how to wield a sword

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    "No, no, no! Devi colpire con più precisione o ci lasci le dita. grido all'ennesimo tentativo. Carradine è stato perentorio, un altro Troll in Duelli e lo sbatte fuori dal corso. Il fatto è che Scott è dannatamente impulsivo, agita la lama senza neppure ragionarci su. Si vede lontano un miglio che non ha idea di quello che sta facendo, il che non è affatto un bene se il tuo avversario ha una spada e sa perfettamente usarla. Sbuffo nervosa, colpendo con un gesto brusco il suo bastone con il mio. Quello di colpo cade a terra in un tonfo sordo, subito raggiunto dal legno che smetto di impugnare con la mancina. "Non ci siamo." gli faccio serissima, guardandolo dritto negli occhi. Il color carminio della nuova divisa gli sta benissimo, risalta l'ambra della sua pelle e il fuoco ardente nel suo sguardo.
    Deglutisco appena e cerco di focalizzarmi sulla spiegazione senza pensare troppo al fatto che siamo totalmente soli, se vogliamo escludere gli uccelli e gli insetti che ci circolano sopra la testa, dentro questo infinito bosco che circonda la scuola. Sull'orizzonte si stagliano le montagne e, poco oltre, il mare gelido del Nord. "Ascolta, cerca di non pensare al fatto che questo sia solo un bastone di legno e che io sia la tua ragazza, ok? Devi impegnarti, Scott. E devi colpirmi più forte, davvero. Se questo fosse un vero duello saresti tipo già morto!" lo prendo in giro, lasciandomi andare ad una leggera risata. I pivelli in genere sono pericolosissimi perché imprevedibili, ma lui...
    Percorro scarso un metro prima di raccogliere i nostri bastoni, porgendogli quindi il suo per riprendere il nostro piccolo allenamento. " Guarda dico, e mi sposto alle sue spalle. "Dal modo in cui impugni si capiscono un sacco di cose: se hai paura, se sei pronto a sferrare, se al primo colpo rischi di perdere la spada..." gli spiego, spostandogli le dita in un punto esatto dell'arma. "Queste devi tenerle strettissime qui, ok? Non tutte le spade hanno la ghiera protettiva quindi sta a te cercare di non farti male dico, sistemando il suo pollice come a voler chiudere nella presa le ultime falangi delle altre dita. Sposto appena gli occhi nei suoi prima di scivolare liquida sul suo braccio destro.
    Scott ha l'odore di un bosco di pini e un po' ci somiglia, anche.
    "Stai... stai morbido con questo, se lo irrigidisci troppo non riesci a concentrarti su altro" abbasso appena il tono di voce. Non voglio sgridarlo, vorrei solo proteggerlo ma sento di essere ancora una volta egoista, perché se lui è ferito sono ferita anche io.
    Aspetto qualche istante, mettendo sul viso un'espressione interrogativa. Ha i capelli scomposti dal sudore e dalla fatica, per quanto ogni mattina cerchi sempre di sistemarli. Qui il rigore e l'ordine sono tutto.
    "Vuoi che ci fermiamo un po'? Facciamo una piccola pausa" lo invito, sfilandogli il bastone per posarlo con il mio all'ombra di un grosso tronco.
    Quindi mi avvicino appena e gli sposto leggera alcuni piccoli ciuffi dalla fronte, lasciandomi andare ad un breve sorriso. "Allora... come stai?" chiedo, e non mi accorgo nemmeno di aver appena sfiorato le mie dita con le sue.
     
