Sotto il peso della volta celeste

Privata

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    Si prese la testa tra le mani tremanti. Era come sottoporsi ancora e ancora alla stessa identica tortura. Chiese a se stessa dove era finita quella bambina saccente, la stessa che aveva messo piede ad Azkaban. Solo poche ore fa, pensava di farcela. Era certa di avere tutti i requisiti per farsi strada senza il minimo sforzo. Era una brava strega. Di questo ne era certa. Aveva lavorato duramente, sacrificando parte della sua adolescenza affinché nessuno potesse rimproverarle niente, affinché potesse dimostrare che il lustro della sua famiglia non era andato perso. Eppure eccola, ansimante, a terra, pronta a toccare il fondo, piegata dalle più grandi paure che aveva sotterrato nella propria mente, pensando che quest'ultime non sarebbero mai riemerse. « Pulisci, per cortesia. » E senza la minima difficoltà, Selyse alzò la testa, impugnò nuovamente la bacchetta e con pochi gesti ripulì il disastro che aveva combinato. Evidentemente non aveva perso il suo tocco. Non era come se la sua bacchetta avesse smesso di assecondarla. Il problema non era nell'arma che impugnava. Era là su che qualcosa si era rotto, o forse era sempre stato rotto. « Preferirei evitassi di farti sfuggire incantesimi indesiderati in mia presenza. Tendono ad essere pericolosi, e non ho molta pazienza con questo genere di errori. » Selyse abbassò lo sguardo mentre un leggero rossore prendeva a colorire le guance. Vergogna. Non le era mai accaduto prima di allora. Forse perché fino a quel momento non era mai stata messa davvero sotto pressione. Le persone che la circondavano tendevano a proteggerla, quasi fosse un bocciolo d'oro. Il suo più fedele amico, Gabriel, che l'aveva accolta in casa propria, la trattava quasi come se fosse una bambola di porcellana, pronta a rompersi da un momento all'altro. Simone vedeva in lei qualcosa di speciale, di buono. Di conseguenza la riempiva di attenzioni non richieste, di cui la rossa se ne approfittava senza senso di colpa alcuno. Si lasciò aiutare per tirarsi su. Si sentiva un dolore atroce nelle ossa, come se fosse rimasta tesa per tutto il tempo di quel racconto. Le memorie più terrificanti che custodiva acuivano spesso l'intero corpo. Restava all'erta, Selyse, anche essendo consapevole di non aver più nulla da temere. Uno sguardo colmo di scuse e dispiacere fu rivolto al giovane, prima di tornare a fissare il nulla, il vuoto, mortificata come non mai. Era infastidita a dismisura dalla sua mancanza di controllo, dal suo essersi svelata con così tanta facilità. « Che lui se lo meritasse non ha la minima influenza con quello che ti sto chiedendo di fare. Ne dovrebbe averne ciò che è stato più avanti di lui, o di te. E' il tuo ricordo felice ad avere importanza, in questo momento, e quello deve essere un mondo a se stante, isolato da tutto ciò che l'ha anticipato e da tutto ciò che l'ha seguito. » La faceva così facile. Ma non era facile. Avrebbe preferito tornare a soffrire il freddo per altre ore interminabili. « Di nuovo, da capo. Concentrati sul tuo momento felice e isolalo dal resto. Proteggilo, e riponilo in maniera che tu possa ritrovarlo quando ti occorre. Non uscirai da questa stanza finché non sarai in grado di eseguirlo alla perfezione, sappilo. » Non stava parlando sul serio! Oh si che parlava sul serio. Poche cose poteva dire sul conto di Kostia Preud, e una di quelle era che bisognava prenderlo in parola. Sarebbe rimasta in quella stanza anche per settimane se fosse stato necessario. O sarebbe stata cacciata per via di quel vergognoso fallimento. La rossa lo fissò con un velo di risentimento, dandogli le spalle. Prese a misurare la stanza con piccoli passi aggraziati. Pensava e ripensava a quel pomeriggio. Chiudeva gli occhi e liberava la mente, cercando di visualizzare la lince. Voleva essere felice. Doveva esserlo.

