Book a nightmare

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    Quando avevo varcato la soglia del cancello da uomo libero mi ero accorto di non avere la più pallida idea di dove andare. Era una delle cose più strane che mi fosse mai capitata, avevo sceso le scale del Ministero con Michael e lui mi aveva lasciato in fretta e furia per un grosso affare, non avevo nemmeno fatto in tempo a ringraziarlo, così ero rimasto per circa dieci minuti fuori la scalinata del Ministero scuro. "Tu sei Ichabod Blackwood" mi volto e guardo negli occhi una ragazza che poteva avere l'età di mio fratello, ma talmente stretta in quel vestito elegante da sembrare estremamente più grande. Non rispondo, sa chi sono, ho solo l'espressione un po' confusa, come a dire: ho dimenticato qualcosa? Mi allunga la mano, la guardo, guardo la mano e aspetto. "Sono Caterina, Caterina De Masi" faccio no con la testa, non ho idea di chi sia, ma le stringo la mano comunque distratto. "Sono un'amica di Ezekiel" allora annuisco ma continuo a non sapere chi sia, lei comunque mi sorride, fa per andarsene di fretta come tutti lì dentro, ma sembra gentile, annuncia la sua uscita, mi chiede di salutarle Ezekiel, io ho ben poco tempo per risponderle nonostante non abbia niente da fare in effetti.
    Fingo che a trattenermi su quelle scale sia quella sigaretta che ho acceso prima di incontrare quella ragazza, mi allento la cravatta sciogliendola e posandomela sulla spalla, apro i due bottoni della camicia che sembrano volermi strangolare e mi siedo sulle scale di pietra in attesa di non so nemmeno io cosa. La geente va tutta di corsa qui dentro, qualcuno mi riserva uno sguardo di compassione, altri mi riconoscono e mi passano aggirandomi vistosamente.
    "Ha bisogno di un passaggio?" è un servizio di navetta, deve avermi visto lì assorto per un bel po' prima di intervenire. L'ha fatto quando ho allungato le gambe per la scalinata, guardo il suo trabiccolo magico e sollevo il sopracciglio. Mi chiedo dove possa portarmi, a casa non c'è nessuno, i due minori sono a scuola, Makenzie è a lavoro, Ezekiel non lo vedo da un paio di giorni e Michael si è appena defilato ed io sono rimasto seduto su queste scale per circa venticinque minuti ormai, fingendo che mi interessasse qualcosa in particolare. Aspetto, quello non sa chi sono, me lo richiede "Ehi, e allora?" faccio un mezzo sorriso, qualcosa di molto raro in effetti "Sissignore".

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    "Deve fare un checkup Signore?" A questa non rispondo nemmeno più, è la terza infermiera che mi chiede se sono in attesa di qualcosa, ed io continuo a chiedermi perchè io debba essere in attesa di qualcosa e non di qualcuno, dice, questa è la sala d'attesa. Bene, io attendo. Alla terza domanda mi molla in pace, non prima che arrivi la sicurezza a chiedermi cosa ci faccia lì da venti minuti. Mi chiedo, ma perchè un uomo non può stare fermo da qualche parte prima che gli si venga a rompere i coglioni? Dico, ok, me ne vado.
    Si tende a dimenticare cosa non sia andato bene, si tende a dimentica l'esterno e quello che ti fa. Forse i domiciliari non erano così male. Avevo pensato a lungo a troppe cose, per concludere a quanto fossi stato stupido ad andare nell'unico posto in cui non avrei dovuto. Prendo la giacca che ho arrotolato sulla sedia vicina senza troppo garbo, la rinfilo e prendo la cravatta, le tre cartelline e il caffè, cerco di recuperare una sigaretta dal taschino mentre esco fuori.
    Averla aspettata quasi mezz'ora per poi andarsene era stato assurdo, non mi avrebbe dovuto vedere mai, che diavolo avrebbe pensato.
    Esco fuori all'aria aperta e non passa più di mezzo secondo, nemmeno mezzo perchè io la veda parlare con un uomo col camice, giovane, forse pochi anni più di lei, mi fermo e rimango a guardarli. Lei sembra così a suo agio all'esterno, a differenza mia che non sembro altro che una macchia nera di inchiostro su un foglio bianco.



