La Cura

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    Molte cose erano relative, in quel mondo come in altri, e il concetto di ordine e di disordine era sicuramente fra quelli. Esistevano persone che trovavano il proprio ordine personale nel caos più estremo e che si adagiavano in esso, forti di una memoria sviluppata e del piacere di godere della propria pigrizia, esattamente come esistevano persone incapaci di tollerare la mancanza di precisione di una penna posata sul tavolo in maniera apparentemente casuale, e che in quell'angolo sbagliato fra il tappo e il bordo del tavolo vedevano un'offesa personale.
    Kostia era sempre stato una persona del secondo tipo, e per questo lo stato della sua stanza era insolito al punto da poter essere inquietante.
    Olympia, quando due delle guardie di Azkaban la condussero fino all'ampia stanza che costituiva l'ultimo rifugio di Kostia, non si trovò davanti niente che una madre come lei non avesse visto decine e decine di volte. Solo che Kostia non era un bambino e, anche fra gli adulti, aveva una cura a dir poco meticolosa delle proprie cose e di se stesso. Una cura che, aveva iniziato a mancare.
    Ci voleva qualche momento per rendersi conto di quello che non andava, e solo ad una persona che lo conosceva bene quanto Olympia sarebbe saltato all'occhio. Il letto, seppure ordinato, aveva le coperte arrotolate ai piedi del letto e i due cuscini pendevano storti, come se chi li avesse usati non li avesse ordinati appena alzato e sul comodino accanto ad essi, dimenticati, giacevano un piatto con alcuni dolci e un bicchiere ancora sporco. Altri dettagli - un libro di pochi millimetri fuori posto e una camicia poggiata su una sedia invece che essere riposta nell'armadio - completavano quel quadro il cui centro assoluto, cosa perfino più inquietante, era un uomo in linea con quanto lo circondava.
    Quanti uomini Olympia aveva visto alzarsi dal letto? Quante uomini spettinati, con la barba vecchia di un paio di giorni e una camicia stropicciata addosso, abbottonata solo fino a metà petto? Kostia sedeva su una poltrona accanto alla grossa vetrata che dava sul mare, un libro aperto sulle ginocchia e un viso scavato perfino più magro di quanto non fosse fino a poche settimane prima. Come tutto il resto, Kostia era in quel momento un uomo comune sorpreso in un attimo di privata oziosità.
    Attimi che fino a quel momento gli erano rimasti del tutto estranei.
    Un gatto, nero se non per un'ampia chiazza bianca sul petto, si avvicinò alla gamba di Olympia, strofinandosi - Buono Seymur. Torna qui - perfino la voce, arrochita, era quella di un uomo che si stava lentamente lasciando andare. Da quanto non mangiava? Da quanto non beveva?
    Da quando non si alzava in piedi all'ingresso di una signora?
     
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  2. Olympia~
     
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    Dopo tutti quei giorni di silenzio, dopo che Kostia sembrava essere sparito nel nulla, ricevere il suo regalo per il proprio compleanno, fu una vera sorpresa.
    Quando Olympia aveva ricevuto il gufo, prima di aprire il pacchetto e leggere la missiva, non aveva affatto pensato che potesse essere da parte sua. Addirittura si era aspettata di ricevere qualcosa da Shane, ma non da Kostia.
    Non che non fossero più in buoni rapporti. Nonostante il diverbio che c'era stato mesi prima tra loro le cose erano andate a posto. Il fatto era che Kostia passava ormai il tempo chiuso ad Azkaban e non lo si vedeva per niente in giro. Era certa che non avesse ancora messo piede al Ministero.
    Olympia non poteva di certo dirsi una persona apprensiva e il suo concetto di amicizia era davvero relativo. Forse se non avesse ricevuto quel pensiero non si sarebbe mossa per andare da lui, non per mancanza di interesse, semplicemente perché riteneva che se qualcuno non si faceva vedere in giro era perché non voleva vedere nessuno.
    La stanza non era luminosa e nemmeno molto ordinata, cosa che non si sarebbe aspettata da uno come lui. Abbandonato sulla poltrona, c'era quello che un tempo era stato Kostia. Ignorò il gatto che si stava strusciando contro la sua gamba e avanzò di qualche passo verso l'uomo.
    Immagino che nella cripta di Dracula ci sia più luce, fu il suo primo commento. Si avvicinò alla finestra, aprendone il battente nel tentativo di illuminare un po' la stanza.
    Hai un aspetto terribile, fece poi non preoccupandosi minimamente di quello che avrebbe potuto pensare o dire. Non ho mai visto nessuno ridotto così e credimi che di uomini conciati male ne ho visti parecchi.
    Sedette sul bordo del letto a quel punto, lasciando che il gatto saltasse sul materasso, per poi salirle sulle gambe facendo le fusa. Lo accarezzò, senza distogliere lo sguardo da Kostia.
    Sono venuta per ringraziarti del regalo, ma ho intenzione di farlo e di instaurare una conversazione decente quando ti sarai dato una sistemata. Barba, doccia, tutte quelle cose che andrebbero fatte normalmente. Dopo di che andiamo in qualche posto decente, perché qui, davvero, non mi sento a mio agio.
     
