the callous hearts don't break

Ichabod

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    Ad Eris Rosier non sembrava possibile che per una volta la fortuna avesse girato a suo vantaggio; la passaporto ad Hogsmeade si era salvata dal disastro, imperterrita nella sua forma di vaso cinese posato sul camino polveroso.
    Quindi era riuscita a tener fede ai suoi impegni mentali, arrivando in ospedale appena in tempo per l’orario di visita.
    Non vide Makenzie, forse in pausa o forse di turno in un altro reparto, così entrò senza parlare con anima viva.
    Salutò Conrad con un sorriso ed uno sventolio di dita; posò un morbido bacio sulla fronte di Igor, poi si sedette comoda con le braccia incrociate sul lenzuolo bianco e il mento posato su di esse.
    Oh, ti trovo in forma. Commentò sarcastica tenendogli una mano stretta nelle sue che, venendo dall'esterno, si bearono del tepore del ragazzo. L'appartamento ad Hogsmeade è ancora intatto; sono caduti solo un po' di mobili e la passaporta è ancora intatta.
    No, non ti lascio in pace nemmeno se stai in coma; rassegnati.
    Rise appiattendo il petto contro la sbarra di metallo sul perimetro del letto. Kasper e Cael sono stati carinissimi con me e per fortuna stanno tutti bene; anche Dandy sta bene. Mi hanno tutti risollevato il morale e mi sa tanto che ne avevo bisogno. Scosse la testa, sentendosi un po' stupida ad ammettere che un po' di smalto e una bottiglia di tequila svuotata col fratello le avessero davvero fatto cambiare il modo di approcciare alla situazione. Così posso impegnarmi per bene e riportarti qui. Ok che quando dormi almeno non hai la faccia incazzata, ma ti preferisco ancora sveglio. Carezzò il tatuaggio sul polso, tornando a sedersi composta nel sentire un rumore di passi farsi più vicino.
    Si voltò.
    Ichabod.
    La sedia stridette sul pavimento mentre scorreva lontano dal letto per permetterle di alzarsi e di raggiungerlo prima che potesse andarsene.
    Aspetta! Lo fermò dalla manica, un po' per istinto e un po' per sregolatezza, trovandosi presto ad irrigidirsi in attesa di una reazione.
    Questa volta è importante, possiamo parlare?

