Lo psicoterapeuta.

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    Ivan viveva con lei ormai da parecchie settimane, e mai le erano sembrate più belle.
    Si sentiva sicuramente più in pace con se stessa, anche se talvolta doveva portarlo a passare i fine settimana con il padre.
    Non era una donna dispettosa, forse rancorosa, ma non quando si trattava di suo figlio e del suo benessere, quindi, sapendo che Desmond non poteva viaggiare più di tanto, era lei ad andare da loro.
    Aveva finito di discutere con il pediatra di Ivan quando si era ritrovata davanti due donne che parlavano di quanto fosse salutare avere qualcuno con cui poter parlare senza problemi.
    Un terapeuta il cui scopo non era quello di giudicare ma solo di ascoltare.
    Li per lì non ci aveva riflettuto più di tanto, poi però si era messa a pensare, forse era quello che le mancava per raggiungere pienamente uno stato zen sufficiente da permetterle di voltare definitivamente pagina.
    Perchè per quanto volesse convincersene non c'era niente da fare, lei trovava Will un uomo sicuramente attraente, ma non le vibrava nulla nel basso ventre. Nessuno stormo di farfalline, non ancora. Era un pò come tornare ai vecchi tempi, quando riusciva a gestire pienamente le cose proprio per mancanza di coinvolgimento.
    Solo che ora questo non le bastava più.
    Lesse il nome del dottore sulla targhetta in ottone appesa fuori la porta.
    Dottor Foster Bruce.
    Bussò e quando la invitarono ad entrare lei lo fece.
    -Salve- disse - sono il suo appuntamento delle quindici. Anna Sokolov- fatte le dovute presentazioni si sedette - questa è la mia prima volta, le dispiacerebbe dirmi cosa si fa in questa ora che ho a disposizione?-
     
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    Il weekend a Londra era saltato per colpa del maltempo, immaginavo che sarebbe successo prima o poi per tutta questa abbondanza di neve e gelo degli ultimi giorni. Una volta avevo rischiato di non partire da che le piste erano ghiacciate, ma in quel caso era bastato un colpo di bacchetta per risistemare tutto.
    Stavolta era diverso, nevicava da giorni senza accennare a smettere, e come spiegavo anche a Makenzie, alla quale avevo promesso il weekend, le mie capacità in meteomagia si esaurivano nello spostare il polline dalle mie vie aeree in primavera.
    Il ghiaccio e la neve alta rendevano Bergenwitz attutita da rumori, quasi una città fantasma, al punto che mi chiesi cosa davvero stessi facendo ancora lì.
    Ora che la mia bambina era a Londra, e il resto della mia famiglia era andato perduto, mi domandai se non fosse il caso di tornare a casa anche per me. La signora Rose, fieramente e dolcemente in carne, nel suo vestito rosa cipria mi ricorda l’appuntamento delle 15, chiedendomi poi quante zollette di Zucchero avrei gradito.
    Una, grazie.
    Anche l’incontro con Cathe mi aveva lasciato della malinconia strana sotto la pelle, una sorta di ritorno al passato con un triste finale, ancora più del passato stesso.
    Secondo me stavo invecchiando. Ho sempre difeso la mia assenza di rughe profonde, il mio animo giovane, ma il nord mi stava obiettivamente invecchiando.
    Mi chiudo la porta alle spalle, mentre il caffè compare sul tavolo, caldo e profumato, l’aroma era inconfondibile.
    “Avanti, prego” intimo al bussare. Quando la donna mi compare davanti la prima cosa che penso è: giovane. Per me è sempre un po’ un colpo al cuore avere un paziente al di sotto dei quaranta o cinquanta, mi dico, nessuno dovrebbe avere problemi sotto quell’età, ma mi rendo conto che si tratta solo di una fantasia. “Bruce Foster, prego!” Mi sposto il camice opaco invitandola al divanetto con un gesto gentile del viso e della mano.
    “Russo?” Ci suonava così tanto! “Oh fantastico, bene” nonfarebattutesullessereverginialleterapie. Non prendo alcun blocco nè penna, non è mai stato un mio vezzo, preferisco una postura morbida, caffè nella mano e sorriso leggero.