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    Strinse gli occhi, con un fastidio quasi felino, quando lei tirò le tende e illuminò la stanza. La finestra era larga e alta, e il riflesso del sole sul mare che si stendeva fino all'orizzonte avrebbe infastidito occhi ben più abituati dei suoi. In effetti doveva essere da parecchio che non apriva a sua volta quelle finestre anche se non avrebbe saputo dire da quanto - Che giorno è? - le domandò. Ricordava di essere uscito per mandare dei gufi Martedì, quindi...tre, quattro giorni prima? Non credeva di aver mangiato, da allora, limitandosi a starsene seduto lì a leggere rapporti e a portare avanti i suoi studi. Scosse appena le spalle - Ho avuto molto da fare - si limitò a giustificarsi, come se quello avesse mai significato qualcosa. Come se fosse mai stata davvero una giustificazione.
    - Eppure ero convinto che ti piacesse, il castello - commentò mentre un lieve sapore di sangue gli invadeva la bocca. Gli ci volle un attimo a capire: le labbra. Doveva essere molto disidratato perché fossero arrivate a screpolarsi in quella maniera, al punto da spaccarsi al suo primo tentativo di dialogo da giorni. Da quanto aveva la gola così secca? Come aveva fatto a non accorgersene?
    Si puntellò sui braccio della sedia, tirandosi faticosamente in piedi - In ogni caso...i desideri di una signora...sono i... - miei. L'ultima parola, però, venne coperta dal tonfo del corpo di Kostia che crollava al suolo dopo un paio di passi appena. Un'altra cosa di cui non si era accorto. Posò le mani sul pavimento di pietra, cercando di arrivare almeno a mettersi in ginocchio.
    Si, aveva decisamente bisogno di mangiare.
     
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  4. Olympia~
     
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    Il ventinove novembre, rispose pacata, continuando a guardarlo mentre piano si risvegliava dal torpore nel quale era caduto da chissà quanti giorni.
    Rise appena delle sue parole, più uno sbuffo che una risata, ma le labbra le si piegarono chiaramente in un ghigno scettico.
    Oh noto quanto hai avuto da fare. Da quanto stai così?, spinse via il gatto che trotterellò sulle coperte sfatte, prima di saltare giù e andare incontro al padrone, miagolando e ricercando le sue attenzioni o, più probabile, del cibo. Bestioline detestabili e opportuniste i gatti. Non sapeva nemmeno che Kostia ne avesse preso uno. Cosa strana, questo non aveva soffiato contro Olympia come facevano di solito gli altri gatti.
    La donna si alzò in piedi quando vide Kostia fare lo stesso, trovando i movimenti dell'uomo troppo lenti e affaticati. Non era da lei preoccuparsi per qualcuno, ma si ritrovò a crucciarsi nel vederlo così.
    Oh, mi piace come hai sistemato qui, davvero, ma la presenza dei dissennatori si fa sentire anche a distanza di metri, si strinse nelle spalle e gli lanciò un'altra occhiata.
    Presa alla sprovvista, non cercò nemmeno di tuffarsi in avanti per aiutarlo quando lui perse l'equilibrio. Olympia trattenne un'imprecazione colorita e lo guardò piena di sorpresa.
    Si chinò accanto a lui, aiutandolo a mettersi in ginocchio, e sfiorò la sua mano per sbaglio, trovandola fredda. Sei ridotto davvero uno straccio, commentò, stavolta senza alcuna cattiveria, hai bisogno di rimetterti in sesto. Cambiati, ti porto a mangiare qualcosa.
    Non lo costrinse ad alzarsi, inginocchiata davanti a lui prese a slacciargli la camicia con movimenti decisi e pratici, senza alcun indugio o pudore.
    Sei freddo. Vuoi fare un bagno caldo?, fece scivolare la camicia sulle spalle di Kostia, sfilandogliela per poi appallottolarla sul proprio grembo e guardarlo in attesa.
     
