. 'Hai detto pattinare, mh?' Inarca un sopracciglio mentre poggia il fianco allo stipite della porta, a braccia incrociate, ricerca un contatto visivo con lei, probabilmente difficile da trovare ma che è ostinato a prendersi, come possibile, così da capirci qualcosa o illudersi di potervi riuscire. 'Quindi prima inviti il delinquente grande e cattivo a fare casino e poi te lo porti a pattinare sul lago fuori casa?' In parte gli pesa sembrare così duro, tornare a quel distacco iniziale che li ha tenuti sulle spine per troppo tempo prima che tutto degenerasse. C'è una verità che ha bisogno di celare a lei ed a se stesso dietro il suo scetticismo. Fare qualcosa di così leggero è un lusso che non ha mai potuto concedersi. I pochi attimi di tregua che si è permesso, come la lettura di poesie o la composizione di quelle piccole sculture magiche che si costringe il più delle volte a distruggere e gettar via, sono sempre stati vissuti in solitudine. Essere un ragazzo della sua età, comportarsi da tale in presenza di qualcuno che sia con grande probabilità capace di abbassare le sue difese, gli fa terribilmente paura. E cerca di nascondere il proprio malessere dietro quella freddezza che gli pesa da morire rivolgere ad Helena, consapevole che si sentirebbe anche peggio se cedesse con così tanta facilità ad una prospettiva simile. Mason è un duro, un robot dal cuore di latta che non può permettersi cose all'apparenza così semplici come il provare dei sentimenti. Lasciarsi soggiogare da essi, è un rischio che non vuole correre ed è per tal motivo che le fa dono di un distacco più o meno evidente, prima di darle le spalle ed abbandonarsi ad un sospiro appesantito che riporta a galla quell'opprimente senso d'errore che gli si cuce costantemente addosso. 'Suppongo che potrebbe valerne la pena. Magari ci scappa qualche risata se il tuo culo da principessina in rosa finisce sul ghiaccio.' E si serve dell'ironia per accondiscendere alla sua richiesta, sparendo oltre la porta oltre la quale, dopo qualche secondo, lancia gli asciugamani che l'hanno coperto sino ad ora. Si riveste in salotto, consapevole di poter portare nuovamente al limite la pazienza dell'altra. Anche in questo, riveste i panni di quel Mason che Helena ha conosciuto i primi giorni in cui ci ha avuto a che fare. Un Mason di cui lui non va fiero e che potrebbe persino mandare all'aria ogni cosa, confermando ogni timore innescatosi nella sua mente. In un certo senso, spera di smentirsi. Per altri versi, però, la brama di verità è una necessità anche più impellente.


     
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    Non era riuscita a spiccicare parola nel vederselo spuntare nudo e bagnato. Era rimasta a fissarlo e a rispondere alle sue domande con cenni o smorfie e si era sentita una cretina. Sopraffatta. Solo quando se n'era andato era riuscita a respirare. Cominciava ad odiare il potere che aveva su di lei.
    Circa mezz'ora dopo erano fuori casa, ben coperti e pronti a raggiungere il lago.
    Aveva raccattato per Mason i pattini di suo fratello. I numeri coincidevano e nonostante in teoria fossero usati, i pattini apparivano lindi, di sicuro più di quelli che Helena aveva poggiato sulle sue spalle, che avevano le punte rovinate.
    Arrivati sulla riva, non si stupì di vedere un bel po' di gente. Non c'erano molte altre attrazioni in quel posto, ed il lago ghiacciato si prestava ad essere un ottimo passatempo. Una volta arrivati lì e poggiarono le loro cose sul prato innevato, poco lontano da una ragazza dai capelli rossi che guardava Mason in un modo a cui Helena diede profondamente fastidio.
    Provò ad ignorarla mentre indossava i suoi pattini, ma quando finì il suo compito e la ritrovò ancora lì a fissarlo, la reazione fu immediata.
    «Vuoi che provi i miei pattini su di te?» Sbraitò violentemente contro la ragazza che turbata da quella reazione andò via dopo poco.
    Serrò la mascella intercettando in quel momento lo sguardo di Mason.
    «Che c'è?» Gli chiese con lo stesso garbo riservato alla ragazza. Fanculo.
    Scosse il capo nel tentativo di allontanare il rossore al viso mentre provava a dedicarsi ad altro e ad ignorare la sensazione di aver abbassato la guardia ed essersi scoperta. Le capitava di essere gelosa abbastanza spesso. Non credeva però che anche Mason potesse suscitarle quel tipo di emozione. Sospirò.
    Indicò poi con un cenno del capo le varie borse lasciate qua e là.
    «Guarda.» In particolare si sporse verso la borsa della rossa di prima che era ora andata via. Con naturalezza infiló la mano in essa, afferrando il portafogli. Dopo aver svuotato il contenuto, lo ripose lì dove lo aveva trovato puntando poi il suo sguardo ed un sorriso verso Mason.
    «Non sarà una cosa da cattivo ragazzo ma è divertente.» Annuì, facendo spallucce, passando poi a sgranchirsi le gambe.
    « Non sono in granché come chaperon. Non ho molti ospiti in genere.» Ed era vero. Non aveva molti amici in generale. Non era semplice per lei adeguarsi a qualcosa di convenzionale. Era abituata a sfidare e sopraffare gli altri. Avere Mason lì e sapere di dover restare entro i limiti da lei stessa imposti, era complicato. Sì sentiva, insomma, davvero un inetta.
    «No aspetta, li stai allacciando male. Devono essere ben stretti perché se cadi rischi di spezzarti la caviglia.» Disse intervenendo su di lui e sui pattini che stava indossando. Con una premura tutta nuova provò a sistemarli affinché fossero ben saldi.
    Quando poi però s'accorse di essere stata forse, beh, troppo umana, riprese a sentirsi a disagio.
    Serrò la mascella, puntando lo sguardo sulla rossa che, sebbene sul ghiaccio non smetteva di puntare lo sguardo verso Mason.
    «Vuoi scopartela? Guarda che culo che ha.» Gli chiese indicandola senza vergogna, ma prima che l'altro potesse rispondere si precipitò in avanti per poggiare le sue labbra contro quelle dell'altro in un bacio che sperava l'altra potesse vedere e seguire perfettamente.


