Something bad.

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    Sbuffai, volgendo la testa all'indietro a guardare il cielo. Oscuro e privo di luci, quel velo nero ricopriva qualsiasi cosa a cui i miei occhi potessero giungere, rendendo tutto vagamente inquietante. Neanche la luna, nascosta dietro nuvole plumbee, aveva il coraggio di farsi avanti. Le ronde in solitaria, specie nella tenuta del castello, non erano esattamente le mie preferite. In quei giorni, tuttavia, dovevo ammettere di apprezzare il silenzio che regnava fra gli alberi e che speravo zittisse anche il cumulo di pensieri che mi si aggrovigliavano in mente.
    Ero a Hogwarts da poco più di due settimane, ma il tempo sembrava scorrere tanto veloce da non farmene rendere conto. Mi sentivo bloccata a quel primo giorno, a quel banchetto che tutto aveva fatto tranne che darmi il benvenuto. Mi era sembrato piuttosto di riprendere in mano gli stessi problemi che avevo lasciato da parte durante l'estate, quando mi ero illusa di averli risolti.
    Sospirai, stropicciandomi gli occhi che minacciavano di chiudersi per la stanchezza. Non sapevo che ore fossero, ma era passato parecchio tempo da quando avevo lasciato la Sala Grande dopo la cena. Immaginavo che anche quella notte, come le altre precedenti, sarei tornata in dormitorio senza beccare nessun impavido studente in cerca di brividi nella Foresta Proibita. Ci speravo, soprattutto. Avrei volentieri evitato di dover scortare qualche colpevole fino all'ufficio della Preside, specie qualche Grifondoro troppo curioso.
    Io stessa mi mantenevo vicina al confine con la Foresta, senza inoltrarmici. Tenevo la bacchetta in mano mentre camminavo lentamente da una parte all'altra come un soldatino assonnato.
    Crack. Il rumore di un ramoscello spezzato mi mise sull'attenti e mi fece voltare nella sua direzione. Non sembrava essere troppo distante: mi concentrai sui suoni attorno, finché non mi convinsi abbastanza di poterli identificare come passi. A quel punto non potei fare altro che andare a controllare, accendendo la bacchetta con un colpetto e un sussurrato "Lumos".
    Oltrepassai il limite della tenuta, entrando nella foresta proibita e cercando di orientarmi tra la fitta vegetazione che la caratterizzava. Cercai di muovermi in fretta, fino a quando non notai una silhouette in lontananza. Abbassai la bacchetta in modo che la luce non fosse troppo evidente da permettergli di sfuggirmi, chiunque fosse. Iniziai a maledire l'ignoto studente e, nella smania di raggiungerlo, la giacca della divisa mi si impigliò in un ramo ruvido. Mi ci volle solo qualche secondo per liberarmi, ma quando risollevai lo sguardo non riuscii più a trovare traccia della figura misteriosa. Ovviamente.
    Già stanca, sospirai per l'ennesima volta e mi voltai, intenzionata a lasciar perdere e a tornare in dormitorio. Guardavo verso il suolo reso irregolare dalle radici degli alberi: fatti pochi passi mi accorsi della presenza di qualcuno di fronte a me e mi bloccai giusto in tempo per non scontrarmici. Trasalii, sorpresa, prima di recuperare la lucidità sufficiente a puntare la bacchetta verso il viso di... Landon. Il mio stupore si tramutò istantaneamente in un viscerale risentimento.
    "Ah, sei tu." Stizzita, diedi un altro colpo di bacchetta affinché si spegnesse e facesse sparire la sua faccia dalla mia vista. Al buio speravo mi venisse più semplice affrontarlo, senza farmi ferire dalle sue espressioni algide.
    "Spiacente di rovinare la tua gitarella notturna, ma non puoi stare qui." Come se volesse farmi un dispetto, la luna fece capolino in quello stesso istante, rendendo le cose un po' più chiare, più nitide. Posai velocemente il mio sguardo altrove, per non dover incrociare il suo.
    "Vattene. Torna in dormitorio." dissi soltanto, prima di superarlo dandogli volontariamente una spallata, unico modo che trovai di sfogare la rabbia che stavo cercando di reprimere. Ma che inevitabilmente cercava di uscire fuori, come una creatura feroce in gabbia. Indomabile, riuscì a liberarsi, facendomi voltare di nuovo dopo aver percorso una ridicola distanza.
    "Se vuoi farti ammazzare da qualche creatura della foresta, fai pure. Non sentirò la tua mancanza." sibilai quelle ultime parole con astio, ferita dal fatto stesso che le percepissi come una menzogna. Rimasi immobile a guardare le ombre giocare sul suo volto, sul punto di andarmene ma non realmente pronta a farlo.
     
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    Con un libro in grembo ed una bottiglia di bourbon in mano, Landon era seduto sul bordo della finestra a guardare il cielo, assorto. Non era certo che fosse molto legale starsene appollaiato là, con i piedi penzolanti nel vuoto, ma alla fine nella vita doveva pur esserci un pizzico di brivido per renderla forse non esaltante ma almeno sopportabile. Le lezione erano riprese, e la routine da studente di Hogwarts aveva ricominciato a fare il suo corso, monotona, insopportabile. Con la solita maschera di pietra, aveva percorso i corridoi a testa alta in silenzio, quasi sempre in solitudine a parte qualche pacca qua e là tra compagni e sporadici momenti di risa insieme ad Alex, magari mentre erano intenti a confabulare su pozioni accresci muscoli o porcherie del genere. Di Eleanor, solo qualche ombra fugace. Un sorriso alle amiche, una mano tra i capelli. Lui la sorpassava, le labbra irrigidite che non lasciavano trasparire nemmeno un'emozione.
    Si era comportato da sciocco al banchetto, ma non capiva, non comprendeva cosa diavolo ci fosse di sbagliato in tutto questo. Si era sforzato, addirittura impegnato per riappacificarsi, per renderli quasi...amici. Per cosa, alla fine? Vederla dirigersi verso il tavolo dei Serpeverde a fare gli occhi dolci a Kai, mentre tutte le sue compagne erano a parlare con i Corvonero? Non era scemo, ed esser stato platealmente ignorato, se non addirittura rigettato, lo aveva deluso. E come sempre, puntuale come un orologio svizzero, la sua rabbia era esplosa pungente, rompendo quel sottilissimo legame che univa entrambi, precario come un ponte di ragnatela.