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    Il ventinove Novmebre. Quindi si, erano passati quattro giorni da quando si era chiuso nel suo appartamento. Non ricordava di aver mangiato nulla, per tutto quel tempo, ma supponeva che qualcosa avesse comunque dovuto mandare giù: almeno da bere. Si, doveva aver bevuto o, a quel punto, sarebbe già stato morto. Quale terribile onta: sopravvivere ai propri nemici solo per morire di inedia nel cuore della propria fortezza. Avrebbe smesso di essere il terrore degli uomini di buon cuore solo per diventare una barzelletta per bambini. La prova che, alla fine, la cattiveria non pagava mai.
    - Quattro giorni - le rispose, con voce roca, mentre lei cercava di rimetterlo in piedi. Sarebbe stato inutile mentire. Mosse le mani, lente, solo per posarle sulle sue. Il pavimento era gelido sotto le ginocchia dell'uomo e le mani di Olympia sembravano roventi sotto le sue dita - Prima del...cibo. Frutta - mormorò, mentre lo sguardo si spostava sul letto. Non si era nemmeno reso conto di quanto fosse debilitato - Vitamine...liquidi. Poi... - le sorrise, mentre il sapore del sangue - ...Poi il bagno e poi...poi offro io. Promesso - si appoggiò a lei, obbligando le gambe tremanti ad alzarlo dal pavimento. Lo fece, ma fu uno sforzo di pura volontà.
    Si staccò da Olympia, percorrendo con lentezza la distanza che lo separava dal letto. Doveva sedersi lì. Sedersi, non caderci - Puoi fare...il bagno con...con me se ci tieni. La...la vasca è grande. Molto grande - uno dei pochi vizi che si era preso. Gli piaceva starsene a mollo, mentre rifletteva.
     
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  6. Olympia~
     
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    Quattro giorni. Sembravano pochi, ma passarli in uno stato del genere... beh non lo erano affatto, ed Olympia non riusciva a spiegarsi come un uomo – un uomo come lui soprattutto – potesse ridursi così. Per un momento, nel vederlo così vulnerabile davanti a lei, provò l'impulso di tirargli uno o due schiaffi, come se potessero bastare a farlo rinsavire. Che ne era stato del Kostia che conosceva?
    Si tirò su, aiutandolo a fare lo stesso, facendogli di appoggio e lo osservò inespressiva, mentre lui raggiungeva il letto per sedercisi.
    La frutta sul comodino accanto alla poltrona, dove aveva seduto fino a poco prima, sembrava fresca. Afferrò la ciotola per poi porgergliela e spingerla tra le sue mani in modo un po' rude.
    Non serve che offri, disse con calma, facciamo che in cambio torni quello di sempre, che ne dici? Così mi passa il prurito alle mani.
    Senza aggiungere altro, staccò un chicco d'uva dal suo grappolo, per poi spingerlo tra le labbra di Kostia. Sorrise per la sua offerta e scosse la testa.
    Una vasca molto grande... sembra invitante.
    Non diede una vera risposta, con queste semplici parole si avviò verso il bagno adiacente alla stanza e vi entrò, senza tante cerimonie. La vasca era grande davvero, forse avrebbe potuto comodamente ospitare più di due persone. Si chiese cosa se ne facesse di tanto spazio e ciò che si rispose da sola, le fece curvare le labbra in un sorriso malizioso.
    Lasciò scorrere l'acqua, finché non divenne calda e chiuse lo scarico, in modo che la vasca potesse riempirsi.
    Si affacciò di nuovo nella stanza, appoggiandosi allo stipite della porta con la spalla e incrociando le braccia.
    Non farò il bagno con te, ma posso farti compagnia. Faccio il bagno a Lilias tutte le sere, non mi pesa, si lasciò sfuggire un ghigno divertito. Allora, vieni?
     