     
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    La lettera l'avevo letta fino alla fine, l'avevo anche voltata per essere certo che fosse finita. Poi l'avevo stretta e torta mantenendola dai lembi lontani e l'avevo buttata nel fuoco. Non perchè me l'avesse chiesto lei, nè perchè fossi caduto nella provocazione, ma l'azione purificatrice del fuoco era stata utile quando avevo lanciato la loro roba in giardino e l'avevo accesso con la bacchetta, guardando i loro ricordi ridursi ad un cumulo di cenere scuro che aveva mangiato ormai tutto, il letto, il baule della ragazzina e i libri di lui che non era riuscito a portare di Natale. Dalle parti mie si usa dire che non importa quanto brutta sia stata la tua giornata, qualcuno starà peggio sicuro. Il gatto di lei se l'era passata peggio dei libri di lui o delle erbe di lei in giardino, morte di gelo sotto l'ennesima bufera di neve.
    Quello che era riuscita a fare era stato indispettirmi a tal punto, innervosirmi tanto da passare un'intera serata a dire a Makenzie a tavola quanto figli di puttana fossero stati, e che enorme delusione mi fossi dato da solo. Lei era stata solo a sentire, persino quando le avevo detto che semmai avesse avuto anche lei qualche colpo di genio, avrei smesso di sperare nel genere umano. Era una minaccia, ma doveva averla voluta leggere come un complimento. Avevo passato la serata a passare da un magari crepa ad un non ci posso credere a quanto sia stato stupido, me lo sono meritato.
    Quello che era riuscita a fare era innervosirmi, riportarmi coi i piedi a terra talmente forte da non andare in ospedale per tre giorni. Ero rimasto in casa un paio di giorni con Night, e poi mi ero concesso un giro per mangiare verso il centro, rientrando tardi, con la speranza che qualcuno mi importunasse per rompergli il muso. Non avvenne ed io ero tornato a casa integro, avevo mangiato di nuovo ed avevo trascorso la nottata a finire L’isola del dottor Moreau mentre l'indice destro continuava a farmi male per crampi, scattava all'improvviso come unico contro di tutta la merda che aveva cominciato a farmi avere su un nuovo appetito e un sonno diverso. Una volta non avevo sentito Night piangere.
    Diceva che era un buon segno, ma non lo avvertivo come tale.
    In ogni caso l'influenza della bionda era durata quattro giorni perchè oggi, come pochi giorni prima ero tornato in ospedale anche se niente era cambiato, ma lei mi aveva detto che da che dovevo stare solo in casa col mio nuovo regalo fiammante da parte sua, Gli ultimi fuochi, andava bene anche stare in ospedale. Night era dal padre e questo voleva dire che almeno mi sarei evitato lui in ospedale.
    Ma era bastato un attimo per rovinarmi ugualmente la giornata. Tornato dal peggior caffè della giornata, l'avevo trovata seduta davanti a lui, ed in un moto di stizza, senza dire nulla, avevo fatto dietrofront, mentre qualcosa mi ribolliva in petto. Non avevo mai risposto alla lettera, e lei sapeva che non solo non l'avrei fatto, ma addirittura il contrario poteva voler dire guai per lei ancora peggiori. L'avevo solo ignorata a modo mio, come quando di prima mattina mi chiedeva come avessi dormito, ed io le rispondevo con un solo sguardo, era riuscita a conoscerne persino le sfumature senza che io aprissi necessariamente bocca.
    Sento la sedia grugnire e so già cosa sta per accadere.
    Non che fosse tanto coraggiosa da toccarmi, per questo tiro a me il mio braccio, scansandomi attonito dal suo gesto di possesso e richiamo. Mi volto stabilendo gerarchie che non ci sono più se non di genere naturale, la guardo e mi chiedo cosa voglia ancora.
    "Non toccarmi" il tocco stabilisce altro, rompe le linee e lei non è più autorizzata a nulla che possa infrangere quel grosso muro che lei aveva eretto ed io imbandito a cerimonia. La guardo e mi dico che se mi chiede di nuovo scusa o qualcosa tipo è colpa mia mi impicco nel corridoio porca puttana.
    "Breve e concisa, che vuoi" incrocio le braccia impaziente, sa di avere poco tempo per attirare la mia attenzione.





     
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    Spostò il braccio e lo slancio della Rosier andò a vuoto; il piede si puntò a terra e la gomma delle scarpe squittì sul pavimento in linoleum, riacquistò l'equilibrio, si tolse i capelli dal viso. Pensavo che non ti saresti fermato. Tirò le maniche del maglione oltre le dita mentre lui incrociava le braccia al petto.
    Glielo aveva insegnato lui, era un atteggiamento di chiusura; per non far entrare e non uscire. Si dice che le ferite per poter guarire dovevano essere lasciate stare.
    Eris Rosier stuzzicava quotidianamente la sua ferita, forte dell'idea che il dolore mantenesse vigile lo spirito. Spalle aperte e mento alto, la ferita abbastanza aperta da mantenere esposte le ossa. C'è un modo per svegliarlo; sono entrata forse per sbaglio nel sogno di qualcuno o è stato lui ad entrare nel mio, ma so di per certo che il cervello di Igor reagisce agli impulsi e di conseguenza possiamo indurlo a svegliarsi da dentro. Non prese mai fiato, trovandosi coi polmoni vuoti alla fine del discorso, tolse qualche altro capello inesistente da davanti al viso poi riprese.
    Da sola potrei non farcela; mi servirebbe il tuo appoggio.