     
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    Era stata una giornata particolarmente piena per Mak, che non vedeva l'ora di tornare a casa.
    Casa, il pensiero corse per primo a casa di Ichabod, alla loro stanza, e un sorriso le comparve sul viso.
    Da una parte si dava dell'idiota, dall'altra però le piaceva stare con lui, per quanto fosse particolare, come uomo, le donava quotidianamente qualcosa di se, a partire dagli sguardi, a seguire al desiderio che non perdeva mai modo di farsi presente.
    -Cosa?- Nils le aveva detto qualcosa ma lei, distratta e con la testa tra le nuvole, se l'era persa.
    Lui ripetette e insieme si fecero una risata – Sei distratta Mak- le aveva fatto notare – c'è un ragazzo nella tua vita per caso?- lei si strinse nelle spalle e sorrise – Si- aveva risposto senza indugio.
    -Per caso è quello che sta guardando da questa parte?-
    Lei stava per dire no, ma voltò ugualmente il capo e quando lo vide spalancò quasi la bocca per la sorpresa subito sostituita da un sorriso a trentaquattro denti – si è lui! Ci si vede eh Nils-
    Neanche glielo diede il tempo di rispondere che corse da Ichabod.
    -Sei una visione o cosa?- chiese senza riuscire a contenere sorpresa e gioia mista a carica adrenalinica a mille.
    Ma questo non le fece dimenticare che a Ichabod non piacevano le effusioni, tanto meno in pubblico, e quindi si contenne dal saltargli al collo e baciarlo, come invece avrebbe voluto fare.
    -Se è una sorpresa sappi che è riuscita alla grande, ed è stata graditissima!-
     
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    "Sono stato in tribunale stamattina, ora sono ufficialmente un uomo... libero"Le avrei forse detto, se fossi stato un altro uomo, che mi era venuta in mente per prima lei, che non avrei avuto motivo di andare altrove e da nessun altro per festeggiare la mia libertà, ma nella realtà dei fatti non c'entrava niente questo, io non ero un'altra persona, né l'uomo di cui tutte sognano. Sono andato da lei perchè non c'era modo meno patetico del dire che non c'era nessun altro da cui sarei potuto andare, che poi la mia scelta fosse una ragazza bruna, con un corpo da sogno era qualcosa che le donne, da come avevo capito, non si lasciava dire facilmente.
    Non mi salta addosso, non cede ad effusioni, e non so come, mi stupisce che scelga di rispettarmi così facilmente.
    Le regole in casa erano state piuttosto chiare, per quanto la Rosier e Igor sapessero di quello che succedeva nella mia camera da letto, esigevo che l'infermiera non si lasciasse cadere ad effusioni, non lasciasse che la sua parte sognatrice avesse la meglio davanti agli altri e lei, sembrava aver accettato la cosa così velocemente da farmi rivalutare l'idea che avesse un altro. Era difficile pensare che avesse potuto accettare di tanto buon grado l'idea di non coinvolgere col suo amore per tutto anche quella che poteva configurarsi, a suo modo strano, la nostra relazione.
    "Pensavo di ricordare un orario bene, quello in cui staccavi ma probabilmente non è così" lo sguardo estraneo si fissa sul ragazzo con cui lei stava parlando, una divisa come la sua, ha solo i risvolti della corta divisa di un arancio acceso, mentre quelli di lei seguono lo stesso colore.
    Non avevo alcun tipo di potere sull'esterno quando ero costretto a casa, ed il solo immaginare che lei potesse nascondermi qualcosa al lavoro mi rendeva nervoso, mi rendeva tremendamente territoriale, al punto che quando il pensiero superava la razionalità il sesso era doloroso quasi, violento, niente che avesse a che fare con lei. Nè con l'ultima enorme discussione che c'era stata.
    "Vorrei mangiare qualcosa, magari mi fermo qui all'angolo e... che cazzo ha da guardare quello?"
    il suo collega ancora mi stava guardando, scrutando come se riuscisse a vedere la mia macchia d'inchiostro.
     