    « Non funziona. E' tutto sbagliato. » Passò un tempo infinitamente lungo durante il quale si alienò completamente. Lo stesso ricordo si ripresentò con la stessa fenomenologia, imbrattato dal passato prossimo con conseguenza perdita di controllo da parte della ragazza. La luce azzurrognola continuava a fuoriuscire a intermittenza dalla sua bacchetta. L'unico progresso che aveva fatto riguardava il non lanciare più incantesimi accidentali. Non era mai successo dopo quella prima volta. Tutto il resto restava immutato. Dopo una serie di tentativi infinita, si sedette sull'orlo della vasca. Si sentiva sfinita, più psicologicamente che fisicamente. Rimase quindi per un po' immobile, inerme a riflettere. Stava sbagliando tutto. Dai giuristi aveva imparato che c'era sempre una strada alternativa. Il tempo è prezioso e la vita è troppo breve per lottare contro i mulini a vento. Se non poteva separare i suoi lieti momenti dalle proprie paure, c'era un'unica soluzione. Doveva affrontarle. Louis Deveraux non era più la risposta ai suoi problemi. Non lo era ormai da troppo tempo. Doveva solo ammetterlo a se stessa. Si concentrò quindi sul rumore di passi che scuoteva il suo mondo ideale. Canalizzò tutte le sue energie su quel rumore. Il picchettare dell'acqua proveniente della infiltrazioni. L'odore di muffa. Le sbarre fredde. Chiuse gli occhi e ispirò. Passò un tempo infinitamente lungo prima che la gabbia si aprisse. Ma non c'era il solito uomo ad aspettarla all'entrata. Due occhi di ghiaccio la scrutano nel buio della sua prigione allungandole una mano. Ci vuole troppo prima che Selyse decida di fidarsi. Le sue parole sono rassicuranti, vellutate. Si sente il gelo nella sua voce, appassito di fronte a una pietà incontrollabile. Chiunque avrebbe provato pietà nell'osservare quella scena, che volesse ammetterlo o meno. Selyse, un animaletto tremante, spaventato a dismisura. L'ombra di un essere umano. Forse gli stessi rapitori ne avevano provato ad un certo punto. Si fida. Si fida dopo troppo tempo. Non ha poi molto da perdere. Cosa le potrebbe mai succedere di peggio di quello che le è già successo? Afferra la mano e poco dopo si ritrova tra le sue braccia. Attraversano la stanza buia, per permettere a Selyse di vedere per la prima volta la luce del sole dopo quasi sei mesi. Il caldo sulla pelle, la vita, l'aria fresca. E i corpi dei maledetti accasciati a terra. Sorride e riapre gli occhi. La risposta era nelle sue più grandi paure. Era sopravvissuta. Era ancora lì e aveva ancora l'opportunità di compiere grandi cose. Come in precedenza, come quando si trovava completamente nuda sotto il peso del gelo nordico, ancora una volta la risposta era nel affrontare, non nello sfuggire. Il sole. La luce. L'aria. La libertà. Ispirò profondamente come se potesse trovarsi ancora lì, nel suo primo momento di libertà, durante quella rinascita spirituale. Era così spaventata, eppure in cuor suo sapeva che toccato il fondo poteva solo che risalire. Gioia. Eccola la gioia montare nel petto. Una pura spruzzata di vitalità. Di felicità. « Expecto Patronum » Un tono vellutato fluì dalle labbra rosse, leggermente incurvate in una sorta di sorriso dai sapori teneri. La luce azzurra venne finalmente rigettata dalla bacchetta, inizialmente soltanto a mo di scudo. Man mano che si concentrava sul suo momento di pura serenità, chiuse nuovamente gli occhi, ispirò allungo l'aria fresca, prima di tornare a osservare l'ambiente circostante nel quale fluttuava una graziosa lince. Selyse la fissò con immensa ammirazione. Era frutto di un enorme cambio di prospettiva. Infine, la creatura dalle tenui sfumature azzurre, tornò a tastare il freddo pavimento, dirigendosi lentamente verso Kostia. Chinò il capo, quasi in segno di gratitudine di fronte a lui, prima che la rossa la facesse svanire con un leggero movimento della bacchetta. « Ora che ne dici di quella boccata d'aria? » Uno spruzzo di confidenza, di fiducia in se stessa, tornò a ravvivare il tono della sua voce. Aveva bisogno di camminare; i muri di quella stanza le stavano già stretti. Forse perché vi aveva passato giù troppo tempo.
     
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    Ci volle tempo.
    Kostia rimase tutto il tempo in un angolo della stanza, osservandola come avrebbe fatto un professore nel corso di una prova particolarmente complessa. La vide girare per la camera, concentrarsi, provare e fallire e dirigersi verso il bagno alla ricerca di qualche momento di intimità. Di tanto in tanto delle guardie salivano fino alla porta della stanza per portare all'Ucraino dei messaggi o a chiedere istruzioni, in un discreto via vai di occhiate e sussurri. Ogni volta, però, Kostia tornava sempre nella stessa identica posizione, riprendendo ad osservare la sua allieva alle prese con il compito che le aveva affidato.
    Evocare un patronus era un incantesimo semplice da fare una volta che si conosceva il meccanismo che vi si celava dietro. Era come nuotare: appariva impossibile da fare solo finché non scattava qualcosa, e quel qualcosa non lo rendeva naturale quanto il camminare. Accorgersi di non esserne più in grado poteva essere un trauma grande quanto quello che aveva portato al non esserne più capace, ed era quello che stava accadendo in quel momento a Selyse. Stava arrancando come una ragazza che, tuffatasi in uno stagno, avesse appena scoperto di non saper più nuotare.
    O forse no, rifletté.
    La metafora avrebbe avuto la stessa urgenza se in quel momento lui avesse aperto una delle finestre e invitato un Dissennatore ad entrare nella camera a scambiarsi un bacio con la fanciulla che vi teneva rinchiusa. Per ora Selyse toccava ancora il fondo con le piante dei piedi, ben salde, e il panico era solo nella sua testa.
    - Di nuovo - la invitò dopo l'ennesimo sbuffo, e passò altro tempo prima che alla fine qualcosa cambiò. Kostia se ne accorse prima di lei, probabilmente, perché qualcosa era cambiato nel suo modo di porsi. Era più luminosa, e i gesti delle mani più sicuri. Era scattata una serratura, e qualcosa si era aperto in lei. Un attimo dopo la lince stava passeggiando per il pavimento, elegante come la sua proprietaria - Decisamente appropriato - si limitò a commentare, le labbra piegate nell'ombra di un sorriso. Le concesse quel discreto complimento per qualche secondo appena, prima di aprirle la porta e di permetterle di uscire.
    Per un attimo le diede l'illusione di volerla accompagnare ma, pochi passi dopo, si diresse verso una scala che portava ancora più in alto. Si bloccò con un piede sul primo scalino - Goditi la serata di libertà, ma ti consiglio di non avventurarti troppo nei piani inferiori. Domani mattina le guardie ti condurranno ad allenarti con loro, e nel pomeriggio ti mostreranno la biblioteca. Ti farò preparare i testi da studiare - istruzioni chiare e precise, che potevano solo anticipare una partenza. Non sarebbe stato così urgente, invero, ma la voleva sola, lì, a riflettere e a capire - Tornerò fra un paio di giorni - si limitò a liquidarla.
    Poi, voltandole le spalle, sparì lungo la rampa di scale.