     
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    "Stai facendo un errore madornale pensando che la cosa mi interessi" apprezzabile il fatto che avesse condensato tante di quelle parole in un solo sfiato, doveva aver cominciato a far lavorare il suo intuito, o la sua paura. La guardo, stretta in quel pullover sembra ancora più minuta, sembra ancora più piccola, sembra ancora più colpevole.
    Deglutisco e la guardo, lei che ha bisogno di me, mi sentirei lusingato se non fosse una verità inopinabile.
    "Non è che tu non abbia più solo il mio appoggio. Non hai più niente da me, fiducia, appoggio, sostegno, chiamalo come cazzo vuoi, sul serio" il primo incontro che abbiamo avuto guardandoci negli occhi è infinitamente diverso da adesso, perchè avevo avuto la possibilità di fare un passo indietro e guardare il tutto con appiattimento emotivo. Nonostante i miei occhi fossero ancora arrossati di stanchezza, nonostante avessi desiderato di vederli crepare mentre si tenevano la loro candida manina fino al giorno precedente, dalla mia bocca non uscivano offese. Dalla mia bocca non uscivano altro che parole dosate e calibrate, e tremendamente sincere, nonostante l'espressione corrucciata e risentita. Eravamo in quel corridoio dove erano sedute solo speranze e attese senza tempo. Una infermiera passava lanciandomi uno sguardo strano, ed il silenzio ti schiacciava.
    E lì come Davide e Golia eravamo noi.
    Volevo girarle le spalle ed andarmene, ma io non avevo finito.
    "Nella storia che ti hanno raccontato non c'è un particolare fondamentale. Igor ha avuto tutto il tempo di farsi male, io ci ho messo più di quanto ci avrei messo correndo verso di lui" quello era tremendamente vero, per quanto fossi impazzito dopo perdendo la lucidità che mi era rimasta, io non mi ero alzato subito. Io avevo aspettato. Avevo lasciato tra di noi i metri sufficienti perchè il Mostro dentro di me si cibasse nella speranza che quella bestia lo facesse a pezzi.
    Respiro.
    Riformula.
    "Prima che tu dica altro, vorrei che tu sapessi che non sono certo me ne freghi più un cazzo di voi, di quello che fate, del se crepate"Ezekiel mi diceva a volte che conoscevo troppe parole per usarle senza ritegno. Io pesavo ogni grammo, e la menzogna era sempre tanto lontano che avrei preferito passare interi pomeriggio in silenzio piuttosto che pensare di dovere qualche forma di rispetto ai sentimenti altrui perchè inevitabilmente, per non calpestare qualcuno che non dovrebbe nemmeno essere sdraiato ci si deve togliere le scarpe, e chi lo fa senza valutare il rischio dello scivolare è solo un bugiardo.
    "Sono qui per un esperimento" Per vedere quanto umano io possa essere diventato negli ultimi tempi "Per curiosità" Perchè se dovesse crepare lì dentro, voglio esserci per capire se io senta qualcosa, o se è tutta una puttanata. Io non faccio più niente per voi, niente.