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    Alle sue parole, a Makenzie spuntò un sorriso sulle labbra e una voglia matta di saltargli al collo.
    In quel momento un po' le pesò questo fatto di dover mantenere le distanze in pubblico ma lo fece, per lui, e perchè la delusione di quel momento sarebbe stata sostituita dalla sua disapprovazione, e per quanto strano, le avrebbe fatto anche più male.
    -Ma è bellissimo!- si forzò a mettersi le mani nelle tasche del giubbino - e ora cosa ti va di fare?-
    Le fece notare del ritardo che c'era stato, circa venti minuti, si era messa a parlare coi suoi colleghi e il tempo era volato.
    Ma anche questo faceva parte della sua vita, non riteneva opportuno doversi giustificare per questo, e infatti non lo fece.
    Si limitò a stringersi nelle spalle – non sono fiscale- seguì il suo sguardo che ora si era fermato oltre le sue spalle.
    Si voltò e vide che fissava Nils che a sua volta fissava loro.
    Tornò a guardare Ichabod, per cercare di capire cosa, nello specifico, gli stesse passando per la testa.
    Voleva mangiare, bello si, ma poi esplose, e forse un po' Mak se lo aspettava.
    Neanche si voltò per guardare di nuovo. Sapeva perfettamente di chi parlava.
    -E' un infermiere, come me. Gli ho appena detto che sei il mio ragazzo, probabilmente si starà chiedendo come mai non ti sono saltata al collo- si strinse nelle spalle – ti importa quello che pensa?- perchè a lei non importava, non doveva di certo dimostrare a chi che sia la veridicità delle sue parole.
    Ognuno aveva la sua storia da rispettare, lei aveva la sua.
     
