Cella 47852

Elis Black

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    L'infermeria della prigione era pulita ai limiti della sterilizzazione, al punto da spiccare perfino nell'ordine assoluto che regnava in tutta la prigione. Kostia Preud, che regnava su ogni aspetto della vita che si conduceva fra quelle mura, era una persona precisa fino ai dettagli più insignificanti, ed era una precisione che si rispecchiava in ogni angolo del suo piccolo regno. Lungi dall'essere esente da quella dittatura dell'ordine e della pulizia, i locali adibiti alla cura fisica dei prigionieri avrebbero potuto rivaleggiare con alcuni degli ambienti di un ospedale bene attrezzato, secondo a quelli solo per una misera questione di dimensioni.
    Kostia, immobile di fronte alla finestra che si apriva nell'anticamera dell'infermeria, fissava l'orizzonte attraverso quell'apertura piena di sbarre. Le uniche finestre a non possederne in tutta la prigione erano quelle degli ultimi piani, i suoi appartamenti e quelli appena più sotto riservati agli ospiti, là dove un tentativo di evasione non avrebbe potuto che avere altro epilogo che un volo fino agli scogli sottostanti. Ammesso e non concesso che un prigioniero riuscisse a raggiungere la zona.
    L'apertura della porta che dava sull'ambulatorio vero e proprio lo strappò ai suoi pensieri, facendolo voltare. House, che aveva gentilmente accettato di visitare la prigioniera, era già uscito per tornare alle sue stanze dopo averlo rassicurato con qualche parola di circostanza sulla salute della donna e del bambino che portava in grembo. Avevano discusso a lungo sulle implicazioni del segreto professionale, ma alla fine Kostia era riuscito a convincerlo ad essere messo a parte di eventuali problemi facendo presente il suo ruolo di unico accesso alle cure necessarie, là dove se ne presentasse la necessità. Oltre al fatto che aveva comunque accesso alle cartelle cliniche di tutti i suoi prigionieri.
    - Miss Black, buongiorno - salutò la donna che aveva aperto la porta, accompagnata dalla guardia - una donna, ovviamente - che aveva seguito con fare distaccato tutta la durata della visita. Poteva essere gentile al punto da permettere ad House di tenersi occupato visitando i prigionieri e, al contempo, ad Elis Black di essere visitata da uno dei massimi esponenti della medicina moderna ma non lo era così tanto da lasciarli da soli in una stanza, senza orecchie ad ascoltare quanto dicevano ne occhi ad osservarli. Era una questione di serietà professionale - Mi permette di scortarla personalmente fino alle sue stanze? -
     
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    Era strano vedere House così serio, per nulla incline a battute e frecciatine imbarazzanti, non eravamo riusciti a scambiare molte parole a causa della donna-guardia che stava con noi nella stanza dell'infermeria, ma il mago non mi sembrava molto in forma. Quel posto sembrava avergli tolto ogni energia...come ne stava togliendo a me: l'isolamento, l'assoluto silenzio, il non aver nulla da fare per me era stressante. House era praticamente la prima persona, esclusi Preud e la guardia, che vedevo da mesi e poter parlare con lui aveva avuto un doppio effetto, mi aveva rallegrata sì, ma anche rattristata. Quando uscì dalla stanza desiderai di poter prolungare la visita ancora per alcuni minuti, minuti che mi presi per me, prima di uscire: i miei tre monelli si erano agitati durante la notte, eppure a sentirli ora sembravano immersi in un sonno profondo. Per fortuna stavano bene.

    "Signor Preud" annuii all'uomo facendo qualche passo avanti, verso l'uscita, volente o nolente mi avrebbe accompagnata ugualmente alla mia cella. A volte i suoi modi mi facevano sorridere, non lo nego, aveva quell'aria cortese - a volte sembrava buffamente un albergatore - di cui non riuscivo a capire l'origine: mi domandavo spesso se fingesse o fosse così per natura, anche se il mio istinto mi portava a credere che fingesse per farci rilassare, e trovare il momento in cui attaccare. Lo avevo imparato a mie spese con Ares. Perciò, per quanto potesse mostrarsi gentile, e per quasto potessi ricambiare la gentilezza, non mi fidavo. Era pur sempre uno di loro, un mangiamorte.

