hush

Biblioteca, Reina

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    Durmstrang, si sa, non è per i deboli di cuore.
    Dopo un anno che sono qui comincio a capirlo e a fare l'abitudine a dettagli e regole che nella scuola di Salem non mi sarei mai immaginato di vedere. L'esempio più lampante che mi viene da fare – e di cui in effetti ancora porto i segni sul mio volto – è il modo molto pratico e a volte eccessivamente sadico in cui vengono svolte le lezioni. Dicono che serva a temprare l'animo e il corpo ma a volte a me sembra essere puro sadismo. E' una sorta di accademia militare dalle rigide regole e pochi svaghi.
    Forse la situazione è migliorata, di poco, da quando Carradine è andato via o almeno è migliorata per me perchè se fosse rimasto – ne sono certo – prima o poi avrei finito con l'attirare la sua completa attenzione, finendo nei guai ( o più probabilmente in infermeria).
    Con il labbro ancora spaccato dopo lo scontro con Johansenn alla lezione di Arti Oscure, mi avvio in biblioteca per costringermi ad approfittare del tempo libero per un ripasso generale. Devo farlo per tenermi impegnato ed evitare altre idee avventate.
    Percorro in silenzio il pentagono, avviandomi verso la prima sala disponibile, la sala bruna.
    Mi rendo conto di non essere l'unico studente ad avere avuto questa idea ma stranamente questa sala risulta essere la meno piena. Solo io ed una ragazza, occupiamo i tavoli opposti della sala.
    Per un po' la osservo, distogliendo lo sguardo quando le capita di tirar su il volto. Non credo di averla mai vista ma in effetti, nell'ultimo periodo (nell'ultimo anno) sono stato un po' distratto quindi potrebbe essere qui anche da più tempo di me.
    All'ennesimo, sventato sguardo ricambiato, tiro giù la testa sul quaderno di appunti scorrendo le parole a cui in questo momento proprio non riesco a dar alcun significato. Lo faccio come se fosse un abitudine leggendo, senza farlo davvero, le parole dalle scrittura sottile e corsiva che sono stato io a tracciare. E' il brusio di una voce forse un po' troppo alta per la biblioteca a distrarmi, non che ci sarebbe comunque voluto molto.
    Nel tirare di nuovo su lo sguardo, mi ritrovo ad assistere alla scena in cui Johansenn – anche lui visibilmente reduce di una lezione non così tranquilla – prova ad attaccare bottone in modo fin troppo spudorato con la ragazza che guardavo prima.
    Quando Agnes era qui ho assistito mille volte a scene simili e la voglia di alzarmi ed allontanarlo via è la stessa di allora, ma mi rendo conto non ce ne sia alcun bisogno quando la ragazza riesce ad allontanarlo con parole forti. Sorrido mentre lo vedo andar via e, deciso a complimentarmi con la ragazza, prendo le mie cose e senza chiederle se posso o meno, mi siedo di fronte a lei, al suo stesso tavolo. “Lo hai messo al suo posto. Lo hai zittito.” Le dico, sorridendo.
    Sono patetico. So che non tutti sono disposti a fare amicizia qui è che, credo, di sentire la mancanza di Agnes. “E' piuttosto insistente. Uno di quelli che non si arrendono.” Continuo imperterrito, mordendomi il labbro e maledicendomi l'attimo dopo per averlo fatto.
    Schiarisco la voce con un piccolo colpo di tosse, guardandomi intorno per assicurarmi che il bibliotecario non sia nelle vicinanze. Non voglio essere rimbeccato per aver osato parlare in biblioteca.
    “Ehm... So-sono Jerome. E tu?” Le dico, poggiando le mani sul tavolo e sporgendomi appena verso di lei.
    Continuo a ripetermi di essere patetico. Probabilmente mi manderà al diavolo come ha fatto con Johansenn e ne avrebbe tutto il diritto.
    Giusto per portare acqua al mio mulino, nel modo ovviamente sbagliato, sbircio tra gli appunti che ha davanti. Il titolo risalta ai miei occhi. “Ho degli a-appunti a riguardo se vuoi.” Indico il suo quaderno, prima di trafficare con la mia borsa, cercando di tirar fuori in breve tempo il quaderno. “Aspetta... ce li ho proprio qui.”
    Ecco quale lezione aggiuntiva potrebbero inserire nel piano di studi: lezioni di approccio. Diamine, andrei ad ogni lezione senza osare perdermene una.