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    Era ovvio che non mi interessasse minimamente quello che pensava quella faccia di merda oltre il marciapiede troppo piccolo per poter pensare un attimo solo, dopo avermi riconosciuto, di poter venire con la mano allungata per conoscere il ragazzo della sua collega, nonché redilibero Ichabod Blackwood, il terrore del mondo magico che non avesse meno di trent'anni a quanto mi sembrava di capire.
    "Oggi per la prima volta in vita sono libero e sono appena stato chiamato ragazzo di qualcuna, sembra di essere tornato ad Hogwarts" e in realtà non ero stato mai il fidanzato di qualcuna, questa era la verità. Jane era all'epoca di Hogwarts un'amica, Zulejka prima di diventare mia moglie era stata quella che viveva con me. Lucy non l'avevo mai considerata una compagna. O una fidanzata. Trattengo buffamente un mezzo sorriso, doveva essere la disparità d'età probabilmente.
    Quel velato sorriso ingenuo trapela sulle mie labbra.
    "Non mi va di mettere a repentaglio la mia prima ora di libertà. Vado lì, entro a mangiare qualcosa ti aspetto" mi diressi lasciandola indietro, non prima di aver lasciato un'ultima occhiata al tipo, doveva essere abbastanza eloquente visto che quello mi diede le spalle e tornò dentro, da un ingresso differente da quello usato dalla brunetta.
    ...
    "Mi sono accorto dopo solo che non avevo troppa fame" avevo lasciato parte del cornetto strappato ai lati del piatto e la grossa tazza di caffè era ancora quasi intonsa. C'erano altri tre piatti, avevo fatto la bocca più grande dello stomaco.
    Forse mi seccava ammettere che questo fatto di essere libera e potermi gustare e degustare indipendenza era ancora fuori dalla mia portata, ricordavo tutto più bello e più entusiasmante. Così come ricordi sempre quello che non puoi avere. La bocca mi si era impastata quasi subito, appena avevo iniziato a mangiare, nonostante negli ultimi giorni avessi dato fondo a tutte le riserve in frigo portando Michael a chiedermi quanti fossimo davvero in casa. Avevo mangiato nervosamente, quasi al vomito, avevo dormito poco ed ero più nervoso del solito tanto che avevo benedetto il fatto che casa fosse vuota per un po'.
    Poi, dopo che i fogli del mio rilascio erano stati firmati, avevo sentito un peso sulle spalle, una gran fase che adesso sembrava essere per niente colmabile. Due morsi, forse tre, per sentire un senso di nausea all'altezza dello stomaco. Avevo accantonato il cibo, ma anche l'odore del caffè all'improvviso sembrava darmi fastidio. Il grosso bicchiere d'acqua era vuoto per metà, o pieno per metà. Le faccio segno di sedersi sulla sedia davanti a me prima di stropicciarmi l'occhio destro con la mano. La guardo. I capelli raccolti non le stanno mai bene come quelli sciolti, ma sarei ipocrita a non volerla guardare comunque con gli occhi di chi la rovescerebbe su questo stesso tavolino. Ha ventanni e si vedono tutti, per mia fortuna.
    "Se vuoi prendi i miei o ordina quello che vuoi, anche se il servizio fa schifo" le faccio presente chiedendo tra me e me se fosse quello il famoso posto in cui loro sanitari si incontravano per mangiare e stare insieme. Accartoccio il tovagliolo ruvido dopo essermi pulito la bocca e lo lascio di fianco al piatto mezzo vuoto, o mezzo pieno. Incrocio le braccia sul tavolo e poi la guardo affacciarsi alla mia tazza di caffè.
    "Sembri particolarmente... allegra" due giorni fa mi era venuto in mente che era allegra, quasi sempre, ma niente che avesse a che fare con quei momenti da serial killer che mi faceva venire su ZUlejka. Non era... invadente. Stupidamente pensai che nel mio ideale di donna forse c'eravamo quasi.
     
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    -E ti da fastidio?- lo chiese solo per capire come la pensasse in merito.
    Ichabod era quello che non baciava in pubblico, e che quando concedeva le sue labbra si sentiva quasi in difetto, era quello che non si lasciava andare alle smancerie, che non diceva “ti amo” e sostanzialmente non lo faceva capire neanche coi fatti.
    Era colui che dovevi capire nei silenzi, in quello che non diceva, ma era in quei rari momenti in cui dava qualcosa di se che Mak decideva di indagare per carpire quanto più possibile di lui.
    Lo vide allontanarsi, neanche si voltò a guardare Nils, lo seguì, si sedette con lui, lo vide lasciare il cibo.
    Non era vero, non aveva avuto fame, aveva solo voluto evitare di fare danni.
    Questo Makenzie lo apprezzò, ma non disse niente.
    -I tuoi andranno benissimo- sorrise e si prese il cornetto mangiucchiato, tirandone via un pezzetto per poi portarselo alle labbra.
    Poteva intuire cosa Ichabod stesse provando, era libero, non lo era da tanto.
    Intuire però non voleva dire capire, così non smise di guardarlo neanche per un attimo mentre bagnava le labbra con il suo caffè.
    -Sai..- iniziò allargando le labbra in un sorriso – di solito, quando non mi aspetto una cosa, e poi questa accade, se è piacevole mi viene una gioia dentro .. che tiro fuori con un sorriso- abbassò lo sguardo leggermente imbarazzata per essersi lasciata andare a qualcosa di così insolito persino per lei.
    -E questa è una gioia, sei libero, quindi .. sono felice per te, e vorrei .. portarti a fare qualcosa.- azzardò ad allungare un dito per sfiorargli il suo – cosa ti piacerebbe fare?-
     