    "Vorrei poter scrivere...ah" mi fermai a metà scala per riprendere fiato, era un po' che ci pensavo, e ora era arrivato il momento di farlo, di far sapere che stavo bene perchè non avevo assulatamente idea di quello che stava accadendo fuori dalla prigione. E volevo sapere se lui, loro stavano bene. Rimasi ferma dov'ero, guardando fuori dalla piccola fessura sulla parete, come se volessi vedere lontano.

    "Vorrei poter scrivere a casa, per far sapere che stiamo bene" non credevo davvero che mi avrebbe lasciata mandare una lettera, ma dovevo provarci, almeno per vedere la sua reazione e capire se ci fosse anche una piccola speranza di avere il permesso un giorno o l'altro.
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    A dire il vero non si era mai aspettato di dover ospitare fra quelle mura una donna incinta. Non che avesse davvero qualche scrupolo a tenerla rinchiusa in un luogo come quello, frutto delle scelte che la donna aveva effettuato fuori di lì, ma la presenza di una gravidanza, soprattutto di così alto profilo, poneva una certa dose di problemi pratici di non facile soluzione. La stanza di Elis era stata dotata di qualche piccola comodità che le altre non avevano, così come la sua dieta lasciava spazio, oltre che ad una cura nutrizionale, a qualche piccolo peccato di gola quotidiano che soddisfacesse le sue voglie. Fin dal giorno in cui Michael le aveva rivelato l'esistenza di quella donna e la sua importanza per Ares, per Kostia Elis era stata l'equivalente di una pepita d'oro posata su un piatto d'argento: qualcosa da trattare con estrema cura e, cosa non di poco conto, con una certa qual dose di simpatia.
    Le posò una mano sul gomito, sorreggendola quando barcollò a metà della scala. Non doveva essere semplice per lei fare a piedi tutti quei piani di scale, costruiti oltretutto con una tortuosità progettata allo scopo di confondere. Niente spie ad Azkaban, ne ampi corridoi che facilitassero l'ingresso di eventuali invasori - Faccia con calma. Abbiamo tutto il tempo - la tranquillizzò, attendendo che fosse lei a riprendere a camminare. House aveva detto che l'attività fisica le avrebbe fatto bene, ma per ogni evenienza avrebbe fatto tenere le prossime visite nelle sue stanze. O magari avrebbe fatto allestire un piccolo spazio apposito sullo stesso piano in cui si trovavano.
    Annuì appena, tranquillo - Non vedo per quale motivo io debba negarglielo - commentò, riprendendo a salire con il passo di lei - A patto che lei sia consapevole che, per questioni di sicurezza, tutta la posta in entrata e in uscita dalla fortezza è attentamente controllata e, nel caso, censurata. Suppongo però che lei non abbia altro desiderio che tranquillizzare il padre dei suoi figli, e non ho alcuna obiezione a riguardo - in fondo era stato Michael a desiderare che Azkaban, in quanto a prigione, continuasse ad apparire il luogo più idoneo alla detenzione dei criminali europei, neutrale e umano. Un'apparenza impeccabile che comunque ben si adattava alla sua filosofia di vita - Il dottor House era soddisfatto della visita? - si informò.
     
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    "Ce la faccio" confermai prendendo un respiro e ritraendomi dal tocco della sua mano, non mi piaceva quando si avvicinava troppo a me, non mi piaceva quando cercava di toccarmi, anche solamente per darmi una mano: io...avevo la costante sensazione e paura, che quei gesti significassero qualcosa di più di quel che voleva dare a vedere il mangiamorte, non perchè avesse fatto qualcosa che potesse generare in me un sospetto preciso ma, era...dopo aver scoperto dell'amortensia che Ares mi aveva fatto assumere, che ogni suo gesto aveva un chiaro e preciso scopo che avrei dovuto vedere fin dall'inizio, io lo sapevo, ero stata stupida, non avevo voluto vedere. Non mi sarei mai rimproverata abbastanza per questo.
    Di chiunque si trattasse, ora, non volevo farmi toccare.