     
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    E' strano condividere un momento di normalità come quello al fianco di un'altra persona. E' impensabile per lui persino dedicare il proprio tempo a pattinare sul ghiaccio con il solo scopo di adattarsi ad un passatempo condiviso da tutte le altre persone presenti. Gesti così genuini e semplici non hanno mai fatto parte della routine del Chesterfield e sebbene in passato abbia imparato a muoversi sui pattini il minimo indispensabile per non rischiare di rompersi un osso, gli è del tutto estraneo omologarsi ad un impiego del genere. D'altra parte oltre il suo scetticismo c'è una piacevole nota di curiosità che lo spinge a considerare l'idea come un possibile sfogo alternativo ai fastidi cui è abituato. Si sente sempre più stranito ed è facile ricollegare tale sensazione alla mancanza dei doveri che solitamente riempiono le sue giornate, ma quanto assurdo o sbagliato può essere abbandonarsi ad un'attività simile in compagnia di quella ragazzina che si ostina ancora a tenerselo stretto? Osserva la superficie ghiacciata, passando in rassegna i volti gioviali e divertiti di tutte le persone presenti sul posto. Annoiata la sua espressione, anche nel posarsi sul viso di una ragazza dai capelli rossi apparentemente interessata a lui. Superficialità a cui è fin troppo abituato e che si limita ad assecondare inarcando un sopracciglio e sollevando appena un angolo della bocca, in una smorfia disinteressata che dia comunque dimostrazione di una minima attenzione rivolta all'altra. Qualcosa che a quanto pare genera una reazione non altrettanto lieta nella ragazza al suo fianco, che lo riporta alla realtà con una minaccia lampante orientata verso la rossa in questione. Si volta di scatto per godere della visione di un'Helena imbronciata, con la mascella serrata e gli occhi intimidatori e parecchio infastiditi. Un'immagine che suscita una vaga e confusa soddisfazione in Mason, deciso a chiederle con lo sguardo ancor prima che a parole cosa le sia preso. Palese l'incontenibile fastidio dell'altra, che continua a riflettersi nel poco garbo che si va a scagliare anche contro di lui, prima che il suo disagio si trasferisca nelle sue gote appena arrossate. Segno di un interesse crescente quello, solo un cieco o un idiota non riuscirebbe a rendersene conto e se da una parte assistere alla nascita di tale premura nei suoi confronti lo spinge a ricercarne ancora di più il calore che ne deriva, dall'altra si rende conto di star virando verso una pessima idea. La rovinerà. Ogni passo in più verso la loro reciproca empatia, è un rischio che avanza nella distruzione di qualcosa che è troppo bello per macchiarsi dello schifo che riguarda la sua vita. E se anche l'egoismo di poter agguantare qualcosa di così puro si rimescoli con la consapevolezza di non dover cedere a certe dimostrazioni di sensibilità che rischierebbero di intrappolarlo e mandarlo allo sbaraglio, viene su quasi spontaneo accantonare, in questo preciso istante, quel genere di pensieri. Solo perché essere sbagliato, accanto a lei, risulta meno pesante di quanto non sia solitamente. Soffoca il proprio beffardo sorriso per evitare che l'altra venga resa partecipe di quella soddisfazione da lui provata. Meno emozioni riesce a condividere con Helena, meglio è per entrambi... O così crede. Nel vederla però accanirsi contro la borsa della malcapitata, non può fare a meno di lasciarsi andare all'ammirazione che ha sempre covato dentro sé per i modi da ragazzina che gioca a fare la principessa del male con cui lei è solita risolvere i propri problemi. Uno spettacolo esilarante, specie se considerato sia stato dettato da un attacco di gelosia. 'Di questo passo ti ritroverai a rapinare la Gringott nell'arco di un mese.' La prende un pò in giro, cedendo a quella sensazione di libertà che nonostante tutto lei riesce ancora a suscitargli, mentre si china per sistemare i propri pattini alla meno peggio. Qualcosa di rischioso a quanto pare, a detta dell'altra che sembra un'esperta in merito e che si premura di aiutarlo e porre rimedio alla sua ignoranza in materia. 'Ed io in genere non sono ospite di nessuno, quindi possiamo dire di essere pari, più o meno.' Gli fa uno strano effetto avvistare quelle tracce di interesse a tratti quasi dolce rivolto nei suoi confronti. Nessuno ha mai provato alcuno scrupolo per lui, né si è mai preoccupato che non si spezzasse una caviglia o si facesse male in alcun modo. Di amore Mason non ne ha mai ricevuto, in nessuna forma. Non da quando la sua vita ha improvvisamente preso una svolta completamente diversa. E' piacevole essere il fulcro di tali accortezze, ma è anche assai spaventoso comprendere di aver concesso di sé molto più di quanto non gli fosse permesso. Comincia a rendersi conto di aver commesso una cazzata, di continuare a sbagliare passo dopo passo nei confronti di una ragazzina innocente che non merita che un mostro come lui poggi le proprie mani sudice di delitti sulla sua purezza, ma anche in questo caso la disturbatrice di prima riesce a ridestare entrambi da quello strano torpore che li ha come posti sotto un incantesimo misto di disagio e compiacimento al contempo. Riderebbe in risposta alla sua domanda e montare nella propria mente un'ipotesi da rivolgerle per stuzzicarla è il primo dei pensieri su cui si concentra. Una distrazione che lo lascia di stucco nell'istante in cui le labbra di Helena si poggiano sulle sue, in un gesto che al di là del desiderio impellente di cercare tale contatto per beneficio proprio, ha tutto il sapore di una ripicca che gli lascia l'amaro in bocca. Non ne ricava niente da quel bacio, freddo e fin troppo distaccato per poter realmente suscitare qualcosa di positivo in lui. Ed è per questo motivo che avutone abbastanza, si tira in dietro osservando l'altra con una delusione che non accenna neanche per un istante a soffocare. 'Cos'era questo?' Le chiede con durezza, parecchio insoddisfatto. 'Non usarmi come un burattino, ok?' Sospira pesantemente e scuote il capo. Non è tanto la mancanza di controllo ad infastidirlo, quanto l'idea che quel bacio, il primo che si sono scambiati al di fuori di quei contesti intimamente troppo spinti e pregni di una maliziosità che ne annullava la genuinità, non gli abbia comunicato niente. Vorrebbe sentirsi soddisfatto per essere stato vittima di un intento simile, ma si aspettava diversamente e questo alimenta la sua delusione. Con lei sentiva di aver trovato qualcosa di diverso, di nuovo e forse persino speciale... Ma ogni suo proposito a riguardo è crollato sotto la freddezza di un gesto privo di emozioni. Non gli va a genio per niente. 'Ho capito che tra i due sono io lo stronzo, il delinquente, il poco di buono e tutte le pessime opinioni che mi si possono affibbiare, ma a questi continui tira e molla non ci sto. Non mi sottometto ai capricci di una ragazzina.' La rimprovera quindi, per la prima volta, con sincero disappunto nel proprio tono di voce. E' patetico da parte sua avanzare certe pretese nei suoi riguardi ed è anche peggiore rendersi conto di essere arrivato ad un punto del genere a causa di una ragazza piombata nella sua vita per puro caso. Cosa gli è successo? Cosa sta continuando a succedergli procedendo al fianco di Helena? Un altro sospiro pesante palesa il disagio che prova, mentre i suoi occhi si puntano in quelli dell'altra per mettere chiarezza nel proprio punto di vista. 'Se mi hai fatto venire fin qui perché...' Perché le piace stare con lui. '...non ti andava di stare da sola, per me va bene.' Le dice, ancora duro in volto per ragioni che non si spiega. E' difficile ammettere a se stesso di essere vittima degli ennesimi sentimentalismi che lei suscita in lui. 'Ma se il punto è usarmi o prenderti le tue rivincite per tutto quello che io ti ho fatto e per il marcio che hai patito nelle ultime settimane... Allora non so se mi sta bene.' E' difficile accettare il fatto che ogni sua azione si rifletta in un gioco distaccato e privo di emozioni. Ogni cosa, in questo preciso istante, gli sembra tremendamente sbagliata.


     
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    Si era ripromessa di avere il controllo pur avendolo accanto ed invece alla prima occasione si era lasciata sopraffare da quel legame che sentiva verso l'altro. La rossa e le attenzioni che dedicava a Mason funsero da perfetta giustificazione per dare un senso a quel gesto, ma non si sentì meglio con se stessa. Non si sentì giustificata. Crebbe forte in lei quel senso di disagio che Mason non aiutó a fare sparire. Vederlo allontanare la ferí. Essere respinta era qualcosa a cui doveva essere abituata ma non lo era. Ed ancora peggio fu essere spinta via da lui. Tutte le paure che Helena aveva covato e che l'avevano spinta solo la sera prima ad allontanarsi per evitare di cedere al potere che Mason aveva su di lui, tornarono a farsi sentire più forti di prima.
    E le fece male per qualche ragione capire che, come aveva immaginato, per lui non sarebbe stata altro che una scopata qualsiasi. Per questo non si era ritratto la sera prima. Per questo lo faceva ora dinanzi ad un bacio innocente.
    Serrò la mascella guardandolo e trattenendo a stento la voglia di colpirlo. Le sue parole non l'aiutarono a far sparire i suoi timori ed anzi li acuirono.
    «Non ti ho chiesto di farlo.» Non gli aveva imposto di assecondare i suoi voleri. Non lo aveva invitato lì per avere l'ennesima persona da manovrare. L'aveva invitato a casa sua perché voleva vederlo. Perché era vero, gli era mancato. Per lui chiaramente non doveva essere lo stesso. E così perse di valore anche il messaggio scritto su quel foglio di carta che Mason le aveva passato sotto la porta.
    «Credi questo?» I suoi occhi divennero lucidi di rabbia dinanzi alla nuova supposizione sbagliata dell'altro.
    Aveva creduto di poter essere vista finalmente con occhi diversi da qualcuno. Con Mason non si sentiva la vipera stronza che approcciava agli altri soltanto per usarli. Credeva di aver trovato un... Non sapeva come definirlo, ma aveva creduto di aver trovato un legame vero. Ed aveva sbagliato.
    Si sentiva una stupida.
    Tolse via i pattini senza stare a rimuginarci troppo su. Lo fece velocemente e con rabbia, prima di rimettere celermente gli stivali. A quel punto si voltò a guardare il suo ospite con l'astio che la sua reazione aveva suscitato.
    «Se ti senti in colpa per qualcosa che tu hai fatto, non è un mio problema. Non traslare i tuoi cazzo di intoppi mentali su di me.» Non che per lei fosse facile superare alcun dettagli del loro rapporto ma il modo in cui la faceva sentire, l'aveva spinta a cercare di superare quelle difficoltà. Ed era assurdo che nonostante fosse stata lei a perdere la libertà, la dignità e la verginità, fosse lui a sentirne così tanto il perso.
    «L'astinenza ti rende un acido del cazzo. Vai a sfogarti con qualcun'altra.» Era chiaro per Helena dovesse essere quello il problema. Forse se si fosse concessa Mason avrebbe continuato a fingere interesse come aveva fatto fino a quel momento.
    Si tirò in piedi con stizza, urlandogli un ultimo insulto prima di andar via.
    «Coglione.» Aveva bisogno di starsene lontana per un po'. Di sfogare in solitudine la sua frustrazione. E così, come sempre quando aveva paura, fece quello che le veniva meglio fare: scappó.