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    "Sembra una cosa complicata" le dico senza riuscire a ricordare più l'ultima volta in cui ho sorriso, o riso di gioia. Nemmeno stamane l'ho fatto, ma forse c'entra qualcosa con il sentire un sentimento in modo diverso.
    "Vieni, ti porto in un posto"la mia mano scivola oltre la sua e le faccio segno di recuperare il bicchiere, potrà mangiare strada facendo, anche se l'importante è che da quel bar mi levino e ci levino gli occhi di dosso.

    ___________________________________________________________


    Nelle mie corde economiche non c'era gran che se non quelle insulse cinquemila sterline che conservavo nella vecchia residenza Blackwood e che mi erano state restituite una volta scontata la mia pena. Zuleijka si era portata via tutto, e forse se avesse scoperto di queste cinquemila si sarebbe portata via anche quelle. Ma non era importante, per quanto odiassi ammetterlo, dei soldi non me ne ero fatto mai gran che, quando la bionda aveva sbloccato il mio conto in banca avevo investito tutto in un tetto sopra la testa. Niente di più, niente che avesse a che fare con vezzi o vizi. Certo, droga, ma quella era talmente facile da trovare che non era detto nemmeno andasse pagata.
    Non avevo mai fatto proprio il concetto di Vacanza. Vacanza, avevo capito, era qualcosa che facevi a seguito di un lungo lavoro, un break, una virgola di luce in una tela di oscurità, o viceversa. Eris aveva detto che le cose che piacevano alle donne erano: fiori, weekend romantici e qualcos'altro a cui non ero attento. Dico, Makenzie odia i fiori, lei dice, tutte lo dicono ma non è mai vero.
    Non le credo. Quindi, per festeggiare la mia libertà ho deciso di fare quella fuga al mare che per anni avevo rimandato, che per anni avevo finito per odiare.
    Il grosso negozio di viaggi era luminoso, il parquet bianco quasi rischiava di accecare, e i grossi libri, guide e depliant avevano finito per confondermi. Avevo perso Makenzie di vista, come una bambina in un negozio di dolciumi, e per ben due volte, di cui l'ultima in modo più deciso, mi era toccato palleggiare via la commessa tanto insistente. No, dico, non ho bisogno di aiuto al momento. Il patto era solo l'impossibilità di cambiare continente, e non scegliere posti freddi. Dopo un anno e mezzo di gelo avevo bisogno di qualcosa che mi sciogliesse la brina dalle spalle. Mi sposto i capelli dietro l'orecchio mentre guardo casualmente un depliant che pubblicizza un'isola al largo della Francia. Offro i francesi, ne ho uccisi tanti. Più orientali, ma tantissimi francesi.
    Zero rimorsi.
    Avevo preferito un negozio babbano, così che la gente smettesse di guardarmi per un motivo o per un altro. Quindi o per il fatto che fossi chi sono, o perchè non sarei dovuto essere in strana, o perchè non dovevo essere in strada con una diciannovenne che a momenti sembrava minore. Nonostante l'aspetto pulito che avevo assunto per il tribunale, la mia ombra continuava ad essere sempre più simile a me.
    Mi gratto leggermente il collo e rimetto a posto il depliant.
    "Il mondo da quando sono uscito fa ancora più schifo di prima, o non so cercare niente io" non lascio trasparire nessun tono, se non quello di aiuto quando incrocio i suoi occhi su di giri "Hai trovato qualcosa?"