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    Quel singolo acino di uva aveva un sapore nuovo, che Kostia stentò a riconoscere. Lo morse, facendoselo esplodere sulla lingua e contro il palato, e il succo che ne uscì gli sembrò la cosa più buona che avesse mai assaggiato in vita sua. Era squisito, dolce come ambrosia e colmo di zuccheri che, immediatamente, presero a riattizzare il fuoco della sua energia.
    Ciò nonostante, Kostia non riuscì a trarne il gusto che avrebbe dovuto.
    Era solo cibo, combustibile per un corpo che ne aveva bisogno, ma nient'altro. Solo zuccheri, liquidi e vitamine: non trovò, nella fresca squisitezza di quel singolo acino d'uva, più soddisfazione di quella che avrebbe provato inspirando una boccata d'aria. Era quello, più di tutti, il peso della sua maledizione - Temo di avere qualche difficoltà tecnica nell'adeguarmi alla mia nuova situazione - ammise, razionale, una volta che lei uscì dal bagno. Aveva preso un altro acino dal piatto e si stava obbligando a masticarlo con cura prima di deglutire - Mi serve solo tempo - aggiunse. Quello, e la possibilità di non morire per una stupida dimenticanza nel mentre. Doveva assolutamente rimettersi in riga, quello era sicuro. Rimettersi in riga e darsi dei ritmi.
    Il gatto saltò sul letto per annusare il contenuto nel piatto. Kostia lo carezzò mentre uno dei suoi fratelli - erano in quattro a girare per quell'ala di Azkaban - trotterellò fino alla porta del bagno, annusando all'interno. Masticò un paio di altri acini, prima di alzarsi in piedi. Barcollava un poco, ma sembrava più stabile di quanto non fosse fino a poco prima: gli zuccheri stavano facendo bene, e lo stesso avrebbe fatto il bagno caldo una volta che l'effetto vasodilatatore dell'acqua calda fosse passato. Doveva solo assicurarsi di non svenire nei primi venti o trenta secondi dall'immersione. Si appoggiò allo stipite della porta, la mano destra a pochi centimetri dalla sua spalla, spogliandosi lentamente. Non c'era alcun imbarazzo nei suoi gesti, e non solo perché l'imbarazzo verso il proprio corpo gli era sconosciuto fin dal primo incontro con Danae: Olympia aveva già visto di lui tutto quello che c'era da vedere. Fissò i vestiti posati in terra, odiandosi per non avere la forza di raccoglierli e riporli come si conveniva - Credo di essere ancora capace di lavarmi da solo - obiettò zoppicando fino alla vasca in pietra. L'acqua era bollente contro la sua pelle gelide. Vi si immerse con attenzione, adagiandosi sul fondo. Sentiva la sua pelle assumere liquidi, così, rivitalizzarsi - Non credevo fossi una...una di quelle cui piace solo guardare - sussurrò sotto le palpebre socchiuse.
     
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  8. Olympia~
     
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    Alzò le mani quando Kostia dichiarò di potersi lavare da solo, ma non trattenne comunque un sorrisino divertito. A quanto pareva aveva perso anche il senso dell’humor… beh non che ne avesse mai avuto granché.
    Osservò con una certa impassibilità i suoi movimenti, mentre si alzava dal letto, raggiungendo l’uscio del bagno, e sempre con espressione neutra lo guardò togliersi il resto dei vestiti. Aveva già avuto modo di vedere le grazie di Kostia e non si sentì a disagio.
    Fu divertita dal pensiero che era il primo uomo che vedeva nudo pur senza aver consumato con lui, che strano rapporto era quello che aveva con il signore di Azkaban.
    Andiamo, non ti piacerebbe farti insaponare la schiena?, lo provocò mentre lui entrava nella vasca. Ne osservò la pelle marmorea mentre si avvicinava lentamente, come avrebbe fatto un gatto pigro, a lui.
    Rimarresti sorpreso nello scoprire quante cose mi piacciono, gli sussurrò all’orecchio dopo essersi chinata accanto alla vasca. Afferrò la spugna con una certa sicurezza e la impregnò nell’acqua, tirandola su gocciolante.
    Senza premurarsi di strizzarla, la passò lungo la linea delle spalle di Kostia, lentamente. Vuoi lavarti da solo?, si fermò poi, porgendogli la spugna e sorridendo quasi a mo’ di sfida
     
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    Quanto vicino c'era andato, questa volta? Portò indietro la testa, posando la nuca sul bordo della vasca e abbandonandosi alla sensazione di vertigine che lo colse. Il caldo, lo sapeva, stava dilatando i suoi vasi sanguigni rendendo meno denso un sangue di per sé già privo di qualsiasi nutrimento. Se si fosse immerso prima di mangiare qualcosa - prima che gli zuccheri iniziassero il loro viaggio all'interno del suo organismo così provato - sarebbe probabilmente svenuto nel giro di pochi istanti e annegato in meno di due minuti.
    Morto.
    Strappato alla vita in una delle maniere più stupide che gli riuscisse di immaginare.
    Lasciò che lei gli passasse una spugna lungo la spalla liscia, senza muoversi più di quanto aveva fatto sotto le sue carezze in quella sera d'estate, sull'isola dei Vigilantes. Una delle idee più stupide che Michael avesse mai avuto, a suo parere, e pensarlo non lo fece sentire affatto in colpa. Perché avrebbe dovuto? Per colpa sua non poteva più sentire nulla e, in ogni caso, era già stato abbondantemente punito per qualsiasi crimine potesse mai commettere nei suoi confronti - Michael mi ha ucciso...ma senza farmi la cortesia di...di concedermi un po' di riposo - il segno al centro del petto era ancora vivido, visibile nonostante la superficie dell'acqua. Una cicatrice che non se ne sarebbe mai andata, probabilmente.
    Si lasciò scivolare sotto la superficie dell'acqua, lentamente, immergendosi quanto bastava per bagnarsi il viso e i capelli. Aprì gli occhi sotto la superficie dell'acqua, osservando il mondo da quella prospettiva per pochi secondi, prima di riemergere. Lentamente stava recuperando le forze, forse non quanto ne aveva bisogno ma abbastanza da essere sicuro che sarebbe sopravvissuto. La disidratazione era la parte più grave, ma a quella stava pensando la vasca. Strinse le dita intorno alla sua mano, fermandosi per un attimo prima di lasciarla di nuovo - No - concluse solo. La fissò poi dal basso, la testa lievemente piegata - Cosa ti piace, Olympia? -
     