    "Davvero?" ero sorpresa, lo guardai quasi incredula, non pensavo sarebbe stato così facile ottenere il permesso. "Sì, lo immaginavo in verità, non c'è nessun problema, non scriverò nulla in più del necessario, mi basta poter..." ripresi a salire nascondendo una smorfia, l'argomento "padre" era un argomento delicato. Paul aveva detto che non voleva più vedermi, inoltre, ancora non ero sicura fossero suoi, lo sentivo, dentro di me, ma non ne avevo la certezza. "...sì, poterlo tranquillizzare. Grazie." Rimasi in silenzio ancora un po', proseguendo la salita e concentrandomi sulla respirazione, avevo il fiato corto e parlare mi portava via l'ossigeno necessario ai polmoni per proseguire con tranquillità. Risposi alla sua domanda solamente quando mi fermai nuovamente.

    "Sì, è stato molto positivo al riguardo. Non ci sono problemi rilevanti" Erano sani, tutti e tre, magari la femmina era un pochino più minuta dei fratelli, ma secondo House non c'era da preoccuparsi, avrebbe recuperato una volta nata. Ma, se mi fossi trovata ancora rinchiusa lì al momento del parto, sarebbe stato necessario organizzare il trasferimento al San Mungo, il luogo più ideale, per effettuare il cesareo. Speravo ne avrebbe parlato lui con Preud al momento opportuno, se fosse stato necessario. "Mi ha consigliato di prendere delle vitamine, pensa che sarebbe possibile...?" averle? Recuperarle?
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    - Davvero - le confermò, e se per un attimo aveva riflettuto davvero sui motivi di tanta sorpresa, alla fine parve prenderla con un pizzico di leggerezza quasi paragonabile a del divertimento - Non c'è motivo di rendere la sua permanenza qui più gravosa di quanto non sia in realtà - commentò ancora, proseguendo passo passo con lei lungo quella salita. Era un concetto che faceva parte delle regole non scritte di quel luogo: la prigionia non sarebbe mai stata piacevole come la libertà, ma nemmeno gravosa o dolorosa in assenza di atti di chiara ribellione. A tutti i detenuti era chiaro quanto penosa potesse farsi la loro situazione in caso di ribellione o di tentativi di evasione, ma fino a quel momento...concedere loro un ambiente relativamente comodo rendeva meno probabili assurdi tentativi di fuga.
    Notò l'esitazione nel citare il padre dei bambini che attendeva, ma quale che fosse il motivo non sembrava essere rilevante per lui. Si sarebbe informato, a tempo debito, ma farlo in quel momento sarebbe sembrato maleducato, e la maleducazione era una cosa che proprio non sopportava. La maleducazione, la volgarità, l'eccessiva e gratuita violenza...c'erano cose che non sopportava più di quanto potesse sopportare la presenza di alcuni suoi colleghi. Gli mancava Castiel, in certi momenti. Westwood non era sicuramente un esempio di raffinatezza e spesso rasentava la follia, ma in quel circo equestre che circondava il Michael era sicuramente uno dei suoi appoggi più cari. La sua cattura era un'altra di quelle cose che avrebbe messo in conto a Ramirez.
    - Sicuramente - confermò - Il dottor House ha accettato di collaborare con noi, durante il suo soggiorno qui, proprio per farsi garante con i propri occhi di quello che vi accade davvero. Sono certo che in questo momento avrà già stilato una lista di quanto le è necessario. La vidimerò al mio ritorno in ufficio, e allora sarà questione di un paio di giorni al massimo. Da questa parte - le fece cenno, puntando verso un corridoio diverso da quello da cui erano scesi in precedenza - E' un po' più lunga ma decisamente meno ripida -
     
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    Accettato di collaborare? Non mi lamentavo, anzi per me era stata una fortuna ed un piacere poter essere visitata direttamente da House, lui era il mio medico fidato, sapeva tutto di me e non avrei desiderato nessun altro suo posto per prendersi cura dei bambini...ma non ero certa avesse deciso di collaborare spontaneamente: lo avevo trovato deciamente giù di morale, e arrabbiato, più del solito. Lavorare in infermeria probabilmente era una distrazione per alleviare la prigionia, lui almeno aveva trovato qualcosa di utile da fare...mentre io ero solamente una donna in cinta che faceva fatica a salire le scale.

