one day I'll make you proud

Ichabod, Igor

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    Hai controllato i suoi sogni come ti ho chiesto?
    Il cielo aveva il colore di una rosa appassita mentre l’intelaiatura della finestra del primo piano sembrava una piastra rovente nel suo riflettere i raggi del sole basso all’orizzonte.
    Quando era arrivata davanti casa Blackwood e aveva incrociato lo sguardo di Ichabod le sembrò di aver trattenuto il fiato per tutto il tragitto; le sembrò di essere invecchiata di anni.
    Ti sembrava sempre lo stesso sogno che proseguiva o era sempre diverso?
    Sapeva di dovere ulteriori spiegazioni, quindi puntò lo sguardo sul vialetto e soffio fuori l’aria in un fruscio arrendevole.
    Ho perso i poteri; di nuovo.[color] Motivo per il quale era in anticipo e in un punto ben diverso da quello in cui era stato fissato l'incontro: le serviva un passaggio.
    [Color=thistle]Però ho tutto quello che mi serve, posso entrare, se lui me lo permette; in caso non lo facesse, entreresti in gioco tu.
    Spiegarsi in modo fintamente deciso quasi la convinceva di potercela fare ed era, in sostanza, tutto ciò su cui la bionda potesse far leva.
    Anche perché ogni giorno che passava da quella tragica notte era peggiore del precedente e per quanto lei volesse incolpare se stessa di essersi lasciata condizionare dallo stato di Igor, c’era qualcosa di più grande lì fuori e si era palesato in un enorme marchio nero nel cielo Londinese.
    Intanto lei sveniva nel piazzale davanti Victoria Station mentre nella testa si affollavano immagini che non aveva ancora avuto il coraggio di esaminare.
    Oh; il coraggio.
    Lei aveva l’avventatezza, ma non il coraggio.
    La situazione non avrebbe fatto altro che peggiorare, lo sentiva strisciare sotto la pelle come un virus, e nessun momento sarebbe stato migliore di quello.
    Ne aveva le capacità, ne era sicura!
    Era il dopo che la spaventava.
    Mi servirebbe che tu mantenessi un legilimens finché non vedi anche me nella sua testa. Se dopo cinque o dieci minuti non sono entrata da sola, dovresti forzarlo tu; non credo avremo molto tempo ma una volta entrata per te il tempo qui fuori passerà in un batter d’occhio. Distese le labbra in un sorriso rigido. Per un osservatore attento come Ichabod, Eris doveva avere un aspetto terribile; tutta l’aria di chi non dorme abbastanza e i capelli rovinati di chi non ha più la metamorfomagia dalla propria parte. Lui se ne sarebbe accorto nonostante gli resti di fondotinta e per lei non era un problema.
    Dovresti anche svegliarmi, in caso non riuscissi da sola. I suoi passi risuonarono leggeri accanto a quelli del mago, silenziosi per uno della sua stazza. Non come quelli di Igor; quella del bulgaro le era sempre sembrata una marcia militare e a lei faceva piacere riuscire sempre a riconoscerli oltre la porta della sua stanza.
    Ogni volta che pensava a queste cose si ricordava quanto le mancasse.
    E pensava a cosa le sarebbe mancato dopo.
    Andrai via senza dire niente, vero?
    Forse era anche per quello se continuava a prendere tempo.

