Mondscheinsonate - Moonlight Sonata

PVT Amok

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    OdileBuchard
    ❝Abyssus Abyssum ❞
    La sinuosa Odile sbarrò gli occhi, lì nel suo letto di morte, mentre il sole cedeva il passo alla luna, alleata e complice delle creature infime, reiette, come lo era lei. Le mani pallide e gelide della donna si levarono, muovendosi poi lente sul bordo della bara di legno d’ebano che la custodiva durante il sonno. Annusò appena l’aria, l’odore della rugiada notturna, il silenzio interrotto solo dalle zampette di un topo chiuso nelle pareti da anni, niente di quella casa a Spooky Village aveva a che fare con la sua adorata casa di Lillè. Odiava gli inglesi, l’Inghilterra e il loro modo assurdo di costruire case di carton-gesso ma era stata sua sorella Odette a costringerla a quella trasferta, fuggita, scappata da lei. Si alzò lentamente, tutti i suoi gesti, il suo modo di parlare, tutto era artefatto, dilatato in maniera esasperante in un tempo che per lei non passava mai, non da quando era stata costretta in quella nuova condizione.
    Aveva posato le dita affusolate sul piano la bella e inquietante Odile, mentre suonava una sonata che si stagliava assordante nel silenzio che avvolgeva tutto, seguiva ogni movimento delle dita, con il corpo, le spalle, il viso, piegata sullo strumento, persa in una melodia solo sua, lasciandosi andare ai ricordi di una vita lontana, quando le sue guance divenivano ancora purpuree e l’adorata sorella non nutriva alcun odio nei suoi riguardi.
    Il suo fedele corvo, gracchiò tre volte, qualcuno era in arrivo e lei sapeva perfettamente chi, si mosse rapida dalla seduta alla porta principale, saltando, quasi eccitata da quell’ennesimo incontro, gli occhi diventati rossi e sfavillanti, eguali a dei rubini, aprì la porta velocemente
    << Immaginavo fossi tu, figlio del primo mese>> sussurrò lei in un soffio, schiudendo appena le labbra scarlatte
    << Non hai bisogno di inviti tu, entra>> concluse poi mentre con un gesto richiudeva la porta dietro l’uomo.
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    Prende l’ultima boccata da quella sigaretta malamente arrotolata, una sigaretta che contiene più erbe che vero e proprio tabacco. Ne resta una cicca stropicciata e storta con un filtro inserito alla benemeglio su cui a più riprese ha finito per stringere piano i denti. La getta passandoci sopra la suola delle scarpe eleganti fino ad estinguere le ultime scintille della brace rossastra.
    Espira quel fumo dall’odore dolciastro e conficca le mani nelle tasche dei pantaloni per evitare la tentazione di rollarsene un’altra.
    Avrebbe dovuto essere nella Biblioteca in quelle ore, ben seduto nel suo ufficio o fra gli scaffali dei vari livelli a controllare creature, redarguire autori o personaggi morti da secoli, o sistemare opere, statue semivive o vecchi plichi.
    Invece no.
    Si trova in quel vicolo a camminare controvoglia mordendosi la pelle tenera della zona interiore della guancia, cercando d’andar dritto senza dare troppa importanza alla cacofonia di odori che gli giungono, alla cascata di suoni che sente o alla voglia detestabile e irrefrenabile che aveva quasi privato di freni solo qualche ora prima in un bar della periferia.
    Il sangue del poveraccio gli schizza ancora la camicia grigia all’altezza del petto.
    Non era stato nulla di così eclatante in realtà, solo una scaramuccia finita con un naso rotto, un braccio spezzato e forse qualche costola incrinata, ma non era stato quello ad allarmarlo quanto la reale difficoltà a fermarsi, a porre un freno alla furia e all’istinto.

    Aveva comprato una bottiglia di cognac, poi s’era avviato verso un indirizzo ben noto sorseggiandola ogni manciata di passi. Non era servito a molto, ma quello misto alle due cannette arrotolate lo avevano calmato in buona parte permettendogli di arrivare alla fantomatica porta senza dare ulteriormente nell’occhio.

    Suona.
    Il rumore del campanello si espande per la casa.
    Attende e nell’attesa la mano sinistra, con il suo dito di metallo, va a passare fra i capelli scarmigliati cercando di spolverare assieme a qualche granello di polvere anche il senso di colpa, quell’inguaribile senso di colpa che riesce a coglierlo ogni qualvolta finisce per pensare che a Lei, ad Eva, non ha detto nulla, imponendo il silenzio anche al Dottor Whittler.