     
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    Lo seguì senza fare troppe storie, anzi non ne fece per niente.
    In fondo per Mak era semplicemente bello stare in sua compagnia, quanto le veniva voglia di prendergli la mano e stringere le dita alle sue, ci pensò per tutto il tragitto, reprimendo pesantemente questo desiderio.
    Fosse stato per lei non avrebbe fatto altro che far sapere al mondo che era sua e che non dovevano pensarci ad avvicinarlesi, e lo stesso valeva per le donne. Aveva persino valutato l'idea di dirlo al padre, e al diavolo tutti i commenti che sarebbero venuti. Era maggiorenne, perchè doveva nascondersi?
    Quando scoprì che la loro destinazione era una agenzia di viaggi a Mak venne un colpo.
    Non riusciva neanche a parlare per quanto forte fu la sorpresa.
    Lui si era avvicinato alla ragazza dietro il bancone per farsi consigliare ma Makenzie era rimasta ferma in un punto, ad osservare i fiori rosa che decoravano quelle case bianche e blu.
    Lo sentì arrivarle alle spalle e lamentarsi di quanto il mondo facesse schifo.
    Lei sorrise e, afferrato il pacchetto viaggi si voltò per farglielo vedere.
    -La Grecia- disse con gli occhi illuminati a festa – ti piacerebbe andarci?-
     
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    "Grecia" ripeto mentre le prendo il depliant dalle mani delicatamente. Mi chiedo cosa possa immaginare semmai le dicessi che quelle cinquemila sterline erano quelle che avevo utilizzato per chiedere a Lei di venire con me, di scappare con me. Niente di diverso da quello che stava accadendo in questo momento. Non ne avevamo più parlato, non avevamo più toccato l'argomento, eppure non avrei mai gradito doverle dire che la mia mente bacata stava facendo il suo lavoro. La mia mente stava lentamente estraendo quello che la riguardava, inserendo la giovane infermiera. Non ne avevo parlato con nessuno. Non avevo detto a nessuno che per la prima volta nella mia vita, vuoi per pigrizia, vuoi per i domiciliari, vuoi per non so cosa, non avevo scopato con nessun'altra che lei. Ed io, preferivo farle pensare che Lucy fosse un argomento tabù prima di lasciarle pensare che qualcosa in me si stava radicando.
    Tipico.
    Sfoglio il depliant, sembro quasi distratto, le spiagge sono stupende, lo sono in ogni catalogo che ho guardato sembra presentare le spiagge più belle del mondo, e la Grecia non sembra da meno. Ma lei sembra felice, e mi accorgo che io voglio una vacanza, voglio andarmene da qui, e se è il sud europa a renderla felice, che Grecia sia.
    "Grecia" ripeto stavolta come un'affermazione.
    Do il volantino alla agente che ci ha silenziosamente seguito fino a poco prima e lei ci invita a sederci.
    "Dunque, una ottima scelta Signori! Grecia, Isola di Kos, una scelta davvero fantastica!" Mi dice saltando quasi sul posto, in modo molto più eccitante di quanto lo fosse davvero, ed in più continua a guardare lei in modo strano, sottolineando chiaramente la perplessità credo dell'età "Mi servirebbero i documenti di entrambi i signori, siete... sposati?" mi si pietrifica l'espressione e non guardo lei.
    Dico, oddio no.
    Ma credo mi esca con un tono scioccamente offensivo.


     
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    Stette in trepidante attesa per tutto il tempo che servì a Ichabod per elaborare l'informazione e decidere che si, la Grecia faceva per loro.
    Era un posto tranquillo, pochi maghi gironzolavano in quella terra e poi il sole, il mare ..
    Se Ichabod voleva staccare la spina era quello il posto giusto, e poi non era neanche un posto costoso, lei avrebbe potuto pagare tranquillamente la sua parte ed entrambi se la sarebbero goduta anche di più.
    La donna continuava a guardarli e Mak faceva altrettanto, cosa voleva? Perchè guardava in quel modo Ichabod?
    -Non le dobbiamo alcuna spiegazione, ha dei problemi? - Aprì il documento dimostrando la sua maggiore età, tuttavia ormai non era dello spirito giusto per continuare a contrattare con quella megera.
    -Andiamo via, prenoteremo in un'altra agenzia- sorrise, ma questa volta fu un sorriso di scherno – La prossima volta guardi di meno e agisca di più- il suo spassionato consiglio.
    Alla fine prenotarono lo stesso viaggio in una agenzia poco lontano dalla prima, ma c'era voluta una condizione prima di entrare di nuovo in uno di quei posti, una signora scopata era sempre l'antidoto giusto per l'umore di Mak, con il suo uomo, ovviamente.
     