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    Come volevasi dimostrare, Durmstrang ed io siamo fatti di due paste completamente diverse.
    Sono passate un paio di settimane dal nostro attracco qui al Nord, ed io fatico ancora ad abituarmi a tutto il rigore che ci impongono qui. A partire dalle camerate, per finire alle docce comuni e al cibo pessimo. E' tutto dannatamente diverso da Hogwarts e assomiglia ad un incubo più che ad un "viaggio culturale", come l'hanno chiamato. L'unica cosa che non posso dire è che abbia deluso le mie aspettative: Durmstrang è esattamente come me la immaginavo.
    No, no, no! Devi colpire con più precisione o ci lasci le dita. urla Saule, ed io cerco di non farmi cogliere impreparato, quando lei sferra un colpo forte contro il mio bastone, ma a nulla servono i miei tentativi: un tonfo e mi trovo disarmato. Sbuffo. Un'altra grande differenza con la scuola inglese è proprio quell'assurda ostinazione da parte dei nordici di battersi obbligatoriamente in dei corpo a corpo che potrei facilmente vincere, se solo non dovessi concentrarmi a camuffare il fatto di essere un licantropo: il Nord è fatto così, un passo falso e sei bello che morto.
    Ascolta, cerca di non pensare al fatto che questo sia solo un bastone di legno e che io sia la tua ragazza, ok? Devi impegnarti, Scott. E devi colpirmi più forte, davvero. Se questo fosse un vero duello saresti tipo già morto! cerca di spiegarmi Saule, ed io inspiro profondamente. «Se fosse un vero duello, avrei già staccato la testa al mio avversario.» le rispondo, un puntino irritato. Lei è un'ottima insegnante, mi illustra le dinamiche del combattimento con una facilità tale da portarmi a pensare che ne abbia la completa padronanza. E' una sua dote naturale, quella, è evidente. Sono io il problema, io che non sono abituato a maneggiare quel genere di arma e che, in caso di pericolo, sono stato istruito a tirare letteralmente fuori le unghie ed i denti.
    Senza che me ne renda conto, Saule scivola silenziosamente alle mie spalle e me ne accorgo solo quando la sua mano mi accarezza il bicipite destro. Mi volto immediatamente a guardarla, mentre tento di seguire la sua spiegazione, distratto dalla sua vicinanza. Sono settimane che i nostri contatti si sono limitati a dei piccoli baci frettolosi nei corridoi, prima delle lezioni, tra i risolini delle ragazze della scuola che - per la cronaca - sono serpi della peggiore specie.
    Stai... stai morbido con questo, se lo irrigidisci troppo non riesci a concentrarti su altro. mi consiglia, aiutandomi ad assumere una posizione più favorevole all'attacco con quel dannato bastone. Ma io sono distratto da un po' e lei lo nota, probabilmente, perché mi propone una pausa che io accetto con enorme piacere. Lascio che mi sfili il bastone dalle mani, e quando mi chiede come sto, distendo finalmente le labbra in un sorriso soddisfatto che raggiunge l'apice nel preciso istante in cui riesco ad accompagnare il suo corpo contro un tronco di un albero che non riconosco.
    «Voglio tornare in Inghilterra, scappiamo?» le domando, sorridendo molto, troppo vicino alle sue labbra, mentre le mie mani stanno ormai viaggiando da sole, sul suo corpo asciutto. La nuova divisa è fin troppo coprente, ma non mi arrendo, e in un attimo ho raggiunto il suo fondoschiena con entrambe le mani. La sollevo affinché possa agganciarsi ai miei fianchi, e ammicco. «Sembra che questa scuola voglia impedirci in ogni modo di stare insieme, non credi?» le domando.
    Abbiamo parlato davvero poco, negli ultimi giorni, ed io e lei non siamo davvero abituati a questa distanza. Non ci si abitua mai, alle distanze. «Il cibo è troppo poco, e la storia delle docce comuni non mi piace per nulla. Ma sto bene. E tu?» le chiedo infine, sfiorando il suo naso col mio, in un contatto delicato. Non le dico che i miei compagni di camerata sono tutt'altro che cordiali e che ho notato qualche ragazza fare la stupida con me da lontano. Abbiamo così poco tempo da vivere insieme, che mi sembra stupido sprecarlo in quel modo.
    «Anche voi ragazze fate la doccia tutte insieme?» ammiccando un pochino per poi scoppiare a ridere quasi immediatamente, quando sul volto di Saule compare un'espressione accigliata. «Sei bellissima.» le dico sulle labbra, e lei sa che non mento.
     
