Lividi e sudore

Privata

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    Il grosso pugno di pietra si abbatté al suolo, scheggiando il marmo nel punto esatto in cui fino a pochi attimi prima si era trovata la nuca sudata di Kostia. Un attimo dopo una spada dello stesso materiale, non molto affilata ma lungo quanto l'ucraino era alto, tagliò l'aria in orizzontale rischiando seriamente di aprirlo in due. Kostia, che aveva posato in terra un ginocchio per potersi rialzare, fu costretto a gettarsi di nuovo a terra e a rotolare via. Una delle tre enormi statue che aveva animato come avversarie gli si gettò contro, cercando di schiacciarlo sotto un piede.
    Forse era finalmente arrivato il momento di ammettere che la situazione gli era un pochino sfuggita di mano.


    Per la prima volta da quando era venuto al mondo, era la sua vita che gli stava sfuggendo di mano.
    Kostia non era mai stato un uomo facile ai dubbi, e raramente tornava sui suoi passi una volta che prendeva una decisione. Era per quello che rifletteva tanto, e con tanta cura: perché sapeva che una volta messo in moto il meccanismo delle azioni fermarsi sarebbe stato molto più difficile che andare avanti. Era sempre stato così, fin da bambino. Prima si pensava al "cosa" e poi al "come".
    Lo aveva sempre trovato semplice.
    Rassicurante.



    Il "come" più urgente era però, in quel momento, riferito a come sopravvivere.
    Il "cosa" era stato più semplice da stabilire. Doveva distrarsi e, dato che non c'era alcun lavoro stimolante da fare, allenarsi gli era sembrata una buona idea. Ma allenarsi davvero, con qualcosa che lo mettesse alla prova al punto da permettere alla parte inconscia della sua mente, quella dove solitamente lasciava riposare i problemi che richiedevano una riflessione più lunga e accurata, di lavorare con la dovuta calma. Era stato per quello che si era vestito comodamente, si era recato in una delle sale più ampie del castello e lì aveva animato tre delle enormi statue che di solito usavano per gli allenamenti più intensi. Statue di guerrieri altre tre metri, con spada e scudo. Statue cattive.
    Forse troppo cattive.


    Michael gli aveva chiesto di stare calmo e di non fare niente.
    Blocca tutto gli aveva detto, e quando Kostia gli aveva chiesto a cosa si riferisse il Ministro della Magia del Nord si era stretto nelle spalle Tutto aveva ripetuto. Tutto quello che non fosse la semplice sorveglianza Nazionale e Internazionale almeno. Niente progetti, niente indagini, niente infiltrazioni.
    Niente cui potesse davvero dedicarsi.
    Fai il papà, prenditi una vacanza, trovati un hobby, non so...ma teniamo la testa bassa per un po', ti spiace?
    E lui aveva dovuto chinare il capo e obbedire.



    - Bombarda Maxima! - una delle statue esplose in una nube di frammenti di roccia. L'onda d'urto lo fece barcollare all'indietro, dritto nel raggio d'azione di una delle altre due creature di pietra. Uno scudo di pietra lo colpì sul lato sinistro del torace, appena ammortizzato dal braccio piegato, mandandolo a sbattere contro il muro. Per un attimo vide tutto nero, poi i polmoni ricominciarono a funzionare e lui si abbassò di scatto, evitando un nuovo colpo. L'importante in quella condizioni era non fermarsi mai.
    - Sectusempra! - castò alla cieca, alle sua spalle. Il braccio della statua cadde in terra, continuando a cercare di ghermirlo.
    Sorrise mentre ruotava su se stesso, finendo di tagliare in tre parti il nuovo nemico.
    La verità era che ci provava gusto.
    Un sacco di gusto.


    Aveva passato del tempo con Fiona e Danielle, aveva ispezionato Azkaban da cima a fondo e studiato tutti i contatti due volte.
    Aveva provato ad andare a Londra ma lui e Fiona non stavano insieme, e passare troppo tempo uno accanto all'altro finiva sempre per essere più deleterio che produttivo così aveva dovuto tornare alla sua fortezza nel tentativo di dedicarsi ad un lavoro che non aveva particolari stimoli in quel periodo.
    Aveva fame Kostia.
    Fame di sfide, fame di risultati, fame di conquista.
    Non gli era mai accaduto prima di allora ed era una situazione in cui lui, che di solito curava la gestione delle proprie conquiste tanto quanto la campagna per ottenerle, faticava a riconoscersi. Sentiva il bisogno di muoversi, di attaccare, di raggiungere obiettivi.
    Il bisogno di Vincere.


    - Regholov! - serrò i denti, mentre la frusta di fuoco sibilava in aria e si arrotolava intorno al corpo dell'unico nemico rimasto. Tirò verso di sé, aumentando la pressione della fiamma sulla roccia. La statua avanzò di un passo. Poi di un secondo, tentennando. Kostia tirò ancora, e la frusta compì un nuovo giro, stavolta intorno alla gamba di pietra. Il calore della fiamma stava scurendo la pietra della statua, annerendola e scavandovi un nuovo solco ad ogni movimento dell'Ucraino.
    Un gemito gli sfuggì dalle labbra, sfuggendo ai denti stretti.
    - Gravis Inversio! - la gravità intorno alla statua cambiò di colpo, scaraventandola verso l'alto, dritta contro il soffitto. Era un incanto difficile, anche per lui, e faticò a tenerlo per più di qualche attimo. Un istante dopo la statua crollò al suolo, finendo di spaccarsi.
    Kostia cadde seduto, lasciandosi scivolare contro il muro, ansimante.


    ...o forse solo di farsi male.
     
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    Le urla si erano susseguite per tutto lo scorso pomeriggio e per tutta la notte. Solo poco prima dell'alba aveva deciso di confessare. Era stato un interrogatorio lungo e difficile. Il prigioniero aveva opposto non poca resistenza, ma alla fine persino i migliori cedono. Se inizialmente era rimasto alquanto divertito dal carnefice che gli avevano mandato, alla fine aveva implorato come un bambino indifeso di smettere. Succede così all'inferno; sei sulla croce e ti lasci torturare, finché alla fine non accetti di esserci già nel gioco, scendi dalla croce e torturi a tua volta. Per Selyse non era stato proprio così. Quel sangue freddo, quell'indifferenza verso chi si mettesse contro i suoi obiettivi e contro gli obiettivi di ciò in cui credeva, ce l'aveva sempre avuto. Era solo questione di tempo prima di capire che lei era nata per appartenere a quel mondo. Era solo questione di tempo prima di metabolizzare quanto già intuiva da molto tempo. Era una predatrice, un carnefice, non certo una preda. Rimanere nella prigione quale stabile ospite, era la decisione migliore che avesse preso. Si era posta al servizio del padrone di casa, dimostrandosi non solo una valida risorsa nelle missioni oltre le mura dell'ormai accogliente fortezza, ma anche all'interno di quest'ultimo. La porta della cella si apre verso le nove del mattino. Le occhiaie della rossa sono il pegno da pagare per tutto lo sforzo e l'impegno messo nell'estorcere quelle informazioni. Avrebbe potuto strappargliele a forza, le parole. Avrebbe potuto usare il veritaserum. Un tempo Selyse credeva nel rispetto dell'essenza umana, nella garanzia e la tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, ma lentamente quel suo nuovo mondo, quella vita che aveva scelto, le aveva insegnato che gli impianti giuridici altro non sono che una tenera ipocrisia dietro cui si nascondevano perverse personalità. Non c'era giustizia nel fargliela passare liscia, a quel delinquente che aveva spudoratamente provato a far passare informazioni riservate al governo inglese. La condanna definitiva poi, il bacio del dissennatore, sarebbe stata una punizione sin troppo blanda. La semplice morte era clemente. Esce dalla cella e saluta il comandante delle guardie, Herbert, con un cenno della testa. Gli porge la fialetta con il ricordo della testimonianza del galeotto e lo supera senza dire altro. Prende le sue cose, lasciate alloggiare nel corridoio, si pulisce la faccia degli schizzi di sangue, per poi usare lo stesso asciugamano per andare a rimuovere i residui di sangue anche dalle mani e dalle braccia. Nessuna emozione traspare dal volto della giovane. Hanno creato un mostro. Un fedele e pacato, quanto letale, mostro.