    Era tornata a casa non prima di aver fatto scorta di cibo spazzatura. Sapeva quanto male le avrebbe fatto e quanto si sarebbe sentita in colpa dopo aver trangugiato quella spazzatura, ma le era sembrato l'unico modo plausibile di sfogare la propria rabbia senza uccidere nessuno. Il punto era che, come previsto, dopo aver provato a mangiare tutto tra patatine, hamburger e varie altre pietanze da fast food, aveva lasciato tutto disgustata dal cibo e da se stessa.
    Odiava gli uomini. Odiava il mondo ed odiava Mason. E ancora di più odiava se stessa per essersi lasciata abbindolare.
    Quando la porta si aprì, Helena non puntó lo sguardo verso la figura che la oltrepassò. Continuò a dedicarsi alle sue patatine, impegnandosi a mangiarle e a mandar via la nausea che le era salita su nel sentire Mason fare il suo ritorno.
    Quando ne ebbe abbastanza, si rimise in piedi, puntando lo sguardo verso di lui.
    «Ti sei liberato?» Era chiaro a cosa si riferisse. L'idea che si fosse intrattenuto con qualcuno nel mentre per sfogare la frustrazione fisica, stizziva parecchio Helena che non mancò di sottolinearlo con quella frase.
    Si avvicinò al ragazzo puntando il proprio sguardo duro in quello dell'altro. Avrebbe voluto colpirlo ma si trattiene, conscia di quanto deleterio sarebbe stato per lei toccarlo.
    « Accusami di nuovo di merdate e ti uso per accendere il camino.» Quella minaccia però non aveva potuto evitarsela. Era la chiara prova di quanto l'avesse ferita. Di nuovo.
    E di quanto fosse stupita a tenerselo ancora lì davanti senza cacciarlo.


     
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    La pressione che Mason avverte è peggiore di qualunque altra forma di disagio provata in passato. C'è un miscuglio di pensieri discordanti nella sua mente che lo spingono da una parte e dall'altra senza riuscire a sfociare in un'unica meta concreta da seguire. Dovrebbe andare via. Dovrebbe approfittare del disastroso risultato di quella tensione accumulata nelle ultime ore per mettere definitivamente una pietra sopra tutta quella faccenda. Liberare Helena dalla sua presenza ostile, volta alla cattiveria, ad una malvagità che gli viene sempre più inculcata in una mente corrotta, marcita a causa di volontà altrui a cui non ha avuto il coraggio di sottomettersi. Lasciarle godere della propria forza e capacità di andare avanti, lontana da un codardo che non è altrettanto volitivo da imporsi. Scappare significa però anche rinunciare alla prima, unica occasione in cui il destino ha scelto di mettergli davanti una seconda possibilità. Una scelta alternativa verso cui riscoprire un nuovo modo d'essere. Un nuovo Mason che nei momenti di tranquillità che sono riusciti a ritagliarsi insieme non sembrava poi così disgustoso come chiunque altro lo vede. Le loro similitudini li hanno spinti a comprendere quanto altro ci fosse sotto quell'apparenza su cui gli altri marciano con arroganza, rifilando il classico superficiale cliché del ragazzo problematico a causa della sofferenza che lo affligge senza mai preoccuparsi realmente di che tipo di dolore abbia segnato le sue esperienze. Un perbenismo che non è mai appartenuto a Mason, né ad Helena, entrambi troppo schietti ed arresi alle loro condizioni per potersi affidare alle mani di chi non ha la minima idea di cosa si provi. Forse è questo ad amplificare il dolore di quell'improvvisa rottura, se così si può definire. E' tale consapevolezza celata nel cuore che gli impedisce di passare oltre gli occhi rabbiosamente lucidi dell'altra e le sue parole chiaramente ferite, come risultato di una messa in dubbio di intenzioni nobili che Mason ha riconosciuto. Non ci è abituato, ma gli piacerebbe poter godere di quel senso di conforto che anche solo un gesto mirato a farlo stare meglio potrebbe fornirgli. Se solo non se ne sentisse immeritevole e non credesse di star facendo più male all'altra, si lascerebbe trasportare da quel carico di sensazioni positive. Ma incapace e completamente chiuso a certi tipi di emozioni, ha ancora parecchio da imparare. Troppo. E' questa la consapevolezza con cui, dopo aver passato ore seduto su una panchina tra gli alberi di un isolato punto non così lontano da casa di Helena, segna la convinzione decisiva di farvi ritorno schiacciando col piede l'ennesima sigaretta e tornando sui propri passi. Rientrare in quella casa e vederla lì è un sollievo almeno in parte, ma avere a che fare col suo sguardo ferito, al quale risponde con la medesima durezza che mascheri il dispiacere covato nel cuore, è massacrante. Rimane in silenzio e così, per un pò, entrambi fingono di ignorarsi ben consapevoli di star in realtà prendendosi del tempo per rimuginare sul proprio dolore. Aspettano, nella speranza che quel dolore cessi e lasci spazio a quell'ombra di complicità che li ha portati sino a quel punto, ma quando dopo un pezzo non arriva alcuna consolazione all'orizzonte, porre fine a quell'agonia è necessario. E non è una sorpresa il primo passo, anche in quest'occasione, venga da lei. 'Ti sarebbe piaciuto essere al mio posto?' Automatico rivolgerle tali parole, con la mascella serrata e lo sguardo altrettanto duro che si infrange contro la resistenza dell'altra. 'Essere baciata all'improvviso solo per dare una cazzo di dimostrazione ad altre persone ti avrebbe fatta sentire felice?' C'è umanità nel suo tono deluso, che non riesce a placarsi e rimanere soffocata sotto finzioni di benessere e menefreghismo che con gli altri è più semplice portare avanti. Ma lei ha sempre quell'assurda capacità di farlo sentire un totale fallimento in ogni aspetto in cui eccelle di consueto. Anche essere finto diventa impossibile al cospetto di quelle iridi limpide e cristalline. 'Perché dovrebbe essere diverso per me? Perché ad un delinquente basta infilare il cazzo nel primo buco disponibile per sentirsi gratificato, mentre il resto può andarsene a puttane?' Avanza di rimando verso di lei, ormai completamente deciso a non limitarsi ulteriormente. Farlo l'ha portato solo ad incasinare ogni cosa. Dimostrarle di provare rispetto ed ammirazione nei suoi confronti o provarci almeno, ha solo peggiorato la loro situazione. E dagli errori di entrambi, è venuto fuori un disastro capace di portare più distruzione che altro. Solo che Mason ci vive nella distruzione e credere che di tutti i casini Helena sia il più bello che gli sia mai capitato è istintivo. Genuino. Sincero. 'Se fosse così, pensi che mi servirebbe un permesso per spogliarti? Credi davvero che uno come me perderebbe così tanto tempo a farsi degli scrupoli piuttosto che andare altrove?' Perché tutto il resto è scomparso da quando lei è piombata nel suo universo per scombussolarne ogni singolo tassello. E dirglielo gli sembra prematuro, ma non riesce a credere che la realtà sia diversa da questo. 'Se sono qui è perché voglio esserci e se sono tornato è...' Sospira pesantemente, incapace di trasferire l'ondata di spaventosi sentimenti che vengono a galla istantaneamente in parole che lei forse meriterebbe di ricevere. Parole che magari desidera ricevere, ma che lui è incapace di donarle perché ancora troppo codardo, confuso, terrorizzato dalle conseguenze di ogni sua azione da ora in avanti. Ma controllarsi, così preso dall'agitazione che pervade i suoi sensi, è un'utopia. 'Io non ho niente da dimostrare agli altri, Helena.' Ad un passo da lei, molla le redini del proprio autocontrollo, privandola della libertà che le ha concesso fino ad ora ed agendo come il rozzo prepotente che è sempre stato. Un'arma che non avrebbe più voluto usare contro di lei, ma che si sente costretto a tirar fuori per darle prova di ciò che sente, per quanto confuso ed incomprensibile risulti a lui stesso. Poggia le mani sulle sue guance, con una presa salda che non le faccia male che non ammette alcuna replica. 'Tutto quello che faccio, lo faccio perché mi va.' Ed è quella l'ammissione pregna di egoismo che segna l'oltrepassamento di ogni limite che ha cercato di imporsi sino ad ora. Quando con una coscienza differente rispetto a quella dell'altra qualche ora prima, decide di ripetere il medesimo gesto, tentando di dargli un'accezione completamente diversa. Poggia le labbra sulle sue, non con prepotenza ma con massima risolutezza. Cerca di riprendersi quella soddisfazione di cui non ha goduto e di restituirle le convinzioni che le ha strappato via. Di rendere quel gesto apparentemente così semplice una palese dimostrazione della voglia che abbia di rimanerle vicino, all'infuori di quei momenti d'intimità che si sono concessi.