    “Oh beh, quello che preferisce, non esistono limiti” la Guido “potrebbe dirmi come mai è qui e perché crede io possa aiutarla in qualche modo, cosa si aspetta” le chiedo, ma sottolineo “questo è un luogo privato tra me e lei, una scatola chiusa e senza nemmeno un buco all’esterno” continuo “questa è la sua isola deserta... solo che ci sono io!”
     
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    Non capì che cosa volesse dire con "Russo" quindi non rispose.
    C'erano tante sfaccettature, forse voleva dire che lei era russa, o che lui russava.
    Stava facendo psicoterapia con lei?
    Si erano forse invertiti i ruoli e non stava capendo?
    -Sono qui perchè ho un problema- disse come se non fosse stato chiaro. Se non ne avesse avuti non sarebbe andata lì, no?
    -Non riesco a togliermi un peso dallo stomaco, quindi finchè non riesco a liberarmene mi risulta difficile aprirmi a nuove relazioni- era con lui che si parlava di queste cose? Anna non ne era convinta, poi se ne stava così rilassato, la guardava, come se la stesse realmente ascoltando.
    Non erano i tipi come lui che annuivano ma in realtà assecondavano solo i deliri dei pazienti che quindi arrivavano da soli alla conclusione facendo congetture a manetta? Della serie domanda e risposta tutto in autonomia.
    -Mi aspetto dei consigli, immagino- non lo sapeva neanche lei a dirla tutta.
    Magari parlandoci lo avrebbe scoperto da sola cosa aspettarsi da queste figure professionali.
    -Immagino io debba raccontarle qualcosa..- si ma cosa?
    -Oppure mi potrebbe dire lei quali argomenti discutere per risolvere il mio problema... - e lei magari dire il minimo sindacabile. Ma se non per parlare che ci era andata a fare lì?
    -Amo un uomo che non mi ama, voglio liberarmi di questo sentimento per sempre, come devo fare?-
     
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    A vedersela bene, il mio Professore della Università Magica diceva che se un paziente ci si siede davanti sostenendo di avere un problema, la metà del lavoro è fatta, e con gli anni non posso che ammettere quanto avesse ragione. La maggior parte delle persone, si accomodano nelle nostre stanze asserendo di non sapere quale sia il problema, mentono, oppure non credono possa mai essere una loro responsabilità se qualcosa accade.
    Il divano letto davanti a me, dove la giovane si era accomodata sapevo essere estremamente comodo, visti i numerosi pisolini fatti in diverse occasioni, eppure lei sembrava scomoda, come se sotto il suo pantalone, la pelle del divano bruciasse, o le desse fastidio. Il suo peso sullo stomaco doveva essere qualcosa di grande, qualcosa che davvero le dava problemi. Poi certo, spesso accadeva che il problema enorme era solo una lettura un po’ fuori misura di qualcosa di oggettivamente fastidioso. Ma qui ero pronto a scommettere che doveva esserci qualcosa di lungo, di pregresso, qualcosa che la toccava nel profondo. Ipotizzai che stesse per parlarmi dei suoi genitori o di una relazione disfunzionale con essi, ma non ci fu niente di più sbagliato.
    La cosa era grossa, certo, non come un omicidio, ma abbastanza da non far dormire qualcuno la notte, da fargli avere reflusso, crampi allo stomaco, nervosismo o le famose farfalline.
    La guardo, e con uno sguardo accomodante e gentile le sorrido, scorrendo le dita sul cartone rinforzato. Attendo che dica dell’altro ma non lo fa, questo è il suo enorme problema, ciò ch e non riesce a gestire, la cosa grande diciamo.
    “Come si chiama lui?” Lo chiedo perché cominciare a delineare la cornice che andremo a riempire nelle sedute successive è utile per affrontare il problema, un po’ come quando il terrore di guardare sotto il letto per paura di trovarvi un mostro, sia più impegnativa che alzarsi e guardarci davvero. Dare un nome al proprio problema aiuta a renderlo più reale, meno lontano, e soprattutto, Anna sembrava una donna bisognosa di essere ascoltata, partire da una cosa lontana come il nome di lui poteva facilitare le cose.
