Pyro

privata

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  1. The Slayer.
     
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    L'ultima luna era stata devastante.
    Non nel senso in cui l'avrebbero percepita i più, chiaramente, ma per l'unico verso che Saul Servantes non avrebbe mai perdonato ai propri carcerieri: fiotti di antilupo iniettati direttamente nelle vene avevano stordito i suoi sensi, imbrigliato la sua anima, offeso la sua natura, mentre spesse catene di ferro avevano contenuto gli spasmi dei suoi muscoli, strette su polsi, caviglie, e collo.
    Funzionava in quel modo da quando era stato arrestato, ma il tempo non riusciva a renderlo più docile né l'abitudine riusciva a placare il suo rancore per quella tortura.
    Aveva respinto ogni intenzione di curare graffi e lividi, nei giorni successivi a quella rinascita negata, del tutto intenzionato a portarne i segni per non dimenticare, così mentre le scapole si contraevano e i bicipiti si gonfiavano ad ogni flessione completata, sulla pelle che la divisa aranciata lasciava scoperta riuscivano ancora a spiccare quei marchi cicatrizzati come macabri segni di guerra. Una guerra che Saul Servantes aveva perso, e di cui per tanto tempo ancora era condannato a pagare le indennità.
    -In piedi, Servantes.-
    Una flessione, ed ancora un'altra, fu l'unica risposta che arrivò da parte del lupo alla guardia che gli si era avvicinata. La reputazione che era stata gettata in gabbia insieme a lui gli garantiva una certa indipendenza, in quella prigione, qualche favore strappato alle guardie più deboli e certamente un dovuto rispetto da parte di criminali d'ordine minore. Ma neanche tutto il sangue del mondo gli avrebbe restituito lo stesso potere che il licantropo era abituato a brandire fuori da lì.
    Mostrando un coraggio che forse non sentiva davvero proprio, l'uomo in divisa si chinò sull'uomo per strattonarlo in piedi, proprio come aveva ordinato.
    -Mi hai sentito? Ho detto in piedi!-
    La dignità, però, quel vecchio capobranco non aveva ancora deciso di deporla.
    Con uno scatto si scrollò di dosso le mani dell'altro, arrivando a bloccare il gomito ad un soffio dal suo naso prima che questo potesse sgretolarsi all'impatto. Non era aggressione, ma gli si avvicinava abbastanza da far impallidire il grassoccio sorvegliante.
    Gli occhi dei due, tanto uguali per colore quanto diversi per intensità, si fissarono reciprocamente per un tempo indefinibile, prima che Saul accettasse di allentare la presa su quella minaccia per porgergli i polsi, insieme ad un ghigno che avrebbe potuto garantirgli una o due notti in isolamento, se rivolto all'auror sbagliato.
    -...Hai visite.-
    Soffiò l'uomo, assicurando le ormai famigliari catene ai quattro arti del detenuto, prima di portarlo fuori dal cortile per infilarsi con lui nei profondi dedali di corridoi e grate cigolanti.
    Non era abituato alle visite, non a quelle che includevano altri al di fuori del suo avvocato almeno. Le uniche che aveva ricevuto fino a quel momento consistevano in Chibs polisuccato, una ragazzina dalla psiche deviata, ed un paio di giornalisti sbattuti fuori ancor prima di poter tentare di porre la prima domanda al mostro finalmente accalappiato.
    Era curioso, lo era sempre, ma mai preoccupato.
    A metà percorso si unirono a loro un paio di colleghi, infine il guardiano della sala colloqui spalancò l'ultima porta, lasciando che quel rude assassino dalla carne deturpata facesse il suo ingresso in un ambiente non abbastanza ampio da contenere tutte le sue condanne.
    Fu a quel punto che Saul interruppe i passi, solo per un attimo di troppo, sufficiente a strappare dalle labbra dei suoi accompagnatori qualche sollecito, mentre le braccia che lo trattenevano azzardavano qualche strattone poco convinto.
    Seduta in quello stanzino troppo asettico troneggiava il figurino esile di Zara Servantes, la bambina che Saul aveva osservato crescere finché la Spagna non aveva smesso di essere la sua casa. Era cambiata, maturata, ma i grandi occhioni verdi che tanto l'avevano distinta dai membri della famiglia non erano mutati di una sola sfumatura.
    I polsi vennero liberati dalle catene, ma non venne riservato lo stesso trattamento alle caviglie, che per estrema precauzione rimasero costrette in movimenti limitati e tintinnanti.
    Il lupo non le aveva staccato gli occhi di dosso da quando era entrato in quella stanza, ma solo quando le guardie furono uscite si decise a proferire parola.
    “Sei cresciuta.”
    La voce rotolò dalle labbra screpolate con troppa ruggine a sporcarle, disabituate all'oratoria da quando le parole avevano smesso di essere strumenti utili al commercio e alla sopravvivenza.
    Le iridi di brace scrutarono quei lineamenti giovani rivedendo l'infanzia, la famiglia, e anche tutto ciò che lui aveva scelto di non diventare. Un reietto.
    Era così che qualcuno aveva definito Zara quando lei aveva portato via i fratelli più piccoli per allontanarsi con loro dal branco. Qualcuno, non Saul, che quando si trattava della famiglia non riusciva ad impugnare la stessa intransigenza che invece aveva staccato miriadi di teste.
    “Non è sicuro che tu venga qui. È successo qualcosa ai bambini?”
    Si guardò bene dal pronunciare il suo nome, o di specificare qualunque riferimento ad identità circostanti che le orecchie in ascolto avrebbero potuto catturare, e successivamente ritorcergli contro.
    Ma le preoccupazioni espresse erano reali, sinceri. Lo erano sempre quando c'era il sangue di mezzo.
     
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8 replies since 11/1/2017, 20:57   496 views
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