    Chiuse il libro, accarezzandone il titolo in rilievo, posandolo poi in cima ad una delle innumerevoli torrette di volumi che si ergevano sontuose nella sua stanza. Svitò la bottiglia con il pollice, si portò la bottiglia alle labbra, e lasciò che due lunghi sorsi gli scaldassero l'esofago. Si alzò, infilò il mantello nero come la pece e con il solito pacchetto di sigarette extra tossiche nella tasca, uscì di soppiatto dal dormitorio. Sapeva che quell'anno i controlli sarebbero stati ancora molto stretti, ma per lui fuggire di nascosto non era mai stato un problema. Con attenzione, attese il momento giusto per sfilare dietro ad un Caposcuola con gli occhi socchiusi, per poi trovare l'uscita migliore ed inspirare a pieni polmoni l'aria frizzantina che sapeva di libertà. S'incamminò incappucciato, fluttuando come un demone della notte, silenzioso, verso la capanna del guardiacaccia. Ancora pochi metri, e si ritrovò al limitare della Foresta Proibita, finalmente solo. Nel buio completo, una piccola scintilla si accese mentre si accendeva una sigaretta con i fiammiferi perenni acquistati a Diagon Alley, illuminandogli per un secondo il volto rilassato. Immaginava che là probabilmente qualcuno sarebbe stato di ronda, ma non se ne preoccupava. Il bosco sarebbe stato capace di nasconderlo, così come faceva con le altre creature che lo popolavano. Che poi magari avrebbero persino assegnato quel giro ad un prefetto, chissà. Ma quante possibilità ci sarebbero state di incontrarla? Due, tre percento, forse cinque? Ah, una luce.
    Con passo felpato, fece retro-front appoggiandosi al tronco di un albero abbastanza largo da ricoprirlo interamente, allungando poi lo sguardo nel tentativo di identificare la figura, mentre con le dita spegneva le braci della sigaretta. Non c'era abbastanza luce eppure... fanculo le probabilità. Quella era Eleanor Lane, e lui ci avrebbe scommesso il suo armadietto di alcolici personale. Si avvicinò lentamente, per non spaventarla, finché la ragazza si voltò con così tanta rapidità che il giovane non poté fare a meno di poggiarle le mani sulle spalle per non farla cadere. «Oh, ehi» fece un mezzo sorriso, invisibile in quell'oscurità appena creata dalla Grifona. Il nero era capace di nascondere tante cose, ma di certo non il tono di lei. «Sembri contrariata.» oh, ma adesso era lui in torto? Era colpa sua se aveva creduto in qualcosa di inesistente? «Lo so, tra poco me ne andrò» sospirò, cercando il suo sguardo sfuggente. «Ma non ora» mormorò più a sé stesso, impercettibilmente. Era quello il momento migliore per parlare, non ci sarebbe stata occasione più d'oro: niente insegnanti, niente studenti, niente fantasmi, niente quadri pettegoli, solo loro. Non rispose alla successiva richiesta imperativa, incassando la spallata in parte sbigottito dal comportamento astioso di lei. «Mi spieghi perché ti comporti così? Vai da Parker per evitarmi e poi ti incazzi perché dico la verità? Eleanor!» la richiamò, mentre si allontanava furiosa. Si voltò, e le sue parole furono così taglienti da farlo retrocedere, a occhi sbarrati. Bene, quando una persona ti augura di morire, le cose non vanno mai troppo lontano. «Come preferisci. Sparisco» le parole morirono nella sua gola, improvvisamente secca. «Solo un'ultima cosa. Non sarebbe dovuta andare così, e lo sai. Buona notte» sarebbe dovuto andare a rincorrerla, incazzarsi, urlare, ma quella frase gli aveva incollato i piedi come se fossero sprofondati in mezzo metro di sabbie mobili, che inesorabilmente lo trascinavano giù, sempre più in profondità. Prima di voltarle le spalle ed incamminarsi da un'altra parte, qualsiasi altra parte, guardò i suoi lineamenti mortificato, mentre un sorriso triste, brillava alla luce smorta della luna.
     
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    Tentai di mantenere lo stesso sguardo duro che gli avevo rivolto fino a quell'istante, nonostante sentissi quella maschera scivolare via lentamente e inesorabilmente. Avevo esagerato. Avevo parlato ascoltando solo l'ira che ruggiva dentro di me, per uno sciocco spirito di rivalsa che non era servito a nulla. Era una battaglia già persa, una battaglia che non avrei voluto combattere. Scattai in avanti quando lo vidi intenzionato ad andarsene, dopo quel "Sparisco" triste e arrendevole. Ma mi bloccai, costringendomi a non inseguirlo, ancora troppo rassegnata all'idea che fossimo destinati a non trovare mai un punto d'incontro. Chiusi gli occhi, abbassando il capo per trovare la forza di dominare il mio istinto.
    "Solo un'ultima cosa." Sollevai la testa di scatto, riaccesa da una vaga ma consolante speranza. Attesi le sue parole che si attende una ventata di aria fresca in una giornata dal caldo afoso e opprimente.
    "Non sarebbe dovuta andare così, e lo sai. Buona notte." Sentii il cuore saltare un battito, agitarsi e contorcersi per quella frase, tanto ambigua quanto limpida. Abbandonai la testa contro il petto, contesa tra l'orgoglio e il desiderio di bloccarlo.
    "Lo so." bisbigliai, sommessamente. Rimasi immobile per qualche attimo, a rimuginare sulle parole e sugli errori di entrambi. Mi domandavo quante volte ancora ci saremmo trovati intrappolati in quell'altalena di incomprensioni e chiarimenti, costretti a fare finta di non vederci quando i nostri corpi scivolavano l'uno accanto all'altro nei corridoi, a cercare di evitare che i nostri sguardi non si trovassero nello spazio ristretto della Sala Grande. Sospirai, lasciando che il cuore avesse la meglio sulla mente.
    "No, aspetta! Aspetta." Corsi verso di lui, afferrandogli il braccio con entrambe le mani e attirandolo verso di me con tutta la poca forza che possedevo. Posai gli occhi tristi su Landon, senza sapere esattamente cosa dire. L'unica certezza che avevo era il fatto di non volerlo lasciare andare, non dopo le parole che mi aveva rivolto. Non sarebbe dovuta andare così, certo. Eppure eccoci lì, ad affrontare una realtà lontana dai nostri piani. Davo la colpa a lui, al suo fare incostante e capriccioso; ma, d'altra parte, ero cosciente di non essere pienamente neanche io dalla parte della ragione.