    « E' lì da stamattina? » Il tono di lei sembra quasi preoccupato. Forse piuttosto sorpreso. Succede spesso che Kostia torni al castello e scompaia senza nemmeno salutarla. Succede spesso che non consideri la compagnia di nessuno. E' strano il giovane Mangiamorte, ma Selyse non si è mai lamentata. Si fida di lui e sa che qualunque sua reazione ha tutte le ragioni di essere. « Ho sentito un sacco di rimbombi. Credo si stia allenando, sì. » « E non ha fatto altro. » Una domanda implicita. Non lo aveva visto allenarsi molte volte nella fortezza da quando era lì. D'altronde, troppe cose lo avevano tenuto lontano da quei semplici momenti di relax. « Ha chiesto di non essere disturbato. O meglio, lo ha fatto intendere, sbattendo la porta in faccia al povero Peter, quando gli ha chiesto che cosa deve farsene dei detenuti nel reparto E. » La rossa alza gli occhi al cielo. « Tu come stai? » Che cosa dovrebbe rispondere, Selyse? Quel briciolo di moralità di cui sono intinti persino gli animi dei più oscuri, dovrebbe rispondere che prova qualcosa, qualunque cosa. Piacere, orrore, dispiacere, terrore. Selyse non provava nulla. Assolutamente nulla. Gli sorride appena amaramente, stringendosi nelle spalle. Non sa cosa rispondere di preciso. « Stanca. » Si dirigono a passo felpato verso l'unico punto di osservazione della sala, una specie di finestra oscurata, che permette di godersi gli allenamenti, senza che gli stessi atleti sappiano di essere osservati. Chissà quante volte lui l'ha osservata da lì su prima di darle un po' di fiducia? Si siede sulla panca in legno e assiste inerme. Jason è pronto a sedersi accanto a lei, ma la giovane Deveraux lo guarda con disapprovazione. « Non hai altro da fare? » Si ferma poco prima di sedersi e la guarda con aria dispiaciuta. Evidentemente Jason pensa che loro due sono amici. Non è affatto così. La rossa lo tollera, forse è addirittura arrivata a provare una strana specie di affetto nei suoi confronti, ma questo non significa che può permettersi certe confidenze. Gira i tacchi e se ne va, lasciando Selyse osservare in silenzio e in solitudine il suo maestro che si allena. Ha deciso di rendere quella sessione particolarmente difficile. Quando la spada di pietra di una delle statue lisciò di poco il biondo, la francese sussultò appena. Cosa stava facendo? Era da folli. Se voleva farsi uccidere, quello era un buon modo.
    Si alza e inizia a camminare lungo gli stretti funicoli che separano il punto di osservazione della sala, dalla sua entrata. Scende una serie di scale e scivola lungo gli strettissimi corridoi. Goccioline salate dovute alle infiltrazioni, scendono lungo le braccia scoperte, avanzando sulle ferite ancora fresche dell'ultima missione. Si morde appena il labbro inferiore per ignorare il bruciore, e avanza ancora finché non si ritrova di fronte alla doppia porta della sala. I passi di lei presero a rimbombare nella grande stanza mentre avanzava. Le statue ormai fatte a pezzi; in compenso anche Kostia non era messo poi molto bene. Ansimante, appoggiato contro la parete; un leggero graffio lasciava sgorgare un filo di sangue lungo la sua guancia. Forse una scheggia. « Se stai cercando di farti uccidere, dovresti sapere che conosco metodi ben più semplici. » Veleno. Era diventato una firma, un'impronta. Non doveva sporcarsi le mani, a meno che non lo volesse o a meno che non fosse stato troppo difficile da attuare. In fin dei conti era diventato quasi come uno scarico di responsabilità. Era un modo di uccidere così impersonale. Così freddo. Così distaccato. Si siede di fronte a lui e allunga la mano verso la sua guancia, fermando il flusso del sangue con un dito. Ne elimina ogni traccia. « Non vedo l'ora di sentire tutti i tuoi racconti. » E' fredda, impassibile, si concentra sulla ferita in modo quasi ossessivo. « Devo approfittarne. D'altronde non scrivi mai, non ti fai sentire. » In realtà non poteva biasimarlo. Non è che Kostia fosse sparito. E' semplicemente che la maggior parte delle volte in cui lui tornava, lei era via, e viceversa. Un po' le era mancato. Le era mancato il suo consiglio, il sentirsi a suo agio con una persona. Le erano le loro semplici conversazioni, persino lo stare in silenzio senza il bisogno di parlare. « Come stanno Danielle e Fiona? » Semplice domanda di circostanza. Sapeva già stessero bene. Se Kostia era lontano da loro, le due erano certamente oltremondo protette. « La piccola deve essere già parecchio cresciuta. » Non si sentiva del tutto a suo agio nel parlare di famiglie. Di tutte le cose che aveva imparato a conoscere e capire del giovane Preud, la sua famiglia era una di quelle cose che non capiva. Ma non era certamente colpa del giovane; era solo questione di punti di vista. Lei una famiglia non la contemplava. Non contemplava nessun tipo di legame; i legami sono debolezza, a maggior ragione i figli. Selyse ne era stata vittima, e non avrebbe permesso che qualcun altro, sangue del suo sangue, soffrisse per azioni ed errori compiuti dai suoi genitori e nonni. Prese a guardarsi intorno. Le statue frantumate ovunque nella stanza. « E questa carneficina? » Sapeva di non avere alcun diritto di chiedergli spiegazioni, tanto meno poteva pretendere che lui si sfogasse con lei, qualunque problema avesse, ma forse, un po' ci sperava.




    Edited by « mother of evil » - 20/8/2016, 08:38
     
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    Una goccia di sudore si staccò dall'attaccatura dei capelli di Kostia, scavando un solco nella polvere che ne macchiava la tempia e sposandosi poi con il rivolo di sangue che, denso, proseguiva verso la linea contratta della sua mascella. Una volta lì le gocce di sangue restavano aggrappate in una stoica sfida alla legge di gravità per qualche momento appena, per poi precipitare una dopo l'altra a sporcare la maglia del Signore di Azkaban. Kostia non parve accorgersene. Restava seduto in terra a contare i propri respiri, gli avambracci posati alle ginocchia e la bacchetta a dondolare pigramente fra le dita della mano destra. Il muro gli era scomodo contro la schiena, ma nemmeno quello pareva disturbare l'immobilità in cui si era rinchiuso: i pensieri viaggiavano veloci dietro lo sguardo fisso dell'ucraino, quasi a voler compensa l'apparenza di pietra in cui si era rifugiato. Erano pensieri oscuri e roventi, di quelli che raramente gli avevano attraversato la testa nel corso della sua vita.
    Pensieri cattivi.
    Pensieri roventi.
    Il rumore del portone che si apriva lo obbligò a spostare le iridi verso l'ingresso. Solo quelle, ad inquadrare un nuovo bersaglio. Decise che avrebbe ucciso la prima persona che si fosse trovata ad attraversare quella porta, per il solo gusto di farlo. Quel combattimento lo aveva soddisfatto, almeno in parte, ma aveva bisogno di qualcosa di più per potersi alzare da lì e tornare al proprio lavoro: aveva bisogno di cogliere il frutto di una vita per il solo capriccio di farlo e poi di gettarlo via, senza nemmeno disturbarsi a nutrirsene. Era quello di cui aveva voglia, se non quello di cui aveva bisogno. Una morte che non fosse utile a nessuno, un semplice sacrificio sull'altare della sua rabbia, della sua insofferenza e della sua frustrazione.

    Esattamente il genere di cosa che aveva sempre disprezzato negli altri, perfino in Michael.

    Fu contento che il primo volto ad entrare in quella stanza fosse quello di Selyse. Di tutte le persone che vivevano ad Azkaban lei era una delle poche che aveva per lui un qualche tipo di significato. Qualcosa di personale nascosto proprio lì, nel campo in cui stava seminando i concetti che avevano guidato la sua vita fin dall'infanzia in ucraina. Lì, dove quei concetti stavano facendo presa in un modo tale che era impossibile non sentirsene orgogliosi. La osservò mentre attraversava la Sala. Emanava eleganza e regalità mentre si muoveva, e Kostia non poté evitare di chiedersi se non le avesse concesso troppa fiducia nel corso di quei mesi. Era così che andava: si addestrava un erede e ci si trovava di fronte un rivale ansioso di prendere possesso di qualcosa che riteneva suo. Si chiese se Selyse avrebbe mai desiderato il suo dominio al punto da ucciderlo per averlo. Poi si chiese se Michael avesse mai avuto quei timori nei suoi, di confronti.
    Probabilmente sì, si disse.
    Probabilmente era per quello che Kostia aveva passato un anno senza il proprio cuore nel petto.
    Mosse di nuovo gli occhi, tornando a puntarli nel vuoto di fronte a sé. Lì, dove il libro dei suoi pensieri continuava a sfogliarsi una pagina via l'altra - Avevo bisogno di schiarirmi la mente - la voce, resa roca dalla polvere e dalla fatica, liberò quelle poche parole come unica risposta a tutte le sue domande. Non voleva parlare di Fiona, non voleva parlare di Danielle, non voleva parlare di niente e quello, forse, era parte del problema. Non aveva motivo per non parlarne, solo non voleva.
    Capriccioso come un bambino.
    Debole ed emotivo, come un bambino.
    All'improvviso trovò tremendamente tranquillizzante l'idea che gli incantesimi di sangue lanciati su Azkaban gli facessero da polizza sulla vita. Se fosse stato in uno dei suoi nemici avrebbe scelto proprio quel momento per attaccarlo e distruggerlo. Così era la vita e così era il mestiere. Amen - Danielle sta bene, grazie. Anche Fiona - una cosa alla volta, un passo alla volta.
    Il viso di Selyse tornò a occupare il suo campo visivo, stavolta molto più vicino. Kostia ruotò appena il viso, lasciando che lei gli sfiorasse la guancia. Che lo medicasse. Un simile gesto poteva essere più intimo di un bacio se scambiato fra due persone tanto restie all'intimità fisica - Temo di avere esagerato un po' stavolta. Erano molti i pensieri da cui dovevo affrancarmi - intimo quanto quell'ammissione. Indicò con un cenno del capo la feritoia da cui, sapeva, qualcuno avrebbe potuto osservarli - Chiudila, ti spiace? - un ordine gentile, che non si aspettava venisse ignorato. Non voleva essere spiato, ne osservato. Non mentre si trovava lì con lei.
    Più intimo delle visite di Coco nei suoi appartamenti, parecchi piani più sopra.
    Dischiuse le labbra, esalando un sospiro - Da quello che ho letto credo sia tu ad avere molto da raccontarmi, Selyse -
     