     
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    Non sapevo quale fosse stato il motivo, ma mi aveva tenuto stretto a sé per tutto il tempo, mi aveva stretto passandomi il braccio sul petto, mentre la mano ricadeva sulla bambina che era dalla mia parte. E così mi ero ritrovato in mezzo senza potermi alzare per un po', e la cosa non mi aveva fatto sentire soffocare più del dovuto. Le avevo detto che la bionda sarebbe passata nel pomeriggio, e anche se non aveva il permesso di varcare i confini della porta di casa mia, si era presentata puntuale senza nemmeno suonare al campanello.
    La tipica diarrea verbale che l'aveva sempre caratterizzata esplose durante il tragitto, camminava leggera, come se persino i sassolini del viale non trovassero necessità di muoversi sotto il suo ridicolo peso. Sembrava come sempre, letteralmente un fantasma. Non risposti a nessuna delle sue domande, la sola idea che mettesse in dubbio quello che le avevo detto o la mia serietà mi spinse a stringermi nelle spalle ed aspirare il filtro di una sigaretta artigianale.
    Mentre la quantità di domande di lei riempiva il silenzio, ricordai di aver accennato all'infermiera quello che mi avrebbe aspettato quel pomeriggio, non l'avevo messa già male. Ma lei doveva comunque aver capito senza la necessità di parlarne troppo a lungo, senza necessità di specificare.Ecco perchè doveva avermi stretto in quel modo, non mi aveva alleviato la pena più di una compressa di ansiolitico, ma a suo modo, non era stato male. Avrei potuto abituarmici un giorno magari.
    La lettera di Coco poi aveva fatto il resto, il resto perchè l'En mi rendesse sempre più stanco, mi chiedeva, mi chiede se ho sentito quello che ha sentito lei. Quella notte avevo avvertito una unica scossa di dolore nell'avambraccio sinistro, la lunga cicatrice bianca sembrava viva, il serpente si era mosso, ma era bastato chiudere il pugno. Distogliere lo sguardo. Un'altra compressa, mentre fuori, nel cielo brillava il grosso scheletro. L'avevo ignorato, l'avevo ignorato da tanto, circa dieci anni, quando avevo deciso che mi ero fatto fottere da una etichetta, etichetta che avrei risparmiato a lui anche semmai si fosse svegliato. Cammino come un morto potrebbe. Con un colpo di medio la sigaretta schizza via dalla mano, insieme all'ultima folata di fumo tra le mie labbra. "Hai un aspetto di merda" questa è l'unica risposta che le do, l'unica su tutto ciò che credo sia sufficiente constatare, solo l'unico a non poter parlare di aspetti di merda, ma insomma, non ho proprio voglia di ignorare il fatto che sembri uscita da una centrifuga. "Cos'è che dovrei dire precisamente?" e poi, il fatto che dia per scontato che funzioni non mi rincuora "Qual è la vera domanda che vuoi farmi?" e si ricomincia.
    "Non mi hai ancora detto chi ti abbia aiutato in queste ricerche"
    le faccio notare, così che potessi capire quanto fondate o infondate fossero nel caso.









     
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    Si rese conto dell'inutilità delle sue domande solo dopo averle poste.
    Ichabod era una persona precisa e, soprattutto, affidabile.
    Tante cose erano state dette sul suo conto; un assassino, un mostro, un malato.
    Nessuno si era mai preso la briga di specificare fino a quale punto mantenesse la parola data. Da una persona che i giornali dipingono in modo tanto grottesco non ci si aspetta nulla del genere e in questi casi la leggerezza della Rosier calzava a pennello.
    Lei per credere doveva vedere con i propri occhi e non aveva visto nessun mostro; non ne aveva visto nemmeno un'ombra.
    Al commento di Blackwood, Eris soffiò una risata amara. Non che ne fosse offesa, non le importava, ma se sentiva la necessità di dirlo proprio in quel momento nonostante l'avesse vista anche provata dal Lupuminarius, Eris non potè fare a meno che posare gli occhi sulla strada davanti a se.
    Non lo so; qualcosa. No, non sapeva cosa avrebbe dovuto dire, ma a lei andava bene davvero tutto; anche niente. Se almeno non se ne fosse andato.
    Comunque dovesse andare questa cosa; se si svegliasse o meno, io e te non avremo più niente a che fare davvero? Te ne andrai davvero?
    Affondò il mento sotto la sciarpa rosa cipria nel freddo di Uppsala appena prima di entrare nel caldo artificiale dell'ospedale, nel nauseante odore di disinfettante.
    Un veggente di Londra; l'ho sognato per tre notti di seguito dopo l'incidente; solo alla terza ho capito di poterci interagire lucidamente e se posso farlo con uno sconosciuto posso farlo anche con Igor.
    Diciamo che in questi giorni sono entrata nei sogni di parecchie persone e credo di potercela fare.