    Con il silenzio che contraddistingue i morti, la porta si schiude d’improvviso rivelando il bel profilo dell’Eterna cui odore lo colpisce come un pugno all’olfatto amplificato.
    << Immaginavo fossi tu, figlio del primo mese. Non hai bisogno di inviti tu, entra.>>
    E lui entra facendosi chiudere la porta alle spalle.

    Sono due mesi ormai che vanno avanti quegli incontri occasionali cui frequenza non può che aumentare ad un ritmo lento ma inesorabile.
    Non le parla in un primo momento, l’Eterna avrà imparato, a suon di abitudine, che il silenzio della ripulsa è sempre la prima e ultima arma di quei brevi eventi.
    -Ho bisogno che tu me ne dia ancora.-
    C’è poco da dire e d’altronde lei potrà sentirlo forse anche meglio di lui.

     
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    L’altro non saluta, come suo solito, non vi è alcuna gentilezza nelle sue parole, il che non fa altro che portare Odile ad essere maggiormente scontrosa, sadica, lei sa che lui ha bisogno di quegli incontri e seppur vorrebbe solamente cacciarlo a pedate da casa sua, in fondo quegli incontri servono a rassicurare anche se stessa sulle sorti della giovane, debole, inetta Odette.
    Odile rimane immobile, in piedi, nell’ampio ingresso della casa, lo fissa con disprezzo per poi annusare l’aria, arricciando il naso
    << Non potrai continuare per sempre lo sai questo?Un monito giunge: figlio del primo mese, quando il legame sarà spezzato alla luna tu sarai incatenato>> sussurra sibilante, solenne, quasi ridendo della condizione in cui l’altro versa, del fato che indissolubile si intreccia con quello di lei. Si muove lenta, va verso l’uomo per poi afferrare con molta poca delicatezza il suo polso, lo trascina quasi fino al salone ed è lì che lo getta con un’espressione mista tra stizza e disgusto sul divano
    << Puzzi come un cane e …>> continua scandendo ogni lettera esasperando il tutto con movimenti delle mani ampi ed esagerati << Hai bevuto … Che cosa credi? Di poter venire in casa mia in ogni condizione che più ti aggrada? Porta rispetto a colei che ti sta salvando dalla tua maledizione, mortale>> conclude con un tono di voce esageratamente alto, possente, non più umano.
    Torna poi rilassata, posata, elegante, prende posto accanto all’uomo, fissando la luna che sembra essere a pochi giorni dalla fine del suo ciclo, per poi accarezzare il viso dell’altro, il tocco gelido di un diavolo che sta rubando la tua anima, poco a poco, si scopre delicatamente un polso, per poi in un attimo, in una rapidità che va del tutto in contrasto con la solita lentezza che usa per qualunque cosa, si avventa sul proprio arto con i canini appuntiti
    << Lesto figlio del primo mese, io ho l’eternità ma tu no>> sussurra Odile, porgendo il polso martoriato verso l’altro e socchiudendo gli occhi
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    Non è gentile, non lo è per nulla. Quegli incontri sono per lui una medicina e per lei un utile tornaconto, né più né meno e i gesti lo confermano. Al suo esordire è lo sguardo di disprezzo della giovane vampira a rispondere, seguito da una domanda ovvia quanto dolorosa.
    “Un monito giunge: figlio del primo mese, quando il legame sarà spezzato alla luna tu sarai incatenato”
    -Vuol dire che dovrai fare meno la Cassandra della situazione e molto di più l’ampolla medicinale.-
    E se lei aguzza i propri lineamenti già morti in una sorta di sorriso gettato sulla sua sventura, lui la copia nella vita rimembrando la fine non troppo gloriosa della profetessa di sventure.

