Cella 23689

Gregory House

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    La prima visita era uguale per tutti.
    Kostia lasciava ai suoi carcerieri l'onere delle perquisizioni, delle fotografie e della catalogazione dei prigionieri. Venivano scortati dall'ingresso fino ad una serie di stanze dove, in maniera rigorosamente fredda e professionale, venivano spogliati di tutti i loro averi, veniva loro consegnata la divisa della prigione - tela grezza e bianca. Le donne potevano perfino scegliere se chiedere una tunica unica o pantaloni e casacca come gli uomini - e poi venivano scortati fino alla loro nuova dimora. House sarebbe stato privato del bastone e del Vicodine, la Cuddy di tutto quello che poteva rappresentare un legame verso l'esterno. Niente lacci, niente cinture. Niente contatti, nemmeno visivi, fin dal loro ingresso attraverso il portone principale.
    La prima visita era uguale per tutti.
    Kostia andava da loro la prima sera della loro prigionia. Da tutti loro, come si confaceva ad un buon ospite. Arrivava scortato da due guardie, che si aggiungevano a quelle già presenti sul posto e che lo attendevano in corridoio, fuori dalla porta. Si faceva aprire la porta della cella ed entrava, lasciando che chiudessero la porta alle sua spalle. Non era così sprovveduto da non sapere tener testa ai suoi prigionieri, e sarebbe bastato appena una sillaba per far accorrere le guardie - Buonasera - diceva a tutti loro quando se li trovava davanti, e né House né la Cuddy facevano eccezione.
    La prima visita era uguale per tutti. Impersonale.
    - Il mio nome è Kostia Preud, e sono il proprietario d Azkaban - ormai riusciva a dirlo senza che l'orgoglio che provava gli si leggesse nella voce - Da questa sera, fino a data da destinarsi, lei è un mio ospite. Le regole del posto sono molto semplici. Qui può godere di un certo livello di comfort: vista la sua posizione mi sembrava corretto ospitarla in maniera adeguata. Non me ne dia motivo, e le cose resteranno così. Attacchi me od una delle guardie, cerchi di fuggire, tenti di ingannarci o semplicemente mi dia motivo per ricordarmi di lei e la sua situazione peggiorerà di volta in volta, e le assicuro che può diventare molto più brutta di quanto non le interessi scoprire - attimo di pausa - Le è tutto chiaro? Ha domande? -
    La prima visita era uguale per tutti.
     
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    Il tragitto verso la cella mi è sembrato essere anche più lungo di quello che è in realtà.
    Camminare senza il bastone che mi funge da sostegno, mi viene davvero difficile, soprattutto dopo lo scontro con Westwood.
    Reprimo un moto di rabbia al pensiero delle ultime ore e mi costringo a proseguire.
    Cammino in silenzio, cercando sostegno alla parete quando proprio so di non potercela fare. La testa leggermente china, per nascondere l'espressione dolorante che mi provocano le fitte e il respiro affannoso che accompagna ogni passo.
    Entro nella mia cella senza proferire parola, dirigendomi a passo spedito verso il letto sul quale mi adagio.

    Fase 1. Fase della negazione.

    Non c'è un orologio a scandire l'ora, non c'è nulla di interessante qui.
    Non ci posso credere.
    Fino a qualche ora fa, ero seduto nel mio ufficio, su una comodissima ed anche parecchio costosa poltrona. Sfogliavo svogliatamente una cartella di un dato paziente e mi lamentavo di quanto fosse monotona la mia vita. Mi lamentavo di quanto potesse essere snervante veder passare lo sbruffone Westwood fuori dal mio ufficio. Immaginavo di mandarlo via. Desideravo mandarlo via, a qualsiasi costo.
    A qualsiasi prezzo. Suppongo capiti spesso, a chi crede troppo in sè di non tener conto della propria possibile debolezza.
    E' assurdo che io sia riuscito a rovinare tutto.
    Non è possibile.
    Come ho potuto pensare di poter battere e cacciare, da solo, un fottuto mangiamorte dal mio ospedale?!
    Non è possibile.
    Come ha potuto Lisa mischiarsi in tutto questo?!
    Lisa.
    E' a lei principalmente che penso nelle ore (o forse sono solo minuti?!) trascorsi sul letto, disteso a fissare il soffitto di questa camera spoglia.
    Penso a lei e a come debba sentirsi. Ha provato a salvarmi, a darmi una possibilità di fuga ed io ho fallito. Ho deluso le sue aspettative.
    Le avevo promesso che sarei stato assennato, e ho fallito anche in quello.
    Ho promesso che sarei stato un bravo padre per Ginny, per Sif.
    Ho mentito per loro sul mio stato di sangue pur di esserlo, ho cercato di fare di tutto per loro, e dove sono finito?! A cosa è servito?!
    Tutto questo non può essere capitato a noi.
    Tutto questo non può essere capitato a me.