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  10. Olympia~
     
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    Era così strano il loro rapporto, che risultava normale persino una cosa del genere: piombargli in casa, senza preavviso, e ritrovarsi chinata accanto ad una vasca colma, con lui dentro.
    Lentamente la spugna scivolava sulla pelle ancora in superficie di Kostia, senza osare di più, non per mancanza di coraggio, ma creare una sorta di attesa e di aspettativa.
    Si soffermò un paio di volte sulla cicatrice e lì esitò, come se temesse di potergli fare male, nonostante la pelle fosse perfettamente richiusa.
    Non riesco a credere che sia davvero possibile una cosa del genere, nemmeno con la magia..., commentò tranquilla, passandovi lentamente l'indice sopra. Se non avesse visto Kostia ridotto in quelle condizioni, forse non ci avrebbe mai creduto, nemmeno trattandosi di un mago potente come Moon.
    Povero Kostia, mormorò in un tono che di compassionevole non aveva niente, e proseguì con quelle lente carezze della spugna.
    Cosa ti piace, Olympia?
    Un sorriso le curvò le labbra, di nuovo immerse la spugna e, gravida di acqua, la ritirò su, per poi passarla sul collo dell'altro.
    Oh, mi piace tutto, Kostia, si limitò a rispondere sulle prime, mi piace guardare, mi piace farmi guardare, mi piace il calore di un corpo nudo nel mio letto, scivolò quasi distrattamente sul suo petto, con la spugna, mi piace dare e ricevere piacere, spesso mi piace anche condividere tutto questo con una donna o più, se capita.
    Nel suo sguardo, per un piccolo istante, ci fu un minuscolo bagliore carico di lussuria, e un sorriso divertito le curvò ancora di più le labbra.
    Mi piace giocare con chi me lo permette, aggiunse scivolando ora oltre il livello dell'acqua, facendo scorrere la spugna lungo il fianco dell'altro.
    Preferisco farlo con gli uomini, sussurrò così vicina al suo orecchio che avrebbe potuto sfiorarlo con le labbra, e farmi riempire del loro piacere. A volte mi piace anche provare dolore o procurarne. Mi piace mettermi alla prova e spingere il mio corpo al limite, mentirei se ti dicessi che non ho provato di tutto.
    Con i denti catturò il lobo dell'orecchio e lo strinse dolcemente per qualche secondo, prima di lasciarlo andare. E amo provocare.
    Una lieve risata riecheggiò tra le mura del bagno, mentre riportava la spugna all'altezza del petto di Kostia, riprendendo a strofinare come se niente fosse.
    E a te cosa piace?
     
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    - Ascolta - disse solo. La mano di Olympia si era avvicinata più volte al segno che gli incideva la pelle, così diverso dal lungo tatuaggio che gli decorava il fianco destro, ed ogni volta un acuto senso di fastidio gli aveva fatto vibrare il petto. Non era dolore, non nel senso letterale del termine, ma era più simile al passaggio di unghie su una lavagna: il suo corpo percepiva un vuoto, nel petto, e si ostinava ad aspettarsi un dolore anche quando non ce n'era, ritraendosi di conseguenza. Fu Kostia, però, a tenerle ferma la mano affinché Olympia lasciasse cadere la spugna e gli posasse la mano aperta sul petto, esattamente a coprire la cicatrice. Kostia non sentì dolore, ma per tutto il tempo in cui lei tenne la mano posata lì continuò ad aspettarsi di vederla sprofondare attraverso la pelle, quasi si stesse poggiando su una ferita aperta.
    Il cuore batteva, ma attraverso la sua pelle trasmetteva ad Olympia una sensazione di sbagliato, di lontananza, quasi che invece di trovarsi subito sotto la pelle il cuore che spingeva il sangue nelle vene fosse altrove. Era come poggiare la mano ad una lastra di metallo dietro cui, metri e metri nel sottosuolo, enormi motori elettrici rombavano e trasmettevano la loro vibrazione. Motori innaturali, sbagliati.
    - Nemmeno io sapevo fosse possibile - ammise, liberandole le dita. Di tutto era quello che lo infastidiva di più: l'ignoranza. Michael l'aveva punito in un modo di cui lui non sospettava nemmeno l'esistenza, usando una magia che Kostia non avrebbe nemmeno saputo riconoscere, figurarsi replicare. Ma lo avrebbe fatto, prima o poi. Doveva solo capire come.
    Lasciò poi che la voce di Olympia gli scivolasse addosso come miele, dolce e suadente. Socchiuse di nuovo gli occhi, lasciandosi cullare da quella voce e scoprendo, non per la prima volta, che nemmeno quello aveva effetto su di lui. Inspirò lentamente, per poi dischiudere le labbra al suono della sua domanda. Cosa piaceva a Kostia Preud? - Vincere - sussurrò e, se anche quella lapidaria risposta cozzava duramente con la sensualità dell'elenco fatto dalla donna, non c'era modo in cui lui potesse essere più sincero di così. Non con lei, né con nessun altro. Non credeva di esserlo mai stato - Essere il migliore - aggiunse consapevole di come forse, quello, potesse applicarsi meglio a ciò di cui parlavano. Una confessione che rendeva ancora più bruciante la sua vergogna, il fallimento cui era andato incontro e la punizione che gli era stata inflitta. Perfino quell'incapacità di fare altro che starsene seduto nella propria stanza a morire d'inedia, giorno dopo giorno.
    Le sfiorò ancora la mano, sospingendola leggermente verso l'alto perché si alzasse - Hai guardato... - le fece notare, e non a caso era stato il primo punto del suo stesso elenco. Era il punto successivo quello su cui voleva farla inciampare. Olympia con cui mai aveva desiderato di vivere un'intimità fisica... Olympia...Olympia che mai, quand'era nel pieno delle sue forze e del suo potere, aveva pensato a lui come ad un possibile compagno voleva fargli credere di farlo adesso, fissando i rottami cui era ridotto, per qualcosa di diverso dal tentativo di scuoterlo dal suo torpore - Fatti guardare, allora -
     