    Ai movimenti lenti e artefatti che quella mette in scena inizia ad essere avvezzo, così non indietreggia e si lascia afferrare in una stretta a morsa che nel corrispettivo umano sarebbe forse potuto apparire come un gesto da romando medievale, di quelli consumati in salotti pieni di pizzo dell’alta borghesia ma che lì, in quella casa tetra e da dita gelide e diafane, sul suo polso ardente e pulsante, non può essere altro che la morsa d’un ragno o d’un rettile velenoso.
    La segue e quando vede il divano è abbastanza accorto da anticipare l’idea altrui. I muscoli si tendono e il corpo ruota sotto l’improvvisa trazione e spinta dalla forza disumana in un modo che lo farà sprofondare nei cuscini con un urto da mozzare il fiato, ma in un modo discretamente composto.
    “Puzzi come un cane e...”
    -Tu invece profumi di colonia di salma putrefatta, con un tocco di rigor mortis e retrogusto di cadavere.-
    Non gliene scampa una, per quanto cosciente che lei possa avere il doppio dei suoi anni e possa stritolargli il collo con una mano, quelli sono i momenti in cui la lingua gli si scioglie, così, magicamente, proprio avanti ai rimproveri.
    Però vederla gesticolare umanamente e fare la ‘maternale’ con tono sovrannaturale, ha un suo malsano fascino, cosa che suo malgrado gusta fra i cuscini del divano altrui.
    -Se vuoi la prossima volta invece di una bottiglia vuota sul pianerottolo ti lascio la testa di qualcuno.-
    Negoziamento? Il tono è quello.
    Ma ella si calma e lui non replica oltre.
    Non è ubriaco, sta aumentando le serate di sobrietà così come sta aumentando le fumate di roba che non contiene tabacco.
    La vampira gli prende posto accanto.
    Allunga una mano…
    Alza la propria cercando d’afferrarle il polso e scostare il volto allo stesso tempo dal tocco tentato.
    -Lo sai che non lo sopporto, Odile.-
    E se questa non avesse insistito si limiterebbe a lasciarle il polso che seguirebbe con lo sguardo dal momento in cui ella lo scopre a quello in cui il sangue inizierà a sgorgarne.

    Il disgusto gli sale dallo stomaco e muta in saliva viscida in bocca.
    Prende un ampio respiro, poi si protende verso l’arto sfigurato e donato e, afferratale la mano, andrà a poggiare le labbra nei pressi dei due fori da essa inferti.
    Il primo sorso è al limite del conato, il secondo va un po’ meglio, dal terzo in poi inizia a prenderci gusto nell’assaporare i primi sintomi alleviarsi assieme alla tensione.
     
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    L’altro ha un aspetto terribile e quasi le dispiace vederlo così, molto diverso dalla solita aria curata che ha ma lei, ha la sfortuna, di vederlo solo in quelle occasioni, solo quando gli serve qualcosa, quando gli serve il suo sangue pur di tenere sotto controllo quello che sta cambiando nel suo corpo. Vede il disgusto dipingersi sul volto dell’uomo quando lei porge il polso ferito
    -Lo sai che non lo sopporto, Odile.-
    Ma l’unico effetto che le suscita quella frase è uno sguardo algido, per poi, dopo aver roteato gli occhi, sussurrare
    << Ogni volta è la stessa storia>> e sembra quasi seccata nel dirlo, come una madre stanca delle marachelle del proprio bambino capriccioso, così è il moro: capriccioso, anche troppo per renderglielo sopportabile ma abbastanza per renderglielo affascinante e non farle pesare troppo quel sacrificio.
    Quasi le piace il fatto che l’altro abbia bisogno di lei . E’ un bisogno reciproco il loro, un rapporto stranamente equilibrato per lei, abituata a prendere tutto quello che preferisce, senza lasciare nulla di se stessa. La situazione invece è ben diversa ora.
    Quando sente le labbra dell’altro poggiarsi sulla pelle pallida del polso ha un fremito che non si impegna a trattenere, sente l’altro bere il suo sangue, sorso dopo sorso, ad ogni sorsata l’altro allenta un po’ la presa ferrea sul braccio di lei, si sta calmando, lo può sentire dall’odore che diventa meno forte, ovattato quasi.
    Odile è lì con gli occhi serrati, le labbra appena schiuse, godendo ogni tocco delle labbra dell’altro, per poi poggiare di scatto una mano sulla sua fronte e staccarlo di forza, facendo ricadere la testa di Fred sul cuscino.