    Quattro giorni dopo, mattina

    Il sole era alto sopra Azkaban, e il cielo limpido brillava sopra il cortile della prigione.
    Era caduta la prima neve, nei giorni precedenti, e quella era la prima mattina in cui era possibile allenarsi all'aperto. Selyse era stata aggregata al primo gruppo di guardie, per gli allenamenti, gruppo cui quel giorno spettava allenarsi nelle ore subito dopo l'alba. Kostia, appena tornato da Stoccolma, era scivolato attraverso il portone e stava osservando uno dei capitani picchiare ritmico la punta di un bastone in terra, scandendo con voce stentorea - Settantadue! Settentatre! Settantaquattro! - contava, e per ogni numero i corpi distesi a raggiera si piegavano e si rialzavano, eseguendo una flessione sulle braccia. Corpi sudati e tesi allo spasmo nell'aria gelida del mattino. L'allenamento era quasi finito, e quella prova doveva essere arrivata quasi a sorpresa dopo un paio d'ore di corsa, di difesa personale e di addominali - Il primo che crolla non avrà il pranzo! Ottantacinque! Ottantasei! - e ogni tanto picchiava il bastone su una schiena, o su una gamba. Colpi forti, ma non tanto da piegare qualcuno.
    Istintivamente lo sguardo dell'ucraino cercò la chioma rossa di Selyse, controllandone l'andamento. Michael aveva voluto sapere di lei, e Kostia si era riservato il diritto di attendere il suo ritorno ad Azkaban prima di fare una valutazione anche solo parziale. Voleva vedere se aveva resistito, quei giorno, o se per caso non l'avesse trovata costretta in una delle celle.
    Tutto poteva accadere, da quelle parti.
    - Ed ecco chi non mangerà, oggi - l'urlo del capitano diede la conclusione dell'allenamento, accompagnato da un colpo più forte sulla pietra del pavimento - Per oggi abbiamo finito. Andate a farvi una doccia! -


    Decidi tu se sei stata quella che ha ceduto o meno, se ti sei presa una delle bastonate o meno e quando e come mi hai visto.
     
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    Il primo giorno era stato il più difficile. Era ormai comprovato il fatto che Selyse imparasse solo attraverso l'esperienza; più veniva bastonata, più imparava. Aveva sempre troppa fiducia nelle sue capacità ed era certa di poter vincere facile. Niente colazione per lei il primo giorno, dopo essersele prese per giunta di brutto in palestra, contro uno scimmione che non le aveva certo reso la vita facile in combattimento. Niente pranzo e niente cena, dopo aver anche fallito nelle altre prove dell'allenamento. Nessuno sembrava avere un occhio di riguardo per lei solo perché era il primo giorno. E così, rimase digiuna, china sui libri con lo stomaco più leggero che mai, mentre il primo manto bianco scendeva teneramente giù dal cielo, fuori dalla finestra. Solo la sera, forse, per paura che il giorno dopo non sarebbe riuscita nemmeno a ingranare, le venne concesso un tozzo di pane e acqua fresca. Il secondo giorno non andò meglio. Riuscì nelle prime due tappe dell'allenamento, ma l'ultima, una corsa a ostacoli nella palude ricreata nella palestra la mise KO, e ancora una volta saltò la cena, con l'aggiunta di dover eseguire cento flessioni di fila. Ogni qual volta si fermasse, la conta ricominciava da capo. Per tre volte.. Il terzo giorno andò meglio. Nonostante arrancasse e non si sentisse più alcun muscolo nel corpo, per la prima volta si guadagnò degnamente tutti i pasti della giornata, e poté trascorrere le sue ore in biblioteca in piena serenità. Era stanca, stanca come non lo era mai stata, ma aveva imparato che imporsi di continuare funzionava. Il dolore era tutto nel cervello. Nessuno le rivolgeva la parola, quasi fosse un fantasma. Nonostante le guardie tendessero persino a scambiarsi battute tra di loro e sciogliersi dalla perenne disciplina in quei pochi momenti di riposo tra una sessione e l'altra, nessuno le aveva rivolto una parola, né per infastidirla, né per incoraggiarla. Era come se non ci fosse. Non era per loro un'intrusa, ma non stava diventando nemmeno una di loro. Aveva provato per due o tre volte di rivolgere qualche parola alle guardie che la seguivano ossessivamente ovunque andasse, ma questi, quasi come se avessero fatto voto di silenzio, facevano finta che lei non esistesse. La sera, sul tardi, era l'unico momento in cui poteva dirsi libera, e allora si dedicava nell'intimità dei propri spazi all'unica cosa bella che le era stata concessa. Nonostante fosse stanca, debilitata e crollasse quasi istantaneamente, non c'era sera alcuna in cui non si sedesse di fronte al cavalletto, prendendo a tracciare le poche pennellate che poteva. Poi si stendeva sul letto, contava i lividi della giornata - che tra bastonate e botte incidentali, erano ormai innumerevoli - e poi crollava nel più profondo sonno di sempre. Non era felice, ma non era nemmeno triste. Viveva in uno stato di inerzia in cui aveva ben poco tempo per pensare. Solo nei sogni, tornava a rivivere ciò che aveva sperimentato lì fuori e ciò che l'aspettava quando Kostia avrebbe deciso che era pronta. Non le mancava. Nulla di ciò che c'era prima le mancava. Paradossalmente, Azkaban era la sua bolla perfetta di beatitudine.
    La neve lasciò spazio a un sole pallido il quarto giorno, quindi fu condotta fuori. Le guardie lasciarono che si gustasse una mela lungo il tragitto, ancora una volta silenziose come fantasmi. Iniziava ad abituarsi a quei tipini, e pur di non cadere preda alla disperazione, a volte le prendeva in giro pur sapendo che nessuno di loro le avrebbe risposto. La giornata si aprì con una lunga corsa stancante, che tuttavia riuscì a sopportare, nonostante gli insulti di uno dei capitani sul conto della sua lentezza. Il primo giorno, l'avevano chiamata squinzia dalla mattina alla sera, quasi la stessero invitando ad andarsene. La squinzia ha mollato di nuovo. Su squinzia, alza le chiappe d'oro. Squinzia, non esci di qui finché non hai fatto le cento flessioni. Non è che si fossero ammorbiditi nei giorni seguenti, ma poiché non aveva mollato e non se ne era ancora andata, avevano preso a trattarla un po' meno da superficialotta e un po' più da smidollata alle prime armi. Qualcuna delle guardie si permetteva persino di ridere, quando il capitano non guardava, e certo, questo non risollevava l'umore della rossa. Alla fine della corsa, Hitler tracciò un cerchio nella neve. Come il primo giorno, dovevano combattere, e come il primo giorno, probabilmente Selyse avrebbe perso. Le venne assegnato lo stesso scimmione del primo giorno. Cinque minuti. Doveva resistere cinque minuti senza essere buttata fuori dal cerchio. Se fosse rimasta ancora in piedi, e senza ossa rotte poteva considerarsi fortunata se non addirittura vittoriosa. Lo aveva studiato dopo il primo giorno. Non era particolarmente intelligente e tanto meno veloce. Forza bruta, aveva scritto indelebilmente in fronte. Lei dal canto suo era piccolina. Doveva sfruttare quella sua naturale grazia, contro il rozzo compagno. Non poteva certo sconfiggerlo, ma poteva fare in modo che lui non la colpisse per quanto possibile. Al solo pensiero di quel pugno allo stomaco del primo giorno, si scoraggiò appena. Era bastato quello perché chiedesse tregua. Questa volta, sperava non finisse allo stesso modo.
    Con lo stesso modus operandi del primo giorno, lo scimmione si avventò su Selyse, ma lei lo schivò, ancora e ancora. Un pugno in pieno volto, la destabilizzò particolarmente. Il sangue prese a scorrere dal labbro superiore, ma Selyse non fu pronta a chiedere tregua. Doveva colpirlo almeno una volta. Doveva fargliela pagare. Si beccò in compensò un pugno sul fianco che la lasciò senza fiato. Si piegò su se stessa per qualche secondo, prima di tornare a schivare altri colpi, girandogli attorno. Lo scimmione e la scimmietta. Ripensò a tutte le mosse che le avevano insegnato e non appena un nuovo colpo arrivò, fu pronta ad accoglierlo. Bloccò per appena pochi secondi il pugno dell'avversario giusto in tempo per sferrargli una gomitata sulla mascella. A quel punto poteva solo che aspettarsi il peggio dalla furia dell'avversario. Il fischio suonò tuttavia prima che lo scimmione la mandasse nuovamente in infermeria. Era sopravvissuta. Le venne offerto un asciugamano pulito e dell'acqua, e poté prendersi un attimo, mentre il resto del suo gruppo affrontava la stessa prova. Fu allora che gli occhi smeraldo incontrarono quelli di ghiaccio di Kostia. Era tornato. Non lo salutò. Non si avvicinò. Si limitò a fissarlo per qualche istante prima di rivolgergli le spalle, ripulendosi il sangue dal volto.