    “Un nome peculiare” faccio notare per abbassare serenamente le sue difese “Sai Anna, potrei dirti che alla fine delle sedute, o quando ti sentirai pronta, questo... problema, questo sentimento sparirà. Ma sarei un bugiardo e un ladro. Certo potrei ricorrere alla pozione più adatta, in grado di farti dimenticare ogni cosa, ma allora non si spiegherebbe il tuo perché qui oggi. Leggo che sei insegnante ad Hogwarts di erbologia, sappiamo entrambi che quella pozione sapresti fartela perfettamente da sola”abbasso un po’ la voce, la guardò con un sorriso leggero e complice.
    “Quello che posso fare è darti degli strumenti perché tu possa giorno dopo giorno, momento dopo momento essere in grado di cavalcare questa cosa, senza lasciarti disarcionare. Potrai comandarla, guidarla senza perdere il controllo, e poi si, magari alla fine farla anche davvero sparire” io avevo scoperto sulla mia stessa pelle che non era mai la strada giusta quella, anche potendo optarvi, avevo sempre scelto altro.
    “I sentimenti sono qualcosa di letale ma anche di speciale se si sa come usarli. Ma ora ti chiedo: piuttosto sei pronta a quello che il tuo problema potrebbe diventare? Sei pronta a farlo davvero sparire?”... sei pronta a parlare di lui?
     
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    Era pronta a tutto, era pronta ad affrontare l'argomento o mai si sarebbe presentata.
    Ma quando lo psicoterapeuta fece quella semplice domanda Anna si rese conto di avere un blocco alla gola, qualcosa che non le permetteva di parlare.
    Un groppo così grande da invertire i flussi e farle pungere gli occhi, così tanto da sentire le calde lacrime rigarle le guance.
    L'orgoglio le impediva di distogliere lo sguardo, immobile fissava l'uomo e il nome di Desmond picchiettava per uscire, invano.
    Dovette deglutire un paio di volte, e distogliere lo sguardo prima di sussurrare - forse ho fatto male a venire- in quel momento voleva andarsene, se non riusciva neanche a pronunciare un nome come poteva raccontare altro? Eppure non si mosse.
    -Dio come mi vergogno- si asciugò le lacrime con un segno di stizza, rabbia con se stessa più che altro.
    -Si chiama Desmond- nel decidere se andare o restare aveva optato per questa seconda opzione.
    Quello che diceva aveva un senso e forse, se avesse potuto, lo avrebbe rifatto. Una pozione, quella che aveva effettivamente creato e che poi aveva scagliato contro un muro con stizza.
    Quel tipo di scelta l'aveva già fatta e non le aveva dato conforto, tutt'altro.
    La lacerazione era stata ancora più profonda e dolorosa.
    -Sono una codarda dottore- disse auto riservandosi un sorriso di scherno - ho già percorso questo tipo di strada, un oblivion, non prima di aver conservato i miei ricordi- quindi cosa lo aveva fatto a fare? -cosa le fa pensare questo?- a lei faceva pensare che non aveva mai voluto dimenticare, o li avrebbe distrutti, non se li sarebbe prelevati, non li avrebbe custoditi.
    Sentì di aver riacquistato parte del controllo di se stessa, tuttavia tutto in lei si era appesantito, o semplicemente aveva perso le forze.
    -E cosa potrebbe diventare?- chiese con voce bassa, come se stesse più parlando a se stessa che all'uomo- cosa c'è di peggio nel vivere una vita dove sei convinta di non saper amare, sei convinta che nessuno possa mai veramente far parte della tua vita, e poi un giorno ti viene sbattuto in faccia che non è vero- raccontò piano, con calma - e allora vedi una possibilità- lo guardò e lo sapeva che aveva ricominciato a piangere, ma non ci poteva fare niente - un miraggio che ora non c'è più ma ormai hai visto cosa può essere la felicità e non riesci più a trovarla da nessuna parte.
    Nessun uomo è all'altezza delle aspettative, perchè c'è sempre questa presenza, li che mi blocca, che rivedo quotidianamente quando guardo mio figlio...
    - sospirò affranta - vorrei solo .. un altro miraggio- perchè non era giusto, perchè anche lei aveva il diritto di rifarsi una vita.