    "Sei davvero convinto che stessi cercando di evitarti?" Lasciai la presa sul suo braccio con la stessa malinconica rassegnazione percepibile nella mia voce. Avrei voluto essere capace di spiegargli con chiarezza come stavano le cose, eppure sentivo che non ne sarei stata capace, che avrei fatto qualche passo falso per l'ennesima volta. Come se non bastasse, non potevo trascurare quella sensazione di fastidio per il suo avermi giudicata così frivola e stupida, capace di ignorarlo di proposito solo per il gusto di fargli un dispetto.
    "Sono andata da Parker" dissi, facendo polemicamente eco a ciò che aveva detto poco prima "solo perché ho sentito cosa ti stava dicendo Saturn. E..." Mi trattenni dal continuare a dare voce ai miei pensieri, non del tutto certa di voler ammettere le vere ragioni che mi avevano spinto ad andare da Kai.
    "Lascia perdere. Tanto sai già la verità, no?" Le mie dita disegnarono delle virgolette per aria, a incorniciare quella verità che evidentemente ci sfuggiva di continuo. Il mio sguardo andò a perdersi altrove, lontano dal suo volto, fermandosi in un punto oscuro della foresta, del tutto casuale.
    "Sono andata da Kai per chiedergli cosa ti avesse fatto." ammisi, in un sussurro debole. Inspirai, sperando che l'aria della notte mi infondesse anche il coraggio di continuare quel discorso.
    "Ti ho visto, ho sentito Saturn e ho fatto due più due. Pessima decisione, però." Telegrafica, l'unico modo che avevo per spiegare tutto senza spiegare, davvero, niente. Ma era la mia verità, sfumata nei suoi confini, scheletrica, forse nemmeno sufficiente.
    "Non che questo giustifichi il tuo trattarmi di merda." soffiai, aggiungendo nuovamente una nota amara al mio tono e guardandolo con la coda dell'occhio. Mi riusciva impossibile credere che davvero non riuscisse a capire che il mio atteggiamento aggressivo era solo frutto del suo comportamento. Si aspettava forse che facessi finta di niente?
    "Ma hai ragione. In fondo me l'avevi detto: non devo preoccuparmi per te. Non accadrà più." Dentro di me speravo di riuscirci, speravo di riuscire a evitare di immischiarmi nella vita di qualcuno che, come mi sembrava chiaro, non voleva ne facessi parte. Sarebbe stata una promessa diretta più a me stessa che a Landon, una promessa necessaria per non cadere troppe volte sullo stesso errore.
     
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    Come poteva essersi illuso ancora una volta? Forse la cosa che lo irritava più di ogni altra di quella storia, era che se tutto fosse ricominciato da capo, lui avrebbe agito esattamente così. Lo avrebbe fatto perché ci credeva, credeva che Eleanor potesse essere alla sua altezza, tenergli testa, allietarlo persino. Ma quella frase, così affilata e penetrante, lo aveva colpito esattamente al centro del microscopico punto nel suo cuore non ricoperto dalla spessa corazza d'acciaio che lo avvolgevo quasi interamente. Non era rabbuiato per l'implicita condanna a morte che acida voleva solo infiammare il suo ego, quanto piuttosto per le cinque parole che avevano sancito la chiusura di ogni rapporto minimamente benevolo: 'non sentirò la tua mancanza'. Più dure delle lettere stampate a fondo pagina che lasciavano l'amaro in bocca dopo un libro molto appagante. Oh, perché quella sarebbe stata la fine, senza dubbio.
    Landon distolse lo sguardo da lei come quando si guarda direttamente il sole per parecchio tempo, e ancora stordito, accese una sigaretta. Mandò giù una boccata di fumo inspirando profondamente, per poi buttarlo fuori con lentezza e regolarità esasperante. Era ora di levare le tende e rassegnarsi per sempre all'idea. S'incamminò nel buio della foresta con calma, una mano in tasca e le sopracciglia aggrottate, pensando a cosa diavolo fosse appena successo, in nemmeno tre minuti di tempo. Sarebbe dovuto rimanere nascosto dietro un albero, ecco tutto.
    «Aspetta, aspetta!» si voltò di scatto, sentendo poi le mani di lei affondare nel suo braccio con foga. Il cuore iniziò a palpitargli nel petto con un vigore rinnovato, proporzionale alle sue speranze e al sollievo di non aver dovuto dire addio per sempre a quella Grifondoro così...unica. «Be', se vedessi me in mezzo al tavolo delle Serpeverdi mentre tutti gli altri miei Concasati sono da voi, cosa penseresti?» forse rigirare la frittata sarebbe stato più facile per farle capire la scomoda posizione che lo aveva spinto a comportarsi così. E i suoi sentimenti. La ascoltò perplesso, finché il nocciolo della questione venne alla luce con un'entrata ad effetto degna del suo soggetto. Ah, Saturn. Anche se a quanto pareva era direttamente implicata, non ne comprese subito il motivo. «No, Elle, no. Non la conosco questa verità.» imitò il gesto di lei con un sorriso ironico. «Se la sapessi non sarei qui immagino. O forse sì ma in un contesto diverso» continuò incrociando le braccia, questa volta sprovviste del morbido calore umano della giovane. Strinse le labbra per nascondere la soddisfazione sentendo l'ammissione della Grifona, e si fece sanguinare quello superiore, questa volta per trattenersi dallo scoppiare incivilmente a ridere, percependo un'onda di ilarità distendergli il nervosismo accumulato in precedenza. «Due più due? Cosa pensavi, che io e Saturn..? Fino a quel momento non sapevo nemmeno fosse la sorella di Kai» mormorò con una mezza risata, spenta immediatamente per non ferirla. «Pessima, sottoscrivo» non si era accorto di essersi avvicinato nuovamente a lei, tanto da non vedere quasi nulla oltre il suo busto ed il buio opalescente, intimo. «È vero, ho esagerato» ricambiò l'occhiata di lei, in parte pentito. Ma c'era da aggiungere che se non si fosse incazzato, lui non avrebbe sentito molte cose piacevoli adesso. Sì, insomma, interessanti. D'altra parte, se non avevano litigato oggi, avrebbero litigato domani. «Difatti, non devi preoccuparti per me, davvero; è meglio così per entrambi. Tu piuttosto, sei una specie da tenere sott'occhio» scherzoso, tastò il terreno per vedere se tutto fosse risolto, se, per la seimilaottocentesima volta avevano fatto pace ed erano pronti per andare nuovamente avanti. «Qui è un po' losco però, e tu sei piccola. Usciamo» appoggiò con delicatezza il palmo sulla spalla destra di lei, guidandola fino al limitare della foresta. Un conto era se là si trovava da solo, un conto era se di mezzo si trovava uno scricciolo di ragazza con la forza di una foglia secca.
