Ritrovarsi.

Privata.

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  1. Roza.
     
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    Il tempo era pungente quel pomeriggio a Stoccolma, e oltre a questo tirava un venticello freddo che mi sarebbe costato un bel mal di gola. Mi osservavo attorno, precisamente osservavo la gente e constatavo che cappotto, cappello e sciarpa non sarebbero mai bastati per trovarti quantomeno al calduccio. Molti di loro avevano espressioni disperate e avrei scommesso qualsiasi cosa per dire che almeno nove di loro su dieci stessero morendo di freddo, come biasimarli dopotutto. Alzai poi lo sguardo sul Ministero della Magia del Nord, invisibile ad occhi che non avevano il permesso di scovarlo. Io dal canto mio, ero sempre stata abituata a quel tipo di temperature, e non mi dispiacevano affatto. Anzi, Stoccolma solo per quello mi ricordava casa, tutto il resto era così diverso, come fossero il bianco e il nero. Mio nonno diceva sempre che i Siberiani hanno la pelle dura come quella degli Orsi Polari al di sotto della pelliccia. Sorrisi ricordando quante volte mi capitò di cadere in laghi apparentemente ghiacciati e uscirne viva per miracolo, e quante volte prendere schiaffoni da mia madre. Cadere in un lago ghiacciato era paragonabile a mille spade che ti trafiggono all'unisono, era difficile non riuscire a morire dopo un'esperienza del genere e la prima cosa che ti si ghiacciavano, erano le tempi. Per tornare ad una temperatura corporea normale era quasi impossibile se non ci si immergeva immediatamente in una vasca di acqua bollente, e noi che eravamo così poveri, potevamo solo gettarci nel camino. Per me il distacco dalla realtà in cui avevo sempre vissuto, era veramente difficile. Nonostante avessi bruttissimi ricordi della mia infanzia, quelli belli li superavano di gran lunga. Probabilmente era per questo motivo che, ogni qualvolta che incrociavo qualcosa che ricordasse della mia vecchia casa, ci rimuginavo su per ore. Avevo gli occhi fissi sull'edificio dinnanzi a me, mentre il passo incominciava a diventare sempre più deciso. Attraversai la strada senza neanche guardare se un auto babbana o meno, stesse per travolgere. Mi andò bene, posso dire. Presi una pausa quindi, da pensieri e riflessioni, passandomi una mano tra i lunghi capelli che portavo sciolti sulle spalle. In tasca continuavo a rigirarmi il tesserino, tesserino di riconoscimento che dovevo mostrare appena entrata al Ministero. Sarei stata bugiarda a dire di aver conosciuto i miei colleghi e addirittura esternare quanto fossero simpatici, perchè a dirla tutta ancora non li avevo neanche visti. La mia assunzione era stata così "veloce", e le parole dette così chiare, che non c'era stato bisogno di fare altro. Le temperature che incontrai all'interno andarono in netto contrasto con quelle al di fuori, e passai dal freddo glaciale al caldo tropicale. Per me era sempre meraviglioso visitare quel posto, lavorarci sarebbe stato anche meglio. Cercavo però con tutta me stessa, di ricordarmi se alla mia incarcerazione ero stata condannata alle aule di quel ministero, o di un altro. Ma non mi veniva in mente purtroppo, quindi dopo gli innumerevoli sguardi lanciati dalla guardia decisi di controbattere. Inarcai le sopracciglia sbottonandomi il cappotto e mostrando il tesserino, facevo letteralmente schifo sulla foto di riconoscimento. Sorrisi ironicamente e ripresi a camminare verso il primo livello, quello che effettivamente interessava a me. L'atrio poté osservare essere pieno zeppo di maghi che correvano un pò ovunque, mi era capitato di rado di vederne così tanti tutti insieme. Probabilmente quelli che avevo di fronte, dovevano essere quasi tutti maghi e streghe Purosangue, perchè mi era giunta all'orecchio la voce che per i Purosangue ci fossero dei privilegi. Io non ero neanche una Mezzosangue, ma una Nata Babbana, quindi figuriamoci quanto potevo essere insignificante per tutti loro. Era un'idea sbagliatissima quella, perchè ero a conoscenza delle mie qualità e sfoggiarle li non era mia intenzione, e speravo vivamente che nessuno mi costringesse a farlo. Come ogni Nata Babbana che si rispetti, con me avevo anche la picca regalatami da mio nonno, ben nascosta nello stivale e precisamente nel calzino. Mi incominciò a dare un pò fastidio dopo aver camminato a lungo, perchè dopotutto fare file infinite per l'ascensore e fare slalom tra la gente non era proprio un bello sport. Finalmente arrivai agli uffici ed era la prima volta per me e mi sentivo un pò spersa. Infondo al corridoio una figura femminile mi dava le spalle ed era l'unica che avrei potuto interpellare per un aiuto, così avanzai verso di lei. Probabilmente non doveva avermi neanche sentito perchè non voltò verso di me e ne approfittai per allungare il braccio e bussarle con l'indice sulla spalla. "Scusami ma la C.A.P.S. dove si trova?"Domandai facendo comparire sul mio viso un veloce sorriso, non volevo essere già antipatica a tutti, o almeno al momento cercavo di farmi degli alleati.

     
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    Un passo dopo l'altro, i suoi tacchi risuonavano nel corridoio e facevano da eco alle pareti attigue.
    Ripensava a Kieran, al suo voler diventare mangiamorte.
    Neanche riusciva a spiegarsi il perchè, alla fine, gli avesse detto di si.
    Un ghigno spuntò sulle labbra di Coco nel ricordare la smorfia di dolore sul bel viso di lui.
    Si, aveva un bel viso, ma quando era pervaso dal dolore lo era anche di più.
    -Li porti al terzo piano- disse alla ragazza dietro lo sportello allungandole due fascicoli diretti al reparto internazionale.
    Lo sguardo incerto di lei, diretto oltre la sua persona, furono il campanellino di allarme per Coco che si voltò lentamente verso l'incauta donna che le rivolgeva la parola toccandole una spalla.
    -Ti sembro il centro informazioni?- le chiese voltandosi definitivamente verso di lei. Poi si fermò un attimo.
    La conosceva, eccome se la conosceva.
    -Leona! Che ci fai qui?-
     
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