Hold It Against Me

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    "Vado a riposare un po'" mi dice senza che ci sia punta di domanda, non mi sembra di coglierlo affatto e lei non insiste se non chiedendomi nuovamente se fossi intenzionato a passare l'ennesima notte appollaiato su quegli sgabelli attaccati al muro, fatti di niente altro che di merda di plastica.
    "Tu vai a riposare quando torni me ne tornerò un po' a casa" vorrei dirle fai con calma perchè non ho molta intenzione di andarmene davvero. Il fatto era che Makenzie si fidava ciecamente dei dottori, io no, dicono che mi avrebbero avvisato ma nessuno credeva loro. Tutti si fidavano di loro, ecco perchè quel corridoio buio e scomodo era sempre vuoto.
    Igor mi aveva persino proposto un cambio ma come per Mak, la regressione della mia fiducia nel genere umano era scesa vertiginosamente caduta in picchiata, e nessuna cellula della mia cute persino prestava attenzione alle cure che volevano darci. Dicono sta meglio, è piccola ma è davvero una tosta. Dico, è ancora in quella bara di vetro nella quale io posso infilare solo due mani, e non l'ho ancora fatto, Makenzie l'ha presa in braccio più volte, dice è la cosa più piccola che abbia mai visto.
    Io non ne ho ancora il coraggio, per niente. E' proprio il coraggio che mi manca.
    L'infermiera si allontana silenziosamente dopo aver passato il palmo della mano morbido contro la barba ispida sul mio viso. Avevo ceduto ad una doccia del servizio in camera di Makenzie, ignorando le urla del padre, ed ignorando il fatto che chiunque lì dentro fingesse di non capire che ero come una pentola a pressione, ma che il livello di sopportazione si era quasi andato a far letteralmente fottere. Non dormivo per più di tre ore da quattro giorni ormai e l'odore di disinfettante di quel bagno schiuma in camera, addosso a me cominciava a dare sui nervi. Avevo buttato tante di quelle bottigline di acqua che non credevo nemmeno io possibile avere bevuto tanto in quei giorni, solo acqua poi. Non prendevo niente da quattro giorni, e stanco come ero nessuno poteva scambiarmi per un drogato. Forse.
    Chiudo gli occhi mandando indietro la testa, ho di nuovo una gran sete, ma nessuna intenzione di alzarmi e dal momento che non sono un ragazzino posso fare tutto più tardi. Non passano più di dieci minuti, nonostante la stanchezza non faccio in tempo ad addormentarmi. "Hai portato i tuoi pon-pon ed una ghirlanda lunga un metro e mezzo?" ho ancora gli occhi chiusi, ma non sono uno dei migliori per niente, quindi riconosco l'odore di quegli impacchi troppo gay anche per le donne che usa sui capelli, e ne riempie la stanza, qualunque stanza in cui entri. Quindi non ho motivo di aprire gli occhi, o cambiare posizione.
    "Sono molto stancoo, sono molto arrabbiato e molto nervoso. Ho sete e dovrei andare a pisciare, non ho intenzione di fare niente di tutto questo, quindi scusa se non festeggerò con te".
    Due su due, ma non era di certo il momento ideale per festeggiare due profezie azzeccate in mesi e mesi di permanenza nel maniero, ero troppo stanco anche per un applauso. Magari glielo avrei fatto. In differita di un anno o due.

     
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    Tornare in quell'ospedale non poteva regalarle buone sensazioni, ma il sostengo di Igor era stato fondamentale almeno per quanto riguardava la questione Roeim. Come se il bulgaro avesse temporaneamente schermato quelle preoccupzioni, permettendole di accantonare quei pensieri per far posto ad altri.
    Night era nata con un mese d'anticip e nonostante Igor dicesse che non correva rischi, Eris sapeva bene come uno del suo stampo potesse sottovalutare quel genere di cose.
    Ichabod aveva l'aria stanca, sembrava quasi dormisse di un sonno leggero e disturbato; le sopracciglia rigide dal nervoso o da un gran mal di testa.
    Igor mi ha detto tutto, credo. Sono venuta appena possibile. Ignorò la frecciatina, concedendogli di liberare un po'del veleno che probabilmente avrebbe sempre covato nei confronti dell'atteggiamento positivo che Eris cercava di assumere. Oltre ad avere fame, sonno e sete e neanche un po' di voglia di risolvere questi problemi, come stai?
    Non ci rimase nemmeno troppo male, in fin dei conti la situazione delicata lo giustificava.
    Maky e la bambina? Stanno bene, vero?
     