     
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    Percepii un tono ilare nelle sue parole e, con la fronte corrucciata e lo sguardo a metà tra la rabbia e la perplessità, lo guardai per capire meglio. Non era mai facile studiarne le espressioni, ancor meno cercare di scrutare i pensieri che gli vagavano nella mente. Ma quella volta ne ero certa: era divertito, compiaciuto, come se gli avessi fatto la più lusinghiera delle confessioni.
    "Tu e Sat... No! Non ho pensato a niente del genere." mentii, sorpresa del fatto che avesse tirato fuori quel mio irritante sospetto. Saturn era una bella ragazza, una che sapeva come usare il fascino a proprio vantaggio e che non si faceva problemi a prendere ciò che desiderava. Per quanto ne sapevo, tra lei e Landon poteva esserci stata qualsiasi cosa, ma non ci volevo pensare. Il cuore batteva già troppo velocemente, per quel suo essere così vicino a me da non permettermi di vedere altro. Tenevo ormai gli occhi incollati ai suoi, mentre il mio umore pendeva da ogni parola che pronunciava. Non riuscii a nascondere l'irritazione per quel suo ribadire quanto la mia azione non gli fosse piaciuta (cosa che, sì, mi era già piuttosto chiara) e nemmeno la sua ammissione di colpa riuscì a rabbonirmi del tutto.
    "Mh, già. Come al solito, aggiungerei." Esagerare doveva essere una sorta di missione della vita, per Landon. Perché esagerava sempre: nelle reazioni, nei comportamenti, negli sguardi intensi e capaci di renderti totalmente vulnerabile nel giro di una manciata di secondi. Riuscii a fatica a distogliere lo sguardo, scuotendo il capo. Non persi tempo a spiegargli che non bastava che lui mi dicesse cosa era meglio per entrambi - in che modo, poi? - perché io riuscissi dall'oggi al domani a non interessarmi a ciò che faceva o ai guai nei quali si cacciava.
    "Tu piuttosto, sei una specie da tenere sott'occhio." Mi voltai di scatto, senza capire cosa volesse dire. Spontaneamente, il mio volto si distese, lasciando spuntare un sorriso dietro a un'espressione vagamente offesa. Era una dichiarazione di pace ben nascosta, ma non sapevo se poteva bastarmi. Perché ero quasi certa che gli stessi problemi sarebbero tornati da lì a qualche giorno, ingigantiti magari.
    Di certo, non trovai il tempo di pensarci in quel momento. Il suo tocco mi colse impreparata e mi confuse quell'improvvisa premura. Nascosi a stento una smorfia soddisfatta, ma non riuscii a frenare anche la lingua.
    "Oh, non ti devi preoccupare per me, davvero. È meglio così per entrambi." Lo imitai, portando teatralmente una mano al petto, per poi ridacchiare e lasciarmi guidare verso un punto meno ombroso.
    "Non sono piccola, comunque." affermai poi, seria. Dovevano smetterla, tutti, di vedermi come una ragazzina indifesa. Non appena giunti al limitare della Foresta mi separai da lui, facendo qualche passo che mettesse distanza tra i nostri corpi e ordine nella mia mente. Sospirai, in balia della confusione più totale.
    "La finirai mai con questa cosa alla Dottor Jekyll e Mister Hyde? Perché quando siamo soli sei..." Troppi aggettivi fin troppo positivi minacciarono di venir fuori dalle mie labbra: cercai di reprimerli tutti. Mi volsi a Landon per l'ennesima volta, facendo un cenno sbrigativo con la mano.
    "...be', così. Ma basta la presenza di chiunque altro e ti trasformi in uno stronzo." Avanzai verso il Corvonero, ricercando di accorciare le distanze ancora una volta, cedendo a quella forza che mi attirava a lui come magneticamente. Mi fermai solo quando fui abbastanza vicina da dover sollevare la testa per poterlo guardare in faccia. Rimasi in silenzio a fissarlo per un po', come se sperassi, in quel modo, di poter trarre qualche informazione.
    "Lo so che non lo sei, quindi smettila, ok? Smettila di far finta che vada bene quando sei incazzato, smettila di ignorarmi quando vorresti parlarmi. Smettila e basta." Buttai fuori quelle parole senza che il filtro della Ragione le revisionasse. Erano sincere, troppo. Contenevano tutto quello che avevo covato in quei giorni, tutti i pensieri che si erano moltiplicati rapidi e travolgenti. Sentii le guance imporporarsi, ma mi feci forte del buio per nascondere quella manifestazione indesiderata.
    "Sei hai qualcosa da dire, farai bene a dirla. Tanto ormai devi stare qui con me finché non finisco la ronda, mi spiace." Feci spallucce, con un sorrisetto furbo, sperando che quel silenzio intorno lo convincesse a rivelare qualcosa di sé. Qualsiasi cosa: mi sarebbe bastato.
     
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    Leggero come un ragazzino che non ha ancora nemmeno mezza preoccupazione per la testa, scoppiò fragorosamente a ridere, mentre il suono della sua voce echeggiava nel silenzio del limitare della foresta. Provava un vago compiacimento nel tono stranamente più acuto di lei; forse perché finalmente riusciva a farle provare un briciolo di ciò che lo aveva seccato per tutta l'estate, forse perché semplicemente si sentiva lusingato dal fatto che Eleanor facesse quel tipo di congetture su di lui. Congetture che, benché da parte sua non fossero fondate, potevano benissimo essere valide per Saturn. Oh, non che Landon pensasse che l'altra Grifondoro provasse un qualche tipo di sentimento verso di lui, no, piuttosto si comportava come un gatto con un uccellino che vola troppo basso: lei giocava e basta, per il gusto di farlo, senza tenere in considerazione chi fosse la preda.