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    « Avevo bisogno di schiarirmi la mente. » Una risposta secca, che più di una spiegazione, che in realtà Selyse si aspettava, sembrava un comportamento del tutto insolito per il giovane Kostia. Del resto, si potrebbe dire che lui non abbia mai mostrato apertamente nei confronti di Selyse alcun tipo di sbilanciamento. Poteva essere una risposta più che consona al comportamento che avevano tenuto fino a quel momento. Eppure, la rossa era brava a osservare i comportamenti delle persone. Mentre combatteva, Kostia sembrava irriverente, a tratti persino disattento, poco scrupoloso, segno che, qualunque cosa lo affliggesse era qualcosa di piuttosto serio. « Danielle sta bene, grazie. Anche Fiona. » Una risposta secca, niente di più per una di quelle poche persone che in fin dei conti era lì quando la bambina è nata. Nessun racconto da padre premuroso, orgoglioso della propria figlia infante. Nulla su un eventuale passo mancato, su una gita o una passeggiata fatta insieme. Nessun tipo di confidenza. E anche questo poteva rientrare nei soliti comportamenti che vedevano coinvolti Selyse e Kostia. Eppure quella ostentata freddezza era già stata vinta, molto tempo addietro. Lui si era confidata con lei, le aveva raccontato della sua vita, lei dal canto suo si era trovata spesso a parlargli dei suoi piani, degli obiettivi che aveva raggiunto e che doveva ancora raggiungere. Si era sviluppata velatamente una certa confidenza tra i due, scandita più da silenzi che da vere e proprie parole. A modo loro, avevano imparato a conoscersi non attraverso parole a profusione, ma proprio attraverso le parole non dette. Ormai, alla rossa bastava uno sguardo del suo mentore per capire cosa fare e cosa non fare, come comportarsi e come non comportarsi. Aveva sviluppato una specie di sesto senso nei suoi confronti. Forse aveva imparato a capirlo. Forse ormai erano arrivati al punto di comprendersi più che conoscersi, e ciò valeva più di molto altro che Selyse avesse sperimentato e approfondito nella sua breve vita. « Temo di avere esagerato un po' stavolta. Erano molti i pensieri da cui dovevo affrancarmi. » Non commenta nemmeno questa volta. Ha paura che se dovesse dire qualcosa, potrebbe interrompere quella specie di dialogo che sembra piuttosto condurre avanti con se stesso. Acconsente infine di oscurare la finestra con un gesto della bacchetta. Le inferiate dall'altra parte della finestra si chiudono con uno scatto impedendo a chiunque potesse spiarli di guardare all'interno della sala. « Da quello che ho letto credo sia tu ad avere molto da raccontarmi, Selyse. » Sorride cautamente e abbassa lo sguardo. Potrebbe essere un modo per spostare l'attenzione da se stesso alla giovane, ma la conosce, e ben sa che Selyse non ama l'autoesaltazione. Tutto ciò che ha fatto lo ha fatto per semplice senso del dovere, per passione, per riconoscenza. Lo ha fatto perché quello era ormai il suo lavoro. Un lavoro che volente o nolente, comprendeva a volte anche coprirgli le spalle, per quanto le fosse possibile. Un leggero velo di soddisfazione prende a colorire il suo volto pallido, mentre gli occhi verdi ricercano quelli di ghiaccio di lui. « Le cose stanno andando molto bene, tanto qui dentro quanto là fuori. C'è sempre molto da fare e io non potrei esserne più soddisfatta. » Era in fin dei conti per questo motivo che si era spinta così a Nord. Una vita votata alla carriera, sposata al lavoro e alla causa che le è sempre appartenuta, che le scorreva tra le vene prima ancora di esserne cosciente. « Qui poi tutto sta funzionando bene. Da quando Herbert mi ha affidato gli interrogatori ha più tempo di gestire i turni e l'amministrazione. Ce la stiamo cavando molto bene. » E quello sembrava il tipico discorso del non abbiamo bisogno di te. Sperava fosse passato quel discorso. O meglio, un po' lo desiderava. Tenerlo sulle spine, stuzzicarlo, dargli persino fastidio, sembrava un bel modo per renderlo anche solo per una manciata di secondi più reattivo. Si alza in piedi. « Insomma, Azkaban se la cava benissimo anche senza di te. » Pausa. « Ma non esiste, quanto meno in questa forma, senza di te. » E dicendo ciò gli allunga la mano destra pronta ad aiutarlo a rialzarsi. « Quindi esagera di meno la prossima volta. » Non lo avrebbe mai ammesso ma un po' si era preoccupata. Quello spadone enorme avrebbe potuto schiacciarlo. Mai in una sessione di allenamento aveva visto delle statue così feroci. Fosse stato qualcuno altro non avrebbe retto il confronto. Infine si tolse la giacca in pelle della divisa, fece altrettanto con gli stivali a tacco vertiginoso. Con un leggero movimento della bacchetta fece apparire di fronte a sé due bastoni da allenamento in legno, come quelli che usavano ogni mattina per riscaldarsi. « E se proprio devi esagerare, fallo quanto meno con stile, contro un essere senziente. » Lasciò che afferrasse una delle due armi e gli sorrise maliziosamente. « Ci stai? » Non aveva il coraggio di farlo parlare, o forse aveva paura di farlo, forse in realtà non voleva semplicemente superare altri step ancora, ma poteva quanto meno farlo sfogare, in un modo meno distruttivo quantomeno.



    Edited by « mother of evil » - 20/8/2016, 08:39
     
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    Le parole di Selyse gli descrissero una situazione che Kostia conosceva già per averla letta in centinaia di rapporti e sentita da decine di voci prima della sua. Era la descrizione di una struttura che funzionava a pieno regime, ordinata ed efficiente come mai lo era stata prima di quel momento, un'organizzazione che avrebbe potuto sopravvivere senza troppi problemi alla perdita della propria testa, sopravvivere e continuare a lavorare. C'era di che esserne orgoglioso e Kostia, nella sua maniera gelida e impersonale, lo era. Era orgoglioso del lavoro che stavano facendo lì, e del modo impeccabile in cui lo svolgevano - Un luogo come questo ha senso solo nel momento in cui nessuno, me compreso, è indispensabile alla sua sopravvivenza. In cui è la struttura stessa che assorbe e reagisce naturalmente a qualsiasi problematica possa presentarsi - le sorrise, di un sorriso accennato che coinvolgeva le sole labbra - Un luogo in cui un capo è utile, ma non necessario - e quella poteva essere la più amara delle lezioni che Kostia aveva da trasmetterle, quella che per anni aveva faticato anche lui a interiorizzare. Costruire qualcosa come ciò che lui aveva fatto ad Azkaban non era troppo diverso dal crescere un figlio: ciò che si faceva all'inizio era importante e lasciava un'impronta per sempre, ma l'obiettivo non poteva essere quello di accompagnarlo tenendolo per mano lungo tutta la sua vita. Bisognava insegnargli ad avanzare da solo.
    Solo che Kostia stava scoprendo in quei giorni che, proprio come un padre, il non sentirsi indispensabile poteva essere più fastidioso di quanto non avrebbe creduto in passato.
    Afferrò il bastone che Selyse aveva evocato, usandolo come appoggio per alzarsi in piedi. Gli faceva male tutto il lato destro del corpo, là dove aveva sbattuto contro il muro, e un dolore acuto gli percorreva tutta la lunghezza della gamba sinistra, dietro, dal gluteo fino al ginocchio. Nel migliore dei casi si era stirato un muscolo. Nel peggiore si era lacerato un tendine - Con te? - le domandò zoppicando fino a mettersi in posizione di fronte a lei. Dovette usare il bastone come appoggio fino a lì, ma non la credeva tanto stupida da credere che all'improvviso quell'appoggio gli fosse diventato indispensabile. L'aveva addestrata meglio di così - Sempre - annuì serio. Non tanto stupida da credere quell'appoggio indispensabile ma nemmeno tanto ingenua da non rendersi conto di quanto fosse sofferente. Sicuramente sarebbe stato un incontro più stimolante di quello con le statue.
    - Quando ho iniziato a interessarmi alle basi del nostro mestiere mi sono convinto che il dolore portasse con sé la verità - prese a dirle. Se anche era vero che non esisteva il momento perfetto per una confessione come quella, altrettanto vero era che non ne esisteva uno del tutto sbagliato - Molte delle emozioni più forti la portano con sé. L'amore, l'odio, il disprezzo...tutti momenti in cui la mente è troppo concentrata sull'essenza della cosa per poter valutare la menzogna. Sono i momenti in cui siamo più sinceri con noi stessi e con ciò che ci circonda. Solo che il dolore, fra tutte, è l'unica di queste sensazioni che possiamo controllare nel prossimo - ruotò appena il busto, tenendo il fiano destro in avanti e tutto il peso del corpo su quella gamba. La sinistra era posata all'indietro, a dare solo stabilità. Si passò il bastone nella mano destra, facendolo roteare con grazia di fronte a sé. Lo mosse di scatto, mandandolo a impattare con un tonfo sonoro contro quello di Selyse.
    - E in noi stessi - specificò - Ero giovane e si tratta sicuramente di una visione un po' ingenua della cosa, ma non ho mai trovato modo di staccarmene del tutto. Ma trovo ancora catartico l'effetto che l'esercizio fisico spinto verso l'estremo hanno sulla mente umana, sulla mia nello specifico. La difficoltà della cosa, il dolore che deriva dal più piccolo errore, la rilassatezza della cura...tutte cose che mi aiutano a rimettere in ordine i pensieri - e detto quello scivolò in avanti, alzando di scatto il bastone in un attacco mirato al suo fianco sinistro.
     