    Quando la porta si apre- non so quanto tempo sia passato- sono ancora disteso sul letto. La mano sulla coscia menomata a stringerla forse troppo forte.
    Quanto tempo è passato dall'ultimo Vicodin che ho mandato giù?! Cinque ore? Dieci? Dodici?! Sono comunque troppe per me.
    Mi chiedo come potrò sopportare questo posto a breve, quando il mio corpo avrà totalmente espulso ogni traccia dell'antidolorifico ed io mi ritroverò ad affrontare, da solo, una crisi d'astinenza senza uguali. Senza Lisa. Senza nulla.
    Non mi tiro in piedi e non mi metto a sedere quando sento il tipo parlare.
    Parla di questo posto come se fosse un gran resort, il che quasi mi fa ridere. Vorrei ridere, ma non mi viene di farlo adesso.
    Continuo a fissare il soffitto, quasi annoiato, anche quando finisce la sua stupida presentazione. Sospiro appena, stringendo ancora la presa sulla coscia.

    "Dov'è Lisa?"
     
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    Curiosità.
    Non esistevano molti modi in cui una persona potesse reagire alla prigionia, eppure nei confronti di House Kostia nutriva una profonda curiosità. L'uomo, un luminare di quella professione medica che in una certa maniera condividevano, era uno dei massimi cervelli della sua generazione e l'ucraino era curioso di capire se di fronte allo stesso atteggiamento che poneva in essere di fronte a ciascuno dei suoi prigionieri il guaritore avrebbe trovato il modo di sorprenderlo.
    La sua prima reazione fu in una certa misura una delusione.
    Nessuna valutazione razionale né alcun impeto logico che giustificasse la considerazione che il mondo accademico aveva per lui, ma nemmeno lo stesso, furioso istinto di protezione che avrebbero potuto avere un toro da monta o un operaio dello Yorkshire. Nell'unica domanda che fece, però, si celava già l'essenza della sua unica preoccupazione. Kostia ne prese mentalmente nota, rimandando di qualche minuto le sue conclusioni.
    Lo fissò in silenzio per qualche attimo, valutando con attenzione il modo migliore per centellinare le informazioni che il guaritore necessitava. Per un attimo fu tentato di mentirgli fin da subito, raccontandogli delle torture che la sua compagna stava ricevendo in quel momento, ma era ancora presto per decidere di sottoporlo ad un simile stress. Ancora non lo conosceva abbastanza per correre il rischio di sottostimarne le abilità - E' anche lei nostra stimata ospite - fu tutta la risposta che gli diede, lasciando a lui la decisione di cosa credere. Che potesse convincersi che la donna era dall'altro lato di uno di quei muri non lo preoccupava: la mente umana tendeva da sempre a farsi trascinare dalle proprie paure verso il peggio, e il peggio cui House poteva credere si trovava molti, moltissimi piani sotto di loro.
    Lentamente tirò fuori da una delle tasche del completo una bustina di carte, di quelle fatte per contenere delle pillole. All'interno il carceriere aveva posato due pastiglie di Vicodin. House doveva essere già pronto ad affrontare la sua prima, vera disintossicazione e quelle due pastiglie servivano solo ad allontanare di un poco lo spettro del momento. Una dose normale, ma psicologicamente sufficiente a rendere peggiore il momento, quando infine fosse arrivato - So che ha bisogno delle sue pastiglie, Dottor House. Gliele poso qui - fu tutto quello che aggiunse, posando la bustina sul tavolo e lasciando la cella. Sarebbe ripassato l'indomani a scoprire come aveva passato la notte.
     