    Non reggeva bene il passo. Stava andando a rilento. I colpi che aveva incassato quella mattina l'avevano stesa. Bastonata sulla schiena per la squinzia. Si morse il labbro ricordandosi che sarebbe finita presto. Ma doveva finire anche dopo gli addominali. « Il primo che crolla non avrà il pranzo! Ottantacinque! Ottantasei! » Non sarebbe stata lei. Non di nuovo. Continuò quindi a contare mentalmente assieme al capitano, convincendosi che mancava davvero poco. « Ed ecco chi non mangerà, oggi. Per oggi abbiamo finito. Andate a farvi una doccia! » Cadde a terra non appena sentì di esser stata congedata. Rimase lì per qualche secondo a fissare il cielo, prima di costringersi ad alzarsi. L'idea del pranzo la rimise di buon umore. E poi c'erano sempre i suoi Stanlio e Ollio con cui intrattenersi lungo il tragitto dal cortile in camera sua. Afferrò le sue cose pronta a dirigersi verso i suoi gemelli diversi, quando si accorse nuovamente della figura marmorea di Kostia. Lo aveva intravvisto altre volte durante l'allenamento, ma non si era concessa di pensare che la stesse seguendo per valutarla. L'idea di essere sotto osservazione l'avrebbe messa sotto pressione. Non poteva permetterselo. « Bentornato. » Asserì avvicinandosi mentre si scioglieva i capelli dallo chignon in cui erano rimasti raccolti durante la sessione mattutina. « So che hai da fare, e beh come saprai, anche io ho da fare. Tra un'ora devo tornare in biblioteca. Beh comunque, volevo solo ringraziarti per gli acquerelli. » E dicendo ciò gli rivolse le spalle, troppo esausta per cercare di conversare, dirigendosi verso le due guardie, che l'avrebbero condotta nuovamente nella sua stanza.