    Si, si era esercitata tanto ed era sopravvissuta a scenari ben peggiori di quelli che poteva creare Igor.
    Non si sarebbe più risvegliata con ferite aperte sulle braccia e sul viso; mai più.
    Entrarono indisturbati nella stanza di Igor; erano entrambi stati visti abbastanza spesso da essere diventati quasi parte dell'arredo quando richiusero la porta alle loro spalle.
    La Rosier frugò nella borsa, estraendone una dose di pozione soporifera.
    Me la sono fatta preparare più leggera in modo da riuscire ad essere svegliata senza troppe difficoltà. Era strano da parte della Rosier; si sentiva come in dovere di rassicurarlo su ogni passo che la bionda facesse; forse per dimostrare che non era l'ennesimo castello in aria ma era una cosa costruita con minuzia, studiata e ragionata.
    Quindi dovrei tipo dirti addio, no? Strinse le labbra con quel tono involontario che sembrava tanto voler far passare quello di Blackwood come un capriccio.
    Lui non voleva scuse, non voleva niente da lei; di conseguenza lei non aveva nulla da potergli dare.

    Decise di tenere tutto per se, consapevole che avrebbe avuto molto tempo per pentirsene ma forse, per una volta, era arrivato il momento di rispettare la volontà altrui.
    Allora grazie, Chab.
    Seduta sulla sedia accanto al letto di Igor, la bionda ingoiò la pozione e chiuse gli occhi


     
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    Non rispondo alla prima domanda, so che vuole io gli dica che tutto ok, che ci penserò, mentre in realtà non voglio più essere messo in dubbio, so che me lo ripeterà mille volte prima di prendere la pozione, quindi la prima, la salto. Sfrego le mani tra loro come a voler mandare via la puzza di fumo mentre ascolto le sue vaghezze, non vuole dirmelo, e tanto che non vuole che mischia più argomenti a favore, ed io mi disinteresso, mi perdo e mi dico che può fare quello che le pare, eppure preferisce avere comunque il mio benestare, una triste porta aperta sul passato al quale si aggrappava tanto forte.
    La stanza di Igor denotava una per niente continuo andirivieni di altri oltre me negli ultimi giorni, il comodino bianco era sempre vuoto e limpido, liscio, non c'erano oggetti esterni, e l'ologramma con i valori principali si illuminava stanco dietro il capo del ragazzo. Rimango con le mani nelle tasche, rimango in silenzio, tutto il tempo, persino mentre mi mostra la fiala contenente il liquido ambrato, perchè non avevo mai pensato io ad una fiala per dormire pesantemente?
    Ah già, io odio dormire.
    Incurvo in dentro e in avanti la schiena tenendo le mani salde nel giubbino scuro.
    La seguo con gli occhi sbiaditi di stanchezza, seppur rimasti bruni e scuri.
    Non rispondo nemmeno all'ultima domanda. Nemmeno all'ultima, perchè è sarcastica, perchè sta coprendo il suo dispiacere con del sarcasmo come un gatto che copre i suoi bisogni buttandoci sopra i piccoli sassolini della lettiera. Prende posto su una sedia rigida di fianco al suo letto, e mi guarda con degli occhi enormi. Non mi fa paura, quindi la guardo, aspetto.
    Allora grazie, Chab.
    Le dovrei dire che semmai mi richiamasse col diminutivo nemmeno avessi quattordici anni la sconterà cara. Ma non lo faccio, la guardo ancora e accenno ad un prego con la testa, annuisco una sola, in avanti, come se fosse un vago inchino. Chab. Ma pensa te.
    Mi sfilo il giubbino e chiudo la porta con un incanto, Makenzie ci ha dato mezz'ora, non di più, non può coprirci oltre.
    Sfilo la bacchetta dal passante e li guardo un solo attimo dalla ringhiera di ferro bianco battuto ai piedi del suo letto. Avevo scommesso che mi avrebbero reso ricco, immune, un Re. Mentre la punta della bacchetta si solleva verso Igor mi dico che non è successo niente di tutto questo, ma non so se abbia fallito io, o una mia aspettativa. Mi dico che con questa bacchetta puntata, nonostante io sia famoso per pratiche diverse, potrei maledirli. Io, inermi così, potrei portarli via uno dall'altra come a voler evitare una patetica replica di Giulietta e Romeo. Poi lasciare che un fascio di luce verdognola li colpisca entrambi, non solo ne sarei capace, ma saprei farlo sembrare un incidente, persino Makenzie non riuscirebbe a capire che sono stato io. Nessuno, insomma, sono stato così devoto a lui per questo tempo.
    Chiudo gli occhi con la bacchetta puntata.
    "...Legilimens" e una lacrima mi scivola via dalla guancia al mento. Una sola, mentre continuo a tenere gli occhi chiusi.