    "N-no! Cioè, non importa, possiamo proseguire di qui, ce la faccio!" esitai parecchio restando ferma sul posto, a dire il vero mi spaventai, perchè voleva cambiare strada? Dove voleva portarmi? Non volevo prendere un corridoio sconosciuto, erano meglio le scale familiari che almeno sapevo dove mi avrebbero portato...quel ccorridoio invece, identico agli altri, poteva finire in qualsiasi punto della torre e non volevo scoprirlo. E se non fossi tornata alla mia stanza?

    "No, continuiamo a salire da qui" mi impuntai facendo un passo verso le scale, probabilmente stavo facendo un errore, non avevo alcun diritto decisionale in quel luogo, ma ero una madre e avrei fatto qualsiasi cosa per proteggere i miei bambini, e se non volevo portarli in quella direzione, non li avrei portati. Nulla mi avrebbe smossa.
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    Un po' detestava quei lampi di terrore che notava talvolta sui volti dei prigionieri più illustri. Odiava la fama che alcuni dei suoi colleghi avevano data all'intera categoria, che spesso grava su di loro come una cappa nera di pesante terrore che offuscava tutto quello su cui si posava. Non che Kostia non apprezzasse la paura come strumento, ma per l'appunto era di uno strumento che stavano parlando, qualcosa che potesse essere utilizzato a calibrato, non di quel terrore che avvolgeva tutti coloro che li circondavano senza distinzioni.
    La paura era uno strumento, il terrore un ostacolo.
    Elis, per esempio, non aveva alcun motivo di essere terrorizzata. Kostia non aveva alcun motivo di fare del male a quella che era stata, seppur in maniera inconsapevole, una delle sue più preziose risorse con cui difendersi da DeSade ma, se pure non lo fosse stata, avrebbe comunque avuto il suo status di madre a garantirle una certa tranquillità, oltre ovviamente alle regole particolari della prigione. Il tradimento era punito severamente ad Azkaban, così come i tentativi di fuga e le aggressioni ai secondini, ma in maniera altrettanto severa venivano punite le guardie che si avventavano senza motivazione sui prigionieri. I detenuti venivano lasciati in pace, nutriti e accuditi nel rispetto delle basilari regole di convivenza civile: chi non creava problemi non aveva mai problemi.
    - Come preferisce - si limitò a dirle, continuando per la stessa ripida scalinata che stavano percorrendo - Personalmente le sconsiglierei di affrontare una simile salita in presenza di più comode alternative, ma sono i suoi bambini e dev'essere lei a scegliere - riprese con una certa noncuranza, lasciandola libera di scegliere quale percorso intraprendere. Il mestiere con cui si manteneva non lo rendeva privo di una certa nota di cortesia professionale.
    Si adeguò al suo passo, ancora una volta, limitandosi ad attenderla ogni qual volta si fermava o rallentava appena - In ogni caso spero di farle una cosa gradita nel dirle che il suo locale, la Testa di Porco, non ha risentito troppo degli eventi del Giugno scorso. Gli affari le stanno andando bene, e tutti i suoi dipendenti sembrano essere in buona salute -
     
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    "Io...preferisco sapere dove sto andando. Grazie" accennai riprendendo a salire le scale con forse troppa fretta, avrei dovuto probabilmente essere più accorta e non scattare così, House aveva detto che dovevo stare attenta e non sforzarmi più del necessario, ormai mancava poco più di un mese alla scadenza. Eppure non avevo intenzione di prestare ascolto a Preud prendendo l'altra strada, e lasciare intendere che potesse comandre su ogni cosa desiderasse, sebbene la realtà fosse proprio quella. Poter decidere il percorso era come avere uno spiraglio di libertà.