     
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    A labbra serrate si costrinse a non rispondere alle sue accuse perché, cosa avrebbe potuto dirgli? Che stava sbagliando? A quel punto avrebbe dovuto raccontargli la verità e non se la sentiva. Non per adesso. «Vaffanculo.» Fu tutto quel che riuscì a dirgli mentre puntava lo sguardo lucido nel suo e stringeva i pugni. Era ferita dalle sue supposizioni e dalle sue parole. Era spaventata sia dall'effetto che era in grado di provocarle sia dal baratro che aveva dinanzi. Se solo si fosse lasciata andata, cosa sarebbe accaduto? Se invece di affrontarlo, perennemente e sempre così a muso duro, si fosse mostrata accondiscendente nei suoi riguardi, in quanto tempo l'avrebbe fatta a pezzi? Perché ad essere maledetti lì in quella stanza erano in due. Lei aveva l'erumpo nescius, una malattia potenzialmente letale perché autodistruttiva. Quella di Mason però era anche più catastrofica. Era come una sorta di buco nero. Attirava a sé tutto ciò che aveva la sfortuna di entrare nella sua orbita e, con buone intenzioni o meno, finiva con il distruggerle. E lei non voleva soccombervi.
    «Non è così?» E sì, forse esagerava ad assecondare i suoi eccessi, a dirgli che un ragazzo come lui dava l'impressione di essere interessato soltanto al sesso ma in quel momento non era capace di pensarla diversamente.
    Era turbata e profondamente spaventata.
    Arretrò istintivamente di un passo quando Mason le si avvicinò ma scampare al suo bacio le fu impossibile.
    Rimase rigida contro di lui a fissarlo con gli occhi colmi di rabbia e paura. Poi, lo spinse via con forza per apporre la distanza adatta che le permettesse di tornare a respirare.
    «E questo va bene?» Gli disse asciugando con la manica del maglione la lacrima ribelle che era scivolata sul suo viso.
    Aprì le braccia, senza tuttavia avanzare verso l'altro. Non avrebbe potuto. Sentiva che se avesse osato fare solo un passo sarebbe caduta a causa delle labbra tremanti.
    «Spogliami, avanti. Fa tutto quello che ti va di fare perché è così che agisci.» Continuó, stringendo i denti e reprimendo un fastidioso senso di nausea. Si chiedeva come erano arrivati a quel punto. Si chiedeva perché non avessero basato il loro rapporto su qualcosa di più semplice e meno impegnativo. Forse in quel caso, non avrebbe fatto così male parlarsi.
    «Poi cosa farai? Andrai via facendo finta di niente? Perché scusami se sono prevenuta, ma sembri esattamente quel tipo di stronzo ed io non voglio essere quel tipo di ragazza.» Aveva dimostrato d'esserlo in passato ed Helena poteva capirlo in fondo. Con quel tipo di vita che futuro poteva permettersi?
    «Io volevo baciarti.» Gli confessa puntando lo sguardo lucido nel suo. Era ancora furiosa e lo era ancora di più dopo avergli confessato quella verità. « E ti odio per questo!» Lo odiava perché le toglieva la capacità di controllo. La faceva sentire stupida. E fu per l'incontenibile rabbia che le ribolliva nelle vene che lo spinse ancora ed ancora. E quando ne ebbe abbastanza, prese a colpirlo, mani sul petto nel tentativo di sfogare il malessere provato.
    «Perché sei spuntato nella mia vita?» Lo urlò rossa in viso, tra i colpi che gli infliggeva.
     
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    Non credeva di potersi sentire così a causa di un'altra persona, specie se si tratta di una ragazzina di soli sedici anni. E' stato capace di sorvolare, nel corso della propria vita, sulle peggiori delle opinioni, sfruttandole anzi per poter dare di sé un'immagine forte, arcigna e cattiva da sfruttare per incutere timore. Arrivare alla consapevolezza che anche Helena lo veda nello stesso identico modo in cui tutti descrivono la sua figura, gli fa male. Si era illuso di poter essere guardato diversamente da quegli occhi innocenti, di aver trovato qualcuno in grado di tenergli testa e stuzzicare al contempo i migliori sentimenti che ha tenuto silenti per quasi l'intero trascorrere della sua vita. Non gli va di omologarla al resto delle persone che lo circondano; sentirsene costretto alimenta il suo nervosismo e la delusione che traspare con chiarezza oltre le sue iridi nocciola. Cupo mentre la guarda, anche dopo essere stato malamente respinto. Non per il gesto da lei compiuto, quanto per la piega che il loro incontro ha preso tutto d'un tratto. Elementi che si rimescolano senza fornire precise spiegazioni, col solo risultato di confondere entrambi al punto da frapporre tra loro un astio senza pari. Tutte le negatività di quell'incontro, le frasi e gli intenti sospesi che hanno reso tutto poco chiaro, saettano attorno alle loro anime che non sono in grado di mettersi in comunicazione. Ne vengono fuori tracce di dolore, però se ne annulla l'empatia necessaria per potersi comprendere ed apporre una meritata tregua alle angherie che si rivolgono. Si scambiano rimproveri e le opinioni di Helena lo feriscono come colpi di taglienti lame inferte sul suo orgoglio. Ogni illusione si crepa ed i primi cocci che cedono riportano a galla lo scudo con cui Mason si protegge dall'odio altrui. 'Se hai quest'immagine così cristallina di me allora che ci faccio qui?' E sente ancora la necessità di avanzare ipotesi immeritate nei suoi confronti, ponendosi al di sopra di lei per dare dimostrazione di non essere sorpreso e, di conseguenza, toccato dalla possibilità le sue parole riflettano la realtà. Dare prova dell'illusione in cui è stato risucchiato significherebbe mettersi in trappola da solo e non si sente più così certo di poter rischiare ancora così tanto con lei. 'Volevi testare la mia pazienza? Volevi mettermi alla prova? Qual è la cazzo di motivazione che ti ha spinta a cercarmi?' Si fa tutto più chiaro nel momento in cui gli occhi lucidi di lei rendono evidente per l'ennesima volta quel nascente desiderio sbagliato che l'altra ha maturato nei suoi confronti, tutto a causa sua. Gli fa male. Sapere di averla già rovinata e sentirla ammetterlo davanti ai suoi occhi, costretta dalla sofferenza che si è impossessata di lei, lo ferisce e la colpa non è che da attribuire a se stesso. Incassa i colpi furiosi dell'altra, parandosi appena mentre sul suo volto si dipinge la consapevolezza di aver commesso l'errore peggiore mai messo in atto, ai danni dell'unica persona che avrebbe voluto tenere fuori da tutta la distruzione netta che fa parte della sua esistenza. Un difetto di fabbrica che comunque vadano le cose dà come risultato la rottura di ogni cosa, di ogni persona. E lui non si è mai sentito così a pezzi prima d'ora. 'Io non...' Impossibile parlare sotto la scarica nervosa di Helena, che va ad infrangersi contro il suo petto con furia. Comincia ad avvertirne il bruciore, accostato a quella tremenda e nauseabonda sensazione che lo lascia insoddisfatto, ferito, deluso da se stesso più di quanto non sia mai stato in passato. Si costringe a bloccare i suoi polsi, solo nel tentativo di indurla a fermarsi, ad ascoltare per un attimo ciò che ha da dire, per renderla partecipe di un dolore che non riesce più a rinchiudersi nell'oblio sotterrato sotto cumuli infiniti del distacco che rivolge a chiunque altro. Con lei, in fondo, è davvero stato diverso. Vorrebbe solo che Helena se ne rendesse conto, ma come potrebbe pretenderlo vista la pessima opinione che dà di sé e che lei, giustamente, condivide? 'Mi dispiace.' Si sorprende di averle appena rivolto delle parole così semplici e genuine, mai venute fuori dalla sua bocca se non nei confronti del padre, in merito ad errori che ne hanno provocato una profonda delusione. Frutti quelli di una necessità a cui si è obbligato anche per mezzo della propria oppressione, diversamente da questo momento in cui sente nel profondo di volerle dimostrare il dispiacere che lo attanaglia. Pervaso dall'imbarazzo, abbassa lo sguardo abbattuto, incapace di incontrare gli occhi dell'altra. 'Ho sbagliato a tirarti in mezzo a tutti i miei casini... Te l'ho già detto, avrei dovuto obliviarti e lasciarti andare quella notte, prima che cominciasse tutto... tutto questo.' Tutto quel qualcosa a cui non riesce a dare una descrizione, né una spiegazione. Non sa esattamente cosa siano insieme, ma gli è piaciuto fino ad ora. E forse è arrivato il momento, come per ogni cosa bella, di volgere al termine. 'Ma... Cazzo, ti sei ficcata qui dentro e non ne sei più venuta fuori e non ho la minima idea di come controllare questa situazione perché è completamente nuova.' Solleva il braccio per indicare la propria tempia con l'indice. Renderla partecipe dell'effetto che il suo arrivo nella sua vita abbia avuto è il minimo che possa fare, ora che si è deciso ad arrendersi alla consapevolezza non ci sia niente di buono che l'altra riesca a vedere in lui. Svanisce con tutta l'illusione del loro rapporto, quella necessità di rimanerle vicino e godere della sua presenza. Si illude, più verosimilmente, di essere davvero pronto a distaccarsi, come se fosse davvero quello l'unico motivo per cui si è deciso a non darle tregua per tutti i loro incontri. 'Però questa storia è durata troppo... E non ha fatto altro che portare guai. Ad entrambi.' Deglutisce, ancora a capo chino, allentando di poco la presa sui polsi di Helena, senza riuscire però a staccarsene definitivamente. 'Se la cosa migliore per te è che io me ne vada e sparisca definitivamente dalla tua vita, allora lo farò.' Mostra il proprio sorprendente altruismo, sollevando soltanto adesso il volto per puntare lo sguardo abbattuto contro quello dell'altra. 'Ma devi essere tu a chiedermelo, perché da solo non posso farlo.'