    Non toglie il palmo dalla fronte dell’ uomo Odile, rimane lì , ad un centimetro dal suo viso, piegata su di lui
    << Adesso basta , è sufficiente >> sussurra a poca distanza dalle sue labbra, tanto che può sentirne il respiro calmarsi, lentamente .
    Gli accarezza appena il viso con una gentilezza non propria della sua persona, come una madre attenta alle esigenze del proprio piccolo
    << Dovrai prendere una decisione Leone >> sussurra lei riferendosi al patronus dell’altro << Il tempo corre per te, mortale, e prima che il cambiamento giunga inesorabile, credo sia il caso che tu prenda delle decisioni per te stesso>> Odile parla, dicendo solo quello che la sua mente le suggerisce per poi alzarsi dal divano e guardarlo nuovamente
    << Resta sdraiato per un po’>>conclude prendendo la bacchetta sotto la stola nera che le copre le spalle e girandola con un movimento veloce, per poi far comparire delle bende intorno al polso
    << Mi farai rovinare ogni centimetro della mia preziosa pelle così>> sibila ridendo in direzione dell’altro.
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    La sente fremere e ingoiato il primo orrendo sorso rinsalda la presa.
    Stilla dopo stilla quel nettare rosso gli scorre nella gola mutando al palato da disgustoso a piacevole e da piacevole ad inebriante.
    Lo sente nello stomaco e di lì attraversargli le viscere, le arterie e le vene in una corrente gelata e corroborante tale da non farlo accorgere dell’allentarsi della presa e della tensione o del diminuire della portata dell’olfatto e dell’udito.
    Quando la mano di lei gli arriva sulla fronte il primo, irrefrenabile istinto è quello di aggrapparsi a quelle carni morte con gli incisivi ed i canini, ma Odile, da regina della delicatezza quale è non lo allontana ma lo scaraventa letteralmente indietro fino a fargli sbattere la nuca sul cuscino del bracciolo. L’impatto gli manda di traverso parte dell’ultimo sorso tanto che l’eterna dovrà stare attenta a non incorrere in qualche schizzo del proprio stesso sangue nei brevi colpi di tosse che seguiranno, con il suo palmo ancora spalmato sulla fronte imperlata e le labbra fredde di morte ad un soffio dalle proprie.
    Il respiro è affrettato e il petto si solleva ad un ritmo forsennato, anche il polso trafitto di lei si troverà a dover sentire le sue dita strette con rinnovata forza.
    E’ il momento peggiore, secondo forse solo al primo sorso. I sensi si riassestano, svariate zone interne tornano al loro calibro originario, gli impulsi bestiali s’abbassano, e lui lentamente si calma iniziando a tremare fra momenti di gelo e attimi di calore intenso. La fortuna vuole che tutto duri poco.
    Il divano ha iniziato a conoscerlo particolarmente bene, specialmente da quando ogni sessione ha preso a lasciarlo un poco più sconvolto della precedente.
    Stavolta quando la mano di lei s’allunga verso il proprio volto non la respinge ma ella potrà vedere la pupilla rimpicciolirsi gradualmente fino a tornare alla normalità di quella umana leggermente alterata dalla droga. La barba è corta e curata, mora, un po’ ispida e leggermente più lunga sul labbro superiore.
    -…Non ti fare illusioni, Cassadra…-
    La voce bassa e un poco arrochita con il sapore del sangue d’ella sulle labbra.
    “Resta sdraiato un po’.”
    Obbedisce ma non le lascia il polso ferito cui fori copre con il proprio palmo.
    -Perché non ti rigeneri?-
    La bacchetta che ella ha puntato, salvo inconvenienti, dovrà attendere per far apparire il suo bendaggio.


     
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    OdileBuchard
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    La donna socchiude gli occhi , il dolore di quella stretta le arriva al cervello, come uno spillo continuo ma non si scompone, respira semplicemente più a fondo, e quasi gode di quel tocco così deciso su quella parte così fragile di se.
    << Non posso >> sibila lei ora , fissandolo , lascia che le dita corrano sulla mano di lui, fredde, leggere, per poi fermarsi lì, sulle sue, nell’ennesimo inquietante contatto tra due creature opposte il cui destino pare intrecciato
    << Ho una rigenerazione più lenta di te mortale , cos’è vuoi farmi da infermiere personale?>> chiede lei maliziosa per poi staccare la presa dell’altro su suo polso e continuare il bendaggio. Con gesti delicati e vezzosi quella continua a girare la bacchetta, anche se basterebbe molto meno movimento per far andare a buon fine l’incantesimo, è basilare d’altro canto, niente che non si faccia al primo anno.
    Rimane seduta accanto a lui mentre lo guarda finalmente tornare ad uno stadio di calma piatta e ,quasi, si imbroncia Odile nel vederlo così tranquillo, algido, così umano, quasi le piace maggiormente quando è vicino all’apice della sua bestialità, forse perché quel momento li accomuna, li rende esseri più simili.
    << Quasi apprezzo di più i momenti in cui puzzi di cane >> sussurra poi sempre restando accanto a lui, una mano va appena a tracciare il percorso di un rivolo di sangue che scende ancora dalle labbra morbide dell’altro, lo pulisce , per poi fissare il suo indice sporco quasi persa in un’estasi solo sua, che è difficile forse concepire per il mortale. Nonostante tutto lei lo considera quasi una sua creatura ed è forse per questo che rimane lì, a vegliarlo, intima dogli e obbligandolo quasi a stare supino, invece che prenderlo per il collo e sbatterlo fuori, come farebbe con chiunque altro venisse a chiederle favori di quella portata.