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  12. Olympia~
     
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    Era impossibile non pensare che Kostia si avvicinava molto più ad un morto. Per qualche secondo, quando non lo vide reagire in nessun modo, Olympia si sentì ferita nell'orgoglio, perché era forse la prima volta in vita sua che un altro non cedeva neanche di poco alle sue provocazioni.
    Attribuì l'innaturale calore del viso al caldo che all'improvviso aveva riempito la stanza e cercò di non darvi peso più di tanto.
    Lasciò scivolare la spugna sulla linea delle spalle di Kostia, là, alla base del collo, notando quanto la pelle fosse bianca, liscia, quasi marmorea. I capelli biondi dell'uomo gocciolavano, lentamente, cristalli di acqua che quasi la ipnotizzarono, mentre la voce calma del padrone di Azkban giungeva alle sue orecchie.
    Kostia non le era mai apparso tanto ambizioso. Certo, era intelligente, scaltro e capace di conquistarsi il proprio posto senza alcuno sforzo, ma era sempre così che l'aveva visto: un'ombra silenziosa, quasi letale, ma che non pretendeva.
    Fu una sorpresa. E per qualche secondo si fermò, per poter scrutare il suo volto così serio e un po' emaciato.
    Lo sei stato, rispose cauta. Puoi ancora esserlo.
    Scostò la spugna, poggiando le braccia sul bordo della vasca, e rimase così ad osservarlo. Per un attimo le parve di vedere qualcuno che non conosceva. C'era uno sconosciuto in quella vasca.
    Ti riprenderai. Tornerai quello di sempre. IO farò in modo che sia così.
    Suonava più come una minaccia che come una promessa e forse voleva essere entrambe le cose.
    Lasciò che Kostia toccasse la sua mano, che la sospingesse, e allora si alzò.
    Fatti guardare, allora
    Per una manciata di secondi rimase immobile a guardarlo. Il silenzio se ne stette attonito tra quelle mura e solo lo stillicidio continuo sulla superficie dell'acqua fece in modo che non fosse totale.
    Poi, senza dire niente, Olympia sfilò il cardigan e prese a sbottonarsi la camicia senza togliere gli occhi di dosso a Kostia. L'indumento cadde a terra senza nemmeno far rumore, a seguire tutto il resto, finché non vi fu più nulla a celare il corpo di Olympia agli occhi dell'ucraino. Non ci fu vergogna nel farlo, senza esitazione rimase vulnerabile e scoperta davanti a lui, ogni singola cicatrice in vista: il morso di Wargus su un fianco, che tanto aveva fatto per coprirlo quell'estate con i Vigilantes, i suoi graffi sul petto, e tutti i segni che suo padre le aveva lasciato con la magia oscura per anni. Persino le bruciature di sigaro sulla schiena non erano più andate via.
    Kostia era ora testimone di tutto questo ed Olympia lo riteneva giusto.
    Tornò ad inginocchiarsi accanto alla vasca, lentamente e sempre silenziosa. Guardò Kostia e infine avvicinò la mano al suo viso, posandola in quella che apparve come una carezza.
     