    «Allora spiegami cos'hai pensato» buttò lì con una scintilla di malizia negli occhi, per vedere se avesse veramente avuto ragione o se come al solito aveva visto cose che in realtà non esistevano. Era particolarmente curioso di sapere quale scusa verità avrebbe tirato fuori.
    Rimase un attimo piccato dal commento successivo, senza sapere come ribattere. Lui non aveva proprio esagerato: cioè, non era stato corretto, ma in fin dei conti lo aveva fatto per una buona causa, no? C'era stata una motivazione, sotto la sua rabbia. Che poi il fatto che fosse totalmente incapace di frenare il veleno dalle parole, non influiva del tutto sulla questione. Se si provoca, si subisce. Ad ogni azione, corrisponde una reazione. Insomma, a suo sostegno c'erano diecimila altre teorie scientifiche, e si sa: la scienza non sbaglia mai. Preferì quindi tacere per evitare un altro focoso dibattito, estraendo dalla tasca la seconda (terza? decimilionesima?) sigaretta e concentrandosi sui suoi gesti per tenere a freno la lingua.
    Un angolo della bocca si sollevò un poco sentendo le sue stesse parole ritorte contro di lui, con tanto di parodia decisamente superflua. «Ah-ah. Ne riparleremo quando un centauro farà la ballata della mezzanotte con una collana di tue unghie al collo» fece spallucce, con noncuranza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. «E sì, sei piccola, paragonata a me. Quindi fai la brava, mh?» usò deliberatamente un tono amorevole, acuto, giusto per il piacere di provocarla. Gli piaceva giocare con il fuoco, e sapeva che se lei si fosse presa male, un calcio nelle palle non glielo avrebbe risparmiato nessuno. E lì sì che sarebbe scottato.
    Soppesò per un attimo le sue parole, non del tutto contento del paragone con un piccolo ometto incattivito e peloso. Ma era davvero così che lei lo vedeva? Un mostro celato nel corpo di un intellettuale? Deglutì storcendo la bocca, continuando ad ascoltarla. Chiuse gli occhi rimanendo immobile, per evitare che la vacuità prendesse possesso dei suoi occhi e della sua mente. Non gli era mai importato di ciò che le persone pensassero di lui, ma le affermazioni di Eleanor gli avevano fatto venire l'amaro in bocca. «Non sono le persone, semplicemente mi seccano i fatti. E mi dispiace se non ti va bene, okay? Sono sempre stato così, e ha sempre funzionato» strinse i pugni, digrignando i denti. «Ti stai facendo troppe aspettative nei miei confronti, e se continui non potrai che rimanere delusa. Quindi per piacere piantala di vedermi il santo angelo caduto in Terra, perché oh, sorpresa delle sorprese, non lo sono.» piano piano la consapevolezza del loro problema venne alla luce, e la cosa lo inorridì non poco. Elle lo aveva utopizzato in una sorta di cavaliere tenebroso che celava un cuore profondo e pieno di amore, ma si sarebbe dovuta svegliare da quella fantasia. Lui non funzionava in quel modo, non c'era niente di salvabile nella situazione, ed il motivo principale era perché era lui stesso a non voler essere redento. Trasse un profondo respiro, cercando di calmarsi. La sigaretta era ormai pressoché finita, e dopo un ultimo rapido tiro, la gettò di lato.
    «Sei hai qualcosa da dire, farai bene a dirla. Tanto ormai devi stare qui con me finché non finisco la ronda, mi spiace.» s'incamminò infilando le mani in tasca, guardando il cielo nebuloso e privo di stelle. «Non sarei dovuto essere così diretto» un mormorio leggero, quasi indistinguibile, più rivolto a sé stesso che alla sua interlocutrice. «Mi dispiace solo per te, spero cambierai idea facilmente» una grossolana menzogna, che però avrebbe risparmiato meno sconforto alla Grifondoro. Era conscio che ogni volta che si arrabbiava, la crudeltà ed il cinismo si facevano padroni della sua bocca, e provocano non poco dolore alle persone che lo circondavano,; non era quello che desiderava dare ad Eleanor. Con un gesto all'apparenza casuale, le sfiorò il dorso della mano con due dita, poi, come se le sue mani avessero compiuto il proprio dovere invisibili, si rintanarono nuovamente nascoste nella profondità delle tasche del mantello color notte.
     
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    Alzai gli occhi al cielo, seccata dall'ennesimo fraintendimento. Odiavo il fatto che dovesse sempre male interpretare ciò che gli dicevo, prendere le mie parole e modellarle a suo piacimento per creare realtà che gli facevano comodo, forse, ma non erano ciò che volevo intendere.
    "Ma quali fatti?" sbottai. Strinsi il pugno, cercando di non perdere la pazienza per l'ennesima volta in cinque minuti. Lo guardavo, corrucciata, ma studiarne le espressioni non mi aiutava di certo a comprenderlo meglio. Anzi, se possibile, mi confondeva ancora di più.
    "Sei tu che trai sempre conclusioni affrettate e ti incazzi per nulla!" Allargai le braccia, abbandonandole nuovamente lungo i fianchi dopo qualche secondo. Mi passai una mano fra i capelli, liberando il viso dai ciuffi che, scompostamente, mi ricadevano di fronte agli occhi. Sbuffai, con un sorriso amaro sulle labbra, sentendolo affermare cose che già sapevo perfettamente. A volte pensavo che mi ritenesse davvero troppo stupida e ingenua. Spostai il mio sguardo verso il basso, massaggiandomi la fronte con le dita.
    "Non ce la fai proprio a non estremizzare tutto, mh?" Recuperai un tono tranquillo, l'unico che mi avrebbe aiutato a non far degenerare quella discussione infuocata. Non volevo litigare con Landon, non volevo mai farlo anche se mi ritrovavo puntualmente a urlargli contro. Sollevai lo sguardo verso di lui dopo pochi istanti di silenzio, quando mi convinsi di potergli spiegare come stavano le cose senza complicarle ulteriormente.