     
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    Dapprima provó a liberarsi quando Mason le strinse le mani sui polsi. Poi pian piano assuefatta dal potere del suo tocco su di lei, si lasció andare aspettando che fosse lui a liberarla. Ascoltó le sue parole ancora ad occhi lucidi di rabbia. Era una condizione nuova per entrambi, ed era difficile nelle rispettive posizioni cercare un modo d'andare rispettando se stessi ed i propri principi. Quello che provavano, sembrava tozzare contro tutto quello che erano stati fino a quel momento e il timore di restare feriti sembrava tramortirli. Così era per Helena almeno. Sapeva che avrebbe dovuto odiarlo ed allontanarlo per quel che le aveva fatto, ma la consapevolezza di non riuscirci affatto la faceva sentire debole.
    Mason d'altro canto, non l'aiutava affatto, riversando su di lei il peso della scelta.
    «E cos'è migliore per te?» Gli chiese restando lì dinanzi a lui anche quando finalmente la liberò dalla sua presa.
    Era quello il punto. Quello l'interrogativo che sembrava mandare all'aria l'autocontrollo della Haugen. Perché lei tutto sommato, sebbene cercasse continuamente di reprimere qualsivoglia desiderio e sensazione, sapeva benissimo cosa voleva. A provocarle dubbi e tormenti, era il non conoscere quello e chi aveva dall'altra parte. Aveva avuto modo di vedere solo una delle facce che Mason usava per coprirsi, e non era nemmeno la migliore. Come poteva fidarsi ed affidarsi a qualcuno che sicuramente le avrebbe fatto del male?
    «Perché credi ti abbia invitato qui?» Risponde in modo indiretto alla sua domanda, perché incapace di dirgli la verità e soprattutto di dirla a se stessa. Non l'aveva invitato lì solo per fumare, quello avrebbe potuto farlo con chiunque. Lo aveva invitato perché lo voleva con sé. Perché nei giorni in cui erano stati assieme, era riuscito nonostante le note negativi e i dissacordi che li portavano di sovente ad azzannarsi, a farla stare meglio. A dimenticare tutto quel che l'angosciava.
    «Sto bene con te. Ti voglio nella mia vita ma...» Ma non sapeva in che modo e in che ruolo lo volesse nella sua vita. Era ben conscia delle sensazioni fisiche e non che Mason era capace di provocarle, ma come avrebbe potuto dare un significato ad esse ed un corrispettivo pratico se le esperienze avute nel corso della sua vita erano state fin troppo esigue e leggere?
    Sospirò, mordendosi il labbro inferiore prima di ripuntare lo sguardo su di lui.
    Non poteva lasciarlo andare ora. Tutto ciò che poteva concedere ad entrambi era tempo. Tempo per riflettere e tempo da condividere insieme. Fu su quella base che avanzò un'idea nella sua mente.
    «Facciamo un patto.» Gli porse la mano, aspettando l'altro l'afferrasse. Se avesse voluto farlo almeno.
    «Qualunque cosa accadrà tra noi, non ci innamoreremo l'uno dell'altro. Sarà qualunque altra cosa ma non avrà niente a che fare con l'amore o quelle cazzate lí.» Quello era il presupposto più importante del loro rapporto. Se avessero basato la loro interazione sulla necessità di tenere lontani i sentimenti dal loro rapporto, forse sarebbero riusciti a godersi la presenza l'uno dell'altro senza soffrirne. E nonostante gli scontri che chiaramente ci sarebbero stati viste le teste dure che erano, forse sarebbe stato più semplice andare avanti e godere d'ogni momento.
    «Senza vincoli o etichette. Così potremmo continuare ad essere noi stessi senza preoccuparci di essere feriti dall'altro. Non più del solito almeno.» Le sembrava la soluzione migliore. L'unica che avrebbe potuto tenerli vicini ma comunque al sicuro dal pericolo che rispettivamente costituivano l'uno per l'altro. «Che ne pensi? Accetti?»

