Baby Girl

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    Tic
    L'indice batte sul vetro spesso dell'ospedale di yggdrasil, ma non fa rumore nè all'interno nè all'esterno, lo sento solo io, nella mia testa, come tutte quelle voci che mi tengono sveglio la notte. Sono infatti l'unico a resistere da ormai tre giorni fuori quella stanza, persino lei aveva avuto bisogno di riposare un attimo, poco, ma abbastanza per tornare con la stessa aria stanca, eppure in piedi. Io sono rimasto immobile, qui davanti, con la fronte contro il vetro, gli occhi spenti, e l'indice che continua a battere leggero sul vetro.
    Eppure fa un rumore bestiale.
    Tic
    O forse lo sento solo io.
    Dentro ci sono quattro culle, di cui una vuota. Sembrano ragnetti. Ragnetti. Questo ha detto un nonno che è venuto a trovare il suo nipotino prematuro in pericolo di vita. La figlia, prima di vedermi e girare a largo lontano, gli ha spiegato che non ti fanno dare un nome al piccolo perchè se non ce la dovesse fare sembra che tu la prenda meglio. Nessuno sa che lì dentro c'è un pezzo Blackwood, uno dei più piccoli che io abbia mai visto. Ci sono dei vari incantesimi attorno a lei, che per ora non è altro che il numero #574666. E' solo un numero. Nessuno può toccarla, e quando lo fanno, lo fanno con dei testabolla, come se fosse una piccola, minuscola bestia.
    Tic
    Ho fame. E' la prima volta da tre giorni che ho tantissima fame, ma la sento solo adesso. Lo stomaco mi stringe con dei crampi fortissimi, e ho la gola arsa. Non mi pettino, nè lavo il viso da tre, ma non ho sonno, e l'indice non mi fa ancora male. I capelli sono spettinati, le labbra secche, la fronte mi duole, e le ginocchia sono stanche. Ma l'indice è ok, e riesco a guardarla in quella piccola teca, come se fosse un piccolo animale pericoloso. E lo è.
    Tic
    Il profumo di lei è alle mie spalle, quando lo inspiro, mi sento ancora più stanco, non so perchè. Come se mi avesse distratto dalla concentrazione che ho in quel momento per tenermi in piedi.


     
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    Makenzie odiava il numero che avevano affibbiato a sua figlia, ogni volta che vi posava gli occhi lo odiava.
    -Dobbiamo darle un nome, il nome che abbiamo scelto insieme- era tornata da appena cinque minuti eppure vederlo li fermo a guardare Night l'aveva spinta a non infierire oltre.
    A non distoglierlo da quei momenti che lei vedeva come momenti padre figlia.
    Ichabod era preoccupato, non lo diceva ma si vedeva.
    “non devi” cercava di dirgli mentalmente “lei è una Blackwood, sarà fortissima”.
    -Ti va di mangiare qualcosa? Lei da li non si muoverà- ancora un'ora e sarebbe entrata, Makenzie, per darle il suo latte.
    Aveva detto alle sue colleghe che non potevano impedirglielo, se lo sarebbe tirato se necessario.
    Le avevano assicurato che avrebbe potuto farlo.
    E che avrebbe potuto avvicinarsi per parlarle. Il suono della voce della madre faceva bene alla bambina, e Makenzie era sicura che avessero ragione.
    -Oppure possiamo mangiare stando seduti lì- indicò una sfilza di sedie di plastica – che ne dici?-
     