    "Non ho detto che sei un santo, né tanto meno lo penso. Non sono cretina, Landon. Dico solo che non sei nemmeno il coglione apatico che fingi di essere. Be', non solo, perlomeno." Alzai un angolo delle labbra, cercando di sdrammatizzare appena. Mossi qualche passo fino ad affiancarlo, seguendolo in quella passeggiata senza meta al quale l'avevo quasi costretto. Cercavo di guardare avanti, per stare attenta a dove mettevo i piedi, benché il desiderio di osservarlo fosse difficile da dominare. Scuotendo il capo, sorrisi per l'ennesima riprova che - inconsapevole - mi dava sul suo non essere così male come voleva farmi credere. Schiusi le labbra per rispondere, ma le parole si bloccarono non appena la mia mano venne sfiorata dalle sue dita, in un tocco sfuggente. Il battito cardiaco parve incapace di regolarizzarsi e io non riuscii a fare altro che spiare i suoi movimenti con la coda dell'occhio. Quel mantello, più nero di quella notte, lo nascondeva bene e non c'era più nessuna mano che potessi raggiungere e stringere. Presi silenziosamente un respiro profondo, incrociando le braccia al petto.
    "Io spero di no." dissi, a mezza voce. Non capivo se volesse convincermi di non avere niente di buono in sé o se ne fosse convinto lui per primo, tanto da non vedere altro se non quell'oscurità della quale si faceva forte per allontanarmi.
    "Non ho aspettative nei tuoi confronti. E non sarebbe comunque la prima volta che rimango delusa da qualcosa. So badare a me stessa, te lo assicuro. Correrò il rischio di sbagliarmi." Mi voltai verso di lui, in modo che capisse dalla mia espressione che non si trattava di testardaggine fine a se stessa. Non pretendevo nemmeno di conoscerlo meglio di quanto si conoscesse personalmente, ma solo di fargli capire che avrei voluto capire da sola ciò che nascondeva tanto gelosamente dentro di sé.
    "Come mai eri qui? Se ti avesse scoperto qualcun altro ora saresti dalla Rei, vuoi farti espellere?" Avevamo proseguito in silenzio per qualche minuto e, rimuginando su tutto, quella domanda era sorta improvvisa e con apprensione. Pensai persino che si fosse voluto far scoprire, da me, ma mi sentii quasi presuntuosa a pensarla così, motivo per cui scacciai quell'idea alla stessa velocità di un battito di ciglia.
    "Sì, ecco, contrariamente a quanto ho detto prima... Sentirei la tua mancanza. Immagino." Mi pentii di averlo detto nel momento stesso in cui l'ultima parola fuoriuscì dalle mie labbra e mi schiarii la gola come a dissimulare l'importanza di quanto avevo detto. Accelerai il passo involontariamente, quasi fuggendo da una situazione che sentivo sfuggirmi dalle mani.
     
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    Digrignando i denti, Landon non poteva crederci. Ancora una volta si ritrovava a litigare con lei, mentre l'aria che aleggiava tra i due si faceva immediatamente tesa, ribaltandosi nella frazione di un secondo. «Se le persone si comportano di merda io lo faccio di conseguenza.» replicò, sentendosi punto nel vivo. Che giungesse a conclusioni affrettate poteva anche essere vero, che si incazzasse per nulla anche. Ma che non gli si venisse a dire che la colpa era sempre sua, che era lui a provocare l'esplosione. Bastava parlare cinque minuti per capire che il Corvonero era una persona irascibile, e che provocandolo non si sarebbe arrivato a nulla di buono. Perciò, era possibile dedurre che se qualcuno osava tanto, lo faceva solo per il gusto di creare disagio e scompiglio, probabilmente per un qualche tornaconto personale. «Non sto estremizzando, cerco solo di evitare che tu ti faccia un'idea sbagliata di me» per proteggerti. Non aveva idea di dove tutto questo li avrebbe portati, ma prima o poi lui si sarebbe dovuto tirare indietro, e su questo non vi era il benché minimo dubbio. Troppo scostante, era impossibile che qualcuno potesse stare al suo fianco. Non era capace a fare sforzi per gli altri, non voleva prendersi impegni, non voleva perdere quella libertà che soltanto la solitudine poteva darli. E questo Eleanor avrebbe dovuto capirlo, perché se non si fossero fermati in tempo con una stretta di mano senza rancore, le cose sarebbero peggiorate fino allo sfioramento del dramma e del dolore che avrebbe coinvolto entrambi. «Non ho mai detto né pensato una cose del genere sul tuo conto. Sei sveglia ed intelligente, per questo vorrei che capissi che sono come sono e non come vorresti che io sia» aggrottò le sopracciglia, interdetto di fronte all'idea che lei credesse che la sua esistenza e personalità fossero tutta una finzione.
    La punta delle dita scottava di quel contatto così effimero, ed il suo sguardo si abbassò di fronte alla caparbietà di lei. «Se sai già come andranno le cose, perché continui ad insistere sperando che cambino?» domandò con voce monocorde, guardandola negli occhi. Dentro di sé provava soltanto la rassegnazione che avrebbe portato allo sfacelo. Non era abbastanza forte per stroncare la cosa, e non solo perché si erano già spinti troppo oltre: lei lo trascinava verso la consapevolezza che il futuro sarebbe stato squilibrato, troppo convinta che lui avrebbe avuto la capacità di rivelare una qualche divina bontà e gentilezza che non gli appartenevano. Forse l'unica cosa da fare sarebbe stata quella della rana bollita: si sarebbe lentamente staccato, ogni giorno un millimetro di più senza che lei se ne potesse accorgere, per poi sparire del tutto ed evitarle delusioni. Per quanto ingegnosa e utile fosse quella teoria, non gli avrebbe risparmiato la sofferenza di lasciarla andare via.
    «Avevo solo bisogno di fumare una sigaretta fuori da camera mia. E no, molto semplicemente non mi sarei fatto scoprire» alzò le spalle, ancora un poco frastornato dalla conversazione appena avuta qualche minuto prima.
    «Sì, ecco, contrariamente a quanto ho detto prima... Sentirei la tua mancanza. Immagino.» Landon si fermò di colpo, incapace di muovere un passo in più. Era troppo tardi per applicare la tormentata teoria. Una fitta al cuore, mentre lei veloce si allontanava dall'ammissione data troppo a cuor leggero, a parer suo. Che cosa gli stava succedendo? Perché non coglieva l'occasione per dileguarsi, per andarsene lontano? «Non scappare, ti prego.» sussurrò al vento, con voce afflitta.
