Lividi e sudore

Privata

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    « La camera al penultimo piano è riservata al Ministro Moon. Ma per quanto io rifletta non riesco a trovare una sola persona che meriti l'appartamento subito sotto più di te. Non abbiamo molti ospiti, qui, e in ogni caso penso possano arrangiarsi in sistemazioni più sobrie. Non manchiamo comunque di stanze, ai piani inferiori, da offrire a coloro che hanno da lamentarsene. E suppongo sia anche il mio modo per tirarti su il morale. Non ero sicuro che avresti apprezzato un gioiello, in aggiunta. » « Lo apprezzo... molto. » Non è mai salita più sopra delle sue stanze. I piani superiori le erano sempre sembrati una specie di terreno minato. Tutti gli appartamenti erano comunque chiusi a chiave. Venivano riaperti solo quando qualche ospite avesse intenzione di fermarsi per più di qualche ora, e in tutto il tempo della permanenza di Selyse non era mai accaduto. Erano probabilmente stanze i cui mobili erano ricoperte di lenzuola bianche in attesa che qualcuno li occupasse. Quando era arrivata ad Azkaban non avrebbe mai pensato che si sarebbe fermata così a lungo da avere il tempo di esplorarle. A dirla tutta, semmai qualcuno le avesse raccontato che avrebbe vissuto nella nota prigione, non ci avrebbe creduto. La ragazza che era prima non lo avrebbe di certo accettato. Lo avrebbe visto come una tenera imitazione scadente di una casa. « Io no. » Kostia non stava bene e ciò per una qualche ragione che non seppe spiegarsi, le provocò non poco sconforto. Abbassò lo sguardo mordendosi istintivamente il labbro. Frustrante. Quel non parlare era frustrante. « E per molti motivi. Ma per quanto rada sia stata la mia presenza, ho apprezzato moltissimo la tua vicinanza in tutti questi mesi. Quella e la stabilità che è in grado di concedermi. » Si avvicina a una delle porte finestre sul corridoio, aprendola completamente. Fiocchi di neve all'orizzonte. Forse una delle prime nevicate dopo quel perenne freddo glaciale che aveva rinsecchito la poca vegetazione presente in quelle terre desolate. Un piccolo terrazzino che da sul cortile interno ormai deserto della roccaforte. Un sole ormai scomparso all'orizzonte lasciando come unica traccia della sua presenza, qualche raggio violaceo, che penetra debolmente attraverso i nuvoloni grigi. « Ho imparato ad apprezzare ciò che mostri e ciò che nascondi in egual misura, e per quanto poco deontologico sia da parte mia ho iniziato ad apprezzarlo in maniera personale, più che professionale. Dovresti farlo anche tu. Dovresti renderti conto di quanto...bello...possa essere il risultato » Si appoggia alla balaustra scuotendo la testa. Un sorriso triste si incastra su quel volto di porcellana che sembra cedere. In lontananza più in basso, ombre nere pronte a scagliarsi contro le anime dei prigionieri incastonati nelle piccole celle ghiacciate. « Bello? Sarebbe una catastrofe. »
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    Gli occhi chiari si precipitano in quelli di lui. « L'ultima persona in cui io ho riposto la fede che ripongo in te ora non c'è più. Il suo affetto e la mia lealtà sono stati la disfatta di entrambi. Non compirò due volte lo stesso errore. » Suo padre l'amava; per quanto lei possa aver smantellato la sua immagine, per quanto sia stato sciocco e sprovveduto, di una cosa era certa: non sarebbe mai finita in catene se solo Selyse non fosse stata il suo punto debole e se lei avesse avuto anche un minimo di considerazione verso se stessa, lo avrebbe tradito e avrebbe forse evitato di rimanere in catene così a lungo. « Io e te ci capiamo, siamo simili, abbiamo una visione ben diversa da molti nostri colleghi e per questo troviamo forza l'uno nell'altro. Non negherò il fatto che non potremmo mai essere solo amici, sempre se effettivamente conosciamo il significato dell'amicizia, ma non andremmo nemmeno oltre. » Abbassò lo sguardo nuovamente. Era convinta della sua decisione, ma non per questo era più facile da prendere. A volte sarebbe stato così facile semplicemente abbandonarsi. Ma se lo avesse fatto, non sarebbe stata fedele a se stessa. Forse la sua era paura, anzi, lo era di sicuro, ma nessuno può essere costretto ad affrontare i propri demoni. Selyse non era pronta. Forse non lo sarebbe stata mai. Ma per ora stava bene. « Tu sei il mio punto di forza, la mia roccia, non puoi diventare un punto debole. » Sospirò, lo sguardo erto all'universo. « E poi, ciò che ho detto prima, resta comunque in piedi. » Le faceva male. Kostia aveva aperto una ferita che pensava si fosse rimarginata. Non era così. Era più vivida che mai e bruciava. « Basta però parlare di me. E' il tuo turno. Io parlo sempre, ma a volte ho l'impressione di sapere così poco sul tuo conto. Quindi spiegami! Perché? Perché non stai bene? E non provare a rifilarmi le mezze spiegazioni criptiche. Che cosa ti tormenta? »
     