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    "Io benone" il tono sarcastico si perse per la via d'uscita risultando quasi piatto e per niente ironico. Avevo ancora gli occhi chiusi, le braccia incrociate, mentre con fare distratto e seccato grattai il setto nasale con un'unghia tremendamente corta.
    "Makenzie sta bene come me" dico riferendomi alla ragazza stanca, che si teneva in piedi spesso a fatica, facevo finta di non vedere quanto preoccupata e stanca fosse.
    Sento che prende posto vicino a me, ed io esalo un grosso respiro per controllarmi, sono stanco, sono tre giorni che sto cercando di controllarmi per non dare di matto, dal momento che sono legato ad una situazione da azkaban precedente, il giudice aveva, un'altra cazzata e sconti questo e quello.
    Ed in ospedale non era davvero il caso.
    "Come hai saputo che eravamo qui?" Oh, non pensavo di avere tanti conoscenti in grado di essere più o meno piacevolmente sereni nel venirmi a trovare in ospedale. In fondo ho sempre saputo che chi ci circonda non resta mai mica per sempre, in un mondo dove tutto si evolve e ruota è da idioti pensare di lasciare qualcosa così come è. La famiglia, le amicizie. Persino chi ti scopi può cambiare con un minimo aiuto in pochi secondi, e persino i tuoi figli potranno crescere senza sapere tu chi sia. Il mondo è una continua rotazione e stare fermi, o avere la pretesa di stare fermi è ridicolo.
    Apro gli occhi scuri finalmente, la schiena scivola verso il basso sullo schienale, e nel corridoio scuro e ovattato di dolori e silenzi mi volto verso di lei, puntando la mia notte contro il suo giorno.
    Rimango in silenzio per circa venti secondi.
    E quando hai venti secondi di silenzio dalla tua, hai il diritto di prendere parola per primo.
    "Questo vuol dire che se fosse morto qualcuno, chiunque di noi, tu ti saresti presentata con dei giorni di ritardo" le sorrido nel modo più inquietante che io conosca, o almeno lo credo, non lo faccio apposta non è qualcosa che mi appartiene, ma so che stringo i zigomi verso gli occhi, scopro i denti in modo innaturale "Un comportamento anomalo da chi ha sempre quell'aria da vittima in casa, come se poi, io potessi provare una qualche forma di amore" quella parola mi scivola via dalle labbra, ma è la stanchezza, lo so perchè me ne pento subito dopo, ma non lo dico, rimango in silenzio, la guardo, impavido, in quegli occhi che non avevano mai fatto niente di male.
     
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    Il sarcasmo nella voce del bruno sembrava prendere saldamente dalle spalle la sensibilità sopita della bionda e scuoterla e schernirla. Reattiva ma stanca, quella sensibilità rimase muta e si mosse lentamente; chinandosi in silenzio a raccogliere i pezzi, per conservarli in una tasca e provare a rimetterli insieme al momento opportuno.
    Te l'ho detto, Igor mi ha raccontato tutto. Premette sulle cosce la gonna scura della divisa scolastica per sedersi senza che svolazzasse ovunque, tenendo quei grandi specchi incollati al viso di Blackwood, seguendolo in quella lenta discesa, senza far nulla per impedirli di scivolare più in basso.
    Un minuto o due giorni, è troppo tardi lo stesso. Non credo ti serva il mio aiuto per scavare una fossa. Un sospiro breve le svuotò i polmoni mentre distendeva le gambe sottili e i talloni scivolavano sulle piastrelle chiare. Non aveva mai visto Ichabod sorridere e quello sembrava più il ringhio di una bestia che il sorriso sarcastico di un uomo che a trent'anni aveva già vissuto troppo.
    La bionda strappò con i denti una pellicina dal labbro mentre riusciva solo a chiedersi cosa lo avesse ridotto così.
    Era nata sua figlia. Era prematura ma stava bene, Makenzie stava bene, e da lì a qualche giorno sarebbero potuti tornare a casa.
    Era solo questione di adattarsi ad un nuovo tassello, nulla di spaventoso.
    Era come lanciare un sasso in uno specchio d'acqua, la superficie si spezzava, scoppiava in una manciata di schizzi e poi, lentamente, tutti quei cerchi concentrici andavano ad allargarsi, ad appiattirsi fino a scomparire. Il sasso rimane a far parte della pozza e la superficie torna liscia.
    Sarebbe andato tutto bene, ma Ichabod non avrebbe mai tollerato quella realtà. Avrebbe scalciato come un bambino, protestando e rimanendo attaccato alla sua fredda corazza scheggiata.
    Non era ciò che lui voleva sentirsi dire. Forse lui non voleva da lei nemmeno mezza parola; sembrava che la sua presenza in quel corridoio d'ospedale lo disturbasse quanto quei due giorni d'assenza.
    Cosa vuoi che faccia? Qualsiasi cosa io abbia mai tentato non ti è andata bene, Ichabod. Non c'è nulla che io possa fare per la bambina, per te o Mak che tu non riterresti fuori luogo. Era davvero tanto importante per te avermi qui nel momento in cui è accaduto?
    Forse la sua sensibilità non aveva gradito quel brusco risveglio, forse Don Chisciotte era stanco di combattere contro i mulini a vento.
     