    -Chi mi assicura che ne valga la pena?- dice l'uomo -E' mio figlio biologico, buon sangue non mente- rispondo -Anche il mio. Un'anima per un'anima, tieni Cain lontano da me e lontano dal lato oscuro, ed io prendo lui al compimento della maggiore età- dice -Abbiamo un accordo Blackwood- rispondo -Vieni meno Plamenov, e prenderò ben altro di tuo- dice -Anche io-.

    -Se me la scopassi mi espellerebbero- Dico posando il grosso martello a terra -Ti sto dando la camera di mio figlio. Era mio figlio. Ed io dettavo le regole anche con mio figlio. Il lavoro è lavoro, per te almeno. Questa rimane sempre casa mia-









     
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    Dicono che quando una persona sta in coma comunque sente quello che gli dicono gli altri, sente la presenza altrui, sente tutto quanto, li vive giorno per giorno.
    Per lui non era stato diverso, era rimasto in piedi davanti al suo letto di ospedale, si osservava e se da principio si era arrabbiato per come erano andati i fatti, giorno dopo giorno si era rassegnato al punto che era diventata una abitudine.
    Le persone si erano affacciate al suo letto, alcune avevano versato qualche lacrima, come Eris, altre lo avevano guardato in silenzio, come Makenzie.
    Persino la vecchia Mavis era andata per dirgli che doveva darsi una mossa per risvegliarsi.
    Più di tutti lo aveva colpito la costanza di Ichabod.
    Non era passato giorno in cui lui non fosse andato e non era passato giorno in cui non gli avesse letto qualcosa.
    Fino al momento in cui gli aveva detto che avrebbe pereferito restasse in quel letto di ospedale per sempre, in modo che non sarebbe potuto più tornare da lei.
    Il fantasma di quello che era diventato aveva riflettuto molto su quelle parole, se ne era stato con le mani giunte a trattenere il labbro e il pensiero che forse poteva esaudire questo desiderio di Ichabod, forse sarebbe davvero potuto rimanere per sempre lì.
    Un'assuefazione tale da indurlo a rientrare nel suo corpo, a stazionarsi in un angolo della sua mente e a restarci, fino al giorno in cui qualcuno non aveva deciso di non limitarsi a scorgere solo la lucidità dei suoi ricordi, ma di scavarci addirittura dentro, violarlo al punto da smuovere un moto tale in lui da rifiutare questa intromissione.
    -Andate via- un moto di rabbia lo spinse a rifiutare con forza questa intromissione, disturbato da questo abuso spinse al punto da ostacolare l'andare dei ricordi a chiunque avesse proseguito nel violarlo.
    Tuttavia non funzionò come avrebbe voluto.
    Rivide i suoi occhi di fanciullo spiare dietro la fessura della porta, un giovane Ichabod stringere la mano al padre, un fagottino dimenticato in una sacca sul divano del salotto di casa sua fino a che non traslarono di qualche anno e portarono a galla memorie che avrebbe veramente preferito cambiare.
    "Hai fatto sesso con lei?"
    "No
    "
    I ricordi scemarono lasciando posto al buio totale.
    Era stato destato dal suo torpore e ora percepiva un intruso nella sua casa.
    Sollevò lo sguardo un solo momento, quello adatto per intercettare la figura di Eris che avanzava verso di lui.
    -Vai via- un sussurro uscì flebile dalle sue labbra e così come lo sguardo si era sollevato così tornò a puntare il pavimento sotto di lui che, cullato dalle tenebre, se ne stava seduto su una sedia aspettando che quello spiraglio di luce smettesse di bruciargli gli occhi.
    -Non avete il diritto di stare qui
     
