Un arrivo inaspettato!

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  1. Jam.
     
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    Si sentiva una fuggitiva.
    In effetti lo era, e aveva combinato molti casini nella sua breve esistenza.
    I suoi genitori erano morti, non riusciva a capacitarsi di come quattro anni a, trovò il coraggio di togliergli la vita.
    Aveva pensato molto a quello che aveva fatto prima di decidere di darsi alla fuga, i suoi genitori non li aveva mai davvero amati come si dovrebbero amare coloro che ti hanno messo al mondo.
    E lei non era dispiaciuta di questo, anzi, era convinta di avergli dato la punizione che si meritavano.
    E poi? Aveva scontato quattro anni di carcere per poi una sera, prendere per la giacca uno dei carcerieri e colpirlo con un sasso caduto da un muro pericolante nella struttura.
    I dissennatori non erano riusciti a trovarla.
    Perchè? Si era buttata dal dirupo su cui si affacciava la prigione ed era scomparsa nelle calde acque Giamaicane.
    Credevano vivamente che fosse morta, ma il suo corpo non salì mai a galla, perchè con grande sorpresa, era riuscita a trovare un passaggio nella montagna.
    Nascosto, ed aveva vissuto li per due giorni, senza acqua ne cibo.
    Poi un giorno rubò una scopa, appartenuta ad uno dei visitatori del carcere, ed era volata via.
    Aveva avuto molta fortuna rispetto ad altre compagne.
    Loro avevano subito il bacio per molto meno, mentre a lei il destino aveva voluto essere più lucente.
    In quel momento voleva sull'Inghilterra, con la stessa scopa con cui era riuscita a scappare dalla prigione.
    Avrebbe voluto di gran lunga spostarsi con altri mezzi, dopo un pò la scopa era capace di creare il mal di volo, ma era il mezzo più sicuro, dopotutto nel suo paese era morta, ma se qualcuno l'avesse riconosciuta?
    No, non potevano.
    Londra non era mai stata la sua reale meta, almeno non ancora...
    Però... aveva qualcosa da sbrigare in quel posto, qualcosa di molto importante.
    Si recò all'ufficio postale e imbucò una lettera, con destinazione "Hogwart, Guferia", perchè la sua adorata cugina era proprio li quel momento, nella calda casata di Tassorosso.
    Rise con un ghigno che avrebbe potuto spaventare un cinghiale, e montò nuovamente sulla sua scopa.
    La destinazione era la terra del nord, terra in cui si innalzava il più grande potere delle Arti Oscure.
    Decise di stabilirsi una volta arrivata al Nord, in una casetta nel villaggio di Bergenwiz, trovato molto carino da Jamie.
    Il suo obbiettivo principale però, li era Nord, era un altro, bensì unirsi ad un gruppo affermato di Mangiamorte di cui aveva molto sentito parlare.
    Ovviamente sapeva che non l'avrebbero accettata inizialmente, non senza una concreta dimostrazione del suo essere, cattivo e sincero nei confronti del gruppo.
    Inoltre il giorno dopo avrebbe dovuto affrontare un colloquio con il Capo della Prigione di Azkaban, prigione internazionale.
    Avrebbe sempre voluto essere un carceriere, anche perchè aveva vissuto gli anni più belli della sua vita in quel posto.
    Quindi si sentiva la persona più adatta per lavorarci.
    Il giorno dopo ci si recò al bordo della sua scopa, e l'aria fredda e gelida le colpì il viso.
    Appena arrivata scrutò la situazione, era davvero diversa dalla prigione in Giamaica, ma emanava la stessa terrificante essenza.
    Appena arrivata si fermò.
    "Saaaalve.... sono qui per un colloquio di lavoro!"
    Le guardie erano ancora ferme.
     
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    Le guardie fissarono la ragazza che era appena arrivata in scopa, senza dire una parole ne muovere un muscolo. Rimasero lì ad osservarla, in silenzio, mentre un paio di dissennatori iniziavano a volare sopra le loro teste in cerchi sempre più stretti. Una delle guardie inclinò appena la testa, osservandola meglio, poi annuì una sola volta. Come in risposta ad un segnale un attimo dopo tre schiantesimi piovvero da diverse feritoie qualche piano sopra di loro, schiantandola al suolo.

    Qualche ora dopo.