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    "Ma cosa credi che si giochi qui?" il punto fu questo, non avevo mai avuto dubbi sul fatto che Eris Rosier fosse una bisognosa di attenzioni, con me non aveva mai avuto altro atteggiamento che riverenza, educazione, deferenza, unici atteggiamenti che mirano all'avere indietro una chiara forma di soddisfazione. Eris Rosier voleva sentirsi dire che era brava, e di certo non era qualcosa che potesse nascondere data la vita famigliare. La questione era che ognuno lì dentro ne aveva bisogno o non avrei messo nessuno di loro sotto il mio tetto. Ma mentre la regola generale era stata che se io non mi incazzo vuole dire che è tutto ok, Rosier aveva bisogno di una pacca sulle spalle come dell'ossigeno.
    Aveva bisogno di non sentirsi bistrattata, aveva bisogno di nocche contro nocche per sentirsi apprezzata.
    Avremo distrutto anche quello, avremo imparato a farci bastare le azioni alle parole, le avrei insegnato a bastarsi.
    "Cosa credi, che quello che hai visto l'estate scorsa nella tenuta Scandinava sia un modo per saltellare ed avere i propri biscottini?" non era stato il più brillante omicidio mai commesso dal sottoscritto, ma di sicuro era stato uno dei più plateali, uno dei più disorganizzati in difesa di qualcosa che era mio, mio lui, mia l'infermiera e mia la Rosier semmai avesse deciso di prendere la cosa seriamente e non come una gira fuori porta nel tempo libero.
    "Qui non c'è gloria Rosier, non ci sono abbracci, nè pacche sulle spalle, qui non ci sono bravi e cattivi e non ci sono cose fatte benissimo da nessuno, avrei mille ed uno ragioni per buttarvi fuori, è inutile lanciare frasine a metà o di sconforto per non averti mai fatto sentire parte integrante, io sono sempre a casa, sei tu che non ci sei mai" sciocco non farci caso, l'unico tempo utile che avevamo passato insieme era stato quello estivo alla tenuta, e non era andata nemmeno male, anche se lei sembrava riuscire nella poca pacatezza, come un bambino che ha voglia di costanti stimoli pena la noia.
    "Il non sapere pensare in avanti è un problema" l'attinenza che aveva Eris di credere di essere fatale nella scelta o nella presenza finale della bambina era imbarazzante quasi. Il non riuscire a capire, a spingersi oltre la situazione era qualcosa su cui avrei lavorato solo a patto di una serietà di fondo che non poteva esserci, dal momento che la ragazza era come un elastico, una memoria corta e poco allenata, in grado di spaccarsi a metà se solo avessi tirato un po' di più. "Non è cosa voglio io, è cosa vuoi tu. La domanda esatta è: avresti voluto essere qui in questo momento-sospiro tra i denti-con noi?"



     
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    Eris Rorier era uscita di casa prosciugata da tutte le sue energie e della pazienza necessaria per discutere o semplicemente rispondere alle accuse. Prese un grosso respiro che lasciò andare mentre il petto tornava ad abbassarsi.
    Quella mattina nella tenuta Eris sapeva solo di aver visto in faccia i pericoli di voler fare un operazione a cuore aperto ad occhi bendati. Aveva spostato male le pedine, aveva rischiato di fare un danno anche superiore a quello quantificato. Niente saltelli, niente biscottini.
    Il fatto che Ichabod, poi, la stesse paragonando ad un cane ben addestrato la offese più di quanto avrebbe creduto possibile.
    Trovava tutto quel discorso superfluo e fastidioso, un'inutile scusa per mettere il dito nella piaga.
    Forse è meglio che vada. Le labbra si separarono in uno schiocco quando decise di interrompere il suo silenzio. Raccolse la sua roba e seguì il ticchettio delle sue scarpe lontano da quel corridoio.
    Si sarebbe resa conto di dove Ichabod volesse andare a parare quando non trovò Igor ad aspettarla all'uscita dell'ospedale.
    Lui le chiedeva di essere al posto giusto al momento giusto. Lei gli chiedeva di poterci pensare ancora per un po' restando nel posto sbagliato.
     
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5 replies since 6/10/2017, 14:06   59 views
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