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    Era stata davvero l'ultima volta? Al solo pensiero, un sacco di cose non dette le si condensarono addosso come come l'umidità della notte sui sottili fili d'erba. Quante cose avrebbe voluto dirgli e raccontargli, quante cose avrebbe ancora voluto chiedergli. Quanti altri pancake avrebbe voluto cucinare e quante volte si sarebbe voltata col cuore in gola nel sentirsi chiamare Barbie. Quante altre volte avrebbe chiesto "Dimmi!" dal piccolo giardino dietro casa.
    Era difficile tenere il cuore e la testa in due posti distinti e così lontani tra loro.
    Il fratello di Leodegrance le aveva detto una cosa molto importante a lezione di alchimia; per ottenere, qualcosa di valore uguale o maggiore deve essere sacrificata.
    Lei l'alchimia non l'aveva mai imparata e aveva smesso di frequentare il corso mentre quel concetto si riproponeva costantemente sotto ai suoi occhi.
    Stava sacrificando tutto anche a costo di non ottenere nulla.
    Richiuse la porta alle proprie spalle nel vedere gli occhi del bulgaro feriti dalla luce. C'era un buio lugubre e si chiese come avesse potuto permetterlo. In parte era colpa sua.
    Mezz'ora al massimo e me ne vado; promesso.
    Si disegnò una croce sul petto mentre si accucciava accanto alla sua sedia.
    Nemmeno tu dovresti stare qui.
    Si era accorto di tutto, la copertura era saltata prima ancora di iniziare, il legilimens di Ichabod era troppo potente ed i nervi di Igor erano rimasti troppo reattivi.
    Sentì il peso del fallimento gravarle sulle spalle. Si voltò verso quell'ipotetica inquadratura esterna; dal punto in cui Ichabod stava guardando.
    Gli rivolse uno sguardo eloquente che lui avrebbe letto al di fuori del buio. Tanto esercizio per nulla; nulla era come lo aveva immaginato.
    Scommetto che non hai mai aperto le tende, non è vero? Qualsiasi cosa, pur di portarlo a parlare, strappargli qualcosa su cui far leva.
    Sono venuta a svegliarti; se non lo fai ora il tuo fisico accumulerà altri danni e non va bene. Gli posò una mano su braccio, rigido e teso. Sentiva dell'astio nei propri confronti ed era comprensibile.
    Se non sono venuta spesso da te è stato perchè ero a Londra a capire come aiutarti! E poi avevo promesso di non venire; mi dispiace.
    Umettò le labbra e pettinò i capelli dietro le orecchie come se di lì a poco avrebbe dovuto disinnescare una bomba; e forse in qualche modo lo era.
    Sei nei tuoi sogni, puoi creare ciò che vuoi e ti chiudi in una stanza buia? Chiese, a caccia di una reazione. In effetti hai sempre avuto poca fantasia.



     
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    La stretta di mano che ci assicura un'anima ciascuno si dissipa sotto i miei occhi, mi cala in una stanza buia, nera, all'interno della quale, solo noi siamo perfetti e visibili, come della cenere grattata dal fondo di un camino.
    Le intrusioni nella propria mente non piace a nessuno. Se sono uno dei migliori in quest'arte? Si. Ho parecchi segreti e ricordi da far sparire, non potevo permettere che frugassero liberamente nella mia testa. Igor non poteva nulla contro il mio incantesimo. Salvo rifugiarsi in una camera oscura.
    Non avrebbe funzionato.
    Non avrebbe funzionato al punto che la bionda si voltò oltre la sua spalla destra, senza riuscire a vedere il mio negare con la testa di sconforto. Non c'era strategia nelle parole di scuse, di giustificazione della bionda inerme.
    Se avesse dovuto spaventarsi Igor, allora bisognava fare leva su qualcosa che era in quella stanza buia, qualcosa che oltre se stesso avrebbe potuto sconvolgerlo al punto di svegliarsi. Ebbi la voglia di alzarmi, ed andarmene. Sempre più forte, mentre mi dicevo che in quella stanza c'era tutto quello che mi serviva, tutti quello che ci serviva. Se Eris era stato il motivo di disobbedienza, per lui doveva valere più del suo futuro. Se Eris valeva più del futuro di Igor, cosa c'era di più prezioso? C'era forse leva più grande?
    Preso coscienza di ciò, socchiusi gli occhi, nella speranza che la bionda fosse più sveglia che saggia almeno.
    Mi concentrai, focalizzai l'attenzione e qualcosa successe.
    Un rivolo leggero di sangue, cominciò lento a scivolare lungo l'orecchio, il lobo della Rosier.
    Se ne sarebbe accorto lui per primo, o forse lei per il formicolio che avrebbe sentito lungo il padiglione?
    Cosa succede se non sai dare una spiegazione a quel che sta accadendo Igor?
    Cosa succede se stai rompendo con le tue parole quello che a te è più caro?
    O magari, la Rosier avrebbe avuto qualche idea diversa in proposito.