     
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    Le sorrisi davanti le lacrime, molti colleghi tentano di rimanere seri, ma l’idea è che metta l’interlocutore in difficoltà. Io invece le sorrido cautamente, quasi con affetto e comprensione, per non sottolineare quel senso di vergogna che prova, mi dico, deve essere abituata a farlo da sola, le passo un fazzoletto sfilato dal box davanti a noi e glielo porgo “Perché vergogna? Mica ci sta provando con il suo terapista!” e cerco di sdrammatizzare, riportando alla luce il fatto che non c’è niente di grave, e la vergogna è qualcosa di ben diverso da quello che sta succedendo in questo momento.
    Aspetto che si riprenda, con la bacchetta, la brocca colma di acqua si versa in parte in un bicchiere che le si avvicina al viso, mentre io silenziosamente soffio sulla superficie della mia bibita calda. Il sorriso di scherno che le cavalca le labbra lo trovo triste, e smuove quel sentimento che mi ha spinto a diventare psichiatra. Inclino la testa in un movimento fluido e comprensivo, un sorriso calmo nel tentativo di metterla a suo agio.
    “Oh beh, un mio paziente smise di fumare, ma credo che ad oggi tenga ancora un pacchetto di sigarette sotto il materasso…” la tecnica per non farla sentire fuori dal mondo, diversa dalle altre, insomma, i sentimenti forti sono provati da più persone e ci rendono tutti umani, tutti simili, per fortuna oserei dire. “Direi che è previdente quindi” e fui distratto velocemente dalla brocca insistente che era pronta per riempire di nuovo il bicchiere.
    Aspetto che finisca di parlare, di sfogarsi.
    Attendo qualche secondo, necessario perché lei fissi ciò che ha detto e perché sia pronta all’ascolto. “Sa, chiamarlo miraggio lo rende meno umano di quanto in realtà non sia, non crede? E’ come se chiamassi qualcosa senza il suo vero nome, più che un miraggio, chiarirei che è un uomo, che probabilmente l’ha aiutata a scoprirsi più di quanto credeva di conoscersi, è un processo che si attraversa varie volte nella vita, ci pensi ad esempio, suo figlio le starà mostrando per la prima volta cosa significhi essere genitore giusto? E il suo lavoro magari le ha fatto capire cosa sia davvero fare l’insegnante. Quest’uomo le ha mostrato quanto lei sia capace di amare, in fondo non è un miracolo lui stesso, ma quello che ha fatto, non crede?” insomma, mi dico “Il miracolo l’ha fatto lei più che essere lui” il chiamare le cose col proprio nome, con le proprie conseguenze aiuta il tutto ad essere più affrontabile. Chiamare un uomo assassino, lo rende più reale, meno sofisticato, e più umano che definirlo Diavolo, come facevano i giornali.
    “Vedendo il tutto in questa prospettiva... vuole riformulare l’intento e l’obiettivo che si prepone per i nostri incontri?”
     
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    Prese il fazzoletto che le veniva allungato e riflettè sulla domanda.
    Perchè vergogna? Perchè si, perchè si vergognava di essere così debole, così comune.
    Aveva vissuto una vita intera pensando di essere indifferente a certi sentimenti, persino con Philip, che pure era stato amore, si era detta che non era normale se agiva con tanta pragmaticità, se nel lasciare quello che pensava fosse l'uomo che amava non provava altro che un piccolo dispiacere, ma nulla paragonato a quella specie di devastazione cosmica che aveva lasciato dentro di lei il rifiuto di Desmond.
    Lo odiava e lo amava allo stesso tempo. Soffriva come non le era mai successo. Sembrava come se tutti i bocconi amari che aveva ingoiato in quei ventinove anni di vita fossero state semplici zollette di zucchero un pò andate a male, se paragonato al veleno che le era rimasto dentro da quando lui l'aveva relegata a "persona non classificabile".
    Il karma si burlava di lei, i sui sentimenti venivano messi in discussione l'unica volta che erano stati sinceri.
    Lui aveva conosciuto Olga, e ora che era Anna pensava che fosse quella il suo vero io. Ci aveva messo davvero poco a cancellarla.. perchè non faceva altrettanto? Questo doveva motivarla a mandarlo al diavolo, per quale accidenti di motivo non ci riusciva?