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    « Un luogo come questo ha senso solo nel momento in cui nessuno, me compreso, è indispensabile alla sua sopravvivenza. In cui è la struttura stessa che assorbe e reagisce naturalmente a qualsiasi problematica possa presentarsi. Un luogo in cui un capo è utile, ma non necessario. » Selyse ascolta in silenzio. Non è d'accordo con il maestro, d'altronde non sarebbe nemmeno la prima volta. In passato avrebbe avuto paura di condividere con lui i suoi pensieri, ora non è più così, non perché pensi che lui potrebbe chiudere un occhio di fronte a una sua presunta insubordinazione, bensì perché ha capito quanto simili sono in realtà, quanto i loro schemi mentali possano essere in fin dei conti tangibili. Lo guarda mentre si alza pronto a combattere. Nonostante è visibile non sia in piene forze, resta sempre elegante, grazioso nei suoi movimenti, quasi come se danzasse su uno specchio d'acqua. « Quando ho iniziato a interessarmi alle basi del nostro mestiere mi sono convinto che il dolore portasse con sé la verità. Molte delle emozioni più forti la portano con sé. L'amore, l'odio, il disprezzo...tutti momenti in cui la mente è troppo concentrata sull'essenza della cosa per poter valutare la menzogna. Sono i momenti in cui siamo più sinceri con noi stessi e con ciò che ci circonda. Solo che il dolore, fra tutte, è l'unica di queste sensazioni che possiamo controllare nel prossimo. E in noi stessi. » Selyse aveva scelto una strada diversa. Selyse aveva scelto di seppellire, di dimenticare, forse addirittura di mentire a se stessa oltre a chiunque si trovasse di fronte a sé. Non c'era forse un unico momento in cui la giovane fosse del tutto vera. Non perché fosse cosciente della menzogna in cui vivesse, semplicemente perché si tratteneva, si controllava, calcolava minuziosamente ogni movimento, soppesava ogni parola cosciente che non avrebbe potuto ritirarla e che prima o poi le si sarebbe ritorta contro. Ogni nostra azione, anche la più piccola, anche la più insignificante, può dar vita a meccanismi incontrollabili, una catena difficile se non addirittura impossibile da fermare. Il suono dei bastoni che si scontrano mette fine all'iniziale silenzio che si era andato a creare nella sala. « Ero giovane e si tratta sicuramente di una visione un po' ingenua della cosa, ma non ho mai trovato modo di staccarmene del tutto. Ma trovo ancora catartico l'effetto che l'esercizio fisico spinto verso l'estremo hanno sulla mente umana, sulla mia nello specifico. La difficoltà della cosa, il dolore che deriva dal più piccolo errore, la rilassatezza della cura...tutte cose che mi aiutano a rimettere in ordine i pensieri. » Non poteva dargli torto tuttavia. Lei per prima aveva seppellito parte dei suoi demoni attraverso l'esercizio, attraverso la diligenza e la disciplina delle arti che aveva imparato sotto la supervisione delle guardie di Azkaban. Il colpo dei bastoni taglia nuovamente la tensione che soavemente prende ad avvolgere lo scontro. Per poco non la colpiva. Non aveva certamente la presunzione di batterlo, non era nemmeno quello il suo intento. Sorride con un che di soddisfatto mentre porta lo sguardo chiaro dal suo volto all'intreccio di bastoni nel punto esatto in cui Kostia ha provato a colpirla. « Ti sbagli. » Una piroetta l'aiuta ad allontanarsi dal punto caldo in cui lui avrebbe potuto voler colpire nuovamente. Quando a dividerli è di nuovo una certa distanza, rotea il bastone tornando in posizione di attacco. « Non ci sono leader utili ma non necessari. » Anche quando la testa di un movimento viene mozzata e una nuova ne nasce, solitamente quest'ultima seguirà le orme della prima, o finirà per portare un qualunque credo o lealtà su una strada completamente diversa da quella iniziale. « Così come non tutti nascono leader. Si chiamano leader per questo; perché sono indispensabili. » Avanza; un primo colpo contro la sua arma. Lo scocco rimbomba nella stanza completamente vuota. « Tu non sei utile. » Un altro colpo. « O necessario. » Altro colpo. « Sei indispensabile. » Un ultimo colpo prima di indietreggiare in posizione di difesa. « Quando ho finito l'addestramento mi hai detto che potevo avere qualunque cosa. Potevo seguire la mia naturale vocazione, fare l'avvocato, aspirare al rispetto e alla fama che la Corte di Giustizia porta con sé. Potevo fare l'Auror, bearmi dei miei successi agli occhi dei più altolocati membri della nostra comunità. Potevo sentirmi speciale perché tutti avrebbero ammirato il mio operato. » L'Intelligence era qualcos'altro. Era agire nell'ombra, all'oscuro dei più. Lavorare in quell'ambito significava rimanere perennemente sconosciuti, prendere decisioni difficili e assumersi innumerevoli responsabilità. Ogni missione era un'incognita, ogni indagine anche la meno importante, significava avere tra le mani un pezzo della sicurezza nazionale. Un unico errore avrebbe fatto scattare una catena di eventi imprevedibili. Non c'era spazio per molti errori in ciò che facevano e Azkaban era un pezzo di tutto quel disegno. « Potevo vivere in una grande casa tutta per me, cibarmi di ostriche e caviale e organizzare grandi feste come ha sempre fatto la mia famiglia. Potevo essere una dei tanti. » Si prepara a un'eventuale attacco. Non si è certamente scordata che sono ancora in pieno combattimento. Stringe il bastone tra le dita con più forza mentre si rende conto di lasciar finalmente un pezzo vero di sé a qualcun altro. Una confessione più unica che rara che non avrebbe ripetuto una seconda volta. « Invece ho scelto te. Ho scelto questo. Perché le tue guardie ubbidiscono non perché ti temono ma perché ti rispettano. I tuoi uomini ti sono leali non perché hanno paura delle ripercussioni dell'insubordinazione. Lo fanno perché riconoscono la tua posizione di leader. » Sospira. Non era certa di poter dire la stessa cosa di tutti gli uomini di fiducia di Moon. Ognuno aveva d'altronde il suo modo di condurre le cose. Non c'era davvero un modo giusto o sbagliato. C'erano solo metodi più o meno agevoli e funzionanti. Si adattavano alla personalità di ognuno di loro. « Fai quello devi fare, fai quello che ti fa sentire meglio con te stesso, ma ricorda che ero seria quando dicevo che questo posto non esiste senza di te. » Selyse stessa non avrebbe mostrato lo stesso grado di lealtà verso qualcun altro. Le cose girano così. C'è chi può e chi non può.


    Edited by « mother of evil » - 20/8/2016, 08:39
     
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    Il rumore dei bastoni che impattavano uno contro l'altro riempiva l'aria, rimbalzando contro i muri di pietra nera e dando il ritmo alla timida danza che stavano eseguendo. Kostia parò un colpo diretto alla gamba sana, piegando poi il corpo per evitare un affondo diretto al busto. Vide un varco nella difesa di Selyse ma, prima che potesse approfittarne, la ragazza si era già dileguata. Era stanco e dolorante, e ciò lo rendeva lento. Non innocuo, certo, ma comunque lento. Sorrise quando lesse nello sguardo della rossa la consapevolezza delle sue debolezze. Lui era lento perché era stanco, lei perché gli stava prendendo le misure. Mosse la testa, evitando di un soffio un nuovo colpo, senza tuttavia contrattaccare ancora. Non poteva farlo a vuoto, dandole la misura della sua lentezza, ne aveva intenzione di sprecare energie. Avrebbe colpito quando fosse stato sicuro, e avrebbe colpito una volta sola.
    Indietreggiò, prendendo nuovamente le distanze. I polmoni si gonfiavano regolari, a prendere quanta più aria possibile - Non ho mai desiderato essere un leader. Ne lo desidero tuttora - il che, ovviamente, non incideva di una sola virgola in ciò che stava dicendo Selyse, ne cambiava la percezione che gli altri avevano di lui. Non era tanto stolto da non rendersene conto. La fissò in volto, muovendo un passo all'indietro per ciascuno di quelli che lei muoveva in avanti, quasi temesse che la ragazza azzerasse le distanze. Attendeva, in verità, una mossa azzardata da parte sua - E nemmeno desidero essere indispensabile ad alcuno. Non è nella mia natura - altro dato di fatto, ed altro elemento facilmente archiviabile. Forse era stato così un tempo, prima che incrociasse la strada di Michael e lui lo portasse a Londra, ma era indubbio che molte cose erano cambiate da quel giorno lontano. Lui era cambiato. Provava orgoglio nell'essere indispensabile per Michael e ambiva ad esserlo per Danielle. Perfino le parole di Selyse, che un tempo avrebbe preso come un puro dato di fatto, avevano ora il potere di lusingarlo. No, lusingarlo non era la parola corretta. A lui le parole di Selyse avevano fatto piacere.
    Si fermò, saltellando una volta sola sul piede sano e puntellandosi con il bastone - Sarei stato profondamente deluso se tu avessi scelto per te stessa una via più semplice - le disse, serio in viso. Ne percorse i lineamenti con lo sguardo, la figura esile e aggraziata, i muscoli più tonici di quanto non fossero al suo arrivo lì. Era cresciuta molto nell'ultimo anno, ma per quanto l'allenamento l'avesse forgiata nel fisico, erano gli occhi ad avere subito il cambiamento più grande. Erano occhi che vedevano, quelli - Qualsiasi sciocco può bearsi della ricchezza e del lusso, o circondarsi di compagnie dolci e piacevoli. Donne languide e uomini suadenti - si strinse nelle spalle. Merce comune, in cui era giusto indugiare all'occasione che ma che di sicuro non poteva essere il senso stesso di un'esistenza - Scena. Teatro. Ben lontano dall'essenza delle cose e dalla loro verità - avanzò di scatto, ruotando il bastone in un colpo destinato all'apparenza ad impattare contro il suo fianco sinistro ma che si sarebbe abbassato di scatto all'ultimo istante, per spazzarle la gamba all'altezza del ginocchio. Era il suo tutto per tutto perché, se avesse fallito, sarebbe stato tanto scoperto da non poter evitare in alcun modo il colpo di lei - E sono felice che tu sia rimasta -
     