     
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    Mezz'ora, un'ora, un secondo. Sarebbero stati sempre un momento in più di quello che avrebbe voluto condividere con qualcuno.
    "Sono pronto a morire"
    "Lasciami andare"
    "Non lo vedi che voglio stare solo?"
    Si passò le mani dietro la nuca e avvolse il capo nei suoi avambracci.
    "Questo è il mio posto, devo stare qui, il mio posto è questo"
    D'improvviso iniziò a dondolare su se stesso, avanti e in dietro come un ragazzo problematico, uno di quelli che non ci stavano più con la testa.
    Ma l'intromissione nei suoi ricordi era forte, prepotente, spiavano il suo passato, violavano la sua privacy.
    Si fermò di botto, non per le parole di lei, non perchè cercava di scuoterlo, cercava una reazione uno sguardo una parola,no, non per questo perchè era facile resistere alle provocazioni di Eris, tuttavia aveva sentito un odore strano, il sangue .. sangue che colava dall'orecchio di lei. A questo però non era pronto, più fissava il suo orecchio più lo vedeva rovinarsi e grondare sangue, e un semplice taglietto diventò uno squarcio, una goccia divennero due.
    Fu in piedi in un attimo.
    -ESCI DALLA MIA TESTA- non sapeva chi fosse, non sapeva chi lo stesse portando a reagire in quel modo spropositato.
    -ESCI DALLA MIA CAZZO DI TESTA!!- come un enorme orso si mosse là dove portava lo sguardo di Eris - CHI SEI? CHI SEI!!!- tornò su di lei, la prese per le braccia e la tirò su - chi è, mandalo via! Non dovevate venire ANDATEVENE!-
     
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    Igor. Impazzito, totalmente impazzito.
    Forse Igor non si rendeva conto di come ogni suo pensiero si riflettesse nell'ambiente circostante.
    Sembrava più piccolo, così chiuso su se stesso mentre il buio si faceva più denso.
    Il nero era sempre stato uno dei suoi colori preferiti, dicono serva per non farsi toccare dal male quando se ne circondati, a non farsi corrompere da esso. Igor si era fatto prendere.
    Le parole della bionda non servirono a nulla, come anche quel suo piano per svegliarlo; andato in frantumi prima ancora di essere messo in atto.
    Poi qualcosa le solleticò l'orecchio, come un capello mosso dal vento. Ma del vento lì dentro non c'era traccia così, con un'espressione dubbiosa dipinta sul viso si accinse a scoprire cosa Igor aveva scelto per lei in quel brutto sogno.
    Le dita scivolarono sul lobo chiaro, tornando davanti ai propri occhi coperte di sangue denso e carico.
    Capì subito che non era opera di Igor, lei era sempre stata un mezzo, un'arma, e l'unico in grado di usarla in un ambiente del genere era Ichabod.
    In alternativa, il suo corpo minuto e chiaro giaceva senza vita sulla sedia di fianco al letto.
    Si sentì sollevare, rivolgersi ad un angolo buio della stanza; trovò incredibile come nonostante avesse perso il controllo il bulgaro fosse riuscito a seguire lo sguardo della Rosier fin dove lei aveva deciso di posizionare lo spiraglio.
    Igor, non c'è nessuno! Il torace si alzava e riabbassava ritmicamente mentre sentiva il sangue colare lungo il collo chiaro, tra i due punti lucidi lasciati da quel vecchio morso di vampiro che aveva trascurato. E' fuori! C'è Ichabod! Io non..Vide una pozza di sangue sotto i propri piedi ed alla mente le si riaffacciarono immagini dimenticate; i piedi nudi che scivolano, cercando di tenersi in piedi spingendo contro le pareti alle spalle; erano immagini che non ricollegava a nulla, come se fossero entrate nella sua mente per caso mentre il cuore prendeva a spingere più del dovuto.
    Pensò che era buffo come quella sua testa bacata cercasse sempre di aiutarla, come tutto ciò che uscisse dalle sue labbra sembrasse incredibilmente reale.
    Non respiro, Igor, non respiro. La voce si strozzò come se ci fosse qualcuno a premerle contro la gola, ancora l'eco di quel sogno che tornava a tormentarla. Annaspò ancora, portandosi le mani al collo come a potersi liberare da sola di qualcosa che non c'era.
    Io volevo solo svegliarti, lui era d'accordo. Distese le game, cercando li tenersi in piedi in quel lago di sangue.
    All'improvviso le sembrò tutto decisamente ingiusto.
    Lui non voleva essere svegliato, aveva egoisticamente scelto di lasciarla da sola lì fuori a trovare una soluzione, a provare ogni mezzo per poi farle sapere che aveva provato invano; che lì dentro avrebbe trovato solo una fitta coltre di cenere in cui lui voleva restare.
    Faceva male scoprire di non essere stata una ragione abbastanza valida per convincerlo a svegliarsi, di non valerne la penna nemmeno in questo caso, si sentiva stupida ad aver pensato di poter fare la differenza.
    Eppure lei aveva tanto da offrire! Lo sapeva, lo aveva coltivato tutto quel tempo e continuava a crescere! Le sembrò profondamente ingiusto dover continuare a pagare, ora al prezzo più caro di tutti, lo stesso vecchio errore.