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    Non mi aspettavo certo di ricevere una risposta esauriente.
    Sarebbe stato irreale se con cortesia l'altro avesse preso a rispondermi che Lisa non era poi così distante da me. Sarebbe stato assurdo se avesse preso a rassicurarmi sulla sua salute, dicendomi che lei stava bene e che avrei potuto rivederla presto. Stringerla tra le braccia, consolarla e consolarmi. Sarebbe stato eccessivo.
    Le sue parole confermano soltanto l'ovvio: Lisa è ad Azkaban.
    Non distolgo lo sguardo dal soffitto. Non contraggo il volto. Mi impongo di restare immobile, di non palesare alcuna emozione. Non che mi venga poi così difficile restare apatico. Il mio stato d'animo, mi aiuta.
    Ma poi lo sento parlare di nuovo e le sue parole attirano la mia attenzione. Come potrebbero non farlo?! Mi volto quasi di scatto, mentre lo osservo posare una bustina sul tavolo, prima di lasciare la cella.
    Un'ora dopo, credo, sono ancora a disteso col capo piegato a fissare la bustina poggiata sul tavolo. Non un movimento, e non nego che mi stia risultando più difficile di quanto pensassi.
    Il dolore alla gamba aumenta ad ogni secondo, o forse è la mia mente a giocarmi brutti scherzi. E' la mente deformata dal mio essere perennemente assuefatto ai barbiturici a spingermi a pensare che tutto ciò di cui ho bisogno per poter stare bene, o forse poter stare meglio, è lì poggiato sul tavolo.
    Mi volto dall'altro lato, con fatica immane, costringendomi a resistere alla tentazione.
    Non sono stupido. Sicuramente masochista, ma non stupido.
    La mia dipendenza è un punto a mio sfavore, un punto debole che altri, che tale Kostia Preud, potrebbe usare a mio sfavore e non sono disposto a piegarmi a nessuno. Dopotutto è il motivo principale per cui sono finito qui ad Azkaban.
    Stringo le lenzuola tra le dita quando, tre ore dopo, un'altra fitta di dolore alla gamba mi fa quasi gemere. Massaggio con forza la parte lesa.
    Fa male, peggio del solito e certo lo scontro con Westwood non ha aiutato. Devo averla sforzata troppo, o magari è l'umidità presente in questo posto. E' il letto troppo scomodo. O magari sono queste tutte le possibili scuse che mi hanno portato ad alzarmi dal letto e ad avvicinarmi, zoppicante, al tavolo.
    Afferro la bustina, liberando le pillole dell'involucro che le contiene. Le tengo strette in una mano sudata, chiudendo gli occhi e cercando il respiro regolare che mi sembra di aver perduto.
    Poggio la schiena al muro, gli occhi serrati e la mano chiusa con le pillole, poggiata al petto.
    All'ennesima fitta, la tentazione di ingurgitarle entrambe in una sola volta è fortissima. Poggio le pillole sul tavolo, cercando di liberarmi di quella tentazione mentre mi ripeto stronzate come "il dolore è solo mentale". Fanculo, stupide tecniche di auto convincimento.
    Fanculo, il dolore.
    Fanculo, alla mia gamba. E a questo posto. E ai mangiamorte.
    Impreco ad alta voce.