     
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    Le due guardie, però, non si mossero.
    Ne lo fece Kostia, che rimase immobile a fissare la folta chioma della rossa dondolarle sulle spalle.
    C'era un motivo se l'atmosfera cambiava radicalmente quando l'ucraino era presente al castello, e se tutto entro quelle mura si muoveva con l'assoluta precisione di un orologio svizzero. Non si poteva mantenere perfettamente funzionante una fortezza di quel tipo, in cui il pericolo di rivolte dei prigionieri e l'attenzione costante necessaria a tenere a bada i Dissennatori si sommavano al rischio di attacchi esterni, trattando con leggerezza nemmeno il benché minimo errore. Era per quello che le guardie si allenavano ogni giorno tanto duramente, che tutto era ordinatamente controllato e che nessuno si sarebbe mai permesso di parlare ad un suo superiore in quel tono, voltandogli poi le spalle.
    Se a comportarsi in quella maniera fosse stata una guardia, Kostia l'avrebbe uccisa. L'aveva già fatto in passato, soprattutto nei primi mesi dopo la riapertura della prigione, e perché alcuni dei suoi ex dipendenti erano passati dalla parte opposta delle sbarre dopo aver subito il peggiore dei baci che si potesse ricevere: certe regole andavano insegnate con una certa durezza in modo che la punizione fosse al contempo un metodo didattico anche per coloro che si limitavano ad osservarne.
    Cruciarne uno per educarne cento.
    Kostia spostò lo sguardo dalla schiena di Selyse ad una delle due guardie, limitandosi ad un breve cenno del capo. Gli aveva fatto piacere ritrovarla così allegra, al suo ritorno, e tanto concentrata su quella che era la sua nuova vita, e se fosse dipeso da lui avrebbe preferito non essere costretto a dare quell'ordine, così come era sicuro che la guardia avrebbe preferito non obbedire e che la rossa avrebbe preferito non subirlo. Ognuno faceva però quello che doveva perché le cose andassero come dovevano andare. Il pugno della guardia si abbatté sulla schiena della ragazza, colpendola alle costole sotto la scapola destra e spingendola a terra, senza fiato. Kostia le diede qualche momento per riprendersi prima di congedare tutti i presenti con un cenno della mano e dirigersi verso di lei - Sono io che decido come impiegare il tuo tempo, e non gradisco che mi si voltino le spalle in quella maniera - le fece notare, calmo. Si piazzò di fronte a lei, in attesa che si tirasse nuovamente in piedi. La fissò negli occhi, annuendo - E prego. Confido vorrai mostrarmi i tuoi lavori, un giorno di questi -


    Erano saliti nella stanza che le aveva assegnato, solo loro due.
    - Fatti una doccia - si era limitato a dirle una volta dentro, indicandole con un cenno del capo la porta che portava al bagno. Era stato lui a chiedergliela alle spalle, concedendole quell'intimità di cui l'aveva volontariamente privata il primo giorno. Era una prova, quella, che Selyse aveva già superato e che, se anche in futuro sarebbe tornata, in quel momento non avrebbe avuto altro senso che permettere a lui di rifarsi gli occhi. Un comportamento, aveva riflettuto nel chiudere la porta del bagno, che sarebbe stato molto poco professionale da parte sua.
    Quando Selyse ebbe finito, il piccolo tavolo della stanza era apparecchiato per due, con due piatti fumanti sistemati di fronte ad ogni posto. Kostia, che fino a quel momento era rimasto poggiato al davanzale a sfogliare uno dei libri che la rossa si era portata in stanza, alzò lo sguardo dalle pagine - Ti avevo detto che avremmo pranzato insieme ogni qual volta fossi tornato al castello - le ricordò. Attese che lei si accomodasse prima di sedersi a sua volta. Il cibo era lo stesso che avrebbero mangiato tutte le guardie, un piatto di zuppa, del pane e due mele, con dell'acqua come sola bevanda. Non si accettava alcool fra quelle mura, non quando si era in servizio.
    - Qual'è il tuo pensiero sull'utilizzo della violenza? - le domandò una volta che ebbero cominciato a mangiare. Se Selyse aveva creduto che quello potesse essere un semplice incontro di piacere si era sbagliata - Dove credi sia legittimo utilizzarla e fino a che punto? - staccò un pezzo di pane, masticandolo lentamente prima di approfondire la domanda - Poniamo il caso che io ti chieda di persuadere qualcuno a fare qualcosa per me. Quale sarebbe il tuo approccio alla questione? Diciamo...uomo di sani principi, sposato, due figli maschi in età adolescenziale -
     
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    Non era poi molto in vena di disquisizioni intellettuali in seguito all'episodio poco fa avvenuto in cortile. Era ormai certa che non ci fosse un verso giusto in cui remare col suo suo nuovo maestro. L'avrebbe probabilmente fatta pestare anche se avesse continuato a perdere tempo in cortile a conversare. Dovresti seguire il tuo programma non certo perdere tempo a fare la squisizia qui. avrebbe detto probabilmente, dopo averla fatta pestare da uno dei gemelli diversi. La doccia non aveva certo aiutato a calmare gli spiriti bollenti. Gli avrebbe staccato la testa a morsi se solo ciò l'avesse fatta sentire meglio, ma sapeva che non era così. Nonostante i metodi poco ortodossi, aveva ancora molto da imparare da Kostia. Così decide di mordersi la lingua e di fare - come i suoi gemelli diversi - voto di silenzio finché non sarebbe stata interpellata. « Ti avevo detto che avremmo pranzato insieme ogni qual volta fossi tornato al castello. » Quale onore. Si sedette silenziosamente al tavolo, prendendo a versarsi un po' d'acqua nel bicchiere. « Qual'è il tuo pensiero sull'utilizzo della violenza? Dove credi sia legittimo utilizzarla e fino a che punto? Poniamo il caso che io ti chieda di persuadere qualcuno a fare qualcosa per me. Quale sarebbe il tuo approccio alla questione? Diciamo...uomo di sani principi, sposato, due figli maschi in età adolescenziale. » Ormai abituata ai modi di Kostia, sapeva che qualunque sua risposta sarebbe stata del tutto o parzialmente errata. E probabilmente sarebbe stata contraddetta, se non addirittura punita in ogni caso. Decise quindi di rispondere in piena autonomia, puntando lo sguardo di fronte a sé, quasi come se il giovane non ci fosse nemmeno. Il passaggio al lei - dominata ancora dal rancore relativo all'episodio di prima - fu del tutto naturale. « Credo che la violenza dovrebbe essere adoperata con cautela e solo a scopo difensivo. Non mi fraintenda, non sono una pacifista, ma trovo che il più delle volte la violenza fisica sia un atto barbarico volto solo a soddisfare manie sociopatiche. La nostra era è piena di possibilità che non la coinvolgono. I nostri antenati, per esempio, erano obbligati a servirsi del pugno di ferro a prescindere, perché non conoscevano gli strumenti dialettici attuali. Unica eccezione, la violenza può essere preferibile forse solo in totale assenza di raziocinio. » Il tono di voce basso, freddo, impersonale, diplomatico a dismisura, quasi come se si trovasse a scuola. Pur esprimendo oppinioni del tutto personali, cercava di rimanere nell'ambito di un dibattito formale, non tanto per paura che le sue parole potessero essere fraintese - rischio che correva in ogni caso - ma più per dispetto nei confronti del suo interlocutore, il quale, a detta sua, non meritava al momento alcuna sfumatura di carattere puramente personale o informale. Stava imparando da uno dei migliori. « Nella fattispecie, appurato quindi, che l'individuo è in piene facoltà mentali e appurato il fatto che, né io, né lei, stiamo soddisfano un puro bisogno di sadico intrattenimento, procederei con lo studiare il soggetto, i suoi punti deboli, il suo passato, le sue abitudini, le persone di cui si circonda. Lo sottoporrei a una forma di violenza indiretta, la privazione. Solitamente basta operare in campo lavorativo per persuadere un uomo di famiglia. La privazione del modo di sussistenza del proprio nido è una leva più che sufficiente per convincere una persona a fare cose che non trova minimamente piacevoli. Se parlassimo di una persona più che benestante, cercherei la fonte dei suoi averi, e lì, quasi sempre troverei una qualche forma di irregolarità su cui far leva. Vede, stando a contatto con i clienti di mio padre - che non erano per l'appunto tutti criminali - ho scoperto che non vi è persona inattaccabile. E se anche lo fosse, la si può sempre rendere attaccabile. » Dicendo ciò, prese un sorso d'acqua e abbassò lo sguardo sul proprio piatto, iniziando a gustarsi senza poi molto appetito una fetta di pane.