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    Roteo gli occhi al cielo, notando con un certo divertimento la punta di stizza nella sua voce: a Scott perdere non piace affatto. È per questo che gli propongo una pausa, se non è abbastanza concentrato non può rendere neppure la metà di quello che vorrebbe, ed ecco che tutto diventerebbe una gran perdita di tempo.
    Tra il momento in cui metto a terra i bastoni e quello in cui mi ritrovo schiena contro un albero non passa che una manciata di secondi, soltanto che adesso quello divertito è lui, è lui che distende le labbra in un sorriso compiaciuto prima di bisbigliare qualcosa ad una distanza sempre troppo corta.
    Rido così, d'istinto, mentre i suoi occhi si accendono di una luce diversa dentro quella semi-confessione che vorrebbe dire molto di più di quello che si può permettere; resto allora immobile nella sua stretta e gli permetto di frugare un poco mentre le mie braccia prendono posto intorno al suo collo. " Cos'è, ti manca la pioggerellina romantica di Londra?" lo prendo in giro, anche se in realtà mi è piuttosto chiaro il vero perché della richiesta. Annuisco un poco, cercando di sistemargli qualche ciuffo con le dita nel vano tentativo di dare un contegno a quella matassa scura e un poco arricciata. Le ciocche scattano come piccole molle, prima di ricadere sulla sua fronte pulita.
    È così bello, penso, fa quasi male.
    Mi sfiora appena il naso con la punta del suo, è un gesto piccolo e semplice, ha il valore della premura. "Io? Mah, se escludiamo il fatto che farei volentieri brillare le ragazze di camerata in realtà non sto avendo poi così tanti problemi. Voglio dire, è solo un mese, no?" replico, tralasciando un paio di dettagli senza valore.
    Lo osservo ammiccare con faccia furbesca e presto aggrotto la fronte con un certo disappunto, prima di vederlo scoppiare a ridere. "Ah ah ah, simpatico. Posso venderti un biglietto di poltronissima se vuoi, è l'ultimo rimast..." faccio per prenderlo in giro, non che a lui interessi più di tanto perché non riesco neppure a finire la frase che m'interrompe con un "Sei bellissima" che mi spiazza. "E tu sei un ruffiano" dico, perché a raccogliere i complimenti non sono mai stata tanto brava, forse è anche per questo che gli sfioro appena le labbra con le mie e per un istante lo stringo più forte e socchiudo gli occhi. Poi "Tu ci sei mai salito su un albero?" chiedo, sciogliendo un poco la stretta e raccogliendo le sue dita. E mi trovo un po' fuggevole, un po' in imbarazzo, un po' spaventata da tutto quello che riesco a sentire dentro, perché è solo a quel punto che realizzo: a certi occhi, a certe mani, a certi baci è chiaro che non mi abituerò mai.
     
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    «Ti sorprenderesti a scoprire che mi manca persino quella?» le domando, divertito e un po' pensieroso, ma non glielo lascio notare. Il Nord, con i suoi laghi ghiacciati, le distese di alberi secolari ed il suo clima glaciale, è spettacolare. Dal bosco della scuola godiamo di una vista mozzafiato su tutto il territorio circostante e, davvero, nemmeno descrivendolo potrei rendere in qualche modo giustizia alla sua bellezza. Però proprio non riesco a sentirmi a casa. Il castello è spoglio, essenziale, i professori sono rigidi e distaccati, gli studenti che popolano i lunghi corridoi non fanno altro che sfidarti in ogni modo che conoscono, con una parola di troppo, uno sguardo, un gesto ed il tutto non fa che farmi sentire sempre più lontano da quel modo di vivere. Ed io mi chiedo, sarà così che Saule si sente, a Londra?
    «E' solo un mese.» ripeto, assaggiando le sue labbra in un momento di dolcezza che vorrei terminasse più tardi possibile. Se esiste un posto dove tutte le cose devono stare in un determinato momento della vita, se il destino non è una menzogna, allora quando le mie braccia cingono i fianchi di Saule e le sue dita affusolate mi sfiorano la mascella, è in quel momento che capisco che non c'è cosa più giusta, non esiste alcun mondo parallelo in cui i nostri corpi non siano intrecciati e i nostri sguardi persi l'uno nell'altro.
    «Su un albero? Perché avrei dovuto?» le dico, alzando repentinamente un sopracciglio, perplesso. Le nostre dita si intrecciano per un lasso di tempo troppo breve, prima che io mi fiondi in una breve rincorsa che termina con un balzo volto ad acchiappare il primo ramo che la vegetazione mi regala. «Vediamo, prova a prendermi!» le faccio, a mò di sfida, mentre con un movimento oscillatorio, mi riesco a dare la spinta che mi accompagna a cavallo del robusto tronco.
    «Ehi, ehi, la magia non vale!» la ammonisco, indicandola.
    E in quell'attimo di spensieratezza si imprime la nostra essenza.
     
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