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    "Sono stanco" mi rendo conto che è la prima volta che lo dico, la prima da quando ci conoscevamo. Non l'avevo detto quando ero io ad essere in ospedale, non l'avevo detto dopo giorni di insonnia, non l'avevo detto quel giorno quando avevamo fatto sesso per quasi un giorno intero come se non ne avessi abbastanza. Mai abbastanza, come gli animali. So di non averlo detto nemmeno mentre stavo per crepare.
    Ora, dopo tre giorni, quattro se contiamo quello del parto che mi sento letteralmente esausto. Non dormo da tanto, ma non mi fanno nemmeno entrare per vederla, dicono, solo la mamma, dicono, con il testabolla, penso, meglio così. Muove i piedi così lentamente che potrebbe essere un movimento involontario post mortem. Forse è già morta.
    Scosto la fronte dal vetro ed espiro, deglutendo, e massaggiando la tempia dolente. Ha un camice enorme addosso, forse due, tre misure più grande, le braccia minute uscivano fuori come uno stecco di gelato.
    Non dico che sono esausto così come sono, dico che sono solo stanco, come se andasse del mio ego.
    Non voglio sedermi, non voglio vedere quanto esausto io sia. Non avevo visto nemmeno mai una intera gravidanza, non avevo nemmeno mai visto un incidente del genere.
    Siamo esseri quasi perfetti anatomicamente parlando eppure sui bisogni primari il nostro cervello è così stupido. Non so nemmeno se ho più sete, più fame o sonno. Il nostro corpo non è in grado di avvisarci quando abbiamo sete. Potremmo avere sete e non sentirlo finchè non sveniamo con le labbra secche e la gola arsa. Cedo, mi lascio passare una bottiglina d'acqua senza condensa, quindi pronta per essere bevuta fino alla fine senza fastidiosi successivi dolori di stomaco. Faccio qualche indietro e la seguo sulle sedie, spaccando il sigillo del tappo di plastica, lo faccio in silenzio, mentre la sedia apparentemente nuova scricchiola.
    Quando si siede mi accorgo che ha ancora la pancia sporgente, come fosse ancora lì dentro.
    Penso, non posso chiamare una cosa del genere per nome.
    Volto la scatola dei biscotti che mi porge.
    80% di grassi, questo vuol dire che tra venti minuti avrò di nuovo fame, ma almeno non crollerò grazie a tutti gli zuccheri e la merda lì dentro. Quando tiro le due estremità in versi opposti un odore che sembra buonissimo mi fa brontolare lo stomaco. Ne prendo uno solo dopo avere mandato già due terzi di bottiglina di acqua calda.
    "Quando si avranno novità" non metto il punto interrogativo, ma lei sa che c'è. Non sono abituato a chiedere qualcosa, in genere io so sempre tutto. So anche che un milione su sei al settimo mese non ce la fa. So che hanno dei polmoni talmente piccoli da fare ridere. Hanno un cuore debole. E onestamente vorrei prendermela con lei per essere una gestante di merda, ma so anche che la madre non c'entra niente. "Non mi dicono un cazzo qui dentro, porca puttana" ero quasi certo dipendesse dal fatto che sapevano ogni cosa di me, perchè tutti sapevano tutto e nessuno diceva niente, rimbalzato come un pallone ingombrante. Mi aveva persino lasciato scegliere il nome, oh si, diceva che l'avevamo scelto insieme, ma non era così, e lo sapevano tutti, persino Igor aveva fatto una faccia strana, come a dire: ma che cazzo?
    "E' troppo piccola, ecco perchè non mi dicono niente" finisco l'altro sorso d'acqua, sentendo un ristoro mai provato in quegli ultimi giorni, perchè anche se non provi sete, non vuol dire che ti non ce l'abbia.