     
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    Ascoltò quelle parole pungerla come un centinaio di spilli infilati con cura uno ad uno, con lentezza e precisione chirurgica. Aspettò che finisse, che qualche respiro tremasse alla base dei polmoni della bionda, che altri capelli immaginari le cadessero sul viso in modo da poterli tirare indietro con entrambe le mani mentre il ginocchio si piegava e stendeva ad intermittenza. Agitata, attese di poter riprendere la parola.
    Non mi importa niente se non avrò mai più il tuo appoggio, la tua fiducia o qualsiasi altra cosa tu possa darmi. Mi importerebbe se la situazione fosse diversa e probabilmente non ci dormirei la notte per trovare il modo di riguadagnarti. Ma lì dentro c'è la tua prima scelta ed è ridotta a un vegetale. Si voltò a guardare Igor e tutti i tubi che gli avevano attaccato, tutti quegli schermi che lei non sapeva decifrare.
    Capisco che tu non voglia farlo per me, ma qui ce l'hai portato tu, non lo hai lasciato morire ed ora da parte tua sarebbe davvero stupido volerlo lasciare così. Tanto valeva lasciarlo lì, no? Morse l'interno del labbro, abbassando le palpebre il necessario per non essere sopraffatta dall'emotività e dalla voglia che aveva di urlargli in lacrime quanto fosse uno stronzo sadico.
    Se lui non voleva aiutarla avrebbe trovato il modo di farlo da sola a costo di infilarsi giorno e notte in casa di Cristobal.
    Il problema era che per quanto la facesse stare male, lei sarebbe tornata da lui in ogni caso, perchè era lui che voleva da quando era solo una bimba. E Ichabod lo sapeva e poteva usarlo per far leva, per farla cadere come farebbe un gatto da appartamento con una penna posata sul tavolo.
    So che non lo sai, altrimenti non saresti qui.

     
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    "Io l'ho portato qui, non vuol dire altro, pensavo di averti insegnato abbastanza per non arrivare a conclusioni che la tua emotività chiede" nego con la testa. Non c'entrava l'averlo portato qui ed il volerlo in piedi sulle sue gambe, io che al karma non ci ho mai creduto, ho pregato notte e giorno perchè si abbattesse due questi due figli di puttana mentre scopavano sotto costose coperte di lino.
    Il tono fermo della bionda non mi fa sentire in soggezione, anzi, è la prima volta che quasi riesco a sentirmi sulla sua stessa lunghezza d'onda, il mio tono non ha nulla di paterno, nulla di riprovevole nè disgustato. E' piatto, come compassionevole, stanco di dover giustificare tutto e stanco di dover combattere contro qualcosa in cui crede solo lei.
    Ed io in lei non ci credo.
    "Prima scelta, seconda, credete di essere in una gara Eris?" l'espressione che le rende è perplessa, sollevo le spalle e le lascio ricadere confuso. Eris Rosier era malata di attenzioni, e se anche sapeva di arrivare ultima, ci si sarebbe aggrappata con tutte le sue forze.
    Ma io adesso le avrei svelato una grande, enorme verità.
    "E cosa si vince per essere presi come prima scelta?" le sorrido ironico.
    E' la prima volta che non lo faccio in modo sarcastico, quel sorriso che le dedico è compassionevole, faccio un passo in avanti e prendo aria dal naso. Infilo le mani in tasca e come se dovessi confidarle un enorme, magico segreto, abbasso la voce così che possa lasciare che quelle parole le rigassero il timpano per sempre.
    "Perchè Eris la mia prima scelta non è ridotta un vegetale, e qui davanti a me" la sento distintamente smettere di respirare, le mie sopracciglia sono distese verso l'alto, rendono la fronte stretta e l'espressione chiara, limpida e sincera. La rivelazione che non la faceva dormire di notte col suo senso di inferiorità al quale reggersi stretta era finalmente libera di librarsi nell'aria, ad una distanza che avrei usato per avvicinarmi a Makenzie e baciarle le labbra. Ero a pochi centimetri da lei, gli occhi vitrei e chiari, le labbra schiuse, da lì vedevo persino un minuscolo neo nell'iride.
    La guardo senza paura.
    "Io ho scelto te quando avevi sette anni. Igor è un patto che ho stretto anni dopo, ed indipendentemente da quanto sia infinitamente migliore di te, indipendentemente da quanto sia molto più affine a me, sei sempre stata tu la mia prima scelta" inclino la testa su un lato. Per quanto beffardo io possa essere, niente di ciò che immaginate corrisponde a verità.
    Immaginate l'espressione che avrebbe un padre dicendo al proprio figlio di aver scelto lui alla vita della madre. Immaginate di un padre che dice al proprio figlio che è stato stesso lui ad uccidere la propria madre, per vedere salva la vita della progenie. Io non sono beffardo. Io sono libero.
    E ne sono felice.
    "Come ci si sente Eris Rosier? Come ci si sente a stringere la coppa del numero uno? Cadere da un podio tanto alto deve far un male di accidenti" tiro su la schiena e stringo i pugni in tasca prendendo le mie distanze. Insomma, anche Lucifero dissero si fece un male del cazzo a cadere dal Paradiso.