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    Continuò a seguirla con lo sguardo, immobile al centro del corridoio. Ne bevve ogni parola con attenzione, esattamente come aveva fatto con tutte quelle che Selyse aveva pronunciato quel giorno, facendosele rotolare fra i pensieri esattamente come una moneta gli sarebbe rotolata agile fra le nocche. E, proprio come una moneta d'oro lucente, anche quelle parole avevano due facce. Lusinghiere da un lato, ma crudeli dall'altro. Ruvide come la ruggine posata sulla lama di un coltello, e come essa frutto del tempo e dell'incuria. Probabilmente avrebbe dovuto parlarle prima. Mosse un passo, roteando leggermente fino a posarsi con la schiena al muro del corridoio, accanto alla porta della sua stanza. Selyse era una figura che si stagliava pochi passi più in là, il viso alto verso un cielo ormai scuro e i capelli mossi leggermente dal vento che entrava dalla finestra. Si chiese quanto patisse il freddo e, forse per la prima volta dal suo arrivo, indugiò sul ricordo della nudità che l'aveva obbligata a mettere in mostra quel primo pomeriggio. Il primo colpo di martello di una forgia completamente nuova, per lei - Catastrofica è la mancanza di consapevolezza - le rispose. Avrebbe voluto dirle altro, forse avrebbe dovuto, ma era difficile uscire dal ruolo di mentore per calarsi in dei panni che nemmeno lui riusciva a comprendere del tutto - E vorrei tanto che tu potessi vederti con i miei occhi -
    La osservò, poggiata alla balaustra, con lo stesso sguardo assorto con cui avrebbe osservato un quadro che cercava di capire. Un Picasso, dietro le cui forme squadrate si nascondeva la Storia di un intero mondo a lui negato - Non sarai mai un mio punto debole, né io sarò il tuo - rispose con calma. Raramente gli affetti lo erano, e sebbene fosse una verità che ancora faticava a capire era una consapevolezza che gli era cresciuta all'interno dell'animo con il tempo. Era qualcosa che aveva a che fare con la debolezza dell'essere legato a qualcuno e con la forza che questo qualcuno era in grado di dare. E con l'equilibrio fra le due cose - Oppure è tardi e lo sei già diventata, perché se credi di non essere qualcuno per la cui salute darei fuoco all'intero nord significa che non ho saputo mostrarti nulla di quello che penso realmente. Sono molto poche le persone per cui lo farei e tu sei sicuramente fra queste, e lo sei a prescindere da quello che siamo l'uno per l'altra - le spalle si mossero sotto la giacca, in un cenno di noncuranza che non gli apparteneva e che, su di lui, sembrava quasi alieno - Sei sicuramente una persona attraverso cui sarebbe possibile farmi molto male, o che avrebbe la possibilità di farmene, ma il sostegno che ho dalla tua presenza vale qualsiasi rischio io possa correre a riguardo - le confidò, ammettendo qualcosa che altrove non sarebbe mai stato in grado di ammettere. October era l'unica persona di fronte a cui avesse mai parlato in quella maniera.
    Ruotò il viso, puntando lo sguardo sulla finestra che aveva di fronte. Negarsi avrebbe significato negare quanto aveva detto fino a quel momento, eppure non era sicuro di avere parola per descrivere quello che pensava, e che provava, in quel momento - Il timore di fallire - disse infine. Di fronte ai suoi occhi un fioco di neve si scontrò con il vetro della finestra, iniziando a scivolare lentamente. Le parole erano come quel fiocco di neve: un tragitto irregolare e sempre più veloce, capace di consumarti ad ogni sillaba. Probabilmente era per quello che non gli piacevano - Il timore di chi pagherebbe il prezzo dei miei fallimenti - si corresse. Un fiocco di neve. Ciascuno diverso da tutti gli altri - Ho iniziato questa vita da solo e sapevo quali erano i rischi. Potevo vincere e potevo perdere, e l'idea di diventare un cadavere gettato in un fosso non mi turbava. Non credo mi turberebbe nemmeno ora - vincere o perdere, vivere o morire. Non lo avevano mai toccato - Ho vinto - riprese - E le dimensioni di un mio fallimento sarebbero le stesse del mio regno. Una mia disfatta colpirebbe Fiona, Danielle, October e Michael. Raderebbe al suolo Azkaban, e tutto quello che ho costruito, dentro questa fortezza e al Ministero. Farebbe del male a te - un solo cenno del capo, prima verso destra e poi verso sinistra - Credo che la consapevolezza di questo timore sia ciò che mi spinge ad essere più preciso. Più inflessibile. Più cattivo -
     
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16 replies since 1/7/2016, 10:10   272 views
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