    << Hai ripreso un odore decente, deduco tu stia meglio ora >> dice secca quasi infastidita per poi aggiungere << no?>> quasi preoccupata.
    Per Odile la preoccupazione è un sentimento del tutto nuovo, non ci fa alcun caso, la schiaccia sotto al peso della sua follia quando in un attimo si alza rovesciando il divano dove vi è sdraiato l’altro
    << Se senti dolore significa che stai meglio>> sussurra poi ridacchiando, sperando dentro di se che l’altro abbia sentito un po di dolore almeno, perché il dolore per lei è nutrimento, il dolore è mortalmente eccitante.
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    -Sai che non è possibile? Tu dovresti avere il controllo del tuo sangue quindi anche della rigenerazione e del dolore.-
    Si sta riprendendo, l’olfatto della vampira non la inganna, è più lucido, più umano.
    Le lascia il polso, e mentre lei finisce di bendarlo lui osserva le poche stille rimaste impregnate sul proprio palmo.
    Ella è lì, che mette cura maniacale nel fasciarsi ma che non gli si discosta da lui attendendo forse che la circolazione e la pressione tornino nella norma umana, una carineria senza dubbio, un’accortezza che non sa spiegarsi.
    -Tu invece mi piaceresti parecchio di più inchiodata al muro.-
    Sta riprendendo il controllo e si gode tutto quel piccolo attimo di finte attenzioni e istanti di tachicardia.
    -Sono più appetitoso adesso?-
    La sfotte e piazza sulle labbra un sorriso che lei andrà ad avvicinare con l’ennesimo dito forse alla ricerca d’una strada lasciata dal sangue.
    Ma Odile non ha calcolato forse una cosa, ovvero che la bestia non è solo quella che il morbo gli fa crescere all’interno, infatti in uno scatto predatore, approfitta della vicinanza della carne morta per andare a sollevare repentinamente la mano destra verso il collo di lei mentre la sinistra andrà sull’impugnatura della bacchetta.

    La punta del legno di noce brilla dell’incanto già formulato in attesa d’esser solo catalizzato e lanciato verso la sacca che Odile dovrebbe avere al posto dello stomaco ma l’eterna, in un modo del tutto fuori dalla dinamica concepibile ad occhio umano, ribalta il divano mandando in terra sotto di esso tanto lui quanto probabilmente anche se stessa forse rimasta nella morsa di stoffe, dita, peso e bacchetta altrui.