     
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    No! Non c'è gara! Ma è palese che sia su di lui che ti sei concentrato ed è giusto così; ma proprio per questo non è giusto rimanere con le mani in mano se c'è qualcosa da poter fare. Incrociò le braccia al petto, preoccupata. Ichabod stava sviando da quello che era il discorso principale; da quella che era l'urgenza. Gli avrebbe detto che Igor per lui l'avrebbe fatto se non avesse saputo quanto poco importassero queste cose per lui. Ad Ichabod importava in primis del suo orgoglio ferito; poi fare in modo di gravare il più possibile sulla coscienza dei due carnefici e, dato che uno era in coma, nel mirino c'era solo lei.
    Ichabod sparò il proiettile più doloroso con un sorriso bonario stampato sul viso, piegato verso di lei con fare talmente poco maligno da stridere come unghie sulla lavagna.
    Fu un pugno in pieno petto; o forse anche due. Pensò di poter sentire la stessa crepa che attraversava Ichabod da parte a parte attraversare anche lei. I polmoni si riempirono a singhiozzi mentre qualche piccola perlina liquida si incastrava tra le ciglia chiare.
    Il male minore; poteva andare peggio.
    E allora preferisci buttare via undici anni pur di non fare con me un'ultima cosa? Tirò su col naso e nascose le labbra dietro la manica color malva mentre gli occhi oltrepassavano il vetro e talvolta si soffermavano sul riflesso del profilo di Ichabod.
    Lui dimenticava che sul podio non ci salgono i veggenti; ci salgono sempre i campioni; quelli con l'armatura scintillante un po' mangiata dalla ruggine. C'era sempre stato Ichabod su quel podio; e lo teneva in caldo per Igor.
    Tutto qui.
    Se ti promettessi che poi non ti cercherò più e ti lascerò in pace; che farò di tutto per non incrociare la tua strada una volta di troppo e che davvero non cercherò più di parlarti, mi staresti vicino un'ultima volta? Ho un solo tentativo, Ichabod; sai meglio di me quanto sono brava a mandare tutto all'aria.

     
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    Il fatto che non avesse fatto nemmeno una piega mi fece un effetto strano, che riconobbi più o meno come irritazione. Le avevo appena detto qualcosa che Igor aveva solo potuto immaginare, niente che venisse dalle mie labbra, persino quando ne avevo tessuto le lodi davanti a Roan, Igor era ancora nell'altra stanza. Eris Rosier aveva appena appreso di essere stata l'unica scelta volutamente, a discapito delle sue tremende capacità, eppure non aveva fatto una piega.
    Rimasi in silenzio, mentre i polsi nascosti nelle tasche vibrarono di nervoso.
    "Non voglio meriti" lo dico. Accetto, e non voglio che Igor sappia che io sia lì, non voglio che sappia che abbia acconsentito a salvargli il culo in quel momento, perchè le labbra secche e provate, si staccarono una dall'altra per accettare qualcosa che faceva più male di una stilettata in fronte.
    "Non voglio che parliate di me a lui quando si sveglia rispetto a questa cosa, semmai lo farà" insomma, non potevo essere certo delle capacità di lei, ma l'idea di sganciarmici, allora che fosse indolore e veloce, se avesse avuto ragione, allora non l'avrei vista mai più.
    "Se sei in grado di mantenere la promessa, abbiamo un accordo" la mano, dal quale rifugge un leggero orlo della maglietta scura a maniche lunghe si apre davanti a lei, il palmo rivolto verso l'interno, il pollice diviso dalle altre dita che tremano solo appena per colpa della chimica ormai provata del mio corpo. La guardo nei grossi occhi tondi che sembrano sempre più grandi ed ingombranti di quanto non siano in realtà.
    Eris Rosier per calpestare il suo volere si sarebbe battuta con tutte le sue forze, e l'idea che rimanesse lontano da casa mia incuriosiva me più di quanto potesse in realtà sembrare vera per lei. Lasciar andare. Avrebbe davvero imparato? La mano rimase sollevata a mezz'aria all'altezza del suo sterno. Se me l'avesse stretta, l'avrei persa. E non perchè avesse deciso di tener fede alla sua promessa, piuttosto perchè sarebbe stata una stupida controprova al fatto che in questo triangolo io sarei stato l'unico angolo sacrificabile. Igor aveva scelto lei. Lei, stringendo la mia mano, avrebbe scelto lui, ed io avrei perso entrambi.