    "Stanno tutti bene? E-ed è rimasto aperto? Cioè...davvero?" a dire il vero l'argomento mi prese alla sprovvista: pensavo che Ares avrebbe fatto chiudere la Testa di Porco immediatamente dopo il mio arresto e temevo che avesse fatto del male ai miei amici considerandoli complici e magari credendo che sapessero dove fosse Paul. Non avevo più saputo nulla dal giorno in cui ero stata scoperta.

    "Cos'è successo?" mi morsi il labbro guardando davanti e me le scale ripide, leggendomi la mente Ares aveva scoperto che volevamo entrare al ministero, che avremmo approfittato della mancanza del Ministro per fara un "colpo di stato"...e sapevo che avrebbe usato quelle informazioni a suo vantaggio. Quindi com'era finita? Ce l'avevano comunque fatta?
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    - Lei sa dove stiamo andando, Miss Black - le fece notare, educato come sempre - Le ho solo proposto di arrivarci per una strada che le fosse più comoda - aggiunse ancora, fermandosi sugli scalini. La osservò per qualche momento, senza che il sorriso si spegnesse sul suo viso. Non era sicuro che quell'atteggiamento gli piacesse, per quanto garantisse un certo ordine all'interno delle mura, perché lasciava intendere una casualità di intenti che non gli spettava, e una mancanza di rispetto della propria parola che non possedeva.
    Riprese a camminare - Sono costretto ad ammetterlo: il suo timore mi offende - le confidò, riprendendo a salire con lei. Mosse appena una mano, sfiorando le pietre gelide del muro - Se avessi intenzione di farle del male lo avrei già fatto. Posso comprendere che la cosa non le piaccia...essere arrestato non piace a nessuno...ma in questo momento mi sto adoperando perché la prigionia le sia il meno gravosa possibile: la prego di non offendere le mie buone intenzioni mettendo in dubbio le mie parole. Mi perdoni la durezza, ma in questo momento posso solo farle notare che lei è alla mia completa mercé: non avrei alcuna necessità di ingannarla se avessi intenzione di... - esitò per un attimo, sorridendo come se il solo pensiero potesse essere ridicolo - Non so, cosa teme possa farle, Miss Black? -
    Nonostante quello, però, le annuì ancora, riprendendo la loro conversazione dal punto cui l'avevano lasciata - E' rimasto aperto - le confermò - Il signor Grindelwald si è preso una lunga vacanza, ma le ragazze che ha lasciato...coordinate dal signor Hawkwood...se la cavano egregiamente. Di tanto in tanto devono chiedere a qualcuno di dar loro una mano, ma immagino che questo possa solo renderla più felice - e anche se non riceveva più le informazioni precise di quando si trovavano tutti in Gran Bretagna, quello doveva essere un quadro abbastanza dettagliato.
     
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    "Sì, ne sono lieta" alla Testa di Porco stavano tutti bene, questo mi rendeva felice, non avrebbe importato se il locale fosse stato chiuso, purchè loro fossero stati liberi ed in salute. La locanda avrei potuto sistemarla una volta tornata a casa...tuttavia, il mangiamorte non si era sbottonato ulteriormente. "...e a Londra?" al ministero?

    "La offende?" ripetei quasi incredula, come poteva offenderlo il mio timore? Io, era normale che ne avessi paura. Preud non era un carceriere qualunque, era il carceriere di Moon, dei Mangiamorte. La mia diffidenza era lecita, soprattutto ora, soprattutto dopo che avevo commesso il grande errore di abbassare la guardia con Ares...non volevo trovarmi di nuovo in una situazione simile.