     
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    E’ talmente concentrata su ciò che sta facendo che liquida l’uomo con un breve
    << Smetti di essere saccente>> in risposta alle altrui considerazioni sulla sua condizione, guarigione e rigenerazione, non percepisce il muoversi dell’altro ed è solo al contatto che Odile si accorge della mano calda di Fred posata sul suo collo a stringerlo e la punta della di lui bacchetta illuminarsi, un gemito soffocato esce dalla sua gola, per poi , in uno scatto, rovesciare il divano, rimanendo stesa a terra, impigliata nella stoffa che copriva l’oggetto . Sibila, come un serpente pronto all’attacco, sibila visibilmente irritata, liberandosi in fretta e furia con uno sbuffo, strisciando appena fuori dalla portata delle mani di Fred.
    La donna si alza in piedi in uno scatto, sistemando le pieghe del vestito, per poi tornare con lo sguardo sul mortale, ridendo appena
    << Oh , certo, ti piacerebbe avermi inchiodata al muro ma dureresti troppo poco e non mi divertirei , mi dispiace>> sussurra poi maliziosamente, anche se è perfettamente conscia che l’altro, probabilmente , intendesse davvero nel senso letterale ciò che aveva detto, a dimostrarlo l’alzata di testa fatta pochi secondi prima
    << Che pensavi di fare ? Hai bisogno di me >> aveva continuato lei andando in direzione dell’uomo a piccoli passi, enfatizzando ogni singola lettera di quella frase.
    Il bisogno, che dolce, lenta agonia, la stessa in cui stava facendo scivolare Fred, volta dopo volta, concedendogli sempre un sorso in meno del suo sangue, cosa non faremmo in nome della necessità?
    E’ ormai ad un palmo dal viso dell’uomo quando gli punta un’ indice al centro del petto
    << Tu hai un debito con me, mortale, lo so io, lo sai tu>> conclude poi accovacciandosi accanto a lui e tentando di posare le dita affusolate sul collo dell’altro, non intende stringere, è così piacevole vedere quel mortale combattere la sua personale battaglia contro i mulini a vento, che quasi perderebbe ogni divertimento ad ucciderlo

    <<Questa cosa tutto divora: uccelli, bestie, alberi e fiori;mastica il ferro e morde l'acciaio, riduce in polvere le rocce più dure, uccide i re, distrugge le città, abbatte le più alte montagne e ucciderà anche te... >> conclude poi in una nenia con uno dei soliti indovinelli tramite i quali è sua usanza esprimersi


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    Non è certamente cretino fino a quel punto, non ha subito anni di addestramento e avuto una buona carriera sia dalla parte del Ministero del Nord che nella malavita, per lasciarsela sfuggire così facilmente.
    La sente sibilare, quindi dibattersi. Con il ribaltarsi del divano se l’è portata appresso in quella caduta non eccessivamente rovinosa e con un mero slancio di gambe e addome su cuscini e intelaiatura, cerca caderle esattamente addosso.
    Ed ecco, ora che Odile prova a liberarsi, a districarsi dal panno che ricopriva la seduta sulla quale da due mesi consuma i propri istanti di agonia e guarigione sempre più intensi, lui rinsalda la presa su quel collo morto confidando sull’aumento di forza che normalmente quel sangue maledetto sa portare al corpo d’un comune mortale.
    Il divano grava sulla schiena di lui per ciò che riguarda la spalliera ma la zona di vuoto venutasi a creare fra questa e il pavimento è abbastanza per contenerli avvinghiati.
    “Che pensavi di fare ? Hai bisogno di me!”
    -Credi non mi si accorto del tuo sporco gioco?! –
    “ Tu hai un debito con me, mortale, lo so io, lo sai tu.”
    -Vediamo allora di pareggiare i conti: Imperio!-
    Una delle mani della vampira, con quella sua gelida carne, saetta verso il proprio collo e solerte lo avviluppa fra le dita senza pe questo serrare.
    E’ una sensazione che lo ripugna il sentire la morte carezzare le proprie arterie pulsanti e la trachea nella quale si condensa il respiro.
    La bacchetta, tenuta salda nell’arto libero, illumina la propria punta per la seconda volta, un fascio azzurro schizza dal legno di noce con tutto l’intento di abbattersi sul petto dell’eterna con la potenza della maledizione invocata, che, con un po’ di fortuna, andrà a porre silenzio a quella nenia premonitrice.

     
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    Sente la mano dell’uomo tenerla ferma, incollata, sotto di lui e ,se non fosse che l’uomo volesse evidentemente farle del male, quasi non le dispiacerebbe questa continua disubbidienza da parte del piccolo Fred, certo è però che , proprio come una madre con il proprio figlio , non può tollerare oltre. Stringe ancora più forte le dita pallide e dal tocco gelido sul collo caldo e mortale dell’altro, in pochi secondi Odette, il suo corvo, si avventa su Fred, deconcentrandolo così dal portare a termine l’incantesimo. Con velocità non percepibile ad occhio umano Odile tenta di spingere l’uomo con le spalle a terra, finendo così lei a cavalcioni sopra di lui