     
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    Perchè? Chiese quasi d'istinto, stupidamente.
    Lo ascoltò e all'improvviso si trovò a pentirsi di quell'offerta. Aveva sempre creduto in un suo "no" ed ora che tutto sembrava più vero le metteva una paura matta.
    La gabbia toracica sembrò stringersi di colpo, comprimendo tutto ciò che diceva di proteggere.
    Si chiese cosa l'avrebbe attesa una volta che Igor avesse riaperto gli occhi ed ogni risposta stringeva di più le costole attorno ai polmoni. Chiuse gli occhi; prese tutta l'aria che riuscì a trattenere prima di liberarla in un soffio tremulo.
    E' davvero questo che vuoi? La voce si ruppe, qualche sbeccatura qua e là pronta a frastagliare una domanda fin troppo esplicita. Vuoi davvero che io smetta di provarci? Davvero? Lui non si sarebbe mai esposto al punto di riprenderla di sua spontanea volontà e lei lo sapeva fin troppo bene; lo conosceva fin troppo bene. Vagò sul viso stanco di Blackwood con i suoi grandi occhioni annacquati alla ricerca di qualcosa di umano a cui fare appello.
    Sapeva che era lì da qualche parte; lei lo aveva sentito! Ci aveva parlato e l'aveva tenuto per mano!
    Sono perfettamente in grado di mantenere una promessa; ma mi hai chiesto di non toccarti.
    Rise di se stessa e di quell'ultimo disperato tentativo mentre si asciugava il viso.

     
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    L'idea di tagliarli fuori dalle mie vite mi sembrò una scelta sacrificabile, mi sembrò qualcosa di chiaro finchè lei non tirò a sé la mano ritraendola, vigliacca come al solito. Era dunque una prova, perchè. Non avrei permesso più a nessuno di avvicinarsi tanto da farmi sentire tanto necessario ed inutile allo stesso tempo, non sarei più stato il capriccio di una crocerossina e tantomeno una sorta di punizione per qualcun altro. I grossi occhi che vorrei battezzare scortesemente inespressivi, si colorirono di lucide lacrime, brava a non lasciarne cadere nemmeno una, mi decido, faccio un passo in avanti, e che voglio o no, mi stringerà questa cazzo di mano tesa, le blocco il braccio, con la mia mano trovo la sua senza cercarla con gli occhi che le schiaccio addosso, mentre serro i denti, le stringo il palmo che lo voglia o meno, e lo faccio forte.
    Sono stanco di essere la cazzo di pedina sacrificabile, mi sono rotto il cazzo di star dietro lamentele, capricci, voltafaccia, non avrei mai più guardato una persona che mi si avvicina tanto, alla quale permetto di avvicinarmisi tanto per poi vedermi guardare in faccia e dire che conto meno di una cazzo di Barbie bionda. Non avrei mai più permesso ad una Barbie con scarso talento di mettere su un piatto di scommessa quello che credevo potesse essere valutato più di un accordo qualunque, più di un patetico accordo per salvare il principe azzurro. Nelle storie dove c'ero io, non c'erano principi azzurri, cavalli bianchi nè pincipesse rinchiuse in una torre protetta da un drago. Nelle storie dove ci sono io, ci sono morti, valori sacrificabili, e coltellate alle spalle non di certo in nome del fottuto amore. Avrei venduto Makenzie al migliore offerente in cambio di Night. E mi sarei venduto per un prezzo davvero sconvolgentemente basso. Ma non di certo in nome dell'amore. Nelle mie storie non c'era niente del genere, nè gli happy ending. Le stringo la mano e poi mi avvicino col viso talmente tanto a lei, che non posso fare a meno di ricordare quel momento in cui oltre le sbarre, William Stark si era sentito alitare addosso il mio fiato "Questo è un accordo, che ti piaccia o no".
    Lascio la mano e roteando in modo impercettibile gli occhi, prendo posto su una delle sedie di plastica lì fuori la sua stanza, inclino la testa, sono seccato, sono incazzato come un leone in gabbia. "Parlami di questa idea geniale" incrocio le braccia e allontano il mento dallo sterno "E cerca di essere esaustiva"