     
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    Mak non sapeva come comportarsi, quella era la sua prima gravidanza, non sapeva neanche se quello che le era successo andasse bene o male, si rifiutava di vedere la sua bambina come prematura, la parola che usavano i medici, lei la vedeva perfetta e neanche voleva preoccuparsi, perchè Night sarebbe stata bene, di questo ne era certa.
    Ora a non stare molto bene era il padre della sua bambina, era preoccupato, stravolto, ed era bellissimo nel suo dolore.
    Una cosa brutta da pensare, forse, ma la disperazione che Makenzie gli leggeva sul viso era il perfetto riflesso del fatto che lui amasse la loro bambina, che le volesse più bene di quanto egli stesso fosse disposto ad ammettere.
    -A breve- gli rispose senza aggiungere altro, non avrebbe comunque avuto senso, non le avevano detto nulla, perchè non c'era nulla da dire.
    -So per certo che si sta riprendendo bene, in questi giorni ha preso trecento grammi e il suo cuore va come un treno- era vero, lo aveva sentito lei stessa, si era riscoperta a piangere in quel momento ma le stesse lacrime le aveva asciugate via, perchè si, la sua bambina non aveva bisogno di tutte quelle attenzioni.
    -Non ti dicono niente perchè qualsiasi parola dicessero tu la leggeresti nel verso sbagliato, aspettano che sia io a dirti le cose. Appena mi diranno come stanno reagendo i polmoni sarai il primo a saperlo- abbozzò un sorriso - il secondo, la prima sarò io- guardò le sue dita intrecciate e dovette resistere alla tentazione di stringergliele nelle sue mani.
    -Perchè non vai un pò a casa a riposare? O anche sul mio letto, in camera, se ci sono novità ti chiamo- abbassò il capo per guardarlo - te lo prometto-
     
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    "Non mi dicono niente perchè quando sono nel corridoio nessuno passa di qua, stronzi del cazzo" avevano il terrore di una frase storta, parafrasando quel che Makenzie stava dicendo. Sarei stato il secondo a sapere, solo il secondo. Aveva la lunga coda di cavallo che continuava a muoversi lentamente sulle sue spalle, accarezzandole un viso pallido e stanco.
    "No sto bene qui" scivolo appena sulla sedia sentendo inavvertitamente la schiena scricchiolare dai giorni di tensione, le gambe allungarsi e riprendere la circolazione dopo essere state defaticate.
    "Non ho sonno" Ammetto con sincerità, anche se ero certo, che in poco tempo sarei stramazzato al suolo, non ci voleva ancora molto e di sicuro non mi serviva una seconda pastiglia di xanax, così come avevo invece immaginato.
    "Igor non lo fanno entrare o cosa? Sa che sono qui?" mi sarebbe dovuto persino toccato parlare con la Rosier nella speranza che non avesse ballato sui tavoli dicendomi AH AH ICHABOD DUE SU DUE! Igor era l'unico che non ne aveva parlato, era l'unico che non avevo ancora visto dall'incidente. La stupida idea fu che non sarebbe più tornato indietro, non sarebbe più passato per l'ospedale. Non era passato mio fratello, e non sarebbe passato nemmeno lui, ed all'improvviso, nel silenzio di una sala d'aspetto mi sentii abbandonato. Mio padre avrebbe detto, due a due ragazzo, sarà una splendida bambina.
    Mi volto verso l'infermiera, seduta di fianco a me, quei grossi occhi slavati e provati dai giorni precedenti.
    "Ho solo bisogno di fumare" non mettevo niente di solido da un po' sotto i denti ma per mio gaudio e fortuna non era mai stata una ricchezza che il mio fisico chiedeva in modo insistente.Così come il sonno. Il mio esofago si accontentò dell'ultimo sorso d'acqua calda ma pur sempre necessaria, sempre nella vaga speranza che le porte si riaprissero per lasciar uscire una infermiera che non sedesse al mio fianco, pronti con qualche notizia per noi sulla bambina.
    Pensai di essere stato abbandonato, ma non solo.
    Inclinai la testa verso il suo grembo, così che la tempia si posasse leggera sul suo ventre, come se là dentro ci fosse ancora qualcuno da chiamare, qualcuno che non fosse tanto minuscolo. Chiusi gli occhi, sentendo il suo cuore accellerare, ed il mio, assopirsi.


     
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4 replies since 3/10/2017, 15:17   41 views
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