    Ore dopo

    Un colpo.
    Un altro.
    Un altro ancora.
    Continuo a battere la mano sul tavolo con violenza ed una certa insistenza, fino a quando le pillole, oggetto della mia frustrazione, non sono diventate completamente polvere.
    Chissenefrega se con questo frastuono attirerò l'attenzione degli altri.
    Raccolgo i granelli nelle mani poi, e le getto nel wc, insieme al carta che conteneva le pillole. Nell'esatto momento in cui la polvere ricade nella tazza, la porta della cella si apre. Mi scrollo la polvere che mi resta sulle mani e scarico. La gamba dolorante, trema per il mancato sostegno del bastone, ma sono più che intenzionato a sopportare il dolore.
    Non ho alcuna intenzione di continuare a disperarmi.
    Sono stato buono per una giornata intera. Per Gregory House è un record anche troppo lungo.
    E' arrivato il momento di mettersi in gioco, e chi se ne frega delle conseguenze.
    Fin quando non vedrò coi miei occhi che Lisa è viva, e che sta bene, non mi darò pace. Dovessi farmi ammazzare, non mi arrendo.
    Mi volto, verso l'uomo che è appena entrato. Poggio una mano al muro per sostenermi e lo guardo, con un sorrisino serafico.

    "Spero di non aver svegliato nessuno."
     
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    House non aveva una bella faccia. Probabilmente non l'aveva mai avuta in tutta la sua vita, eppure in quel momento sembrava perfino peggiore di quanto non lo fosse mai stata. Come tutti aveva ricevuto i pasti regolarmente, ma non sembrava quasi averne approfittato, né di quelli né del letto che gli era stato messo a disposizione per fare qualcosa di diverso che restare sdraiato a fissare il soffitto. Non che non fosse prevedibile: erano due le cose di cui aveva davvero bisogno e, se una gliela stava nascondendo lui, la seconda sembrava essere finita dritta nel water - Non si deve preoccupare di questo - fu tutto quello che commentò avvicinandosi al tavolo. Si infilò due dita nella tasca interna della giacca, tirandone fuori una bustina identica a quella che aveva posato sul tavolo il giorno prima. Posò anche quella sull'angolo del tavolo, per poi indietreggiare verso la porta. Non era così stupido da dargli le spalle.
    - Visto il suo..."rango"...ho ritenuto giusto darle la privacy che meritava - riprese a parlare quando infine raggiunse la porta, socchiudendola. Poté quasi sentire i pensieri del guaritore spostarsi da lui all'ingresso, valutando le possibilità di raggiungerlo, sopraffacendo prima lui. Dondolò per qualche attimo la porta, come un involontario invito, prima di riprendere a parlare - Al momento ha l'intero piano per sé. Escluse le guardie, ovviamente, ma non posso che esserle grato di dar loro qualcosa di diverso all'ozio cui pensare - anche perché le pene per chi oziava sul lavoro avevano la tendenza ad essere piuttosto severe in quel luogo. Kostia non tollerava facilmente l'inefficienza. Sorrise, cordiale in maniera quasi umile - Potrebbe urlare fino a perdere la voce, qui, senza disturbare nessuno - parole quelle, rifletté nell'uscire in corridoio chiudendosi la porta alle spalle, interpretabili nei più svariati modi.
    Sarebbe tornato l'indomani.
     
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    Resto aggrappato al muro, la gamba dolente e tremante e lo sguardo perso sulla porta che si richiude dietro il mangiamorte.
    E le sue parole rimbombano nella mia testa, mentre un senso di inquietudine si impadronisce di me, insieme alla consapevolezza che, qui, sono solo.



    Fase 2. Fase della rabbia.