     
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    Eris Rosier aveva sbagliato tutto.
    Aveva preso tutte le decisioni sbagliate e ne pagava le conseguenze tutte in una volta.
    Il palmo sinistro della grossa mano di Blackwood si strinse contro il polso sottile della bionda, mentre la destra ne inglobava le dita gelide.
    Le sembrò di essere un mazzo di fiori tenuto troppo stretto e, quando fu rilasciata, si accorse che qualche gambo era stato reciso, molti solo ammaccati; qualche petalo era caduto in una danza macabra e leggera.
    Io ho parlato per me; non per lui. Con un cenno della testa indicò la stanza d'ospedale alle sue spalle. Non lo ha fatto con l'intento di fregarti, te lo garantisco. E' solo stato ingenuo. Non avrebbe mai voluto dispiacerti, ti vede come un padre. La lingua schioccò contro il palato mentre si arrendeva all'idea di parlare chiaramente una volta per tutte. Io non ti ho mai visto come un padre, ne come un fratello maggiore o un qualche modello da seguire. Io non voglio diventare come te, Ichabod. Io qualcosa vedo, quando ti guardo; ma non so che cosa sia. E per quanto la biondina tenesse a quel rapporto, era consapevole che ciò che c'era tra lui e Igor era più importante e più utile. Lei voleva restare per capriccio e forse era ora di crescere.
    Magari hai scelto me, ma il grande successo è lui; non buttare via tutto. Masticò l'interno della guancia mentre, più calma,
    prendeva posto accanto ad Ichabod.
    Sapevi che i veggenti possono entrare nei sogni delle persone? Chiese, proseguendo senza attendere una risposta, incastrando le dita sotto le cosce su quella sedia di plastica. Posso entrare nella testa di Igor mentre è in coma se divento abbastanza brava. Se lo spavento abbastanza magari si sveglia. Volevo il tuo aiuto per capire come fare. Io non sono un gran genio di strategia,
    lo sai.
    Molti dettagli era meglio ometterli, almeno per il momento.
    Una volta sveglio, lo riprenderesti se io lo lasciassi in pace?