     
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  2. Ræven
     
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    »Reina Roth ~ hush«

    Non era la mia prima giornata grigia, quell'anno. Da quando avevo messo piede in quell'angusto castello, i giorni erano diventati settimane, e le settimane mesi interminabili e sprecati. Era un luogo così diverso dall'Accademia di Salem, le ragazze alla moda e gli spacconi con i capelli ben pettinati avevano lasciato il posto a ragazze rivide e schive ed altrettanti spacconi. Da quando il preside aveva fatto le valige, almeno poteva andare a respirare un po' d'aria nel villaggio vicino, nel fine settimana. L'inverno era stato gelido, troppo gelido per un corvo di Brooklyn. Dalla notte di Natale, passai ogni luna piena nei sotterranei più profondi, dove più che un corvo, sembravo un ratto. Ma non se ne parlava di uscire dalla finestra, non prima di essersi abituati a quel gelo.
    L'inverno era passato lento e monotono. Passato soprattutto in biblioteca, aveva lasciato il posto alla primavera bulgara, molto più simile all'inverno di Brooklyn. Le mie giornate, però, non cambiarono. Frequentavo la metà delle lezioni obbligatorie, il resto del tempo tra la biblioteca e l'aula di pozioni e veleni. Quella monotonia era però diventata parte integrante della mia vita, finendo per farmi sentire a casa in quella orribile prigione. Abbastanza a casa da allontanare quello scocciatore con un occhiataccia e un vaffanculo. Poco prima, non molto lontano dalla mia sedia, aveva preso posto un ragazzo dai capelli rossi e l'aria fin troppo innocente per trovarsi in un posto del genere. Si venne a sedere dall'altra parte del mio tavolo. Di certo non ispiro simpatia alle persone, quindi trovai strano il fatto che cercasse di parlare con me; così, presa da un singolare moto di allegria, mi ritrovai a sorridere a mia volta. con me non insiste molto, a dire la verità. Era un'abitudine per me respingere il prossimo Io invece sono Reina, piacere. Allungai la mano nella sua direzione, le unghie ancora rovinate dall'ultimo plenilunio. Jerome, intanto aveva notato le mie scartoffie di Veleni, Aconito e Belladonna.
    Mentre il rosso cercava tra le sue pergamene, non potei fare a meno di chiedermi se non l'avessi già visto da qualche parte. Di sicuro l'accento non era neanche lontanamente bulgaro, ed oltretutto, sembrava essere fin troppo gentile per essere cresciuto in quella maledetta scuola.

    code by myricæ
     
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    Un sorriso è sempre un buon segno, tuttavia... il suo modo di porsi dà pochi spunti a chi in genere non riesce a trovarne da sé. Poco male, mi dico. So cosa significa ritrovarsi ad essere in disparte. Non è bello, e se nemmeno per lei lo è, allora siamo già ad un buon punto.
    Posso sforzarmi di aiutarla ad ambientarsi, a cercare qualcuno con cui parlare. Ad esempio, per ora, può parlare con me. E' già un passo avanti rispetto al mutismo obbligatorio della solitudine, no?
    Certo forse sto strapensando come al solito e lei vuole solo essere lasciata in pace ma dopotutto cosa mi costa provare? “N-non parli molto, vero, Reina?” Beh, di sicuro parla meno di me e direi che è ambiguo ma non è così.
    Mi capita, soprattutto quando sono eccitato, o in tensione, di straparlare. Lo faccio senza nemmeno rendermene conto e so che questo potrebbe causare, soprattutto in chi non ha alcuna intenzione di starmi ad ascoltare, noia e stizza. Spero non sia questo il caso.
    Tiro fuori dal quaderno d'appunti che gli porgo, una piuma nera di corvo, recuperata dopo l'incontro con Yvar. Poi, riporto lo sguardo su di lei, deciso a non fermarmi con la mia missione di socializzazione. “Hai un accento... familiare.” E questo non potrebbe passare inosservato in una scuola in cui almeno la metà degli studenti mastica una lingua germanica che non potrei capire nemmeno volendo. Certo, qui siamo tutti costretti a parlare in inglese, ma gli accenti non spariscono. Si deformano, ma restano lì a parlare delle nostre origini. Il suo mi spinge oltreoceano. Non è perfettamente uguale al mio, ma è quello che in questa scuola sembra più avvicinarsi a quello che sono stato prima di trasferirmi in queste terre: americano. “Io m-mi sono trasferito qui l'anno scorso. Ho perso un anno nel cambio. Sai qui i programmi son diversi. Mentre a Salem...” Parlo velocemente, gesticolando appena. Mi espongo così da tentare di ottenere una reazione simile. Le dimostro che sono qui solo per parlare. So che sembra strano visto l'ambiente in cui viviamo. “Tu sei nuova?” Arrivo così dritto al punto, guardandola. “Lo sembri. Quelli nuovi, li riconosci subito.” Annuisco subito dopo, mordendomi il labbro inferiore l'attimo dopo. Rigiro la piuma nera tra le mani, guardandola per un secondo, prima di alzare di nuovo lo sguardo sulla mia interlocutrice. “Fermami se parlo troppo.” Farsi un'amica, creare un legame, sembra così difficile. Comincio a pensare di non essere poi così bravo a farmene. In effetti è perchè almeno la metà di coloro che definisco amici, in un modo o nell'altro, mi sono finiti addosso o è successo esattamente il contrario. Ezekiel, Ioan, Agnes persino Conan. E a questo punto, stupidamente, mi chiedo: dovrei scontrarmi fisicamente con lei per darmi un'opportunità?

     
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