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    « Sarei stato profondamente deluso se tu avessi scelto per te stessa una via più semplice. Qualsiasi sciocco può bearsi della ricchezza e del lusso, o circondarsi di compagnie dolci e piacevoli. Donne languide e uomini suadenti. Scena. Teatro. Ben lontano dall'essenza delle cose e dalla loro verità. » Non ha nulla da aggiungere a quelle parole. E' evidente che siano d'accordo su ogni singolo punto del discorso che stanno facendo, anche quelli che Kostia non è pronto a riconoscere. Era un leader, che gli piacesse o meno e di questo Selyse ne era più che certa. C'è da chiedersi tuttavia cosa ci guadagni lei nel lusingare a tal punto Kostia Preud. Si sa in fin dei conti che la rossa del demonio soppesa la vita secondo un rapporto di libero scambio. Le cose sono vantaggiose o svantaggiose. Che cosa può mai guadagnarci allora nel cercare di portarsi Kostia ancora di più dalla sua parte? Ha appurato ben molto tempo addietro quanto l'ucraino l'apprezzi. Kostia si fida di lei, tanto quanto Selyse si fida di lui. Non avrebbe senso che lei si sbilanci ulteriormente nei suoi confronti. E' ormai abbastanza inserita nel loro mondo da poter spiccare il volo senza l'aiuto di lui. E' una dipendente volenterosa, meticolosa e sopratutto diligente in tutto ciò che fa. Non avrebbe certamente bisogno di lui. Kostia non è più indispensabile per la sua esistenza, per la sua scalata; ovunque lei voglia arrivare, può farlo, col tempo e la pazienza dalla sua parte. E allora perché? La verità è che Selyse si è abituata ad Azkaban. Si è abituata a vivere lontana dal centro di potere, lontana dai lussi e dallo sfarzo che ostentavano non solo molti dei loro nemici non dichiarati, ma anche alcuni degli alleati più fedeli a Moon. Si è abituata a quel freddo pungente, ai piatti poveri cucinati con i soli frutti che la terra dava loro nelle stagioni più calde. Quel cibo che all'inizio le sembrava quasi insapore, ora risaltava maggiormente i sapori di quelle poche cene che si concedeva al di fuori del castello. Aveva trovato nella privazione, nel dolore, nel freddo, nella distanza da quella civiltà che tanto aveva amato, la sua serenità. Azkaban l'aveva salvata e che volesse ammetterlo o meno, anche Kostia l'aveva salvata dandole uno scopo, insegnandole che ci sono infinite strade per mettere a frutto i propri talenti. Senza onori, senza sfarzo. E provare comunque un'infinita soddisfazione che andava ben oltre le lodi delle genti. Aveva visto una scintilla in quella spocchiosa ragazzina che si era presentata la prima volta al suo cospetto con non poca presunzione di sapere, e l'aveva resa una donna consapevole di se stessa. Ed è proprio allora, mentre quei pensieri si annidano nella sua testa, mentre soppesa ogni piccolo movimento del suo avversario che arriva la sua avanzata. E' concentrato, pronto a colpire per vincere. E la reazione di Selyse quasi non arriva. Il bastone colpisce all'altezza del ginocchio. Scivola e cade a terra di schiena scoppiando leggermente a ridere. « Va bene, va bene, hai vinto! Prometto di smettere con i rimproveri. » Asserisce in tono quasi scherzoso; un tono di arresa, mentre appoggia la testa contro il cemento freddo. Silenzio. Sono qui perché credo di poter riprendere le attività da dove il mio predecessore le ha lasciate, svolgendole meglio di lui. Ho già lavorato con lui e per lui e credo di aver capito come gira il mondo. Credo di potervi servire tanto quanto voi servite a me. Gli aveva detto la prima volta che si erano incontrati. Quanto si sbagliava! A quasi un anno di distanza ammetteva di non essere minimamente interessata a ciò che aveva fatto Louis Deveraux prima di lei. Aveva perso completamente interesse verso i suoi stupidi affari, verso la sua vita votata all'inganno spropositato senza uno scopo ben definito, se non per l'acquisto sciocco, quasi deleterio, di un potere di cui non sapeva cosa farsene. Ancora immersa in quella reminiscenza, punta lo sguardo contro il soffitto di legno. « "Casa" è una parola che ha molti significati ma comunque, per quanto vari siano, portano tutti ad un certo senso di pace. La pace è una cosa rara...placa lo spirito e induce al perdono. » Iniziò recitando parole che le erano rimaste ben impresse nella testa. Poi scoppiò nuovamente a ridere. « Noi non serviremo lei, e non serviremo "a" lei. Ne, mi risulta, siamo qui per condurre una trattativa commerciale. Lei è venuta fino a qui per votare la sua esistenza ad una Causa non per propormi di acquistare i suoi servizi: sarò io a decidere in quale maniera adoperare i suoi talenti, una volta appurato quali siano. E se ne ha. » Questa volta il tono è più solenne eppure è apertamente scherzoso. Lo sta leggermente prendendo in giro. Sta cercando di distrarlo, da cosa non lo sa ancora. Da se stesso, da qualunque cosa lo stia affliggendo. « Accidenti! Devo esser stata davvero insopportabile per averti portato a parlare così tanto. Tornerei indietro solo per riconoscere il tuo sguardo apertamente seccato, che a quei tempi non ero in grado di capire. » E la rivelazione arriva, arriva più lampante che mai, e non sa nemmeno cosa farsene a dirla tutta. Kostia era indispensabile a lei, più di quanto lo fosse per Azkaban. In una qualche misura, dover restare integra ai suoi occhi, la portava a non tornare ad essere quella spocchiosa creatura che si era presentata la prima volta ad Azkaban. Forse era altamente improbabile tornare indietro, essere di nuovo la rossetta dai discorsi complicati e dalle mille pretese che era arrivata, ma si sa, quel mondo, quel mondo che tanto evitavano e al quale in un certo modo sfuggivano, aveva poteri misteriosi, in grado di piegare anche il più valoroso dei soldati. Il lusso, la fama, il potere - o meglio, la narrazione che altri ne fanno - ha strani poteri sulle persone, anche sulle più rigide. Quel mondo, le feste, i soldi, sono la mela della discordia che distraggono dal raziocinio, che assemblano quella grande bellezza della decadenza. E sono felice che tu sia rimasta aveva detto poco tempo prima. « Lo sono anch'io. Questo posto è casa mia, finché me lo permetterai. » E più di ogni altra cosa, Selyse al Nord era venuta alla ricerca disperata di una casa.


    Edited by « mother of evil » - 20/8/2016, 08:39
     
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    - Talvolta il nostro lavoro ci porta a dover fare cose che non ci piacciono affatto. E ci conduce a compiti che siamo costretti a svolgere nostro malgrado - le fece notare nel zoppicare un passo all'indietro. Lui doveva essere stato meno stanco di quello che credeva, o Selyse più distratta di ciò che entrambi pensavano, perché l'attacco che le aveva portato era andato a segno e lei era caduta sul pavimento di pietra a peso morto. Sconfitta ma, all'apparenza, divertita. Da lui, dalla situazione, dalle proprie parole. E Kostia si rese conto di esserne soddisfatto. Di provar un certo gusto nel vedere qualcuno vivere l'interno di quelle mura con il piacere di un focolare a lui solo riservato, fino a quel momento. Ne ricambiò il sorriso, raro, con uno altrettanto unico - Nel mio caso, talvolta mi obbliga a parlare - e così era stato con lei cu nel corso del loro primo incontro. Il tempo che aveva perso per quel discorso era ciò che più lo aveva irritato di quel colloquio ma, dopo quasi un anno di distanza, doveva concederle che era stato un investimento di cui poteva andare soddisfatto. Non era stato tempo perso, quello che aveva passato con lei.
    Aprì le dita, delicatamente, e il rintocco del bastone contro il pavimento di pietra rimbalzò sulla pareti intorno a loro. Si sedette in terra a sua volta, con una certa fatica. La pietra intorno a loro era ancora ricoperta dai cocci delle statue e dalla polvere delle esplosioni. Raccolse un pezzo di pietra, osservandolo per un istante prima di gettarlo via, disinteressato. Un dito di pietra. Qualcuno avrebbe dovuto trovare il modo di rimettere insieme il tutto - Non vedo una sola ragione per cui tu debba temere di non essere più la benvoluta, qui - le sussurrò qualche momento dopo, tornando. Allungò la gamba dolorante davanti a sé, fissando con un certo rimpianto il muro lontano una manciata di passi. Avrebbe dovuto avvicinarsi ad esso “prima” di sedersi in terra. Sarebbe stato più saggio - Gli uomini hanno stima di te, e hai dimostrato di essere perfettamente in grado di gestire tutte le operazioni che si seguono da qui - aggiunse, scegliendo con micidiale precisione la cosa peggiore da dirle. Stavano parlando di una casa, non di un lavoro. Stava parlando con l'unica persona al mondo che condividesse con lui quel modo di vedere le cose.
    Ma almeno, stavolta, se ne era reso conto.
    October sarebbe stata fiera di lui: stava decisamente migliorando. La osservò in volto, cercando il modo di dirle quanto fosse soddisfatto dall'averla lì, e forse perfino di mostrarle l'affetto e la profonda fiducia che aveva preso a nutrire per lei. Si passò una mano sulla guancia, tracciandosi sul viso sudato un'involontaria linea nera di sporco - Non credo che questo posto sarebbe lo stesso, per me, se tu decidessi di andartene -
     