    << Usa la testa dannato bambino>> sussurra poi facendo correre le dita della mano libera sul viso dell’altro, potrebbe ferirlo, gli sarebbe da lezione, forse, ma non crede che qualsiasi punizione corporale possa infliggergli cambierà molto il temperamento anarchico dell’altro, lo fissa continuando a stringere la presa sul collo, stretta , ma non abbastanza da soffocarlo
    << Bambino ubbidiente>> sussurra sulle labbra del moro, lasciando la presa solo quando sente il respiro divenire affannato, tenta così di rimettersi in piedi, anche se stare sopra l’altro non le dispiaceva poi tanto, meglio allontanarsi, visto come è facile fargli usare la bacchetta

    << Se usassi qualcos’altro come usi la bacchetta sarei una ragazza fortunata>> sibila ridendo, sa perfettamente che quel tipo di battute potrebbero dar fastidio a Fred e le fa appositamente per questo, è irrinunciabile per lei vederlo infuriato, è eccitante, il vederlo nutrire quasi odio e repulsione per lei, le provoca un brivido lungo la schiena ogni volta.
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    La presa della vampira si fa ferrea sul proprio collo ma la momentanea apnea è una sensazione sopportabile se in premio vi è la buona riuscita d’un incanto già castato, e starebbe assaporando una nuova boccata d’aria quando quel maledetto corvo, spuntato da non si sa bene quale anfratto di quella casa da incubo, gli si avventa contro minacciandogli testa e occhi con gli artigli da rapace e il becco aguzzo da divoratore di carogne.
    -Via! Dannata bestiaccia!-
    E non può fare a meno di mollare il collo di Odile per tentare di ripararsi gli organi.
    Un istante, un artiglio che si infila nelle carni, le dita della vampira che si serrano con più foga e l’incanto è rotto, i secondi successivi sono una perdita di orientamento, un turbinare e un peso sopra il diaframma.
    Cerca di ingoiare aria a piccoli sorsi resi possibili dalla presa forte ma non mortifera di Odile.
    “Bambino ubbidiente.”
    Un sussurro dall’odore insopportabile sulla linea tumida delle labbra schiuse a prender aria mentre il battito accelera e i polmoni iniziano a dolere.
    -Vaf…fan…cu…lo!-
    E come quella alzerà lo sguardo e la testa per lasciarlo respirare si renderà conto d’un forte, penetrante odore di bruciato.
    Il fuoco.
    Lingue di fuoco capaci di purificare ogni cosa, anche quell’essere reso eterno da una maledizione meno atroce della sua ma ugualmente definitiva.
    Il fuoco che avrà già attecchito alle vesti dell’Eterna e starà già ustionando la candida pelle della sua coscia, del suo fianco e della sua schiena.
    Il fuoco cui sola vista è capace di mandare un vampiro giovane in frenesia, in quello stato incontrollato di terrore, sta già iniziando a corrodere lo stesso corpo dell’eterna emesso come piccole scintille da quella stessa bacchetta che su di lei è rimasta puntata anche durante l’asfissia.
     
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    Odile aveva riso appena quando quello, ormai ad un passo dalla completa asfissia, aveva piantato lì un vaffanculo
    << Ma davvero?>> aveva sussurrata l’altro arricciando le labbra, per poi allontanarsi da lui, avrebbe potuto spezzargli un braccio per quell’insolenza ma non lo fece, era pur sempre una sua creatura, era pur sempre Fred. La gentilezza che aveva mostrato fino ad ora però non le fu riconosciuta ne tanto meno ricambiata, nel tempo che aveva impiegato ad allontanarsi, l’altro le aveva dato fuoco ad un lembo del vestito ed ora le fiamme le procuravano un dolore lancinante, oltre l’insopportabile visione di una luce troppo forte per lei, abituata all’oscurità.
    Calore, Calore, dolore, non c’è niente di piacevole in quel dolore che Odile sta provando, infertogli dalle fiamme che l’umano ha evocato.
    Umani. Mai fidarsi di loro, sono volubili come il vento, cambiano padrone come le stagioni si succedono l’una all’altra, Odile non riuscì più a controllare nulla di se stessa, in un attimo gli occhi verdi le divennero completamente neri, eguali a due pozzi profondi e di cui non si può scorgere alcuna fine, il viso piegato in una smorfia tra dolore e rabbia cieca, con l’istinto e la forza di una bestia inferocita cacciò un urlo straziante, di nuovo il corvo si avventò sull’umano, stavolta seguito da Odile, che ormai senza vestito, liberatasi dal giogo della stoffa infuocata, tentò, con una velocità e una forza sovraumane, di prendere l’umano per il collo, mordendolo ovunque capitasse, in una folle bramosia di sangue, uccidere, quello il suo unico intento.
    Nessun riguardo in quel momento per l’altro, tenta di afferrarlo come può, incapace di dosare la forza, incapace di qualsiasi razionalità. Per lei ora Fred è solamente una creatura vivente, con un cuore pulsante che rimbomba nelle orecchie attente della donna, delle vene in cui scorre sangue, sangue che ora le serve.
    Stavolta Fred dovrà ricambiare il favore.