    Che delusione... e che sollievo, per lo meno davanti a lui poteva fingere di avere il suo cuore ancora intatto.
    Non sorrise ma gli fu grato per averci provato.
    Prese il bicchiere che aveva levitato fino a raggiungerla, bevve un sorso ma non andò oltre, le sarebbe venuto un mal di stomaco terribile se lo avesse fatto.
    Era previdente? Non proprio. Semplicemente si era chiusa nuovamente in se stessa. Il meccanismo l'aveva resa nuovamente apatica, non riusciva a lasciarsi andare, non riusciva a provare più niente di niente per nessun altro uomo.
    -Forse non mi sono spiegata bene. Non intendevo dire che lui non fosse concreto. Ma che sia stato fugace. Uno spiraglio di luce nel vuoto che mi caratterizzava. La consapevolezza che ero diversa da quello che pensavo.
    Ha aperto una porta ed è come se io ora l'abbia nuovamente chiusa con un incantesimo e ora non ricordo quale sia il controincantesimo per riaprirla-
    e una parte di lei stava silentemente chiedendo aiuto perchè potesse ricordare quale fosse questa magia.
    Perchè voleva davvero provarci ma il guscio vuoto che era il suo corpo non ne voleva sapere di reagire.
    -Se è come dice... perchè non riesco a voltare pagina? Per quale accidenti di motivo non se ne vuole andare dalla mia testa!- "e dal mio cuore".
    Le chiese di riformulare l'obiettivo.
    Non aveva idea di cosa volesse dire - no- rispose - non riesco a capire come si possa cambiare obiettivo se non si riesce ad accettare il fatto che la precedente storia sia finita- si strinse nelle spalle - per come la vedo io, devo prima eliminare lui e solo successivamente prefiggermi nuovi obiettivi- lo fissò e poco dopo chiese - A meno che non sia lei a guidarmi su quello che vorrebbe io lavorassi-
     
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    "Oh beh ha ragione, non è così facile aprire altre porte, non sempre almeno" e lo dicevano a me, la presenza idealistica di avere Cath nella mia vita, da quando l'avevo rivista, era così prepotente che non ero riuscito nemmeno più a parlare in modo disinteressato con quella cassiera che ogni tanto sembrava volermi fare il filo, aveva quei capelli strani, discutibili, sempre colorati, ma non sono uno che giudica, e poi, mi piaceva comunque avere qualcuna che mi facesse il filo, da dopo quel seminario, mi ero limitato al mio pezzo di pane quotidiano e via, occhi bassi e il cervello che mi ripeteva che ero decisamente troppo vecchio per una che si tingeva i capelli di celeste.
    "Un saggio diceva: La felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda... di accendere la luce" un saggio, non ricordo mica chi in effetti, eppure la trovavo sempre una frase bellissima, che poteva davvero aiutare in un sacco di momenti.
    "Oh no, non posso decidere io gli obiettivi importanti per lei, posso solo aiutarla a raggiungerli" posso, quello posso davvero. Sono piuttosto bravo in effetti.
    Il caffè continua a fumare leggero sotto le mie narici, e la guardo, questa dovrebbe essere la fase di decompressione, perciò appiattiamo un po' i sentimenti e andiamo un po' sul pratico.
    "Perchè non mi spiega com'è iniziata? Romantica? Una casualità?" Mi dico che per lasciarle il segno, deve essere stato qualcosa impossibile da dimenticare o ignorare. E come sempre, in queste occasioni, mi accorgo di come potrebbe essere lui, come quando leggi un libro e associ il viso descritto con qualcosa che la tua testa ha creato. Magari può essere uno di quelli intellettuali, alto e magrolino, ma dall'aria interessante e creativa, di quelli curvi sui libri, ma con un bel sorriso.
     
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    E infatti il problema forse era il fatto di ricordarsi di accenderla quella dannata luce.
    Anna optò per il silenzio, non aveva nulla da dire.
    D'altro canto sembrava non volerla imboccare su quali obiettivi prefissarsi. Lei invece sperava proprio in questo, una specie di guru che la prendesse per mano e le dicesse come procedere.
    Impassibile si voltò distendendosi completamente su quel divanetto, stava lì apposta no?