    "Io non sopporto più il dolore."
    Sono seduto di fronte ad un guaritore.
    Il mio volto d ventenne è giovane, ma già crucciato in quella smorfia di dolore che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita.
    La mano massaggia velocemente e affannosamente, quasi, la gamba destra. Quella menomata.
    "Non riesco più a dormire. Non riesco a camminare. Non riesco a fare nulla." continuo, la voce rotta e la disperazione negli occhi.
    Mi chiedo a che punto sono arrivato, per venir fin qui a supplicare un guaritore, che ora distogliendo lo sguardo dal mio, finge di analizzare, ancora, la mia cartella.
    "Il danno è stato elevato. La menomazione alla gamba le ha causato la perdita di buona parte del quadricipite e una necrosi del tessuto nervoso che..." Sbuffò stizzito, interrompendolo prontamente. "Sfocia in un dolore cronico, lo so. Lo so. Me lo ha ripetuto, ripetuto e ripetuto ancora."
    Sbatto la mano con forza sul tavolo, innervosito.
    Poggio la schiena contro lo schienale, passandomi le mani sul volto sudato. Cerco la tranquillità che credo di aver perso. Ma come posso essere tranquillo?! Il dolore è lancinante. Cronico e tremendo. Non mi abbandona mai. A volte fa così male che, preferirei la gamba me l'avessero amputata.
    Sospiro, con una mano ancora sugli occhi.
    "Le pillole che mi ha dato, la lozione... non funzionano. Io ho bisogno, per poter vivere ancora dignitosamente, di qualcosa di più forte." bisbiglio quasi, liberando solo dopo gli occhi dalla mano, e puntando poi subito lo sguardo in quello del guaritore che mi ha assistito fino ad adesso.
    "La prego."



    Seduto sul pavimento, di fronte al water, osservo il tavolo dove so esserci le pillole che Preud ha lasciato lì prima di uscire.
    Se la notte scorsa ho vinto la mia guerra contro il Vicodin e il dolore, non so se oggi sarò in grado di fare lo stesso.
    La crisi d'astinenza comincia a farsi sentire.
    Sono sudato. Probabilmente febbricitante.
    E poi c'è uno dei sintomi più brutti dell'astinenza, che un malato affetto da dolore cronico teme come la morte: la mialgia.
    Dolori sparsi ovunque, spasmi incontrollati e fitte improvvise che portano il tossico a desiderare la morte.
    Non posso evitare di lamentarmi, quando il dolore, cresce.
    Non posso evitare di pensare a quanto sarebbe tutto, forse più semplice, se qui accanto a me avessi Lisa a stringermi la mano. Ad accarezzarmi i capelli e ad asciugarmi la fronte, consolandomi con quel "andrà tutto bene" che in genere so essere falso, ma che ora mi manca tanto.
    Mi lamento ancora, mentre il dolore della Cuddy si fa più forte.
    Mi chiedo cosa stia patendo. Come starà reagendo. Se sta soffrendo come me per essere finita in questo posto e non avere notizie del sottoscritto.
    Mi chiedo se non mi stia odiando, perchè io lo sto facendo.
    Odio me, odio questo posto.
    Odio il fatto di dover restare in astinenza, e dover impormi di resistere al richiamo del Vicodin su quel tavolo. Un richiamo che un tossico in genere non riesce ad annullare. Un tossico che neanche riesco ad ignorare.
    Sbatto piano la testa al muro, gli occhi chiusi, cercando di deviare il dolore alla gamba, e il pensiero all'antidolorifico. Quanto sarà tutto ancora peggio se mi lasciassi tentare?! Se decidessi di afferrare le pillole ed ingurgitarle entrambe senza ritegno?!
    Tra due giorni sarò di nuovo a questo punto.

    Non so quanto tempo sia passato, ma qui il tempo sembra seguire legge proprie.
    Un minuto può durare una giornata. Una giornata può durare una vita.
    Sono ancora seduto sul pavimento, accanto al letto, il polso legato ad uno dei piedi di quest'ultimo da le lenzuola. Non sono un masochista, è solo il modo più semplice e sensato che ho trovato per tenermi a distanza da quelle pillole. Ma più passa il tempo, più il dolore accompagnata dalla rabbia e l'inquietudine che provo nel trovarmi qui tutto solo e lontano dall'unica persona che desidero vedere, mi portano ad una lenta e graduale pazzia.
    Il culmine lo raggiungo quando all'ennesima fitta, mi libero il polso dal nodo allentato. Arrabbiato, stanco di trattenermi, ancora seduto sul pavimento, spingo via con la gamba buona tavolo e sedia, fino a farli sbattere contro la porta.
    Urlo esausto.

    "PREUD!" comincio, calciando di nuovo la sedia. Le pillole ora sono sul pavimento.
    Le guardo, il respiro affannoso.