    Le pareti erano di pietra grezza, a vista. L'unico punto di calore era rappresentato da un grosso camino acceso lungo una delle pareti più lunghe. Le poche finestre che punteggiavano la stanza erano munite di grate, con i davanzali a quasi due metri di altezza: erano strette e alte, e si affacciavano su un cielo pesante di nuvole. Il sole non era ancora calato, ma la notte sarebbe scesa di lì a poco.
    La ragazza di colore rinvenne sul piccolo divano di pelle dove qualcuno l'aveva adagiata. Era stata perquisita, nel mentre, e tutti i suoi effetti personali - tutto quello che aveva nelle tasche o nascosto addosso - erano ordinatamente posati su un tavolino insieme alla sua giacca e alla sua bacchetta. Non appena avesse provato a muoversi si sarebbe resa conto che, oltre alle manette che univano i polsi di fronte al grembo, era bloccata anche da una catena che, partendo dalla sua caviglia destra, andava a infilarsi in un anello saldamente piantato nel pavimento. La catena era abbastanza lunga da lasciarla alzare o da permetterle di cambiare posizione, ma non tanto da raggiungere il tavolino o il camino.
    - Ben svegliata - la voce proveniva da un giovane uomo che attendeva in piedi sotto una delle finestre. Indossava un completo scuro, perfettamente ordinato, e non mostrava in volto alcuna espressione. Kostia mosse una mano, osservando l'orologio che teneva al polso - Mi permetta di illustrarle la situazione: non facciamo colloqui e non sono alla ricerca di nuovi impiegati. Lei ha esattamente centottanta secondi per convincermi a non gettarla in mare, con o senza quelle catene lo stabiliremo poi, e cerchi di non mentirmi, per cortesia: le bugie mi rendono nervoso. Direi che può iniziare... - osservò ancora l'orologio, finché la lancetta dei secondi non passò sullo zero - Adesso. Prego, mi illumini -
     
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  3. Jam.
     
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    Accadde tutto così in fretta.
    Non ebbe neanche il tempo di reagire che fu atterrata da svariati schiantesimi, eppure se l'aspettava.
    Quando riprese i sensi Jamie era adagiata su un divano, le scoppiava la testa.
    Si portò le mani a quest'ultima e si mise seduta.
    Dopo poco poté notare che i suoi polsi erano legati da catene e riprendevano anche il busto.
    Notò la sua bacchetta su di un tavolino e quando provò a prenderla inciampò nella catena legata al suo piade.
    Davanti a lei, un uomo dal bel'aspetto la guardava, probabilmente aveva atteso il suo risveglio a lungo.
    Sbuffò poggiandosi al divano e scosse la testa mostrando un sorriso compiaciuto, attese le sue parole e non si fecero attendere più del dovuto.
    - Mi permetta di illustrarle la situazione: non facciamo colloqui e non sono alla ricerca di nuovi impiegati. Lei ha esattamente centottanta secondi per convincermi a non gettarla in mare, con o senza quelle catene lo stabiliremo poi, e cerchi di non mentirmi, per cortesia: le bugie mi rendono nervoso. Direi che può iniziare... -
    Scoppiò a ridere mentre lui osservava l'orologio, 180 secondi per illustrargli la sua vita?
    No, non erano abbastanza, piuttosto optò per il menefreghismo.
    "Vedo che siete realmente molto ospitali qui con le persone!"
    Disse volgendo lo sguardo al camino acceso, in effetti li faceva realmente freddo.
    Quello che stava accadendo assomigliava ad una bella barzelletta, se avesse saputo che l'avrebbero trattata così si sarebbe preparata.
    "Sappi che non ho paura di morire, non importerebbe a nessuno! Le persone che amavo le ho uccise, senza rimorso e ho scontato quattro anni di prigionia prima di riuscire a scappare!"
    Disse continuando a guardare il caminetto, poi si volse direttamente a lui.
    Lo guardò negli occhi e ne ricavò freddezza, la stessa che riempiva i suoi occhi.
    E indifferenza.
    Appoggiò i gomiti sulle gambe e poggiò la pianta della mano sotto il mento.
    "Sai cosa significa uccidere i tuoi genitori? Solo perchè non provi lo stesso amore di una volta? Considerarli inutili dopo che ti hanno dato al mondo e dopo un secondo, sei tu che li hai uccisi! Ma non hai rimorso, ne paura di quello che ti possa accadere! Questa sono io, una linfa di pura indifferenza e freddezza, coltivata in un campo buio e isolato! Non ho emozioni e non posso farci nulla!"
    Disse seria facendo sparire per qualche minuto lo stesso sorriso che l'aveva caratterizzata per tutta la discussione.
    "Fai di me ciò che vuoi, io non mi smuoverei comunque, io non ho paura!"
    Disse posandosi con la schiena al divano.
    A chi avrebbe importato della sua morte, della sua sofferenza, quando non aveva nessuno a cui badare?
     