     
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    C'era Eris e poi c'erano i ricordi che come dei flash gli confondevano la mente, lo portavano a guardare a ricordare e più lo facevano più voleva respingere questo intruso.
    -Lui mi sta nella testa- sibilò - lui viola la mia intera esistenza! DIMMI CHI CAZZO E'!- un nome fu abbastanza da cambiare prospettiva, c'era Ichabod fuori, Ichabod che per colpire lui si serviva di lei.
    Allentò la presa e si disse che no, un conto era che si prendesse la sua di vita, che lui si offrisse persino di dargliela, un conto che deviasse anche su quella di Eris.
    NO!
    Le mani salirono a sfiorare il viso di lei in una carezza, si intinsero di sangue che mescolò tra le dita.
    E poi a lei mancò il respiro e fu un attimo quello che gli vide passare il terrore nello sguardo.
    -ERIS!- Si guardò attorno, spaesato - Blackwood lasciala andare! Ti ho detto prendi me, lascia lei!- Impotente e arrabbiato si fermò da quello stato di nervosismo che poco lo faceva ragionare.
    Si fermò e chiuse gli occhi.
    L'unico modo per uscirne era svegliarsi dunque, l'unico modo per salvare Eris era che lui tornasse.
    Non chiese neanche il permesso e mentre Eris continuava a contorcersi si puntò la bacchetta di lei contro.
    -CRUCIO!- esclamò una due tre volte, senza riuscire ad uscire e poi lo fece, quello che gli riusciva meglio. Strinse il suo cuore in una morsa tale che gli tolse il fiato lo stesso alito di vento che uscì nell'esatto momento in cui si ritrovò ad aprire gli occhi e vide lo sguardo di Ichabod su di se.
     
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    Cosa avrei potuto fare con quel collo minuto tra le mie mani? Stringerne i punti vitali per porre fine alla sue bugiarda, traditrice vita. Si può morire per strangolamento e non necessariamente per asfissia. Posso premerle le arterie principali, ad esempio la giugulare. Posso stringere il suo minuti collo fino a che un crack non mi avvisi che la sua colonna si è spezzata sotto le mie dita. O potrei scegliere di applicare una pressione discutibile sul nervo vago che per reazione penserebbe alla morte prematura, così per reazione ridurrebbero al minimo i cicli vitali. Brachicardia, morte. Il suo corpo morirebbe da solo.
    Nonostante tutto, io non la sto toccando nemmeno con un dito, sono davanti il letto, lei sulla sedia, e le mie mani sono composte lungo i fianchi mentre guardo uno spettacolo tremendo, e lo guardo inorridito. Mi accorgo di esserne schifato. Lo guardo implorarmi di risparmiarle la vita e di prendere lui. Lo vedo stringere la bacchetta e costringersi a svegliarsi.
    Sento qualcosa creparsi dentro di me, anche se mi rendo conto che non può essere il cuore di certo.
    L'ologramma che segnava il battito cardiaco di Igor all'improvviso mi costrinse a voltarmi.
    Aveva funzionato.
    Mi voltai verso il ragazzo, le cui pupille si mossero velocemente dietro le palpebre sottili e pallide, incapaci di nascondere attività. Incapaci di nascondere che il loro movimento, lo schiudersi, l'aprirsi, avrebbero messo fine ad un grosso momento della mia vita. Avrei chiuso un capitolo come era spesso successo nella mia vita, con le persone, perchè un saggio diceva che nessuno mai vorrebbe che la persona che ci ha feriti vedesse quanto male ci ha fatto. In una sorta di moto d'orgoglio, e di morte, come a prendere le distanze da ciò che sarebbe venuto dopo, come a volermi risparmiare la gioia che tra di loro sarebbe intervenuta, allontanandomi dai futuri abbracci e baci, mi alzai dalla sedia, proprio mentre il ragazzo aprì debolmente gli occhi. Lo guardai un solo istante, in silenzio. Non mi avrebbe mai messo a fuoco in un tempo sufficiente per farmi uscire dalla stanza, quindi diedi le spalle ai due, lei sulla sedia, lui nel letto, e mi diressi verso l'uscita dell'ospedale, con passo svelto e veloce. Inforcai gli occhiali da sole, sospirai tra le labbra strette. E con una sigaretta accesa in quell'istante, decisi di smaltire quella simil sbornia, camminando verso casa.