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    Rimase ancora immobile sotto le sue carezze, socchiudendo gli occhi e lasciando che la mano di Olympia percorresse lentamente la sua pelle, come già aveva fatto una volta. Ci si era adagiato, sotto quel tocco, traendone un conforto che ora non sfiorava nemmeno il suo animo. Non lenivano alcuna preoccupazione, le sue dita, perché non c'era alcuna preoccupazione da lenire: solo fatti che, gelidi e metallici, portavano di causa in effetto con una chiarezza che non avevano mai avuto. Adesso capiva, Kostia, pur credendosene immune si era stato a sua volta influenzato dai propri sentimenti esattamente come tutti gli altri.
    Adesso capiva, eppure non gli serviva più a nulla.
    Scosse appena la testa, riaprendo gli occhi sul corpo di lei. Mosse una mano a carezzare con la punta di un dito la pietra in cui era stata scavata la vasca. Non credeva che Olympia potesse davvero capire quanto forte potesse essere stato il bisogno di perfezione che lo aveva spinto fin dalla più tenera infanzia. Tutta la sua vita era stata una sfida con se stesso, un continuo impulso a migliorarsi e a migliorare le proprie conoscenze perché tutto - TUTTO! - fosse semplicemente perfetto. Cos'altro poteva portare un uomo della sua età, un ragazzo, ai vertici cui era giunto lui? Ad osservare il mondo dalla cima di una torre che, per l'intera umanità, rappresentava la paura stessa e che da quei giorni fino al termine di quella stessa umanità sarebbe rimasta legata al suo nome?
    - Se anche tu avessi ragione, non potrei comunque più gioirne - le fece notare, e quindi che senso avrebbe mai avuto? Nessun orgoglio da nutrire, nessuna gioia da provare.
    Esattamente nel modo in cui non poteva gioire del corpo nudo che, con una sensualità naturale, si stava rivelando a lui. Non l'aveva mai desiderata in quel modo, e solo in quel momento si rendeva conto di quanto sciocco fosse stato a non volerne assaggiare il sapore quando ancora poteva goderne a pieno. Il corpo di Olympia doveva essere ormai ben lontano dalla perfezione che aveva avuto da ragazza, prima che le vicessitudini della vita ne segnassero la pelle, ma erano proprio quei segni a renderla tanto bella ai suoi occhi. Centinaia se non migliaia di donne avrebbero potuto vantare un corpo perfetto, forse perfino all'altezza di quello che aveva ora di fronte a sé, ma da nessuna avrebbe potuto trasparire la stessa fierezza e l'identico carattere.
    Quei segni, che su altri avrebbero deturpato la sinuosità del corpo, sottolineavano su di lei una pericolosa bellezza di cui pareva nutrirsi.
    Un bellezza ferina, quasi feroce.
    Lasciò che si chinasse su di lui e che gli accarezzasse il viso. La mano di Olympia era fresca sulla sua pelle. Fresca, e nient'altro - Ho fallito, Olympia - ammise, tranquillo. Almeno era un fallimento che non poteva causargli dolore, non più ormai. Scostò la mano da dove l'aveva lasciata adagiata, portandola a carezzarle il profilo di un seno. Lo percorse con un dito, seguendo il proprio gesto con lo sguardo mentre scendeva lungo il fianco della donna. Sfiorò la cicatrice del morso che le decorava la pelle, più o meno alla stessa altezza in cui la sua era decorata dal tatuaggio che aveva scelto per sé tanti anni prima. Vi indugiò per qualche momento, prima di scendere ancora.
    Rialzò il viso, cercandone lo sguardo - Non farmi promesse -
     
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  14. Olympia~
     
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    Per qualche secondo provò un moto di rabbia, la voglia di afferrarlo per le spalle e scuoterlo, di schiaffeggiarlo persino.
    Kostia non era così arrendevole, non poteva esserlo, e sentirgli pronunciare quelle parole era frustrante. Ho fallito. Non poteva averle dette lui, non davvero.
    Lo guardò, la mascella contratta e la mano rigida sul viso dell'altro.
    Kostia...
    Non disse altro, suonava quasi come un ammonimento però. Era così strano vederlo in quelle condizioni e così strano rendersi conto di provare... dispiacere?
    Davvero era ciò che sentiva in quel momento? Kostia era diventato importante fino a quel punto?
    Olympia lo guardò e rimase immobile mentre la mano dell'altro carezza i contorni del suo corpo, solleticandola e facendola rabbrividire.
    Senza rendersene conto si era in qualche modo legata a lui. Amicizia. Era qualcosa che credeva impossibile, qualcosa che non pensava di trovare un giorno.
    Sospirò, posando la fronte contro il bordo della vasca, distogliendo lo sguardo da lui per un po'. Per lei, abituata a pensare solo a se stessa, era già tanto avere a cuore Arthur e Lilias, preoccuparsi per loro. Non sapeva se sarebbe stata capace di preoccuparsi anche per Kostia, come meritava.
    Perché? Pensi sia una promessa che non riuscirò mantenere?
    Di nuovo sollevò gli occhi su di lui, ne studiò il volto angelico, con attenzione. Era emaciato, pallido, ma sempre attraente.
    Olympia si sporse oltre il bordo della vasca, con il busto, e senza alcuna esitazione posò le labbra contro quelle dell'altro. Erano fredde, ma morbide e dolciastre per via dell'uva che aveva mangiato poco prima. La donna si prese tutto il tempo che voleva per saggiarle e solo diversi secondi si separò.
    Lentamente, con naturalezza, si tirò su e, prima una gamba poi l'altra, entrò nella vasca con cautela, prendendo posto sul lato opposto a quello di Kostia.
    Allungò le gambe su quelle dell'uomo e si mise comoda.
    Non ti dispiace, no? Visto che c'ero.
    Solleticò il fianco di Kostia, con la punta del piede, smuovendo un po' l'acqua.
    Quella promessa non me la rimangio.
     