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    Kostia non possedeva più un cuore, per via della punizione inflittagli da Michael, e con esso erano svaniti tutti i suoi sentimenti. Sapeva fin troppo bene cosa significava non provare nulla, mentre la guardava assumere quell'aria spavalda, e quello che vide sul viso della ragazza non era menefreghismo nei confronti della propria sorta: era rabbia. Quel tipo di rabbia velato e vagamente autodistruttivo capace di spingere una persona a compiere azioni a sprezzo della propria salute o, come in quel caso, della propria vita. La ragazza non se ne fregava della propria vita, per quanto potesse essere convinta del contrario, ma la stava solo mettendo in gioco alla ricerca di un riscatto che le permettesse di sollevare la testa e sputare in faccia al destino.
    Se fosse dipeso solo da lui l'avrebbe gettata fuori dal portone e lasciata alla sua sorte.
    Quel tipo di energia che mostrava di avere, quella rabbia repressa alla disperata ricerca di qualcosa contro cui essere canalizzata, poteva essere molto utile se adoperata a dovere ma rischiava, come tutte le emozioni così potenti, di esplodere in faccia a chi la maneggiava con poca cura. Michael gli aveva però chiesto di individuare degli elementi validi che potessero essere fidelizzati alla loro causa e, magari, che potessero perfino rendersi utili e solo quello, allo scadere dei suoi tre minuti, impedì a Kostia di rigettarla da dov'era venuta. Forse si disse Si potrebbe perfino ricavarne qualcosa di buono.
    La osservò in viso finché la lancetta dei secondi non tornò per la terza volta sul dodici e solo allora, senza mostrare alcuna espressione sul volto, la cruciò. La bacchetta era apparsa come per magia nella sua mano, e la maledizione aveva attraversato in un lampo la distanza che li separava. Fu solo un assaggio della durata di pochi secondi ma, dopo averle dato qualche attimo per riprendersi, la cruciò ancora - Finché si trova fra queste mura è pregata di darmi del lei. Per lei io sono "Signor Preud" o, al massimo "Signore" - poi, senza aggiungere altro, raccolse le sue cose dal tavolino e uscì.

    Quando tornò erano passare diverse ore. Jamaica doveva aver capito che il divano era stato bloccato al pavimento, ormai, e che lei non aveva alcuna speranza di muoversi per più di un metro in tutte le direzioni. Troppo poco per raggiungere il camino, men che meno la finestra.
    - Jamaica White, ventiquattro anni - Kostia stava leggendo da una cartellina mentre, seguito da due guardie, andava a sedersi su una poltrona portata apposta e sistemata accanto al camino. Non ci aveva messo molto a controllare l'elenco degli evasi degli ultimi mesi e a trovare una corrispondenza: di lì a farsi inviare una copia del suo fascicolo con una scusa il passo era stato molto, molto breve - Licantropa. Quattro anni per omicidio multiplo. Ufficialmente deceduta durante un tentativo di evasione la settimana scorsa - chiuse la cartellina, facendo segno alle due guardie. Si avvicinarono entrambe, liberandola e lasciandole sul divano mucchio di vestiti. Si trattava di una tuta e di intimo sportivo, molto semplice e tutto rigorosamente nero - Si spogli e getti i suoi vestiti nelle fiamme. Completamente - detto quello continuò a guardarla in viso, mentre si appoggiava con il gomito al bracciolo della poltrona, simulando l'espressione di chi stesse riflettendo con estrema cura. Non aveva in realtà alcun bisogno di muoversi, o di esprimersi, ma aveva imparato che l'immobilità assoluta raramente portava altro che inquietudine in chi aveva di fronte. Nell'altra mano, pigramente, teneva la bacchetta - Sto cercando di decidere, Miss White, se ho più bisogno di lei come recluta o come cavia da laboratorio. E' raro che alla mia porta bussi una persona che ufficialmente non esiste, e la tentazione di approfittarne è molta: sto effettuando uno studio sull'asportazione degli organi in condizioni piuttosto singolari e potrei considerare il suo arrivo come una richiesta di venire donata alla scienza. Anima e corpo - no, decisamente la priorità non era quella di ucciderla ma, anzi, di vedere quanto poteva sopravvivere e in quanti pezzi. Quello voleva scoprire.
    Lui, in fondo, era comunque diviso in due.
     
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3 replies since 17/3/2015, 16:22   70 views
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