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    Uello che ci era andato più vicino era lo psichiatra del centro riabilitativo di Plembledon nella periferia di Londra. Ci avevo passato due mesi dopo essere stato accusato della sparizione del figlio del vicino, ed ovviamente, non ero stato io. Mi aveva chiesto se avessi mai sognato qualcosa di inadeguato. Cosa può essere inadeguato per un ragazzino di dodici anni? Eppure io avevo già una chiara idea di cosa intendesse. A dodici anni in genere di leggono riviste porno, sapete, tette, o giornalini sulle macchine, la nuova Ninmbus edizione limitata, carte da gioco.
    Io sono nato inadeguato, quindi sapevo perfettamente cosa intendesse. Sapevo di non essere il figlio preferito di nessuno dei miei genitori, mia madre stravedeva per Julian, e mio padre aveva trovato un alleato in me solo per proteggere il minore, non ero il migliore a scuola e mi ero già accollato tante di quelle disfatte che non sarebbe cambiato niente, niente che mi avrebbe reso adeguato ad una situazione. Quindi avevo fatto l'unica cosa che mi restava, diventare il migliore in quello che mi rendeva inadeguato.
    A undici anni avevo finito il mio primo manuale di anatomia semplice, non ci avevo capito gran che, ma mi aveva aiutato ad avere una visione generale di quello che mi interessava. A dodici anni la cosa più interessante era avere capito l'anatomia umana durante il sesso, anche se di sesso io non ne avevo mai fatto. Inadeguato.
    Sognavo sempre di fare del sesso, ed ero certo che fosse inadeguato perchè in casa non se ne poteva parlare. Credo che per me il sesso possa dimostrare molto più di quanto io sia in grado di fare normalmente. Mia madre mi diceva che avrei dovuto sorridere molto più dei regali ricevuti. Mio padre diceva che le persone tristi piangono. Ero costantemente confuso perchè quando ero triste non piangevo mica. A me i regali che ricevevo non mi facevano così tanto sorridere. Quando amavo qualcuno, l'altro non si sentiva mai felice. Ma minacciato. Ero un diverso.
    Un fottuto.
    E lo sono ancora.
    Il sesso è diverso. Mi avevano chiesto a ventidue anni, se avessi comportamenti sessuali inadeguati. Dico, si. Lo so solo perchè me lo dicono tutti. Lo so perchè nnessuno si comporta come me, e quando la gente lo fa, non gira a piede libero. Io sono nato malato, e lo so. Nessuno mi ha detto che sarebbe stato possibile guarire, nessuno. E questo è il motivo per il quale dentro di lei, continuavo a cercare l'apice del piacere, continuavo a muovermi frenetico dentro di lei, mentre le stringevo la vita, il braccio talmente forte da pensare di potergliela rompere.
    Col tempo ho scoperto che sei inadeguato solo relativamente ad una linea invisibile che non riesci a vedere da solo. Sei inadeguato finchè non trovi una inadeguata come te, una di ventanni, matta come un cavallo che ti spinge in un vicolo di Stoccolma centrale solo perchè la donna dell'agenzia ti ha guardato in un modo strano.Ti senti inadeguato solo finchè non trovi qualcuno a cui sta bene l'inadeguatezza che trasudi da ogni poro. Non che non ne abbia mai avute, sia chiaro, sono molto grato per essermi condiviso cose con donne che hanno sempre pianto in silenzio quello che sono. Ma è sciocco non pensare che ci sia il destino di mezzo in determinate cose.
    Il momento giusto.
    Il momento inadeguato.
    Usciti dal negozio con il plico ancora in mano, non smetto di guardarne le foto, se ci sia tutto, mi tocco la barba rasa sistemata per l'occasione del rilascio e della visita al Ministero. "Per un posto del genere ti serviranno dei vestiti nuovi" ammetto visto quanto avesse sottolineato il tipo dell'agenzia il lusso dell'hotel e quanto bene ci saremmo trovati senza sapere che quell'unico vestito che indossavo era per l'ordinanza di scarcerazione.
    "Pensavo glielo dicessi, che abbiamo vestiti buoni solo per processi e funerali" sostengo ripiegando il tutto ed indicandole un Mall.