     
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    Kostia staccò un pezzo di pane, lo lasciò inumidire per qualche momento nel liquido caldo e poi se lo portò alle labbra, lasciandoselo sciogliere in bocca. Nonostante l'immagine pubblica che dava di sé il Mangiamorte apprezzava particolarmente la semplicità di quei sapori e, sebbene all'interno di quelle mura piatti elaborati venissero cucinati solo per grandi occasioni, la qualità del cibo che veniva servita a guardie e prigionieri era sempre adeguata al suo concetto di società civile.
    La lasciò parlare, ascoltando ogni parola del suo discorso con estrema attenzione. Si era aspettato che Selyse si lasciasse andare ad un monologo farcito di ciò che pensava lui volesse sentirsi dire in un assurdo insieme di frasi preparate con concetti di seconda mano e stereotipi che Kostia avrebbe dovuto prendersi il tempo di correggere, ma ciò che ottenne fu un ragionamento estremamente lucido di quello che avrebbe dovuto essere la loro filosofia negli anni a venire. Non perfetto, ovviamente, ma comunque molto più di quanto sarebbe stato logico aspettarsi in una situazione analoga. Iniziava a capire per quale motivo Michael l'avesse affidata proprio a lui. Altri avrebbero abusato della sua disponibilità, o avrebbero piegato tutto quel talento all'interno dei limiti della propria irritante rozzezza e alla fonte costante della propria arroganza.
    Iniziava a credere che una simile eventualità si sarebbe rivelata un enorme spreco.
    La lasciò finire, continuando a mangiare lentamente. Posò il cucchiaio quando lei ebbe finito, prendendosi il tempo di passarsi un tovagliolo sulle labbra prima di emettere il suo giudizio - Ottimo direi - commentò. La fissò in viso per qualche istante ancora, quasi a voler cercare nella finezza di quei lineamenti qualcosa di invisibile, o comunque di estremamente difficile da scorgere. Annuì - La violenza non è che uno strumento fra tutti quelli che possiamo scegliere di utilizzare. Non ne approvo l'abuso, sebbene talvolta sia indubbiamente la via più efficace per risolvere un problema, e sono un forte sostenitore dell'attuale politica di discrezione del Ministro Moon - di cui era in parte anche l'artefice, almeno da un punto di vista formale e puramente ideologico - E non tollero di lavorare a contatto con persone che ne traggano piacere - chiarì, posando con estrema accuratezza un nuovo mattone sulla base di qualsiasi loro futuro rapporto lavorativo.
    Raccolse la brocca che le guardie avevano posato sul tavolo, riempiendo d'acqua il bicchiere di entrambi - Ciò non toglie che faccia parte di quello che siamo e di ciò che rappresentiamo - riprese a parlare dopo qualche istante - E che persone nella nostra posizione non possano esimersi dal conoscere TUTTI gli strumenti di cui possono doversi servire. Trovo che tu abbia fatto un ottimo lavoro in questa prima fase, sicuramente superiore alle mie aspettative - bevve un sorso d'acqua, assaporandone la freschezza insieme all'insolito gusto di quei complimenti. Il fatto che fosse una sua allieva e che avesse superato le prove cui l'aveva sottoposta venava il suo animo di qualcosa che poteva essere...orgoglio, si. C'era un briciolo di orgoglio, in quel complimento - Dimmi Selyse, hai mai ucciso qualcuno? - le domandò - Se io ti dicessi che è stato stabilito che quel padre di famiglia deve essere ucciso...come agiresti? Come lo faresti? -
     