    "Se ora...Le ordinassero di uccidermi, Lei lo farebbe. Giusto? Potrebbe portarmi fuori strada con facilità e condurmi in un luogo più adatto ad eseguire gli ordini. Cosa, cosa mi assicura che Lei non mi stia ingannando anche ora? Che i suoi modi garbati, la sua apparente trasparenza, e disponibilità siano reali? Posso stare buona, non creare problemi, ma questo non significa che io mi fidi" gli lanciai uno sguardo sfuggende per cogliere la sua reazione, ma lui continuava a sorridere come se quella conversazione fosse un semplice scambio di opinioni tra amici. Sì, era un po' inquietante...Ma a farmi bloccare fu la sua domanda. Cosa avevo paura che potesse farmi? Mi abbracciai il ventre con fare protettivo.

    "Loro...ho paura possiate fare del male ai miei bambini. Per loro lotterò sempre, con tutte le mie forze..." sono l'unica cosa che mi rimane. e fu forse in risposta di quell'affermazione che sentii uno dei tra dare un calcio, costringendomi a piegarmi in avanti.

    "St-sto bene, era solo un calcio..ahi, devo sedermi un attimo" cercai il primo scalino per appoggiarmi, qualche istante e attendere che passasse, eppure qualcuno sembrava non voler smettere di far notare la sua presenza.
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    - Le farò portare i giornali dell'ultima settimana, così che possa farsi un'idea - liquidò in poche parole, convinto che tanto non gli avrebbe creduto. Avrebbe dovuto mettersi lì con lei e raccontarle molto, troppo, perché lei finisse alla fine per persuadersi che non aveva motivo di dubitare della sua versione. A dire il vero quell'atteggiamento iniziava a stancarlo.
    - Assolutamente - annuì - Esattamente come i miei predecessori, sotto il governo Gordon e per secoli prima, avrebbero consegnato un prigioniero al bacio di un dissennatore se fosse arrivato l'ordine. Il che non significa io passi tutto il giorno a mentire, ingannare o trovare pretesti per fare del male alle persone che mi sono state affidate - le fece notare, scuotendo appena la testa. Quei ragionamenti erano di una superficialità immensa, più del mare che circondava l'isola su cui si trovavano.
    - Nessuno farà del male ai suoi bambini e, al momento, non mi risulta che nessuno abbia intenzione di fare del male a lei - le ripeté, non per la prima volta. Sarebbe servito a qualcosa farle notare che, se anche avesse voluto fargliene, non avrebbe avuto alcun bisogno di mentirle a riguardo? - Lei si aspettava di venire maltrattata e torturata, e il fatto che nessuno le abbia fatto del male la insospettisce. Lei è decisamente prevenuta. In ogni caso, se serve a farla sentire meglio, posso darle una cella più piccola e chiedere alle guardie di picchiarla un po' lungo il tragitto. Magari si sentirà meno in colpa per il trattamento educato che sta ricevendo - si fermò, pacato come sempre - E' questo che desidera? E' quello che le serve per non sentirsi in colpa nei confronti di chi si trova fuori di qui? Qualche ora di tortura, una cella senza luce e, magari, nemmeno l'assistenza medica per la sua prole... - lasciò la frase in sospeso, prima di riprendere a camminare - Via, signorina Black, non sia ridicola. Non siamo più nel medioevo -
     
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    Se fosse arrivato l'ordine...era così facile decidere le sorti della vita di qualcuno? Bastava davvero ordinare che venisse ucciso perché ciò accadesse? E non parlo solamente dei Mangiamorte, anche prima del loro dominio io non era mai stata d'accordo con la pena di morte. Scossi la testa cercando di scacciare la voce di Ares dalle orecchie, di non pensare alle sue parole su quanto in fondo le due parti fossero simili, le azioni le stesse, solamente mascherate sotto due luci diverse. Cercai di scacciare il veleno che per mesi aveva insinuato dentro di me. Anche se avevo smesso di assumere l'amortensia, spesso era difficile farlo uscire dalla mia testa.

    "Allora perchè tutto questo riguardo? Perché si scomoda ad occuparsi di me se poi potrebbe dovermi uccidere?" Già, sarebbe stato molto ppiù facile lasciarmi al mio destino, da sola, nella mia cella. Forse aveva ragione, forse ero io ad essere prevenuta, ma non poteva essere altrimenti, non avrei mai creduto al suo come ad un gesto di altruismo.