     
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    Il frusciare delle foglie all'ennesima, fredda, folata di vento mi destò da quello smarrimento suscitato dal suo sguardo sul mio, tanto intensamente percepito da impedirmi di guardare altrove. Volgendo repentinamente il capo verso gli alberi in movimento, pensai a quanto complesso fosse rispondere alla sua domanda. Perché continui a insistere? Lo chiesi anche io a me stessa, nella vana speranza di trovare una risposta che non mi costringesse ad ammettere l'esistenza di sentimenti caparbiamente repressi e respinti.
    Preferii tacere, avvolgendomi nel silenzio creatosi fra noi, la nostra personale quiete dopo la tempesta: carica di parole non dette, di pensieri sospesi e di ricordi da cancellare. Spezzare quel silenzio fu un bisogno pressante che sfogai all'improvviso, senza preamboli. Un'azione precipitosa che mi portò a dire troppo, a rivelare qualcosa che avrei fatto bene a tenere per me. Solo la sua voce rallentò la mia fuga dalle conseguenze, fino a porle fine. Bloccata, continuai a dargli le spalle per un eterno minuto, gli occhi chiusi e il respiro affannato.
    "Non sto scappando." Titubante, mi voltai verso il Corvonero mantenendo gli occhi bassi, avanzando di pochissimi passi, insufficienti a colmare la distanza che ci separava. La mia mente sembrò aver perso ogni facoltà e ogni pensiero mi sfuggiva prima che riuscisse a prendere forma. Non riuscivo a comprendere perché anche la più genuina delle ammissioni diventasse un problema se riferita a lui, così ostinato nella sua solitudine da farmi sentire quasi colpevole a stargli accanto.
    "Fai finta che non ti abbia detto niente, ok? Lascia perdere." Un mormorio debole, arrendevole, pronunciato senza nemmeno cercare i suoi occhi. Stavo scappando, eccome. Stavo scappando dall'incessante tamburellare violento del cuore, stavo scappando da lui, l'incognita di un problema che non riuscivo a risolvere. E pensai che la cosa migliore fosse allontanarmene, alzando bandiera bianca e convincendomi che fosse quella l'unica soluzione possibile. Se non fosse stato per quell'insana testardaggine che mi contraddistingueva, forse, l'avrei fatto. Invece lo guardai, ricordandomi del perché fossi ancora lì.
    "Perché mi hai chiesto scusa, dopo il falò? Perché non hai lasciato che le cose rimanessero così? Non eri tenuto a farlo, avresti potuto ignorarmi per il resto della tua vita senza problemi. E avresti potuto darmi buca, al parco, avrei capito che non ti interessava risolvere e l'avrei accettato. Invece non l'hai fatto." Parlai con un tono basso, intriso di una pacata tristezza. Sarebbero stati quelli i momenti adatti per allontanarci definitivamente, quando ancora ci trovavamo legati da casualità e eventi troppo confusi perché potessimo ragionarci sopra a lungo.
    "È per questo che insisto." Questo. Mai una parola aveva compreso in sé tanti sottintesi, mai era stata caricata di significato come in quel momento. Rappresentava le mie speranze, ma non ingenue e prive di concretezza. Ero convinta di non sbagliarmi del tutto sul suo conto e solo il tempo, credevo, avrebbe potuto darmi torto o ragione.
    "E non posso prometterti che smetterò di farlo, ma se è questo che vuoi... Dillo. Dillo e non insisterò ulteriormente." Altri due passi, mentre il mio sguardo mesto si muoveva sul suo volto seguendone i mutamenti d'espressione. Continuare ad accanirsi su una causa già persa sarebbe stato troppo anche per me. Iniziavo a soffrirne e sarebbe stato meglio rassegnarsi alla realtà dei fatti prima di perdersi nell'impresa di salvare l'insalvabile.
     
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    Era buffo come le cose potevano cambiare nel tempo. I pochi ricordi che Landon aveva del suo passato, si concentravano tutti negli ultimi tre o quattro anni della sua vita, ed era certo che nonostante la sua memoria fosse stata cancellata, nemmeno prima ce n'era stato uno contente una ragazza. Esseri surreali e magnetici, lui aveva fuggito quel genere di conoscenze per rifugiarsi nel comodo e approssimativo cameratismo maschile, dove se non eri bello andava bene e se eri stupido era anche meglio. E a lui andava bene così. Nella sua esistenza c'erano poche cose che rientrassero nella categoria di importanti, e fra di esse c'erano sicuramente l'alcool, le sigarette, la cultura, la libertà.
    Cosa fosse successo poi dopo un certo focoso incontro alla Guferia, non lo sapeva nessuno, ma di certo le cose si erano ribaltate con lo schiocco di due dita. Landon iniziava a riscoprire un lato di sé mai visto, oscuro al suo inconscio e completamente estraneo alla restante parte della sua personalità. Una parte che lo rendeva più esposto, più debole. E se qualcosa comprometteva il dominio di sé stesso doveva essere estirpata, come un'erbaccia che intaccava un prato fiorente.
    E ci aveva pure provato, con tutto sé stesso. Con lo scarso risultato di essersi infilato ancor più in profondità in quella sorta di piacere e odio mischiati omogeneamente alla perfezione. Eccolo là quindi, turbato tanto da sé stesso quanto dalla ragazza che davanti a lui sembrava combattere tutt'altro tipo di battaglia.
    «Troppo facile rimangiarsi le parole» affilò lo sguardo, indagando sul volto di lei. Cosa avrebbe dato per alzare quel mento sconfitto e guardarla negli occhi. Cos'avrebbe visto? Gioia, dolore, rassegnazione? A dispetto delle sue intenzioni, arretrò da lei rifugiandosi in una chiazza ombrosa, sentendosi la lingua incollata al palato. La sua legittima domanda necessitava una risposta che il Corvonero non possedeva.
    Attimi di silenzio, spezzati solo da qualche bubbolio tenue e dalla brezza che scuoteva i rami dalle foglie sempre più secche. «]Non lo so. Non so perché l'ho fatto» fu tutto ciò che riuscì a tirar fuori. Nulla di soddisfacente, ma come poteva esprimere a parole quella mirabolante pazzia che gli aveva fatto il lavaggio del cuore cervello con così tanta furia? «Non me ne pento» un mormorio indistinto, che insieme all'aria si volatilizzò nel cielo buio. Da un lato, una voce acuta e maliziosa gli diceva che lo aveva fatto per mettersi a posto la coscienza, perché era sbagliato comportarsi male con le persone, ma lui sapeva che si trattava solo di menzogne ben costruite per scusare un atteggiamento altrimenti inspiegabile. Sospirando, si sfiorò la fronte con la mano, come se un peso gravasse su di lui senza lasciargli possibilità di respirare.