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    Quando Olympia la baciò, Kostia ebbe la certezza che sarebbe morto. Non quel giorno, probabilmente, e nemmeno quelli a seguire ma di sicuro presto. Nemmeno il bacio di Olympia era riuscito a fargli sentire qualcosa e, mentre la osservava immergersi insieme a lui, si chiese ora che senso avesse restare in vita in quella maniera. Non c'era felicità in quello che lo attendeva, ne tristezza. Non c'era nemmeno la soddisfazione data dall'orgoglio.
    Nulla.
    Kostia era un guscio vuoto, senza emozioni ne obiettivi.
    Azkaban sarebbe stata, solo e per sempre, il suo unico lascito al mondo. Un monumento alla superbia e all'arroganza. E al fallimento di qualsiasi buona intenzione – Perché credo che sarebbe meglio se tu non ce la facessi – si limitò a risponderle. Anche questo era frutto di un ragionamento lineare e razionale, che lo portava a vedersi come un ramo morto di quell'evoluzione sociale che era il loro incedere nel mondo. Se non poteva essere efficiente non serviva a niente, e se il suo unico scopo era quello di vegetare fra quelle mura era certo di non volere sopravvivere solo per quello.
    Le posò una mano sul piede, sfiorandolo leggermente. Era caldo e morbido, dalle dita dritte come quelle di una ragazzina. Era un bel piede, seducente per le persone cui piaceva quel genere. Kostia lo accarezzò lentamente, alla ricerca di quei punti che sapeva essere più sensibili. Soffriva il solletico, Olympia, o ne avrebbe tratto piacere? Curioso lasciò scorrere un dito sulla pianta, giocando intorno ai punti in cui i nervi, se avesse premuto, le avrebbero trasmesso dolore e carezzandola in quelli da cui ne avrebbe tratto piacere. La sentì tendersi appena, sotto il suo tocco, riconoscendo i segni.
    Le passò la punta del dito intorno all'osso della caviglia, lentamente.
    Era come un violinista di una certa fama che si avvicinava ad uno stradivari dopo una lunga assenza, timoroso di scoprirsi inadatto ad uno strumento di tale portata e bellezza. Un corpo umano non era tanto diverso da uno strumento musicale, una volta che si conosceva l'esatta posizione dei tasti da premere e delle corde da pizzicare. Il reticolo di nervi che si celava sotto la pelle di ogni essere umano era un meraviglioso insieme di note da far risuonare a piacere, secondo la musica che si preferiva suonare.
    Urla di dolore, se avesse premuto solo un poco lì, sul ginocchio. Gemiti di piacere se avesse continuato a salire lungo l'interno della coscia.
    Kostia scelse di salire.
    Si piegò le ginocchia sotto il corpo, fluido, mentre si sporgeva leggermente verso di lei. Continuò a risalire lentamente, con le dita, fino a sfiorarle l'inguine con la punta dell'indice. Si fermò lì, ondeggiando guidato dai movimenti dell'acqua, a disegnare dei piccoli cerchi con la sua pelle in un crescendo di tensione. I movimenti della sua mano, lo sapeva, non si limitavano a carezzarle la pelle delicata della gamba ma muovevano l'acqua a pochi centimetri dalla parte più sensibile di lei, muovendola perché fosse quella a carezzarle il sesso.
    Senza dire nulla si piegò su di lei, sfiorandole il collo con la punta del naso, lento. Doveva capire se poteva ancora riconoscere i segni e farsene guidare. Doveva capire se, pur essendo un uomo rotto, non fosse anche un uomo spezzato. Le posò un bacio, delicato, là dove la mascella scivolava nel collo.
    Poi morse, attento a solo a fermarsi prima di far uscire del sangue.
     
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