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    « Non vedo una sola ragione per cui tu debba temere di non essere più la benvoluta, qui. » Sorrise appena, lo sguardo vacuo perso altrove, tra i resti delle imponenti statue. « Gli uomini hanno stima di te, e hai dimostrato di essere perfettamente in grado di gestire tutte le operazioni che si seguono da qui. » Annuì, ascoltando distrattamente il suo ragionamento. Era forse questo il grande problema. Si trovava sin troppo bene là su, lontana da tutto ciò che aveva conosciuto fino a un anno prima. Si era sistemata confortevolmente, poteva seguire le sue passioni, oltre che il suo lavoro, in piena serenità, quanto meno quella poca serenità che il loro lavoro poteva offrire. E' questo il problema di quando si sta sin troppo bene; si tende ad abbassare la guardia e per quanto Selyse si ostinasse a non farlo, sapeva che era solo questione di tempo prima che succedesse. E ciò non poteva permetterselo. Sin da quando era salita su quel treno che da Parigi l'aveva portata a Stoccolma, si era ripromessa - aveva giurato a se stessa - di non abbassare mai più la guardia, di non essere mai più debole, di non darsi nemmeno una possibilità di sbagliare. Non è facile in fin dei conti vivere una vita seconda le scelte che ha fatto, non è facile guardare tutto con una freddezza disumana, ma per la giovane, era l'unico modo che avesse di sopravvivere e di vivere a modo suo. Se si fosse lasciata preda a qualcosa di più, anche solo per un momento, tutta quella massa di ferite rimarginate avrebbero ripreso a sanguinare, tutti quei ricordi, tutti quei traumi che in fin dei conti non si superano mai, avrebbero ripreso a darle il tormento, e sarebbe tornata al punto di partenza. « Non credo che questo posto sarebbe lo stesso, per me, se tu decidessi di andartene. » La sincerità che lesse sul suo volto divenne disarmante. Capì in quel momento che il giorno in cui avrebbe fatto le valigie era più vicino di quanto pensasse. Capì che persino loro erano esseri umani e in quanto tali, si affezionavano. « Succederà. » Dichiarò glaciale, lasciando che un leggero sorriso amaro si dipingesse sul suo volto.« Il giorno in cui dovessi smettere di sentire le urla ai piani di sotto, il momento in cui inizierò ad appendere quadri alle pareti delle mie stanze e penserò di cambiare le tende, il momento in cui i miei schizzi di questo posto dovessero assumere toni caldi, sarà tempo di andare. » Una confessione così sincera non aveva mai fatto a nessuno. Sincera, pensierosa, in un certo qual modo preoccupata. Per molto tempo aveva pensato che l'unica cosa che le impedisse di considerarsi stabilmente residente ad Azkaban, fosse l'imprevedibile quanto imminente decisione di Kostia di mandarla via. Si scoprì sorpresa nel rendersi conto che in realtà, l'ucraino non c'entrava assolutamente niente, o quasi niente con quella sensazione. « Quando la mia permanenza qui dentro sarà completamente slegata dal nostro lavoro, quando non sarò più utile qui dentro, sarà il giorno in cui farò le valigie. » Una posizione drastica che non avrebbe cambiato. « Ci sono cose che possiamo permetterci ancora meno di altre; i punti deboli sono una di quelle cose che ci porta a commettere più errori. E in quello che facciamo io e te, c'è meno spazio per gli errori che in qualunque altro campo. » Tutti avevano la copertura di qualcuno, loro invece erano la copertura. Là dove i canali ufficiali non arrivavano entravano in azione loro. Là dove la diplomazia, le regole e la legge raggiungevano difficilmente gli scopi necessari, entravano in gioco loro. « Scoviamo gente scomoda, sciogliamo situazioni scomode. Siamo per antonomasia gente scomoda, a volte persino per i nostri stessi simili. » Annuisce tra se e se. Prende nel mentre a pulirgli il viso da quella leggera striscia di polvere, amalgamata al sudore. Lo fa con una cura meticolosa, restando tuttavia distaccata, quasi come se eseguisse un'operazione chirurgica di estrema importanza. « E succederà. Per quanto mi costi ammetterlo, sono un essere umano, per natura incline ai sentimentalismi. Prima o poi mi sveglierò dall'altra parte del mondo e mi renderò conto che mi manca. Mi mancherà questo odore, mi mancheranno le cene con le guardie e queste conversazioni. Mi mancheranno questi momenti e non vedrò l'ora di tornare. E non tornerò. »


    Edited by « mother of evil » - 20/8/2016, 08:40
     
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    - Allora dovresti andartene adesso -
    L'aveva lasciata parlare fino a quel momento, in silenzio, ascoltandola e lasciandola libera di sfiorargli il viso per togliervi lo sporco e il sudore. Selyse si era guadagnata la possibilità di esprimersi liberamente e di prendere le proprie decisioni secondo ciò che riteneva meglio per il proprio futuro ma lui, allo stesso modo, riteneva di essersi meritato il privilegio di poter dire ciò che pensava a riguardo. Difficilmente qualcuno avrebbe potuto ritenere quel rapporto paritario, eppure era uno di quelli che più lo sembravano ai suoi occhi. Intimo e profondo in una maniera difficile da ottenere con altri, magari meglio disposti di lei ma men portati a ragionare nella sua stessa maniera. Per questo motivo quella frase fu la sua prima risposta - Allora dovresti andartene adesso - le aveva detto, e tanto pensava.

    Fiona non aveva alcun desiderio di lui, October se ne era andata, Selyse agognava di farlo prima di affezionarsi troppo alla sua persona.
    L'affetto per le tre donne, diverso per ciascuna ma ugualmente intenso, era dimostrato dalla mancanza di catene ai loro polsi.

    Le prese la mano, delicato, e se la scostò dal volto.
    La tenne tuttavia poggiata nella sua, aperta, e la osservò con attenzione. Era una bella mano, fine e dall'apparenza delicata. Non lo era davvero, però, e tanto bastava a rendere quelle dita perfino più affascianti di quanto non fossero normalmente - Ho costruito questo posto con le mie mani, e nelle sue forme ho celato quanto più avevo di caro al mondo. Ho fatto ben più che cambiare le tende di Azkaban e mentre con un occhio guardavo alla sua efficienza con l'altro l'ho resa un monumento alle persone cui tenevo, così che fosse un simbolo di ciò che ero in quel momento della mia vita. Di ciò che eravamo - c'erano tutti, in quella prigione, da Michael Moon ad Olympia Da Ruthie a Castiel. C'era Tallulah. Loro erano le forme che piegavano la pietra, loro gli incubi con cui piegava i prigionieri, loro le speranze con cui li illudeva - Azkaban è un ritratto di ciò che era la mia anima il giorno in cui l'ho disegnata, e ammettere che sia una parte che può sopravvivermi è rendermi conto della mia mortalità. Darne le chiavi a qualcuno, permettergli di "cambiarne le tende", è consegnare in quelle mani qualcosa che mi è cara quanto ciò che mi alberga nel petto - o forse perfino di più. Si era chiesto spesso se avrebbe aspettato tanto ad affrontare Michael come aveva fatto per il suo cuore, se il Ministro gli avesse portato via il castello -Nulla di tutto ciò mi ha mai impedito di are il mio lavoro o di essere utile a questo posto -
    Le chiuse delicatamente le dita in un pugno, prima di lasciarle andare la mano. Selyse aveva tutto il controllo del castello he si poteva avere senza possedere il sangue di Kostia, senza poter confidare negli incantesimi di sangue che vi aveva gettato - Non siamo animali - riprese dopo un attimo - E anche se lo fossimo avremmo comunque bisogno di un posto cui tornare, di un luogo che ci rappresenti e che ci manchi. Ci ho messo paecchio a capirlo...temo di esserci arrivato molto tempo dopo aver inaugurato la fortezza, a dire il vero...ma io quel posto me lo sono creato, e l'ho tirato su con la pietra e con il sangue. Essere le persone scomode non significa non avere bisogno di un luogo in cui tare comodi a nostra volta, di un luogo protetto in cui poterci leccare le ferite o essere preda dei nostri dubbi - si strinse nelle spalle, una volta sola, mentre continuava a parlare con calma e pacatezza - Questo posto non sarebbe lo stesso, per me, se tu non ci fossi - ripeté - E non voglio che tu vada via. Ma se non vuoi che questo sia un luogo in cui sentirti al sicuro, in cui essere te stessa, allora dovresti andare a cercare quel posto che lo sia -
     