     
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    Non riesce a rispondere alla sua domanda a bruciapelo. Ci sono troppe risposte possibili ad un quesito che nella sua semplicità risulta complesso ad uno come Mason. Ogni scelta porterebbe dei rischi. Ogni scelta presenterebbe puro egoismo, talvolta mirato ad attaccare se stesso, altre ad attaccare gli altri. Non ci sono soluzioni in un'esistenza contorta come la sua; aspetti che ancora lei non è in grado di comprendere perché le stesse dinamiche rimangono incognite alle logiche del Chesterfield. Stare con lei gli piace; parlarci, scherzarci, persino litigarci, non perché si diverta a darle filo da torcere, ma perché nel bene o nel male Helena è sempre stata in grado di fargli sentire qualcosa, di risvegliarlo dal torpore di menefreghismo con cui si è forgiato per evitare di rimanere intrappolato in situazioni che ledessero ai suoi scopi. In una vita passata a seguire gli ideali di una sola persona, osannandola in una malsana realtà che ha reso nullo tutto il resto, Helena è stata l'unica a riuscire ad affermarsi con così tanta importanza. Prepotenza insita nel suo modo d'essere, la sua, che non gli ha permesso di prevenire il suo attacco, ritrovandosene ormai una vittima a tutti gli effetti. Riflette per un pò sulla sua proposta. Le parole dell'altra riescono a suonare consolatorie quanto sconfortanti. E' orribile averla spinta fino a quel punto, averla incastrata in quel mare di dubbi in cui entrambi si ritrovano adesso ad annegare, non riuscendo del tutto a fungere da salvagente l'uno per l'altra. Di fatto, Mason farebbe qualunque cosa pur di poterla vedere ancora e se davvero questo vale anche per Helena, accettare è l'unica possibilità di cui debba tenere conto. L'egoismo, anche stavolta, sembra essere la chiave per avvalersi di quella piccola conquista a cui non è più disposto a rinunciare. 'Ok.' Annuisce, puntando lo sguardo sulla sua mano ancora in attesa di essere afferrata. Sta davvero accettando di diventare una presenza fissa nella vita dell'altra, nonostante i rischi a cui potrebbe sottoporla? Le alternative gli sembrano anche più devastanti. Si convince, nell'euforia del momento, di poter mantenere il controllo anche su quella situazione. Per tal motivo, stringe le dita attorno alle sue, afferrandole la mano con decisione per suggellare quell'accordo che potrebbe avere il potere di tenerli entrambi al sicuro. Messo in chiaro quanto necessario sia tenersi lontani dai sentimenti, sarà più facile per loro tornare a respirare. Questa è l'illusione in cui si culla, mentre tira un sospiro sollevato alla volta della ragazza. 'Accetto.' Le dice infine, lasciando la sua mano poco dopo e dandosi un'occhiata intorno. Avverte una leggera punta d'imbarazzo in quel silenzio improvvisamente piombato tra loro. Risolverla è semplice. Tornare ad ostentare quel controllo che alimenta il suo senso di potere è il modo migliore per riportare ufficialmente le cose al proprio posto. E' questo ciò che crede mentre il suo sguardo si punta di nuovo in quello dell'altra, privato di un pò della profondità donatale sino ad ora e rivestitosi dell'arroganza contro cui Helena ha combattuto durante la maggior parte dei loro incontri. Le si avvicina ulteriormente, senza però toccarla. La guarda dal basso verso l'alto, premurandosi di fare in modo che i loro corpi si sfiorino ed i loro respiri si intreccino, mentre pronuncia l'incipit del nuovo percorso che ha intenzione di intraprendere al suo fianco. 'Ma se non esistono vincoli...' Si introduce così, inarcando il sopracciglio e mettendo su una smorfia sospettosa e provocatoria. '...allora quel bacio cos'era?' Non si aspetta una risposta, né tanto meno desidera ardentemente riceverne una, ma non riesce fare a meno di sostare per qualche secondo così estremamente e pericolosamente vicino a lei, deciso a riprendersi qualche piccola, superficiale rivincita. Non è realmente arrabbiato con lei, ma c'è un piccolo conto in sospeso risalente alla sera precedente su cui non è ancora pronto a sorvolare. 'Non devi essere gelosa, posso darti tutte le attenzioni che vuoi, basta chiedere, bimba.' Le sfiora le labbra col pollice, sorridendo con meschinità prima di farsi da parte e superarla, dirigendosi verso il bottino su cui l'ha trovata una volta rientrato a casa. 'Muoio dalla fame.' Noncuranza quella che traspare dal suo tono di voce, mentre rovista tra gli avanzi della ragazza recuperandone qualche patatina che si appresta a mangiare. Non manca di leccarsi le dita di tanto in tanto per ripulirle dal sale... E si, anche per stuzzicare la pazienza dell'altra. 'Penso che resterò qui fino a domattina. Poi ho delle cose da sbrigare.' Vago, non sente la necessità di entrare nei dettagli di particolari che Helena può ben immaginare o carpire alla meno peggio. Non li condividerebbe nello specifico a prescindere con lei. Che razza di mente malata avrebbe il coraggio di farlo? 'Ma se pensi che me ne starò sul divano anche stanotte, sei una povera illusa.' Le dice infine, stringendo le labbra attorno alla cannuccia per rubare un sorso della bibita gassata compresa nel pacchetto. In fondo, si rende conto, non ha poi mangiato così tanto.


     
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    Non credeva avrebbe accettato eppure lo fece. Afferrò la sua mano, sottoscrivendo quella promessa. Avevano accettato di comune accordo di continuare a vedersi, di punzecchiarsi, di ricercarsi ed allontanarsi. Avevano accettato di adeguarsi a quel loro equilibrio anomalo. Tuttavia la Haugen non si sentì meglio. Sentiva di aver in parte mentito a se stessa. Eppure si costrinse a mandar via quella sensazione, aiutata anche da Mason e dalle sue battutacce.
    «E il tuo cos'era?» Lo guardò fisso negli occhi, ben conscia che non avrebbe risposto alla sua domanda, così come Helena aveva evitato di rispondere alla sua.
    Quando poi Mason insinuó qualcosa riguardo la sua gelosia, Helena rispose mostrandogli il dito medio, prima di seguirlo con lo sguardo.
    Forse sì, era gelosa o forse era semplicemente infastidita dal fatto che ora che era lì, per lei, lui potesse in qualche modo dedicarsi ad altri. O meglio altre. Forse era troppo infantile da pensare ma desiderava qualcosa solo per sé.
    E poi magari sì, era anche gelosa.
    Tutto di lui aveva la capacità di mandarlo in tilt. Il modo ad esempio in cui leccava le dita dopo aver mangiato le patatine, o succhiava dalla cannuccia.
    Le ci volle una gran forza di volontà per allontanare qualsiasi pensiero molesto mentre gli si avvicinava.
    Tornò al divano sul quale si lasciò andare.
    «Allora dormirai nel letto di mio fratello.» Gli lanciò un'occhiata di sbieco mentre sorrideva sghemba. Era divertente prenderlo in giro, credere di avere in mano la situazione. Ed ancora più a divertirla era la consapevolezza, giusta o sbagliata che fosse, che l'altro desiderasse altro da lei.
    Sentirsi anche vagamente fonte di desiderio, la riempiva di sicurezza. La faceva sentire bene.
    «O se preferisci posso cederti il mio. Il rosa è di sicuro il tuo colore.» Aggiunse poco dopo, continuando a fissarlo dal basso con i suoi grandi occhioni furbi.
    Celava nel suo sguardo desideri maliziosi ben comprensibili, eppure non un dito si mosse ed anzi per un po' nemmeno parlò.
    «Ho bisogno di fumare.» Fu tutto ciò che gli disse dopo qualche attimo. Lo guardó aspettando una sua qualsiasi reazione prima di decidere di poter fare da sé.
    Così si rimise in piedi per avvicinarsi a lui. «Ti muovi o devo chiedertelo per favore?» Senza indugiare oltre, infilò la mano nella tasca dei suoi pantaloni, prendersi all'erba di cui ora sentiva un disperato bisogno. Soltanto così le sarebbe stato semplice superare il tempo che restava loro senza impazzire.

     
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    Si sente sollevato adesso che tutto sembra essere tornato al proprio punto d'origine. E' felice di poter scorgere oltre il volto, i gesti e le parole dell'altra quell'arroganza da ragazzina che gioca a fare la donna cresciuta che ha sempre stuzzicato il suo interesse aiutandolo, al contempo, ad assopire eventuali sensi di colpa scaturiti dall'invasività dei suoi pensieri contrastanti. Non risponde alla sua domanda, al pari della reazione da lei precedentemente avanzata. Se ne sta zitto, ostentando quel fastidioso sorriso che potrebbe persino mandarla ai matti, mentre si dedica alla consumazione di ciò che rimane del pasto di Helena. Poca la confidenza che le rivolge, ponendo lo stesso silenzio come una provocazione irresistibile da mettere in atto. Solo quando l'argomento si sposta sulle prospettive della notte in arrivo, si costringe a portare avanti le proprie considerazioni, anche per un senso di praticità e comodità che va ben oltre l'orgoglio e tutti i giochetti che sono tornati a mettere in atto. 'Non se ne va in crisi se gli metto in disordine le lenzuola?' Una supposizione che avanza con leggerezza alla luce dei vari avvertimenti che l'altra gli ha più volte ripetuto nell'appartamento del fratello. Un'evidente conferma è, inoltre, l'ordine maniacale con cui ogni oggetto vi è posto. Difficile non portare l'attenzione su certi particolari, senza dimenticare poi i post-it sparsi ovunque come prova finale di veridicità. Niente che gli importi nello specifico, in ogni caso; solo un'arma che sfrutta per poter attaccare l'altra con l'ennesima dose di malizia che non intende risparmiarle. 'Mi piacerebbe provare quel letto, in effetti. Dev'essere comodo, anche se la stanza sembra un frullato alla fragola vomitato.' La stuzzica sorridendole derisorio, mentre porta alla bocca un'altra patatina con gli occhi puntati su di lei. L'indifferenza ostentata cessa d'esistere nel momento in cui, in seguito ad una richiesta su cui ha appena qualche secondo per ponderare, le mani di Helena si apprestano a rovistare nelle tasche dei suoi pantaloni alla ricerca dell'agognata erba. La lascia fare per un pò, illudendola di avere il via libera sul bottino trafugato, ma quando la bustina appare stretta tra le sue dita, le blocca il polso in fretta, attirandola leggermente a sé così da costringerla a guardarlo negli occhi. 'Ehi ehi, non ti hanno insegnato che le cose si chiedono con gentilezza e cortesia?' Calmo, rilassato, completamente certo di aver recuperato il controllo necessario per elevarsi all'apice di quella contorta situazione, si avvicina a lei ancora di più, per l'ennesima volta. Mette in scena, insomma, il medesimo tira e molla da lei avanzato la sera prima, illudendola di voler cedere ai propri stimoli, che mostra comunque con sfacciata evidenza, per poi lasciarla a bocca asciutta e, possibilmente, con la mente confusa e le sensazioni in subbuglio. Le lascia il polso dopo un pò, sbuffando una risata schernitrice che ben dimostra le proprie intenzioni. 'E' già la seconda che prendi. Dovrai rendermele prima o poi, in qualche modo.' Le resta estremamente vicino, sfiorando il suo naso col proprio in un ulteriore tentativo di metterla in agitazione, prima di afferrare parte del contenuto della bustina, ritrarsi ed oltrepassarla, dando un'occhiata all'ambiente circostante. Che la casa sia bella è invero, ma ad attirare la sua attenzione è quell'atmosfera di familiarità che è riuscito ad avvertire in entrambi gli appartamenti. Qui, poi, sommerso di foto che ritraggono ogni membro degli Haugen, non può fare a meno di provare un confortevole sollievo che lascia appena un vago retrogusto di amara invidia provata nei confronti di qualcosa che sembra così bello quanto irraggiungibile. Non passa molto tempo a rimpiangere il proprio passato, a chiedersi come sarebbe cresciuto se le cose fossero andate diversamente, ma anche in questo la realtà di Helena è in grado di rimescolare tutte le carte delle sue convinzioni. Per questo gli viene su spontanea una domanda che potrebbe persino infastidire l'altra, ma che sente la necessità di porre con sincerità, dedicando a quel loro incontro un pò di pace, di conoscenza reciproca che ne rilassi le sorti. 'Perché eviti sempre i tuoi genitori?' Chiede più genuino di quanto non si potrebbe mai dire di lui, mentre termina di comporre la propria sigaretta. Si appresta ad accenderla l'istante dopo, mentre gli occhi scorrono ancora per l'arredamento della stanza. 'Da come scappi ogni volta, sembra ti abbiano fatto qualcosa di atroce.'