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    Selyse rimase piacevolmente sorpresa delle parole ricevuto in cambio della sua piena onestà. Non lo diede a vedere. Prese piuttosto a mangiare con più appetito ascoltando le parole di Kostia con attenzione. Non uno sguardo venne rivolto al biondo mentre parlava; manteneva le distanze in una taciuta protesta che non sarebbe venuta meno così facilmente. Non gli avrebbe fatto pesare nulla di quanto avvenuto; immaginava avrebbe scoperto ben presto anche quelle piccole sfumature dei suoi intenti. Per adesso, il rancore rimaneva, ed era ben saldo lì al suo posto, affinché potesse renderla forte agli occhi del maestro. Trovò una sorta di conforto nel sapere che la pensava come lei. Non poteva trovare giustificazione nel mero piacere e addirittura amore per la violenza. Non in seguito alle violenze che lei stessa aveva subito. Non fare al prossimo ciò che non vuoi sia fatto a te, anche quando potrebbe risultare giusto. Non c'è una vera giustificazione nella violenza gratuita. Essa va usata saggiamente e solo in casi estremi, solo quando, le infinite strade presenti di fronte alla risoluzione di un problema, tendono a sfuggire al controllo. « Dimmi Selyse, hai mai ucciso qualcuno? » La domanda arrivò come un pugno allo stomaco. Ci aveva già pensato in passato, ma non si era mai concessa di immaginarsi come sarebbe stato togliere la vita a un altro essere vivente. Non c'era purezza in quella privazione pienamente consapevole, piuttosto un istinto di autoconservazione. Togliere una vita significa lasciarvi una pezzo di se stessi, mutare per sempre, ammettere di non aver trovato un'altra possibilità e dover ricorrere alla soluzione ultima. Uccidere, per necessità o chicchessia, resta un fallimento con cui convivere per sempre. Non uccidere non è questione di moralità o scrupolo, ma di puro egoismo. « Se io ti dicessi che è stato stabilito che quel padre di famiglia deve essere ucciso...come agiresti? Come lo faresti? » Riposò il cucchiaio nel piatto e prese a bere, pensando e ripensando a come rispondere. Cosa avrebbe effettivamente fatto? « No, il mio precedente impiego non mi ha mai portato a tanto. » Una pausa di riflessione. Cercò di immaginarsi quell'uomo. Spaventato all'idea di farla finita. Non può combattere. Non avrebbe alcuna chance di riuscita. I Mangiamorte manderebbero solo un sicario in grado di tener testa alla vittima. Qualunque incantesimo dell'uomo, schivato, dal primo all'ultimo. E a quel punto, dopo una serie inutile di tentativi di difesa e contrattacco, rinuncerebbe. La paura nei suoi occhi. La disperazione all'idea di non aver avuto il tempo di dire addio ai propri figli. Lo sguardo della rossa si perde nel vuoto, mentre l'ipotetica immagine s'insinua nella sua mente, la pervade, la cattura fino al punto del non ritorno. « Vorrei sapere perché deve morire. Uccidere ti cambia, credo per sempre. Non dimentichi i loro volti, che ti piaccia farlo o meno; hai catturato l'ultima luce nei loro occhi. L'hai vista spegnersi per sempre. Quindi le chiederei perché. » Una breve pausa in cui lo sguardo si focalizzò finalmente sul suo interlocutore, catturandone per quanto possibile l'essenza. « Poi lo farei, semplicemente. In modo rapido e se possibile, indolore. Istantaneo, come un taglio chirurgico. » Deglutì amaramente. Gli occhi velati da una forma di inquietudine. « Veleno. » Asserì infine con lo stesso tono pacato e freddo, privo di alcuna sfumatura personale. « Se avessi tempo, sceglierei il veleno. Non fa rumore e non sporca. » Abbassò lo sguardo. Forse il veleno era un giusto compromesso tra il lavarsi le mani e il trovare una propria firma nell'agire. « Ma se di tempo non ne avessi, e il veleno dovesse dimostrarsi troppo complicato, l'Anatema che Uccide, possibilmente in un luogo isolato, non tanto per tutelare me stessa, quanto per rendergli un po' di intimità negli ultimi momenti. » Concluse, tornando a masticare lentamente, un po' turbata dalle sue stesse parole. Se solo pochi giorni fa le avessero chiesto come avrebbe ucciso, si sarebbe immaginata i volti di coloro che maggiormente le avevano fatto del male, e avrebbe risposto di volerli vedere soffrire le pene del inferno. Ora, sembrava quasi non facesse differenza. Loro sarebbero morti, prima o poi, ma non certo per dar piacere a Selyse.

     
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    Il cucchiaio scivolò sul piatto ormai vuoto, stridendo deluso. Era una cosa abbastanza nuova, per lui, arrivare al termine di un piatto come quello e sentirsi spinto a volerne ancora, insaziabile. Ne fissò per un attimo il fondo, per poi pulirlo con un pezzo di pane. Il suo rapporto con i piaceri della vita era sempre stato centellinato in una serie di perle di estrema qualità e ai suoi occhi il piacere per il buon cibo si nascondeva nel gusto, non nel senso i sazietà che ne derivava. Quella era semplice biologia: era il sapore a dare il piacere.
    Un concetto che si applicava in egual misura al cibo, all'arte e alle donne ma che risultava leggermente distorto dalla scheggia di ambizione che da Michael era passata in lui. C'era, adesso, una lieve tendenza a volerne sempre di più, a non accontentarsi, ad insistere finché la pentola non fosse vuota o il letto disfatto e, anche allora, a cedere le armi mal volentieri. A vivere ogni limite, fisico quanto morale, come una sfida da affrontare lancia in resta e non come qualcosa con cui rapportarsi razionalmente. Spinse da parte il piatto con il dorso della mano, continuando ad ascoltare la sua allieva.

    Una parte di lui non poté che chiedersi, fastidiosa, se la luce che entrava dalla finestra avrebbe continuato a donare al suo viso quella luce eterea anche dopo un'intera notte di sesso. Anche dopo averlo visto stravolto dal piacere.