    Sentì il cuore ingabbiato in un involucro troppo stretto, che gli provocava una fitta di dolore all'altezza del costato. Eleanor lo aveva posto di fronte ad un bivio, le cui scelte lo avrebbero portato entrambe alla frustrazione. Permetterle di andare via e dimenticare tutto o continuare quella danza senza fine e senza scopo? Deglutì, aggrottando le sopracciglia. Nei suoi occhi, fusi con l'ambiente circostante, non si poteva scorgere nulla, ma più in profondità si sarebbe potuto ammirare una luce minuscola, pressoché invisibile, di tormento. Immobile la vide avvicinarsi, ogni muscolo teso come le corde di una chitarra. «]Eleanor» doveva decidere in fretta. «]Vorrei ma non posso» la morsa si strinse in uno scatto sull'organo della vita, che iniziò a pulsare sempre più forte, in un ultimo e disperato tentativo di salvezza. «]Sono sbagliato... Questo, è sbagliato. Non penso tu possa capire, ma non è quello che ti meriti» proferì senza emozione a tradirlo né sul viso, né nel tono della voce. Aveva deciso di rinunciare, per il bene di entrambi. Non si trattava più di voler reprimere qualcosa di sconosciuto e selvaggio, ma non si sentiva pronto a trascinare la ragazza nella spirale della sua vita, perché lei sarebbe stata la prima a soffrirne. Forse avrebbe potuto concedersi una semplice amicizia senza aspettative né implicazioni, ma avrebbe dovuto rinunciare a quel qualcosa di più che fino a pochi istanti prima aveva agognato febbrilmente.
     
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    "Non lo sai." Un'eco debole, incredula. Una minuscola scintilla di rabbia, spenta al primo breve alito di vento. Mai una risposta, mai una conferma. Continuava a essere tutto confuso, indefinito, sospeso in un limbo che iniziavo a sentire come una prigione, una gabbia troppo piccola. Avrei voluto urlare, sfogare la frustrazione che sembrava mangiarmi dall'interno. Eppure rimasi immobile a guardarlo prendere le distanze per l'ennesima volta. Impossibile fingere che non odiassi quel suo comportamento, quello sfuggire ossessivo che cozzava con la mia necessità di fare chiarezza. Impossibile fingere che quel tremore che mi muoveva impercettibilmente fosse causato dal freddo e non da un bruciante nervosismo che controllavo a fatica, celandolo dietro un velo di muta rassegnazione. Iniziavo a pensare che non avesse senso ostinarsi tanto ma non riuscivo, non riuscivo in nessun modo ad arrendermi a quell'evidenza che mi vedeva sconfitta e costretta alla ritirata. Ed era per quel motivo che continuavo a ricercare una vicinanza che invece avrei dovuto rifuggire. Ogni mio passo in avanti erano due suoi passi indietro, una danza contorta e dolorosa, priva di musica ad accompagnarla. Mi illusi persino di poter riuscire a sostenere quella traballante situazione, a trovarle una soluzione pacifica e che non ci vedesse ancora assediati da malintesi e rancori. Ma mi sbagliavo.
    "Vorrei ma non posso." Arretrai, gli occhi spalancati in un misto di smarrimento e sconcerto. Li sentii bruciare, a poco a poco e sempre più intensamente, mentre delle lacrime silenziose si raccoglievano e minacciavano di manifestarsi chiaramente sulle mie guance. Puntai lo sguardo in alto, per ricacciarle indietro. Sentivo il cuore in gola, sofferente, e non riuscivo a pensare a nulla senza sentirmi sul punto di crollare. Quella frase mi aveva ferito in un modo che non credevo nemmeno possibile. Quell'effimero vorrei continuava a rimbalzarmi nella testa, portandomi a formulare mille domande irrisolvibili; ma nessuna di esse poteva avere importanza dopo quell'insensata resa, quell'incapacità dichiarata. Non posso.
    Aveva ragione, non potevo capire. Non volevo capire cosa ci fosse di così tanto sbagliato in tutto quello, qualsiasi cosa fosse. Il problema era proprio il non riuscire a definire cosa ci legasse in maniera così stretta, cosa ci portasse a tornare continuamente l'uno dall'altra nonostante cercassimo in ogni modo di mantenerci separati. Evitavo con tutte le forze di darmi la risposta più semplice di tutte, specie dopo quello che avevo percepito come un rifiuto secco e irreversibile. Dopo un ultimo, irrequieto, sospiro spostai nuovamente il mio sguardo in avanti, ma senza riuscire a guardare Landon.
    "Infatti, non capisco. Ma suppongo non abbia molta importanza, a questo punto." Aveva deciso lui per entrambi e, da parte mia, mi arresi alla sua scelta. Era buffo, in un modo amaro e triste, che lui mi parlasse di ciò che meritavo o meno. Non pensavo di meritare qualcosa in particolare, pensavo semplicemente che fossero successe una serie di cose impossibili da ignorare, mentre era proprio quello che mi chiedeva. Fare finta di niente. Etichettare tutto, lui compreso, come un errore madornale.
    Troppo afflitta per tentare di porre rimedio a una situazione che mi sembrava senza speranza, mi sforzai di accettare quell'eventualità. Avrei cercato di convincermi che, sì, era tutto sbagliato e che era molto meglio porre la parola fine a tutto quanto. Anche a quella notte.
    "Devo tornare al castello. Tu fai come ti pare. Io non ti ho visto, ovviamente." Pronunciai quella frase nascondendomi dietro la maschera autorevole del Prefetto, come se io non fossi altro che la spilla appuntata al mio petto e come se lui non fosse altro che qualcuno che minava la mia carriera scolastica. Sarebbe stato davvero meglio se non si fosse mai rivelato a me, se fosse rimasto all'ombra di quegli alberi secolari fra i quali si nascondeva tanto bene. Mi concessi di dargli solo un'ultima occhiata, rapida, prima di girare i tacchi e allontanarmi velocemente alla volta del castello. Camminai rapidamente e rabbiosamente, come se volessi sfogare la tristezza schiacciando qualsiasi cosa sulla mia strada. Ma una volta giunta in Sala Comune, quella sensazione era ancora dentro di me, dolorosa e costante. E lì sarebbe rimasta.
     
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