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    E' silenziosa, Selyse. Ascolta le parole dell'ucraino con risolutezza. Sembra non esserne toccata, ma la verità è ben diversa. Ci sono meccanismi in quella mente, complessi da comprendere. Succede così, quando ci si annulla fino al punto del non ritorno. Dentro Azkaban Selyse ha trovato la pace, solo perché in quel che ora chiamava casa e che tanto amava, aveva scoperto il segreto per celare alla vista quella parte di sé che la tormentava giorno e notte. Eppure eccola ora che emerge con tutta la sua forza, frastornata dalla taciuta richiesta di Kostia di non andare, di restare. « E' questa la differenza tra me e te. Tu hai perso la tua anima e così hai imparato ad amarla. Io non l'ho mai persa, ma non la voglio. » Perché quella che tutti conoscevano ora non era la Selyse Deveraux di un tempo. Non era la giovane ambiziosa, piena di energie, quasi sognatrice, che imparava a tenere il mondo nel palmo della propria mano. Quella giovane che ora giaceva al fianco di Kostia Preud era un'ombra, l'ombra della frizzante adolescente che si era presentata alle porte della prigione. « Non siamo animali, eppure io vorrei esserlo. » Una confessione che non ha mai avuto l'occasione e nemmeno il coraggio di esprimere a parole. « La tua anima è pura a modo suo. Tu credi ancora in qualcosa, sei disposto a credere ancora in qualcuno. Io non posso. Non posso darle spazio, non la sopporto, la disprezzo. »
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    Chiude gli occhi mentre quella rabbia repressa riemerge attraverso parole colme di veleno. « Quando chiudo gli occhi lei è lì. Chiusa dietro le sbarre, spaventata; piange, implora pietà. Quando è sola prega. » Ha ancora gli occhi chiusi, mentre un sorriso meschino, disgustato le si profila sul volto. L'espressione è tuttavia sofferente, la carne attaccata alle fragili ossa, sembra tremare. « Prega per andare a casa, povera anima. E poi arrivano; un colpo, e un altro, e un altro ancora. E lei urla disperata. Lei crede ancora che qualcuno che la ama la verrà a salvare prima che la colpiscano di nuovo. Ma non accade, e i colpi continuano. Sente il disgustoso sospiro dei suoi carnefici sul collo. Sono ubriachi e ridono. » Piccola pausa, tempo in cui riapre gli occhi, lo sguardo torna su Kostia. Si stringe nelle spalle e sorride amaramente. « C'è qualcosa tra noi, non te lo nasconderò. Tu mi piaci, molto. Mi piace parlarti, mi piace scriverti, mi piace passeggiare tra questi corridoi con la consapevolezza di cosa tu le abbia rese. Io sono orgogliosa di te. Di far parte della tua vita. C'è qualcosa di unico in questo posto, in questo... » La voce leggermente rauca si abbassa ulteriormente fino a sussurrare. E' il momento in cui la belva e la ragazzina trovano un punto di accordo. Una specie di linea sottile in cui si sfiorano con delicatezza. « Qui dentro tu hai messo a bada la mia anima, l'hai congelata. Le hai insegnato a fare a meno della rabbia, dell'irrazionale ambizione. L'hai addomesticata. Non puoi chiedermi ora di darle speranza, di farle credere che ora è al sicuro. Se ne sta buona solo perché ha paura. Perché sa che non le permetterò di fare passi falsi, di essere debole, di essere sciocca. » Le sfiora appena il viso con le nocche; lo sguardo dolce, colmo di un affetto che non riuscirà mai a esprimere a parole. « Non si tratta di trovare un altro posto sicuro, Kostia. Non me ne andrò. Per ora.» Una promessa. Una decisione. « Azkaban è forse il posto più sicuro sulla faccia della terra che io possa trovare. Ma non è sicuro per lei. E non ci sono posti sicuri per lei. » Sospira appena. « L'unica cosa che mi permette di essere questa persona, senza la quale Azkaban non sarebbe la stessa se me ne andassi, è il fatto che tengo a bada lei, i suoi sentimenti, la sua umanità. Non vuoi risvegliarla; non più di quanto non abbia già fatto oggi.» Si alza in piedi, non prima di stampargli un bacio sulla fronte. « Ammettiamolo, non ti piacerei se ci mettessi davvero il cuore qui dentro. Perché ormai è folle, ed è marcio. » Una piccola pausa prima di ripulire la stanza con un unico gesto elegante del polso. Una lunga apologia, una confessione fatta a cuore aperto, prima di tornare la stessa di sempre. L'elegante, insensibile, cruente Lady Stoneheart. « Spero di vederti a cena. » Il solito tono glaciale, prima di chiudersi la porta alle spalle tornando alle solite mansioni.
     
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    Selyse sarebbe rimasta estremamente sorpresa dallo scoprire quanto a fondo fosse vera quella frase, e in che modo avesse imparato ad apprezzare la propria anima proprio non momento in cui Michael, per punirlo, gliel'aveva strappata dal petto insieme al cuore. Continuò a carezzarle il palmo della mano con la punta di un dito, lento, mentre rifletteva sul valore di ciò che aveva imparato da quel quel giorno. Su tutto ciò che aveva perso e tutto ciò che aveva guadagnato nel corso di quei mesi tanto chiari quanto gelidi. Sulla persona che era stato e sulla persona che era. Non aveva solo motivi per gioire del cambiamento, se ne rendeva conto, eppure accettare ciò che non poteva cambiare faceva parte della sua natura esattamente quanto l'efficienza nell'agire sullo cose che era suo potere modificare. Aveva perso la sua anima e l'aveva trovata, diversa, quando più ne aveva avuto bisogno, ma se anche la sua anima era mai stata pura in qualsiasi maniera, quella che possedeva era la purezza fredda e amorale del predatore e non, di sicuro, la calda accoglienza che brillava in alcuni dei suoi conoscenti.
    Le lasciò la mano quando lei espresse il desiderio di farlo, accogliendo il bacio che Selyse gli posò sulla fronte con lo stesso silenzio con cui aveva ascoltato tutto ciò che lei aveva detto fino a quel quel momento. Era stata lusinghiera in alcuni parti del suo discorso, dolce in altri e sciocca là dove si era sprofondata nella più profonda tristezza e dove Kostia era stato più tentato di interromperla. Farlo sarebbe stato però sciocco da parte sua, oltre che profondamente irrispettoso di quei sentimenti che scorgeva in lei per la prima volta. Rimase in silenzio anche quando lei pulì e si congedò, continuando a riflettere su ciò che lei aveva espresso e sul dilemma che lo vedeva combattuto fra ciò che di personale lo legava alla ragazza e ciò che era il suo dovere di mentore.Sarebbe stato suo compito, in quei mesi, accorgersi di quello che Selyse stava passando e aiutarla a venire a patti con una parte di sé che evidentemente non aveva mai accettato, e in quello Kostia aveva profondamente fallito, troppo concentrato sul proprio lavoro e sui propri problemi.
    Rimase immobile a lungo dopo che la ragazza fu uscita. Poi, lentamente, si alzò in piedi e zoppicò in direzione del corridoio e da lì verso le scale che portavano ai suoi appartamenti, parecchi piani più su. Si bloccò di fronte alla prima rampa, fissando gli gli scalini che sparivano oltre la curva del muro e salivano, da lì, per diversi piani fino alla cima della torre. Strinse i denti e posò il piede sul primo scalino, cominciando la salita e maledicendo la sua stessa superbia.
    Ma sempre in assoluto e rigoroso silenzio.


    Le nocche rovinate bussarono alla porta della stanza di Selyse quando ormai il cielo era una tela dalle mille sfumature di viola.
    Kostia era salito fino alla sua stanza, aveva riempito la vasca d'acqua bollente ed era rimasto lì a medicarsi finché non era stato colto dai primi brividi di freddo. Si era alzato, gocciolando sul pavimento di pietra nuda, e si era andato a vestire secondo lo stile formale che gli apparteneva. Lo specchio gli aveva rimandato l'immagine della pelle candida decorata da numerosi lividi quando vi era passato di fronte, ma nonostante il dolore diffuso aveva evitato accuratamente di utilizzare qualsiasi forma di medicamento magico potesse alleviare il malessere. Quelle sensazioni erano parte del gioco e della lezione, uno stimolo a mantenere la mente più lucida e lo sguardo più attento. Un promemoria.
    Indietreggiò di un passo, nel corridoio, in attesa che lei venisse ad aprire alla porta. Aveva riflettuto a lungo sulle parole di Selyse, ripercorrendo la conversazione che avevano avuto più volte con gli occhi della mente e riascoltandola fino a stancarsene e poi ancora un po', esattamente come avrebbe fatto con un problema lavorativo particolarmente spinoso. In lontananza un Dissennatore passò fuori da una finestra, gettando la sua ombra nel corridoio. Era strano, di solito non volavano tanto in alto. Era uno dei motivi per cui le stanze migliori si trovavano verso la cima della torre e le celle a scendere in direzione dei sotterranei - Mi piacerebbe che ti trasferissi due piani più in alto, da domani - le disse quando infine se la trovò davanti, voltandosi a guardarla. Due piani più in alto significava essere a tre dalla cima, in una delle stanze riservate agli ospiti più illustri e sotto soltanto alla sua, spartana, e a quello più lussuosa che aveva riservato a Michael Moon.
     