    "No..." non volevo essere picchiata. "Cosa? Io…perché dovrei sentirmi in colpa?" Ahia. Sentii un alro calcio ben assestato, lo sapevo, c'era una persona verso cui mi sentivo in colpa: Paul. Io avevo tradito la sua fiducia, distruggendo ciò che eravamo. Lui non mi avrebbe mai perdonata, ma soprattutto io, io non me lo sarei mai perdonato. Abbassai il viso cercando di trattenere le lacrime che sentivo salire pericolosamente agli occhi.

    "E' sufficiente sapere che mi odia, e che non posso far nulla per camibare le cose, questo è più doloroso di qualsiasi altra tortura a cui Lei potrebbe costringermi"
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    - Lo dice solo perché non ha mai assistito allo smembramento di un uomo - le fece notare, pacato. Se avesse avuto ancora un cuore su cui far leva probabilmente l'avrebbe odiata per quella frase ma, anche solo in quel contesto, non poté evitarsi di provare un certo fastidio per l'inesistente logica di quel ragionamento. Lui stesso, settimane prima, aveva scelto di sottoporsi al dolore fisico e alla menomazione pur di salvare Tallulah dalle conseguenze delle loro azioni, ma nemmeno paragonando le due situazioni riusciva ad immaginare un mondo in cui quella vita da reclusa di prima classe che le permetteva di condurre potesse essere il peggio cui poteva andare incontro per il solo fatto di non essere con lui. Ricordava ancora, seppur con un certo distacco, in che modo la separazione da Tallulah fosse stato il modo per tenerla al sicuro proprio dal "peggio", mese dopo mese, fino all'inevitabile epilogo - E perché non ha idea di cosa proverebbe se io la facessi cuocere legata sopra ad un fuoco basso, in modo che le fiamme lambiscano contemporaneamente tutto il suo corpo. Ma se lo desidera posso sempre cercare qualche..."volontario"...con il cui mostrarle cosa intendo. Sono certo che l'aiuterebbe a rivalutare la sua posizione - aggiunse, gentile come sempre. L'educazione era importante per far progredire il mondo sulla via della conoscenza.
    - Tornando a noi... - riprese dopo qualche momento, continuando a salire le scale al ritmo imposto dalla donna - Mi piacerebbe sottolineare nuovamente il fatto che non sono il tipo di persona che trae piacere dalla violenza o dal dolore altrui. La detenzione è il metodo che si è scelto per punirla dei suoi crimini e per essere certi che non ne commetta altri: infierire su di lei sarebbe solo uno spreco di tempo ed energie - sprechi che lui, era risaputo, odiava profondamente - Però probabilmente chiederle di comprendere questo sarebbe utile quanto pregare queste mura di non grondare più umidità e sperare che ascolti, quindi la metterò in una maniera che le sarà più semplice capire - continuò, con lo stesso tono tranquillo con cui un insegnante avrebbe spiegato ad una bambina come funzionavano le tabelline - Immagino si ricordi di Ares DeSade: quello che ignora è che noi abbiamo sempre saputo del vostro rapporto e, a differenza dello stesso Ares, della sua vera identità. Sapevamo perfino della persona che nascondeva all'ultimo piano del suo locale, Miss Black. In definitiva, lei ha lavorato per noi per tutto questo tempo. Prenda le comodità in cui vive adesso come un ulteriore ringraziamento per i suoi servigi -
     
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    "No, non ce n'è bisogno..." mi asciugai gli occhi rialzandomi in piedi per percorrere l'ultimo tratto di quella faticosa salita, non c'era bisogno che mi mostrasse cos'avrebbe significato essere bruciata viva, ma lui, sembrava non capire che quello che mi portavo dentro bruciava più di qualsiasi fiamma a cui potesse sottopormi.