     
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    Il segreto per apprendere l'arte della bugia era sempre stato credere fino in fondo a ciò che si dice. E se non si può credere in qualcosa di volutamente falso, lo si può rendere reale nella testa.
    Lì dentro tutto era possibile e tutto era reale e se si è convinti di soffocare, poi si soffoca davvero. Seguì la mano del bulgaro mentre si allontanava dalla sua guancia, piena di sangue scuro e vischioso. Lo vide scivolare tra le dita e colare lungo l'avambraccio mentre si guardava intorno alla ricerca di un appiglio, lo guardò depositarsi lungo il bordo della manica e macchiarne i bordi. Lei intanto continuava a tormentare il collo pallido e liscio mentre in cuor suo sapeva di essere al sicuro, fino a sentire di nuovo addosso le mani di Igor che andarono sicure al bordo della gonna, dove aveva sempre agganciato la bacchetta.
    Pensò che avrebbe dovuto fermarlo, che non doveva per forza farsi così tanto male; che certe bacchette sono capricciose, che certi oggetti divinatori se vengono contaminati da terzi smettono di funzionare come dovrebbero. Che può fare brutti scherzi.
    Invece rimase lì seduta su quel pavimento gelido mentre le mani allentavano la presa e le ricadevano sulle gambe, sangue e pelle sotto le unghie tagliate corte.
    Quando si è abituati a superare questi limiti tra sonno e realtà si danno per scontate molte cose, si corrono dei rischi senza valutarli con attenzione, valutandone la pericolosità solo quando ad affrontarli c'è qualcuno di importante davvero.
    Si chiese se gli fosse passato per la mente almeno un secondo, che dietro tutto quel circo c'era lei; che era lei stessa che si stringeva le mani intorno alla gola, chè lì fuori non avrebbe trovato l'uomo che aveva in qualche modo cresciuto entrambi con le mani strette al collo della sua ragazza.
    Lo avrebbe trovato ai piedi del suo letto, abbastanza lontano per convincersi di non poter essere raggiunto da ciò che stava accadendo; lo avrebbe trovato lì, avrebbe trovato lei addormentata su una sedia scomoda, con qualche graffio in giro ma perfettamente intatta.


    Quando la Rosier riaprì gli occhi non potè fare a meno di tirarsi in piedi in uno scatto, col fiato corto di chi rincorreva qualcosa di ormai troppo lontano per essere raggiunto. In quella stanza, Ichabod non c'era più.
    Si voltò e le parve di invecchiare di secoli nel sentirsi così indegna, così sporca nonostante i più candidi intenti.
    Igor era sveglio e quei begli occhioni blu si accendevano ad intermittenza sotto le palpebre intorpidite, mezzo passo appena e la bionda era salita sul suo letto d'ospedale senza pensarci mezzo secondo.
    Gli diede un bacio sulla fronte prima di stringerlo forte. Solo ora che si era svegliato si rendeva davvero conto di quanto si fosse avvicinata a perderlo davvero e definitivamente.
    La morte, con la sua grossa falce affilata, si allontanava dalla stanza a passi pesanti, con le mani nelle tasche, verso casa sua.

     
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