    Pensò alla prima volta che aveva incontrato Desmond, a quanto le era sembrato semplice quell'incarico.
    -Era solo lavoro- gli spiegò ricordando loro due che camminavano insieme nella sua casa, la casa che aveva affittato per lo scopo.
    -Prima di insegnare a Hogwarts lavoravo per il governo Inglese- era una spia e come tale aveva agito, all'inizio.
    -Desmond Reed era il mio incarico. Dovevo seguire i suoi movimenti per arrivare a scovare una persona molto pericolosa. All'inizio non avrei mai immaginato potesse finire così come è andata...- aveva fallito da ogni punto di vista.
    -La prima volta che l'ho visto era un uomo che cercava una casa da affittare, se si riusciva a condividere con qualcuno per smezzare l'affitto anche meglio. Io ero quel qualcuno- era lì apposta, era la donna che gli proponeva un affare, ero la coinquilina della cui presenza non si sarebbe mai accorto.
    -Mi resi conto che sarebbe finita male sin da subito, lui mi piaceva, come uomo, come padre, provavo qualcosa di sconosciuto e volevo tirarmene fuori, ma non fu possibile.
    A quel tempo non ho riflettuto sulla possibilità di andarmene, volevo solo cambiare incarico perchè qualcosa dentro di me mi suggeriva che sarebbe finita male-
    e il suo istinto non si era sbagliato.
    -Gli ho mentito sulla mia vera identità, anche se molto di me era vero, sa quando si fa la spia molto deve corrispondere alla verità, per gli imprevisti dovuti alla famiglia, gli avevo dato il mio secondo nome, avevo detto a mia madre di chiamarmi Olga e non Anna, e si sa le mamme dici di chiamare poco e chiamano più del dovuto. Ero davvero un'insegnante, lo sono tutt'ora, tuttavia non ero sincera al cento per cento.
    D'altra parte lui ha fatto altrettanto mentendomi sul suo lavoro, sebbene io sapessi perfettamente cosa facesse ... -
    non continuò a raccontare dei dettagli virò direttamente su quella che era stata la situazione dal punto di vista personale.
    -Ma a quanto pare le mie bugie erano più gravi delle sue, l'avergli evitato di morire meno perdonabile del non averlo ucciso- ricordava ancora i suoi occhi, la rabbia e lo sdegno che vi si poteva leggere dentro. Qualsiasi traccia di sentimento era scomparsa, sostituita dal rancore.
    - Sa, quel giorno, prima di andare a chiudere il cerchio di quella missione, avevo scoperto di essere incinta- le si riempirono gli occhi di lacrime, ma ingoiò il groppo e decise di andare avanti - quando glie l'ho detto mi ha offerto i soldi che aveva messo da parte per la figlia, ma era convinto che non fosse suo il figlio, che chissà quanti altri uomini avevo imbrogliato... non ne voleva sapere niente. Non ricordo come andarono le cose di preciso, ricordo solo di aver parlato con un uomo, di avergli detto di cancellarmi la memoria quando meno me lo sarei aspettato, in un giorno qualsiasi. Ho conservato i miei ricordi in alcune fialette e me ne sono andata- fosse tornata indietro non lo avrebbe mai fatto.
    -So solo che un giorno Desmond si è presentato con una scatola davanti a me, mi ha detto di guardare quei ricordi, e lo ha fatto solo per ferirmi, perchè io potessi ricordarmi di lui e di vederlo farsi una famiglia con un'altra donna.
    Ancora mi chiedo perchè abbia voluto ferirmi ancora una volta
    - come se non soffrisse ugualmente vivendo in quel limbo fatto di vuoti e ombre.
    -Comunque è riuscito nel suo scopo, visto che sono passati anni e fa male come fosse successo ieri-
     
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    E si che ne avevo sentite di cose strane eh, di storie mirabolanti, di Romeo e Giulietta, di lotta contro il bene e il male, di amanti e di stregoni. Ma questa storia devo ammettere che è tremendamente originale in effetti e non posso che rimanere stupito da tutto ciò, non sono cose che si sentono tutti i giorni. E vorrei dirle che il fatto sia capitato proprio a lei è un caso, un caso davvero con probabilità in media bassissime. Ma nella psicologia bisogna stare molto attenti, muoversi piano, perché la linea del tentativo di consolazione al farlo sentire un individuo pieno di sfiga è sempre molto labile, più di quanto si possa immaginare. Quindi mi limito a guardarla, a ringraziarla con lo sguardo per aver condiviso questa storia con me.