    "PORTALE VIA!" chiudo gli occhi, mentre affranto dal dolore cerco di ignorare il desiderio che mi avvilisce.
     
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    Passarono parecchi minuti prima che la porta si aprisse, lasciando apparire la figura composta e ordinata del Padrone di Casa. Kostia entrò nella cella, richiudendosi la porta alle spalle: lo scatto della serratura rimbalzò su tutte le pareti di pietra, ad indicare la presenza di almeno una guardia all'esterno della cella - Buongiorno dottor House - lo salutò con l'educazione che gli era abituale, mentre una singola ruga gli solcava la fronte nell'emblema stesso della curiosità accademica. Osservò l'uomo, poi le pastiglie cadute sul pavimento. Senza aggiungere una parola si avviò verso di loro, chinandosi per raccoglierle e facendole sparire all'interno del taschino della camicia.
    - Ero convinto che le servissero - si scusò quasi, scostando una delle sedie che gli aveva messo a disposizione e sedendovisi. Sollevò una cartellina, mostrandola al medico prima di aprirla - Come con tutti i detenuto con problemi di salute è stata richiesta anche la sua cartella clinica in seguito al suo arresto. Risulta che la necrosi del tessuto nervoso che quadricipite necessiti di una cura costante di antidolorifici accuratamente dosati nella misura di due pastiglie al giorno fino a termine cura. Da quanto si evince... - prese a dire voltando pagina - ...è una cura che continua costantemente da vari decenni, ben oltre quindi il limite massimo consigliato. Tuttavia ha passato tutti i test atti a determinare una sua eventuale dipendenza da farmaci - richiuse la cartella clinica, posandola sul pavimento. House probabilmente la conosceva a memoria eppure Kostia la spinse in avanti con un piede, facendola scivolare nella sua direzione - Eppure adesso si sta rifiutando di prendere le sue medicine, cosa che mi pone di fronte a due scelte particolarmente sgradevoli: o lei ne ha bisogno ed è mio dovere somministrargliele, a costo di farlo contro la sua volontà, o lei non ne ha bisogno e quella che ho di fronte è davvero ciò che sembra, cioè l'inizio di una crisi d'astinenza, cosa che mi obbligherebbe moralmente a a prendere tutte le precauzione che occorrono con un tossico in disintossicazione. Mi dica lei -
     
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    Quando la cartella sfiora le dita della mia mano, aspetto appena un secondo prima di afferrarla per poi lanciarla verso il mittente con la forza che possiedo.
    Quanto tempo è che sono in questa dannata cella?! Mi sembra essere passata un'eternità, ed un'eternità senza sapere di Lisa, senza avere la possibilità di incontrarla ed assicurarmi che stia bene, è peggio di qualsiasi crisi d'astinenza da barbiturici a cui io sia mai stato costretto. E' una ferita profonda, che sanguina costantemente e che nonostante tutto, ancora non mi porta alla morte.
    E poi c'è la crisi d'astinenza, quella vera, che peggiora ogni cosa.
    E poi c'è il dolore, che completa il tutto mettendo il punto ad una situazione che sì, ho creato io e di cui mi pento. Oh sì, perchè c'è anche il senso di colpa. La tristezza. L'angoscia. Il dolore, e non quello fisico. La consapevolezza di aver perso, quasi, ogni cosa in primis la mia amata libertà.
    Come posso sopravvivere qui?!
    Come posso essere il sarcastico, brillante, eccessivamente saccente Gregory House se tutto ciò che resta della mia vita è la gamba malandata che disprezzo con ogni fibra del mio essere?! La stessa gamba che mi ha fatto diventare un drogato.
    Stringo i denti, mentre ascolto Preud parlare e quando lo sento pronunciare quel "moralmente" non posso trattenere una risata. O meglio uno sbuffo. Sono stanco e addolorato per poter permettermi il lusso di una risata.

    "Vuole farmi credere che ha una morale?" metto su un sorriso che deve sembrare più una smorfia, mentre faticosamente cerco di mettermi in piedi.
    Che morale ha seguito quando ha deciso di dare man forte a Castiel, strappando Lisa al suo ruolo di madre?! Portandola via solo perchè troppo, stupidamente, legata a me per decidere di lasciarmi perdere?!
    Lo fisso, quasi in cagnesco, poggiando la schiena al muro pur di restare in piedi.