    "Mi sentire un mostro se ti obbligassi a rimanere troppo vestita" quando la tenda si era chiusa di scatto, io ero rimasto con una serie di abiti in mano, fuori il camerino stretto in attesa silenziosa che lei tornasse fuori. Persino lo shopping femminile mi sembrava un'idea migliore del rimanere a casa, perchè persino un prigione familiare resta pur sempre una prigione.
    Quando mi volto verso l'enorme specchio alla mia destra, mi guardo e per un attimo non mi riconosco.
    I capelli, nonostante fossero leggermente spettinati, erano ancora segnati dall'ordine che all'indietro avevano quasi mantenuto, il viso era pulito, non c'erano segni di lividi, di barba, sembravo dimostrare l'età che avevo, me ne accorgo ora solamente. Sembro una persona diversa, sembro una persona a cui affideresti la tua macchina, tua figlia, sembravo un idiota.
    Distolgo lo sguardo visibilmente a disagio, mentre il rumore della musica continava a muoversi non troppo in sottofondo.
    Quando la vedo aprire la porta del camerino, mi dico che nessun altro l'avrebbe guardata, nessun altro sarebbe stato tanto sciocco. Io piego leggermente l'angolo del labbro destro verso l'alto. Sfrontata. Questa era la parola che non trovavo mai. Sfacciata.
    "Sai cosa mi ricorda questa situazione?" i vestiti tra le mie braccia scrocchiarono, mi tiro indietro con la schiena mentre la guardo nel suo insieme. E' così sfacciata da sembrare un raccontino di mezza tacca di editoria, quello che ogni uomo leggerebbe di nascosto dalla propria donna per menarselo un po' nel bagno sperando di incontrare mai qualcuna del genere. Lei era qualcuna del genere.
    Se aveva un minimo di paura, se avesse un briciolo di pudore lo nascondeva perfettamente dietro un cinque centimetri totali di stoffa.
    "C'era un nostro vecchio vicino di casa, quando la moglie non c'era ricordavo esserci nel giardino sempre una ragazzina della tua età, venti, massimo ventitrè anni. Lui aveva l'età di mio padre"mio padre diceva sempre, Ichabod, preoccupati sempre di essere tu Austin e non la sua ragazzina, perchè così stabilisci tu le regole del gioco.
    "Penso che la mantenesse per farla contenta, così che lei lo facesse contento quando la signora Amantine non c'era" la verità era questa. Vederla così tanto sicura di sé, vederla così... sfacciata mi rendeva malignamente presuntuoso, e ovviamente molto fortunato. Mi alzo in piedi e poso sulla poltroncina il resto dei vestiti, lo dico mentre faccio qualche passo avanti, costringendola ad andare all'indietro.
    "Avevo dieci anni e mia madre lo appellava come deplorevole. Ma credo che lei sia stata la prima cotta" la situazione intendo, mai convinto di averla potuta rivivere nei panni di lui. La tendina di chiude dietro di noi con un rumore metallico, di anelli che corrono sul bastone.


     
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