     
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    «Torna di rado qui. È troppo impegnato con tutto il resto.» Gli spiegò veloce senza entrare ulteriormente nei dettagli. Non voleva annoiarlo con particolari ininfluenti e a cui di sicuro non avrebbe posto interesse. Helena oramai si diceva di non farci nemmeno più caso, ma la realtà era ben diversa. Aveva sempre anelato un rapporto differente con Otis, anche solo un rapporto che potesse considerare tale. Suo fratello però era solito vivere in un mondo tutto suo, era la sua condizione patologica ad imporgli quel modo d'essere e di esistere. Helena non poteva farci niente e nemmeno Otis. Col tempo, dopo la sofferenza patita, fisica e mentale, in seguito ai suoi rifiuti, aveva dovuto adeguarsi. E così aveva tirato fuori il peggio di lei perchè le era sembrato l'unico modo di proteggersi da quel mondo che poteva fare tanto male.
    «Bene. Puoi provarlo da solo.» Rispose a tono, decidendo di dargli pan per focaccia. Stava ancora cercando di tener fede alla propria promessa. Non sapeva se ci sarebbe riuscita visto l'effetto che Mason era in grado di farle ma voleva provarci. Di certo non l'aiutava il modo in cui continuava a bloccarla, bloccandole di conseguenza anche il respiro. Quando fu libera dalla sua presa e dalla sua presenza quasi asfissiante si precipitò sul divano, portando le ginocchia al petto e puntando lo sguardo altrove quasi a voler nascondere il rossore alle guance. «Io ti sto ospitando. Non vale come pagamento?» Gli disse, guardandolo mentre aspettava la sua dose di spensieratezza. Non era dipendente dall'erballegra, era solo che a volte sentiva di averne bisogno, soprattutto quando sopportare la pesantezza di quel mondo diventava impossibile.
    Prese a guardare le fiamme nel camino come a voler sfuggire alla sua domanda. Era chiaro che prima o poi gliela ponesse. Da quando si erano conosciuti non aveva fatto altro che scappare dalla sua famiglia ma era ben conscia che l'impressione che davano, poteva stonare con le reazioni eccessive di Helena. «So come può sembrare.» Sapeva perfettamente di sembrare una ragazzina viziata e molesta che reagiva solo per far dispetto alla propria famiglia, magari anche per attirare l'attenzione ma non era così. E come avrebbe potuto spiegargli ogni cosa, senza esporsi pericolosamente?
    «La verità è che non capiresti.» Gli disse facendo spallucce, convinta di non poter essere compresa, in quel caso nemmeno da lui. C'erano cose che non riusciva a dire facilmente, ed aprirsi su quell'aspetto della propria esistenza era difficile.
    Si alzò, sparendo dalla stanza per tornare poco dopo. Si risedette sul divano, mostrandogli un opuscolo stampato su carta pregiata e rifiniture dorate. In grande, con un carattere corsivo e raffinato, si stagliava al centro della pagina la dicitura: Scuole di buone maniere. Strada per il debutto in società. «Guarda l'ultima cazzata di mia madre.» Gli porse il volantino aspettando che lo afferrasse per poter vedere tutte le imbarazzanti immagini poste all'interno. « Le dico che voglio scegliere per me per quel che resta... per la mia vita. E la sua risposta alla mia richiesta è questa.» Scosse il capo alzando gli occhi al cielo. «E poi fanculo. Ti sembra io abbia bisogno di una stupida scuola del genere? Sono tutte stronzate. E sarà piena di mentecatte.»
     
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    Sono poche le informazioni che l'altra è riuscita a rivolgergli circa la propria famiglia ed in fondo Mason non se ne stupisce molto. Lui stesso tiene per sé molto più di quanto lei non abbia già, volente o nolente, condiviso con lui. La sua opprimente realtà e tutti i propri fantasmi del passato continuano a restare chiusi in una scatola che ha troppa difficoltà ad aprire ed è questo il motivo per cui, lievemente empatico nei confronti di Helena, non insiste sull'argomento, comprendendo il suo punto di vista. Magari non riuscirà mai a capire oppure arriverà un momento in cui capire sarà più facile e lei stessa deciderà di instradarlo in tal senso. Magari, semplicemente, non sono fatti per capirsi a fondo, quanto solo per sopprimere parte di quelle sofferenze che li distaccano dal resto del mondo. Una condizione che lui sopporta, che anzi gradisce rispetto alla possibilità di doversi esporre eccessivamente lui stesso. Forse avrebbe fatto bene ad evitare di chiedere, ma vista la leggerezza con cui la discussione è caduta, non è un problema che lo turba. Se ne resta ancora in osservazione della stanza, voltandosi verso di lei solo quando, dopo essersi allontanata per un attimo, torna a sedere sul divano mostrandogli un tomo curioso per cui non si dimostra poi così entusiasta. E nell'avvicinarsi per scoprire di cosa si tratti, riesce ad immaginare con facilità il perché. 'Strada per il debutto in società?' Si lascia scappare una risata manifestante uno scherno senza pari, mentre prende posto al suo fianco per dare un'occhiata più da vicino. Le immagini all'interno del libro sono persino peggiori di quella copertina pregiata, piena di insulsi ghirigori che non si abbinano per niente alla personalità della Haugen. Un bel pugno nello stomaco doversi arrendere ad una roba del genere. 'Mi stai dicendo che entro un mese ti vedrò vestire come la regina d'Inghilterra e prendere il tè in tazze di porcellana col mignolino sollevato?' Una prospettiva che non lo alletta per niente, che piuttosto lo diverte eccessivamente nell'immaginarla conciata come una bambolina di porcellana. Ha avuto a che fare con gente del genere, spesso in incontri di alta società cui è stato costretto a presenziare di tanto in tanto, ma gli è sempre sembrato di avere a che fare con gente vuota. Tutte quelle ragazze frivole, che si danno un'importanza che non gli appartiene realmente, non hanno niente a che vedere con Helena, così vera, piccola ma agguerrita. La prova vivente che esistano degli estremi meravigliosi in questo mondo, quelli che lo ammaliano a cospetto di tutte le persone che non hanno il coraggio di osare. E' un'opinione che non cambierà mai. E' ciò che gliela fa piacere anche più della sua bellezza fisica. 'Ti preferisco quando mangi hamburger e patatine.' Le rivela in un attimo di spontaneità, espirando un pò di fumo dalla sigaretta che le passa subito dopo. Avvertire la leggera oppressione che la madre sembra averle imposto lo rende inquieto. Sa bene cosa significhi lui e seppur sia certo che Helena sia più che capace di opporsi, si ritrova abbastanza dispiaciuto per ciò che le tocca affrontare, in mezzo a tutti gli altri problemi di cui è recentemente stata protagonista. 'Beh, se non hai voglia di diventare un pinguino con la corona in testa...' La stuzzica appena, afferrandole il libro dalle mani e sfogliandolo celermente. Non è realmente interessato al contenuto, quanto ad allettare il proprio senso d'ilarità con le pose imbarazzanti raffigurate in ogni foto. '...Allora cosa ti piacerebbe fare?' Le chiede sinceramente incuriosito. Così sincero da non riuscire a guardarla negli occhi, limitandosi a passare lo sguardo sulle foto per poi indicarne una con una smorfia parecchio schifata. 'Dai, cazzo, ma chi si siede così per leggere? Le hanno infilato una mazza nel culo?' Così attende la sua risposta, fingendosi indifferente, solo per mascherare la crescente voglia di conoscerla, forse scaturita dal patto stretto poco prima e dal modo in cui lo mette al sicuro sotto l'aspetto sentimentale. O magari per altro che ancora non riesce a spiegarsi...