    "I-io vi ho assistito invece" sentii un tremore scuotermi il corpo al ricordo, dire che vi avevo assistito non era completamente esatto, sarebbe stato più giusto dire che lo avevo fatto…che ero stata io ad uccidere un uomo a morsi. Ed il fatto che fosse stato Ares ad indurmi a farlo, non cambiava nulla.

    "E lui è sempre lì, ogni volta che chiudo gli occhi lo vedo di fronte a me, mi fissa con disprezzo e rabbia. Non credo dimenticherò mai il suo viso..." Non so per quale motivo glie lo stessi dicendo, ma se Preud pensava di spaventarmi, di terrorizzarmi in quel modo, si sbagliava…io lo ero già spaventata, sempre, costantemente. Avevo paura, una paura tremenda.
    Forse, se fossi stata dell'umore, avrei potuto sorridere di fronte alle affermazioni quasi ingenue del Mangiamorte che forse pensava di farmi torto rivelandomi di aver sempre saputo tutto. Quanta poca fiducia c'era tra di loro?

    "Lo so." Confermai salendo infine l'ultimo gradino ed affacciandomi sullo stretto corridoio che portava alla mia cella. Era stato davvero faticoso salire fin lassù, e a dire il vero, non vedevo l'ora di potermi sedere di nuovo e riposare.

    "Michael Moon stesso me lo ha detto la scorsa estate, quando sono venuta sull'isola con Ares." Proprio così, l'unico a non rendersi conto di nulla alla fine era stato lo stesso Ares: non riuscivo a comprendere perchè Moon lo avesse fatto, perchè avesse voluto tenere il segreto con il suo compagno, lasciando che io mi prendessi gioco di lui come lui stava facendo con me, ma di certo sapevo che sarebbe venuto a riscuotere il debito quando lo avesse ritenuto opportuno. Ma non aveva importanza perchè per proteggere chi amavo era stata ed ero ancora disposta a pagare qualsiasi prezzo.

    "Lei ha mai amato qualcuno così tanto da essere disposto a qualunque cosa pur di tenerlo al sicuro?" Preud aveva mai provato l'amore?
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    Kostia la fissò per qualche momento, chiedendosi dove mai una donna come lei avesse mai potuto assistere ad uno spettacolo del genere e in che modo, se davvero lo aveva visto con i suoi occhi, poteva paragonare la dorata prigionia di cui era vittima con l'essere smembrata lentamente. Elis Black doveva essere una donna molto più strana di quanto non desse a vedere, perfino un pochino folle, forse. Esattamente il genere di donna capace di incantare un uomo come Ares DeSade - E nonostante questo resta convinta del fatto che la prigione dorata in cui vive attualmente sia peggio dell'essere legata ad un tavolo di legno e torturata fino alla follia più e più volte? - le domandò, realmente incuriosito dalla risposta che le avrebbe dato. Aveva già incontrato persone che godevano della propria sofferenza ma, anche se questo piacere abitualmente svaniva dopo i primi minuti, Elis non le era sembrata in ogni caso una di esse.
    Chissà, forse in realtà aveva la schiena candida piagata dai segni di amorevoli frustate.
    - Sono contento del fatto che Michael le abbia già spiegato tutto, allora - riprese continuando a salire le scale - In definitiva tutto si può riassumere così: lei, per quanto inconsapevolmente, ha lavorato per noi e i privilegi di cui gode ora sono il suo compenso. Inoltre - continuò - Il tempo che Ares ha dedicato a lei lo ha distratto abbastanza da prendermi un po' di vantaggio nella nostra piccola rivalità, quindi considero il suo operato anche un favore personale - nonostante poi, quel vantaggio, fosse svanito per via di Tallulah. Ma forse, senza, Michael lo avrebbe ucciso.
    E fu inevitabile pensare proprio a Tallulah, per via di quella domanda. Aveva mai amato qualcuno al punto da fare qualsiasi cosa per tenerlo al sicuro? - Si - lui aveva sacrificato il cuore, sull'altare della sicurezza di Tallulah, e lo avrebbe fatto di nuovo se fosse stato necessario. Altre mille volte.
    Non aggiunse altro però, ne pareva intenzionato a farlo.
     
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