    - Facciamo quello che dobbiamo fare, nella maniera più efficiente possibile - convenne. Le pareva che dietro quella risposta vi fosse anche un primo accenno di un dilemma morale. Uccidere ti cambia. Era un assunto totalmente vero ma, se per qualcuno non era che una nuova affermazione della propria personalità, per altri poteva rivelarsi un cambiamento tanto radicale da portare a risultati imprevedibili - Eppure mi auguro che tu ti renda conto che è una condizione imprescindibile per far parte di questa famiglia - le spiegò, il tono ammorbidito. Non era l'ennesimo punto che le sarebbe toccato accettare pena l'espulsione immediata dalla prigione e dal futuro che cercava quanto una scelta che le veniva chiesto di fare consapevolmente. Una via d'uscita indolore che le stava offrendo e che portava, lenta e tortuosa, alla possibilità di una vita normale.
    Mosse una mano - E' una strada da cui non si torna indietro e che rende molto difficile qualsiasi presunzione di normalità si possa avere - le spiegò - Per alcuni di noi il Marchio è stata una scelta naturale, l'ennesimo passo lungo un sentiero che avevamo già imboccato da tempo, mentre per altri è stato un salvagente grazie a cui salvarsi dall'abisso. Credo che il tuo compito per il resto della giornata debba essere questo. Prenditi il resto della giornata, ragionaci e riflettici con estrema attenzione, ne parleremo questa sera a cena - si alzò in piedi, gettando appena un'occhiata fuori dalla finestra. Il sole si rifletteva sul mare, trasformando una nave all'orizzonte nel fantasma fugace di se stessa. Sarebbe stata una buona giornata per passare un po' di tempo sui camminamenti, ad averlo. Tornò ad osservarla - A proposito, che taglia porti? -
     
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    Ascoltare il biondo era diventato ormai piacevole. Nonostante non lo avrebbe mai ammesso, e avrebbe continuato a tenergli testa a tutti costi, doveva ammettere che la sua voce melodiosa, fredda a dismisura, eppure ravvivata da sfumature in certo qual modo calde e rassicuranti, era diventata un marchio indelebile, stampato a ferro e fuoco sulla sua anima. Ogni qual volta Selyse si fosse trovata di fronte a un bivio, avrebbe ricordato quella voce, avrebbe ricordato le sue parole e le avrebbe odiate a dismisura, o in alternativa le avrebbe trovate confortanti se non addirittura indispensabili. La strada che si era profilata nella sua mente per quanto riguardava i Mangiamorte si era completamente distorta e incrinata di fronte ai suoi occhi. Kostia le aveva tolto tutte le certezze, l'aveva svuotata fino all'estremo; non era riuscito a toccare determinate corde, che custodiva gelosamente dentro di sé, ma per il resto, le aveva tolto tutto, per restituirle invece una personalità più forte, man mano più controllata, più riflessiva. Kostia si era preso con sé una bambina indifesa, capricciosa a dismisura, difficile da gestire e così facilmente da schiacciare, e avrebbe - con molta probabilità - restituito al mondo una giovane donna molto meno vulnerabile. Rimase in ascolto. Sguardo basso. Occhi di smeraldo in preda a un dilemma che si profilava lentamente nella sua mente. Il tono di voce del suo interlocutore improvvisamente più docile. Quasi come se si trovassero in una zona d'ombra, lungo una linea di confine. Da una parte c'era l'insipida vita che si era lasciata alle spalle, e che pur se inconsapevolmente, non bramava e non le mancava, dall'altra, il precipizio verso gli inferi, strada sdrucciolevole, imperniata da mille insidie e mille scelte complicate. Da quale parte avrebbe fatto il passo? Kostia si alzò e Selyse fece altrettanto. « Credo che il tuo compito per il resto della giornata debba essere questo. Prenditi il resto della giornata, ragionaci e riflettici con estrema attenzione, ne parleremo questa sera a cena. » Non vi era più sorpresa nei suoi occhi. Aveva capito ormai il grado dell'incognita che aveva di fronte agli occhi. La fa pestare perché lei vuole seguire le sue regole alla lettera, solo per poi fare lui stesso uno strappo alle sue stesse regole. « A proposito, che taglia porti? » Rimase immobile di fronte a lui. Un leggero abbozzo di sorriso si dipinse sulle labbra leggermente rosee mentre tornata a tuffarsi nel grigio turbe dei suoi occhi. « Si guardi attorno Signore. Non c'è nulla di normale qui dentro. Ed è la parte migliore. » Se Kostia pensava che la sua indecisione scaturisse da un problema morale, aveva perfettamente ragione. Ma non bisogna certo dimenticare la natura mutevole del cuore di Selyse, la sua intrepida e impulsiva indole che pur rimanendo calma e pacata per una costrizione interiore, tende a distorcersi facilmente. E' una persona dinamica Selyse, molto flessibile; si adatta, sopravvive, come un fiore selvatico che si fa spazio tra le fredde rocce di una montagna arida forse sin troppo imprevedibile. E' giovane, sin troppo giovane; solo il tempo deciderà in cosa ella crede davvero. L'idea di uccidere non le piace, la terrorizza. Una parte di lei la considera un fallimento; eppure vi è una componente dentro di sé che non vede l'ora di sapere cosa ci si prova. Che sia masochismo? Che si tratti di autodistruzione? O semplice predisposizione naturale? Selyse era già su una strada dalla quale non si tornava più indietro. Qualunque presunzione di normalità avesse preteso semmai fosse uscita dalla prigione in anticipo, le sarebbe stata negata; se la sarebbe negata forse da sola. Gli ultimi giorni erano stati intensi, eppure, guardando quelle mura, ispirando i loro odori antichi, osservando le figure mastodontiche dei suoi carceri, ascoltando la voce del suo maestro, si rendeva conto che in così poco tempo, Azkaban le era entrata sotto la pelle, e avrebbe continuato a farlo. Quella stanza, quelle quattro pareti, la sua divisa, i colpi ricevuti e il desiderio di riceverne altri, perché simbolo di una strada in salita, non se li sarebbe mai scordati. Non c'era normalità lì fuori per lei tanto quanto non ce ne era dentro la prigione. Ma tra le due sapeva quale avrebbe scelto. E' questo o niente. Ma tutte queste cose, Selyse se le tenne per sé. « Sono una quaranta. Trentasei di piede. » Esile, minuta. Lo sguardo si voltò a sua volta verso il mare. Non si pose nemmeno il quesito del perché di quella domanda. Volente o nolente, aveva ormai abbandonato il suo futuro prossimo nelle mani di quell'uomo.

     
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