     
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    Il solo pensiero di diventare una di quelle spocchiose reginette senza spina dorsale e con la perenne puzza sotto il naso la faceva rabbrividire.
    «Dio. Piuttosto mi lancio in un burrone.» Non aveva bisogno di diventare qualcun'altra per essere felice. A lei sarebbe bastato poter essere se stessa senza essere costantemente giudicata.
    Aveva dovuto patire per anni il peso del confronto e dell'allontanamento. Ora voleva qualcos'altro. Ora che il karma aveva puntato una clessidra più piccola sulla propria esistenza, tutto ciò che voleva Helena era distrarsi sí ma a modo suo. Voleva avere la parvenza di un controllo.
    Rimase a fissare un punto impreciso dinanzi a sé, mentre lasciava che Mason ridacchiasse sulle figure ridicole di quell'opuscolo. Ed imbarazzanti lo erano sul serio.
    Era una scuola basata sull'esigenza di diventare persone vuote, damigelle da salvare. Lei però era abituata a salvarsi da sola ed in quanto a quel che portava dentro, beh lei dentro aveva il caotico tumulto dell'inferno.
    Fu la domanda di Mason a riportarla alla realtà. Gli lanció uno sguardo ben più pensoso di quanto ci si sarebbe potuto aspettare da lei e dai suoi modi sempre poco cordiali nei riguardi di chi indagava senza invito nella sua esistenza.
    «Non lo so. Non devo saperlo per forza, no?» Fece spallucce, davvero incapace di capire cosa volesse fare. Nell'immediato quanto in generale. Odiava programmare le cose, voleva solo accadessero. Voleva essere in balia degli eventi e vedere fin dove la corrente l'avrebbe spinta. Era così che aveva agito fino a quel momento e tutto sommato sentiva di non aver sbagliato. Aveva ottenuto Mason c suo metodo, ed anche se non avrebbe potuto dargli un'etichetta era piacevole averlo accanto.
    «Vorrei solo essere libera.» Annuì, sperando la sua risposta non risultasse troppo scontata.
    Non voleva sembrare una ragazzina vuota, una di quelle che odiava le autorità e faceva di tutto per combatterle anche solo per farsi vedere. Lei voleva sentirsi libera sul serio. Libera di essere chiunque volesse, o anche, di essere viva. Quello però era qualcosa che faticava ad ammettere a voce alta. Sapeva che se lo avesse fatto, tutto sarebbe diventato reale e la paura sarebbe tornata a padroneggiare la sua vita.
    «E tu?» Gli chiese poi, curiosa di sapere se ci fosse altro sotto la scorza dura e menefreghista che Mason era solito mostrare. Ed Helena immaginava di sì. Aveva visto qualcosa nei suoi occhi, un barlume di umanità, quando la Haugen si era sentita male. Si era preoccupato per lei, e non era da tutti.
    «Vuoi continuare a pestare e rapire gente per lavoro per sempre?» Lo canzonò com'era solita fare, godendosi un altro tiro della sigaretta afferrata prima. Sentiva quasi ormai fosse quello il loro modo di interagire. Era più semplice.




    Edited by mood swing. - 16/1/2020, 00:13
     
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    Intento a sfogliare le pagine di quel ridicolo manuale, osserva di sottecchi il fastidio dell'altra nell'immaginare di doversi sottoporre ad una roba del genere, elemento capace di istigare alla risata ancora di più Mason, parecchio divertito dalla situazione. Decisamente Helena non è adatta per intraprendere certi ruoli. E poi per lui è già perfetta così com'è, ma questa è un'informazione che non vuole lasciar trapelare neanche da un singolo muscolo del proprio viso, per cui la sua attenzione continua ad essere apparentemente rivolta alle righe impresse su quei fogli. Non si stupisce dinnanzi alla risposta di Helena. Alla sua età è più che normale non avere ancora delle chiare idee sulle proprie aspirazioni, specie se improvvisamente messa alle strette e condannata ad un limite temporale fin troppo ingiusto. Un particolare che ogni tanto Mason accantona, ma che quando torna a galla gli lascia l'amaro in bocca. Lui stesso si sente limitato nella possibilità di passare del tempo con la persona più piacevole che sia riuscito a trovarsi negli ultimi tempi. Avverte sulle spalle il peso di quella potente forza negativa che comanda la sua vita; la prima ed unica illusione di libertà e felicità è destinata a sfuggirgli dalle mani. Farne a meno a prescindere, però, è un gesto di pura codardia che per una volta è deciso a non conseguire. 'Come sei banale.' La punzecchia senza intendere realmente le parole appena pronunciate, lasciandole a dimostrazione di questo un buffetto sulla guancia che gli viene su con altrettanta spontaneità rispetto ai gesti precedenti. Liberarsi di parte dei propri timori pare averlo aiutato a lasciarsi andare e non dover necessariamente giocare a fare il duro lo sprona a dedicare qualche attenzione in più all'altra. Visti i vincoli che si sono imposti, non sarà una prospettiva tangibile quella di cedere ai sentimenti e mostrarli a qualcun altro. È questo ciò di cui si convince, per illudersi di poter tenere fede alla parola data ad Hub. 'No, penso sia giusto. Si, intendo, fare un pò quello che ti pare così da non avere rimpianti.' Un modo di vedere la cosa che lo lascia un pò interdetto. Si stupisce di quanto sia facile porre certi ragionamenti tra le possibilità altrui senza potersi soffermare sul rivolgerli a se stesso. Non è mai stato tipo da dare consigli agli altri, eppure rivolgersi ad Helena come se rappresentasse un'esternazione più libera di se stesso gli viene estremamente naturale. Complice la reciproca conoscenza cui si stanno approcciando entrambi. Quando la sua domanda gli viene automaticamente rigirata da lei, tentennare è chiaramente la prima reazione che si palesa oltre i suoi occhi ancora piantati sulle pagine di quel manuale, adesso però immobile sotto la sua presa disinteressata. Gli tocca concentrarsi su altro e non è per niente facile affrontare questo genere di argomento o anche solo riordinare i propri pensieri per tirarne fuori un discorso concreto. Si aspettava, però, che la curiosità dell'altra si sarebbe spinta nella medesima direzione e per questo motivo si sente in dovere di darle una risposta, probabilmente vaga ma sicuramente sincera. 'È un impiego di tutto rispetto, non vedo perché dovrei smettere.' Introduce la propria verità con un commento ironico, dando piena dimostrazione all'altra, per la prima volta, di quanto stretto gli stia il ruolo da delinquente che lei gli ha più volte e giustamente riservato. Essere diverso è una prospettiva che non ha mai preso in considerazione, non perché l'idea gli dispiacesse, ma perché non ha mai avuto scelta. 'Non ci ho mai riflettuto davvero. Sono cresciuto con la convinzione di dover fare questo e tirarmene fuori adesso sembra impossibile.' Solleva appena le spalle, puntando gli occhi sui suoi per qualche secondo. 'Ti senti potente all'inizio, ma poi cominci a renderti conto che non è per nulla soddisfacente. Non ti fa sentire meglio.' Qualcosa che ha imparato a comprendere anche sfogando il proprio astio sugli altri studenti in Accademia. Un gesto malsano e ripetitivo che è diventato più un'abitudine che una necessità per sentirsi meglio. Più passa il tempo, più la propria condizione gli pesa inesorabilmente... Solo che non ha mai avuto modo di ammetterlo a nessuno prima d'ora. 'Magari Magingegneria mi aprirà le porte per qualcosa di diverso, un giorno.' Cerca di convincersene mentre le confessa il proprio dubbio in proposito, puntando nuovamente lo sguardo altrove. 'Anche se avrai già capito che neanche quello mi entusiasmi così tanto.'


     
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