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    “Ma davvero?”
    Eppure il tono di scherno sul volto marmoreo della non-morta dura il tempo necessario alle fiamme per attecchire alle stoffe che quella indossa.
    L’odore della carne bruciata colpisce anche lui e finalmente, nell’urlo che l’Eterna lancia alzandosi, sollevandosi, sbrigandosi a spogliarsi delle lingue di fuoco, lui riesce a respirare nuovamente, a prendere una piena boccata d’aria ed alzarsi allontanandosi, una mano sulla gola congestionata, il busto leggermente piegato in avanti e il respiro piagato da colpi di tosse.
    I polmoni smettono gradualmente di bruciare ma non ha il tempo di bearsene perché lo vede! Vede quegli occhi verdi virare ad un nero completo e un brivido di terrore lo assale: Odile è un mostro, l’abisso stesso della vita eterna sottratta al cielo per essere dannazione sulla terra.
    Le punta nuovamente la bacchetta contro e quando quella scatta, denti e mani ad artigli verso di lui, dal legno emerge un nuovo raggio che per colmo di sventura andrà ad abbattersi sul volatile nero che in un frullar d’ali aveva finito, nella voglia di cavargli un occhio per compiacere la sua padrona, per frapporsi fra loro due.
    La bestia improvvisamente immobile finisce in terra con un tonfo sordo ed una posa scomposta fra penne e becco e zampe, per poi essere inghiottita da un turbine nero che altro non è se non la stessa Odile, gettata in velocità verso il proprio aggressore.
    Stavolta la mano che lo agguanta farà letteralmente scricchiolare la trachea strappandogli un gemito sordo nel sentire affondare le unghie e vedere il lampo dei canini estratti brillare alla fioca luce della casa.
    Alza nuovamente la bacchetta cercando di conficcarle la punta legnosa e rinforzata direttamente in una qualunque parte molla del corpo. L’incanto che ne partirà s’abbatterà sulla vampira nel momento osceno in cui i denti di questa, con furia sconsiderata anche solo per un predatore bisognoso di cibo, andranno a perforargli malamente una spalla. Se questa volta avrà fortuna sarà così che Odile rimarrà, esattamente così ma fredda, pesante e pietrificata come una statua di marmo.
    L’ultima cosa che deve fare, sperando che gli riesca prima di crollare per mancanza d’aria a causa della gola ancora serrata da dita marmoree e ferree, è la smaterializzazione di se stesso e dell’altra, un viaggio di sola andata verso il cuore della biblioteca londinese, proprio lì ove l’Eterna è riuscita ad entrare solo sbirciando fra le sue vene.
     
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    La furia di una bestia si avventa su Fred. Odile, nella sua forma peggiore, nella sua forma che non mantiene nulla di umano, sente il sapore del sangue dell’uomo riempirgli la bocca, quando in un lampo gli va a conficcare i denti nella spalla, in quel momento la donna non capisce nulla di ciò che le avviene intorno, per quanto i suoi riflessi in quel momento siano centuplicati, il sapore del sangue è così inebriante per lei da non notare neppure che il suo fedele animale, l’animale tanto amato è riverso a terra, scomposto.
    Il piacere di quella pelle calda sulle sue labbra fredde le provoca minuscoli brividi di piacere, un’estasi quella di Odile nel sentire la trachea dell’altro scricchiolare, senza alcuna remore va a stringere ancor di più la mandibola.

    E’ in questa follia e rabbia cieca che Fred trova spazio per poter pietrificare la donna senza che lei se ne accorga, in un attimo la vampira tenta sgraziatamente di allontanarsi ma non ha la lucidità ne la prontezza di recuperare la bacchetta, rimasta impigliata nel giogo della stoffa, per proteggersi e così cade, riversa a terra, scomposta, l’espressione tra rabbia e terrore rimane pietrificata sul viso pallido. E’ ormai sotto la completa volontà dell’umano.

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