Piccoli, infidi nemici

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    Il colpo di tosse si schiantò sul pugno chiuso.
    Era l'ennesimo, quel giorno. Troppi per credere ad una coincidenza, o per trarre una conclusione diversa da quella più ovvia.
    Un colpo di tosse, il pallore delle mani, la sensazione della febbre. Kostia, i cui studi erano iniziati come quelli di guaritore, era perfettamente in grado di farsi da solo una diagnosi tanto banale, maledicendo mentalmente l'inutilità di tutto quello che aveva fatto per limitare il contagio. Se nonostante le quarantene, le sparizioni e gli incendi controllati il virus era arrivato perfino lì, all'interno di Azkaban, significava che le speranze di contenimento erano ormai davvero minime.
    Doveva scrivere a Michael.


    - Benvenuti - Kostia tossì di nuovo, seduto al capo più estremo della lunga tavolata che occupava la Sala da Pranzo per gli ospiti del castello. Il tavolo sembrava spoglio come il resto della stanza, apparecchiato com'era per tre sole persone. Le pareti di pietra erano interrotte da finestre strette e ampie, che gettavano tagli di luce. Gran parte dell'illuminazione, e del calore venivano da un grosso camino acceso lungo la parete interna - Mi sono permesso di far preparare qualcosa da mangiare, dopo tutto il lavoro di oggi pomeriggio - tossì di nuovo, alzandosi in piedi per accogliere i suoi ospiti. Era un pasto frugale, com'era uso e consumo all'interno di Azkaban.
    Tornò a sedersi solo quando lo fecero anche gli altri. Aveva permesso loro di girare, adeguatamente scortati, per l'interno della prigione e visitare tutti i detenuti che seguivano un regime carcerario normale - quello che comprendeva, quindi, celle normali e un trattamento rispettoso dei diritti umani - in modo da sapere quanti fossero i malati e che misure avrebbero dovuto adottare per impedire l'ampliamento di un contagio ormai determinato - Posso domandarvi quale sia attualmente la situazione precisa? -
     
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  2. Nils.
     
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    Questa giornata non è stata delle migliori. Sono stato tutto il tempo quasi imbalsamato in mille precauzioni. Ci sono malati ovunque, ormai e per noi che facciamo questo lavoro, il contagio è dietro l'angolo. Sono sopravvissuto a una giornata in un luogo buio, troppo per i miei gusti e alle diverse peripezie. La mia collega ed io ci siamo dati un gran da fare, ed ora quest'uomo sembra apparire tanto gentile, da offrirci un pasto. La sua aria mi mette suggestione, sarà anche l'unione del luogo, ma non ho mai mangiato in un luogo del genere. Sta di fatto che ne approfitto. Accenno un mezzo sorriso, quasi tirato alla mia collega Mackenzie che è accanto a me e le faccio strada verso un tavolo poco imbandito.
    "Grazie, non doveva disturbarsi", dico mentre mi accomodo alla mia seggiola. Sembra cordiale, forse è solamente l'impressione, non lo conosco bene da esprimere un giudizio appieno. Sono così stanco che ogni cosa mi appare trascurabile, vorrei tornamene a casa e stendermi sul bel mio letto caldo, ma a quanto pare in questo mestiere non si finisce mai.
    Ciò a cui bado è il colpo di tosse emesso dall'uomo. Non mi sembra così tanto moderno. Ha l'aria grinzosa di chi ha necessariamente bisogno di una visita.
    Credo che lo stare a contatto con i detenuti, non abbia giovato sulla sua salute.
    "Non c'è via di scampo, ormai il virus è in via di espansione". All'Ospedale di Yggdrasil, non abbiamo avuti ancora moltissimi casi, però temo il peggio nei prossimi giorni.
    "Ciò che raccomandiamo, è il fatto di utilizzare misure preventive e protettive per limitare il più possibile la diffusione del virus", mi fermai per qualche secondo, il tempo di riprendere fiato.
    "A quanto pare non c'è ancora una vera e propria cura". Le persone dovevano essere messe davanti al fatto compiuto, dovevano essere informate sulla situazione, niente serviva riempirle di inutili scuse. L'unica cosa per prevenire la diffusione, passa talvolta dall'informazione.
    "Mack, direi di dare una controllata anche a lui, così per essere più sicuri", bisbiglio verso la mia collega, quasi per non farmi sentire dall'uomo. Pavento la sua reazione, in questi casi non so mai come comportarmi.

     
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    Per me non è una cosa normale accettare del cibo, non lo è normalmente figuriamoci quando a offrircelo è il proprietario di Azkaban.
    Io non sono una di quelle con la puzza sotto al naso, ma Azkaban me la fa venire sta puzza, oltre ai mille odori di morte che serpeggiano da ogni spiffero, e devo dire che avendo visitato ogni singola figura presente all'interno di quella fortezza ne ho sentiti a valanghe.
    Ma Nils sembra affamato e io non posso certo fare la rompi scatole.
    -Grazie- dico quindi accomodandomi subito dopo.
    MA NON SONO PER NIENTE D'ACCORDO SU QUESTA COSA.
    E' lampante il fatto che non sta bene.
    Lo colgo dal colorito pallido, dal colpo di tosse e dalle goccioline di sudore che gli imperlano la fronte.
    -Concordo- sussurro in risposta a Nils.
    Non ha senso ribadire quello che ha già detto il mio collega, in fondo questa è la situazione, il virus ha raggiunto anche noi, e sebbene qui il clima torrido ne rallenti la diffusione, resta comunque il fatto che sta per travolgerci come uno Tsunami.
    Mi alzo in piedi e senza se e senza ma mi avvicino a lui – Signore, prima di cenare si faccia visitare.- lo guardo senza proferire altra parola se non un sentito – per favore- che non guasta mai.
     
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2 replies since 30/9/2016, 10:43   60 views
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