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    Le mura del castello sono più silenziose del solito. E' come se avessero assorbito quelle parole e le avessero fatte proprie, come se le avessero inglobate e ora stessero piangendo silenziosamente la loro triste natura. Ne hanno catturato l'essenza che rimarrà ormai intinta tra quei mattoni secolari. Non si era mai sentita così stupida, così terribilmente vulnerabile; quelle parole avevano aperto uno squarcio su quel mondo che odiava, che disprezzava a tal punto da ripudiarlo in un scomparto nascosto della sua mente. Aveva fatto trapelare una parte di sé che avrebbe dovuto rimanere unicamente sua, e nonostante lo avesse fatto con una persona il cui odore ormai conosceva, le cui smorfie sapeva riconoscere quasi come le sue tasche, si sentiva sconfitta. Come si aspettava di essere trattata allo stesso modo dopo quella confessione? Sale le scale in fretta e furia, impaziente di chiudersi la porta della propria stanza alle spalle. A quel punto scoppia. Piange. Vorrebbe non doverlo fare, ma a volte succede. Anche i migliori cadono preda ai propri demoni. A lei succedeva soprattutto nel cuore della notte; qualche dissennatore si avvicinava troppo alle sue finestre e lei doveva alzarsi per scacciarli prima che fossero loro a entrare e a far emergere quei ricordi con i loro viscidi tocchi. Era così terrificata dall'idea di ricordare che non appena si accorgeva di aver paura non di quello che avrebbero potuto farle, ma di quello che avrebbero potuto ricordarle, scoppiava a piangere. Accendeva una candela e riprendeva a dipingere fino all'alba. E poi si faceva un bagno, copriva le occhiaie, si vestiva e riprendeva a essere la stessa di sempre. Ogni mattina quando arrivava nella mensa per la colazione, non un cenno di debolezza trasudava da quei pori. Aveva quello sguardo acerbo in grado di ucciderti se solo avessi osato sfidarla. La voce era suadente eppure dura come sempre. Le labbra si dipingevano di quell'impercettibile sorriso discreto che sembrava beffeggiarsi del mondo intero. Nessuno avrebbe mai messo in discussione la sua sanità mentale, il suo effettivo stato d'animo, perché ovunque quell'anima fosse, non era mai con lei ogni qual volta uscisse da quella stanza. Era come se ne avesse fatto il suo santuario. Un altare su cui sacrificare poche lacrime per ottenere l'eterna bellezza del ghiaccio ogni qual volta lo abbandonasse.

    E' ferma di fronte allo specchio. Si sta preparando per scendere; la cena è quasi pronta e lei ha promesso di esserci. Tutto quel rancore, la rabbia, la frustrazione, tutto scomparso, lavato via con un spugna fatta del più puro ghiaccio che esista. Tolte le incrostazioni di vittimismo. Il danno è stato tutto sommato marginale. Parlare con Kostia non era come parlare con una qualunque altra persona. Era arrivata persino a pensare che lui aveva il diritto di sapere. Quel suo lato era una delle poche debolezze che avrebbero potuto usare contro di lei; qualcuno doveva pur sempre esserne al correte. Sapere che quello era il suo tallone d'Achille. Certo, ciò poteva significare che anche lui avrebbe potuto usare quell'informazione contro Selyse, ma in fin dei conti, di qualcuno ci si doveva pur sempre fidare.
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    Tre leggeri colpi sulla porta di legno la fanno trasalire. Si sistema i cappelli su un lato e si appresta a dirigersi verso la porta. Potrebbe essere chiunque; le guardie bussano spesso alla sua porta per affari che riguardano la prigione. Ciò che non si aspetta è di vedere Kostia. Non dopo quello che gli ha detto. Si era messa in testa di evitarlo per un po', di fare come se nulla fosse successo, di dar tempo ad entrambi, prima di tornare a parlare di lavoro come se nulla fosse successo. Evidentemente quella opportunità non gli era stata data. Si appoggia contro l'uscio della porta, incrociando le braccia al petto. Lo guarda. Non dice niente. Non è che non saprebbe cosa dire, è solo che sarebbe solo un ulteriore modo per nascondere l'evidente vuoto rimasto tra di loro. « Mi piacerebbe che ti trasferissi due piani più in alto, da domani. » Solleva le sopracciglia leggermente sorpresa da quel suo comportamento. Si aspettava discorsi a cuore aperto, lezioni di vita su quanto fosse sbagliato tutto ciò che aveva detto dopo il loro combattimento. Si aspettava una bella e buona ramanzina, un discorso da maestro disilluso. Ho sbagliato tutto, non ti ho insegnato nulla. Ecco cosa avrebbe dovuto dirle, o meglio, ecco cosa lei avrebbe voluto che lui le dicesse. Spostare l'intera facenda sulla sua apparente inadeguatezza lavorativa sarebbe stato più facile. Avrebbero discusso e tutto sarebbe tornato come prima. « Credevo che quelli del penultimo piano fossero gli appartamenti degli ospiti. » Gli ospiti buoni. Lo dice leggermente confusa, cercando di ricollegare i pezzi. Poi sorride, il solito sorriso alla Selyse, quel sorriso che dice tutto e niente. « Sono diventata un'ospite oppure questo il tuo modo di risollevarmi il morale? » Aveva un'idea di cosa fosse, ma la verità è che Selyse ha un modo tutto suo di torturare le persone. Ed è questo il problema. Quel diavolo tortura a prescindere, tortura a maggior ragione le persone a cui tiene, perché non dovrebbero esistere. Sospira e rivolge lo sguardo altrove, oltre le sue spalle, puntando lo sguardo contro una delle finestre che lascia intravvedere un appena accennato sole in lotta con i nuvoloni perenni, tipici della zona. « Sto bene, ok? » Il tono torna rassicurante per qualche secondo, prima di stringersi nelle spalle tornando a guardarlo.
     
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    Una nuova ombra aleggiò oltre la finestra, oscurando per un attimo il vetro e svanendo, poi, con la stessa rapidità con cui era apparsa. Kostia non parve farci troppo caso, preso com'era a reggere lo sguardo di Selyse. Sembrava sorpresa di trovarlo lì, e nel notarlo non poté che chiedersi quanto sarebbe stato sorpreso lui a parti invertite, e a come avrebbe reagito se un giorno se la fosse trovata in piedi di fronte alla porta della propria camera. Quali che fossero le rispose, però, non poté che lodare la calma con cui la Mangiamorte aveva reagito a quell'apparizione improvvisa - La camera al penultimo piano è riservata al Ministro Moon - le fece notare, seppure si trattasse di una gentilezza praticamente simbolica. Il Ministro del Nord faceva visita ad Azkaban piuttosto raramente, e anche in quelle poche occasioni non si fermava mai per la notte. La fortezza, pareva, mancava delle comodità e delle "distrazioni" che Michael apprezzava di più - Ma per quanto io rifletta non riesco a trovare una sola persona che meriti l'appartamento subito sotto più di te. Non abbiamo molti ospiti, qui, e in ogni caso penso possano arrangiarsi in sistemazioni più sobrie - un commento all'apparenza distratto, che fingeva soltanto di ignorare come l'appartamento più spartano della torre centrale fosse proprio quello che Kostia aveva riservato a se stesso, all'ultimo piano. Selyse però non aveva modo di saperlo, se non per le voci che giravano a riguardo. Kostia non aveva mai avuto nei suoi confronti la mancanza di rispetto necessaria ad invitarla lassù, dove c'era poco altro oltre al suo letto - Non manchiamo comunque di stanze, ai piani inferiori, da offrire a coloro che hanno da lamentarsene - ne si sarebbe fatto scrupoli, a quel particolare riguardo. Erano pochi gli ambiti in cui se ne faceva, e la mancanza di apprezzamento dell'ospitalità di sicuro non era fra quelli. Tacque un momento per poi annuire leggermente, una volta sola - E suppongo sia anche il mio modo per tirarti su il morale. Non ero sicuro che avresti apprezzato un gioiello, in aggiunta - le rispose, osservandola per la prima volta sotto quel punto di vista. Se avesse dovuto scegliere, le avrebbe regalato una collana. Qualcosa si fine e discreto, ma comunque di valore. Adatto a lei.
    - Io no - le rispose a sua volta dopo un nuovo attimo di riflessione. Non credeva che lei stesse bene, ma era una bugia che lui stesso si raccontava per primo, e non da poco tempo. Mosse un dito, ancora fermo sulla porta. Se anche aveva sperato che lei lo invitasse ad entrare, a condividere con lui qualcosa di più comodo della precarietà di una soglia aperta, non lo diede a vedere - E per molti motivi - puntualizzò. Gli serviva del tempo, e seppur composta poche parole quella frase gliene aveva dato. Attimi, in cui si celavano decine di pensieri - Ma per quanto rada sia stata la mia presenza, ho apprezzato moltissimo la tua vicinanza in tutti questi mesi. Quella e la stabilità che è in grado di concedermi - un complimento, sì, ma freddo come la pietra sistemata al colmo di un gioiello. Non quello che cercava di dire, comunque - Ho imparato ad apprezzare ciò che mostri e ciò che nascondi in egual misura, e per quanto poco deontologico sia da parte mia ho iniziato ad apprezzarlo in maniera personale, più che professionale. Dovresti farlo anche tu. Dovresti renderti conto di quanto...bello...possa essere il risultato -
     
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16 replies since 1/7/2016, 10:10   272 views
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