     
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    Ti vede come un padre.
    Quelle parole mi colpirono il petto forte, fortissimo, come se dopo un aver incrociato le dita tra loro, qualcuno me le avesse scaraventate contro lo sterno. L'idea principale dei figli era la trasgressione, e questo rendeva me e Igor più padre e figlio di quanto avessimo potuto immaginare, persino l'aspettativa che avevo di lui era talmente fuori misura da essere perfetta per quella che un padre avrebbe avuto per il proprio figlio. Ma persino al Creatore era roduto il culo quando Adamo, il perfetto Adamo era stato corrotto da Eva. E magari pomiciavano tra loro mentre il Creatore era voltato altrove. E magari chissà la versione ufficiale è che Adamo abbia portato Eva sotto braccio al Creatore spacciandola per una casta e dalle tette enormi. In entrambi i casi, i primi uomini sulla terra erano divenuti mortali.
    Ascolto con attenzione le sue parole, parole a cui sa di dar fiato inutilmente, parole troppo grosse per avere un senso, mi dico, se lui non rinunciasse a lei, la corruzione si vedrebbe in tutto il suo splendore, e la mia delusione per entrambi anche. Vorrei dirle che se fosse stato tanto ok, me l'avrebbero detto, invece sapevano che serpi in casa mia non ne volevo. Ma avevano comunque agito.
    "Stai uscendo fuori dai tuoi confini Rosier" ed era quello il suo più grande problema. La linea di confine che non riusciva a cogliere dall'inizio, e quel pensiero de, ho fatto 30, faccio 31.
    Avrei voluto dirle che la sua volontà, la mia non contavano niente. Lui aveva scelto, e noi avevamo reagito di conseguenza, lei sperando di salvare in fede alla responsabilità che sentiva, ed io avevo chiuso i cancelli della mia tenuta, pregando, sperando che Igor non si alzasse da quel letto, perchè lì, mentre dormiva, poteva essere ancora mio.
    Dalla mia parte.
    "Non ne so niente di sogni" mi spiego "Posso darti il nominativo di qualche veggente, a me non interessa, e non farmi domande come se mi stessi mettendo alla prova" la ammonisco. Quelle cose tipo, sai questo? E sai quello? Non le ho mai sopportate. Un senso di nausea si avvicina alla gola, mi spinge il pomo d'Adamo verso l'esterno, cerco di tenerlo a bada con dei respiri lunghi e i palmi delle mani a coprire bocca e naso come se avessi appena ricevuto una pessima notizia in quel momento.
    Improvvisamente mi ricordai degli occhi di Igor, nel momento in cui aveva capito che sapevo. L'espressione, la lucida vergogna come un velo sulla cornea, emetto un altro lungo sospiro, dico "Scrivimi, voglio sapere solo cosa io debba fare, parliamo tramite lettera" socchiudo gli occhi e sussurro "E non tornare più qui. Lasciamelo finché non si sveglierà di nuovo almeno"

     
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    Lo so, ma dovevo dirtelo. Lasciò cadere le braccia come se pesassero una tonnellata.
    Ci aveva pensato, ci aveva pensato tanto e poteva incolpare solamente se stessa.
    Per come la vedeva lei, nessuno aveva scelto.
    Se avevano deciso di confessare il crimine era solo perchè non trovavano giusto mentirgli.
    Almeno per la Rosier era così e in quel momento lei era più che certa di non aver scelto un bel niente.
    Ichabod le aveva detto, quel giorno fuori sul vialetto, che le serpi come lei pensano di star bene ovunque e invece non stanno bene da nessuna parte.
    Ora, dopo parecchio tempo passato sola con se stessa; Eris Rosier poteva solamente dargli ragione per l'ennesima volta.
    Lei voleva entrambi perchè non meritava nessuno dei due.
    Patetica Rosier, subito pronta a sbracciarsi per il suo angolino fuori dall'Inferno.
    Va bene. Disse inumidendo le labbra e posando gli occhi sul battiscopa. Cosa si era messa in testa?
    Aveva davvero pensato che con quella promessa avrebbe potuto riavvicinarsi? Mentre lei costruiva i suoi ponti traballanti, Ichabod poneva oceani a distanziarla da lui.
    Va bene, fammi sapere cosa sogna, così mi organizzo.
    Ed era di nuovo lì, e si era legata le mani da sola mentre osservava le sue più candide speranze andare in mille piccoli pezzettini.
    Andava bene. Sarebbe comunque andata in ospedale; avrebbe chiesto a Makenzie aggiornamenti quotidiani, avrebbe mandato dentro quella stanza una giovane gazza ladra luminescente e incorporea.
    Avrebbe trovato un modo per esserci.
    E sarebbe rimasta al proprio posto.

     
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