    “Oh beh, la veda così, vorrei tanto risponderle che non succederà più qualcosa del genere, ma vede, sono quasi certo che capiterà ancora” la tecnica è quella di non farla sentire spaurita, unica, in qualcosa che non sia in grado di gestire, piuttosto è bene che sappia che capiterà di nuovo a meno che non si rinchiuda da qualche parte, ma tutto ciò la troverà un po’ più pronta dell’ultima volta.
    “E può essere che lei sia fortunata, magari non accadrà di nuovo” il mondo è bello perché è vario, ci sono tantissimi Desmond lì fuori, ma per fortuna di tutti ci sono anche tanti Dennis, Simon, Kevin, e persino qualche Bruce. I Matthew non sono niente male se li si sa prendere, c’erano anche William ed Anthony, c’erano Jack e Johnny, insomma, quante possibilità c’erano che le cose si ripetessero in quel modo? Infinitesimali. Ed era bene che lei lo sapesse.
    Un giorno avrebbe incontrato un Jamie e le cose sarebbero andate diversamente, e con un Ian, forse, avrebbe dimenticato quel Desmond in due settimane, e se magari avesse incontrato un Dean? Avrebbe rimpianto Desmond per tutta la vita, chi poteva dirlo.
    “Magari imparerà ad amarlo un po’ meno, ad investire un po’ meno su di lui” poso sul tavolino davanti a me il caffè, e dei piccoli biscottini comparvero sul piattino tra me e la donna, dei piccoli cantucci italiani, i miei preferiti. Gliene offro la portata col gesto gentile di una mano mentre me ne porto uno Alle labbra.
    “Questo anche è amore? Mi chiederà” mando giù il piccolo boccone sollevando le spalle un po’ sconsolato, le labbra arricciate e lo sguardo di chi non ha idea di cosa possa accadere in alcuni momenti della vita, nonostante una vita intera di studio e libri a riguardo.
    “Sarebbe un’ottima domanda alla quale non so rispondere però” nessuno lo sapeva per fortuna, ed era questo quello che ci permetteva di conservare in noi quel senso di sorpresa, quella voglia di alzarci dal letto ogni mattina per sapere che cosa ci conservasse il futuro, e cosa quella giornata. Ed io ero felice così, l’effetto sorpresa lo conoscevo bene, aveva costellato spesso la mia vita, rendendomi più felice di un matrimonio che sapevo dover accadere.
    “Vorrei che facesse un esercizio per me, e ne discuteremo la prossima settimana. Scriva su un foglio perché e di cosa si è innamorata di lui. Non ci pensi su troppo, quello che riesce. E ne discuteremo poi qui se se la sente. Che ne pensa?”
     
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    Anna rimase a fissare il suo psicoterapeuta per tempo immemore, meglio non esprimere a parola i pensieri che le affollavano la mente, di sicuro non era d'accordo con quello che stava dicendo, ed ecco perchè ancora non si era lasciata andare con nessuno.
    Lei di soffrire ancora non ne aveva nessuna intenzione.
    Pensò a come avrebbe potuto fare per tornare ad essere la donna indifferente di quel tempo, se lo fosse stata allora sarebbe cambiata anche con Ivan? Forse era più questa paura a frenarla.
    Amarlo un pò meno.. forse era una soluzione.
    E come si calibrava il sentimento? Lei mica lo aveva voluto!
    -A cosa dovrebbe servirmi questo esercizio?- a parte a farla sentire ancora più triste di quanto già non fosse..
    -Penso che ci penserò, non le assicuro che lo farò- meglio chiarire prima, si disse.
    Non voleva essere come i suoi studenti che si facevano travolgere dall'entusiasmo e poi si presentavano a lezione senza compiti fatti.
    -La ringrazio per il momento. Le auguro una buona giornata- ma forse, se si fosse messa a pensare un pò, non ci sarebbe tornata mai più.
     
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