    "Se avessi saputo che questo posto si era attrezzato per diventare un centro di recupero, Morgana ci sarei venuto prima." sostenendomi al muro, mi costringo a fare un passo verso il tipo.
    Ossì, immaginatele pure le innumerevoli imprecazioni che mi passano per la testa quando costringo la gamba malandata a muoversi.

    "E in cosa consisterebbero le sue terapie, dottor Preud?" spero si colga l'ironia nella mia voce. Ma certo che si coglie. E' lampante.
    "A parte tenermi lontano dall'unica persona che magari ne capisce di medicina." Sì, parlo di Lisa.
    Lei sì che saprebbe prendersi cura di me. Ma figuriamoci.
    Non so neanche se è viva.
    Sì, lui ha detto che è qui... Ma in che condizioni?!
    Nel frattempo riesco, passo dopo passo, a raggiungerlo, ponendomi dinanzi a lui e fissando il mio sguardo chiaro nel suo. Madido, febbricitante, debole. Non sono uno spettacolo meraviglioso, ma anche lui, sebbene sano, non lo è per niente.

    "Metadone?! Elettroshock?! O mi legherà al letto aspettando che io soffochi nel mio vomito, o ancora, che io mi spezzi le ossa?! Sono davvero curioso."

    Edited by •Dr.House - 16/5/2014, 21:28
     
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    Un quesito interessante, quello posto da Grogory House. Un genere di domanda dal risvolto filosofico che non si sarebbe aspettato da un uomo razionale come lui: cos'era la morale di fronte al logico impulso della ragione? Che cosa era morale e che cosa non lo era? Lo scrutò in viso, dalla sedia cui si era accomodato, riflettendo per qualche momento prima di risponderle, calibrando bene le parole - Quello della morale e dell'etica è un discorso che davvero non mi aspettavo di dover fronteggiare in questo momento, con lei, ma ammetto di nutrire una certa curiosità intellettuale a questo riguardo: confrontarsi con le più grandi menti del nostro tempo è sicuramente uno dei metodi più efficaci di crescita personale - rifletté per qualche momento ancora, prima di annuire - Si, dottor House, ritengo di avere una morale. Una morale basata su una ferrea deontologia professionale - continuò, unendo le punte delle dita le une con le altre. Corpo e mente erano agli occhi di Kostia un'entità unica e strettamente interconnessa, e come tale era abituato a trattarli. Medicina del corpo; medicina della mente - Sono incuriosito dall'accusa implicita contenuta nelle sue parole: cosa la spinge a credere che io non possieda una morale? - gli domandò. Era un quesito, quello, la cui risposta gli interessava parecchio, al punto da sperarla meno banale di quanto si sarebbe aspettato da altri.
    - Immagino che con "unica persona che si intende di medicina" lei intenda la dottoressa Cuddy - mosse ancora una mano, ad indicare nuovamente la cartellina - La stessa dottoressa Cuddy che ha sorvolato in maniera quasi criminale sulla sua dipendenza, facendosi complice di essa nell'aiutarla a procurarsi le proprie dosi o, forse, semplicemente con il silenzio. No, temo che alla luce di questi fatti eventuali aiuti medici esterni dovranno esserle forniti da qualcuno di meno coinvolto - lo fissò ancora un poco, scrutandone le reazioni.
    Quando riprese a parlare lo fece in tono professionale, come un medico che descriva la sua cura - La mia idea iniziale era di diminuire gradualmente le dosi cui sottopone se stesso, sostituendole al contempo con vitamina B12 e iniezioni di L-fenilalanina e L-glutanina per alleviare la durata e la potenza delle crisi, ma non pare esserle un'idea congeniale. A questo punto, avendo lei scelto per un'astinenza totale e immediata non ho altra scelta che fornirle una dieta adeguata e costante sorveglianza in attesa degli episodi più violenti durante i quali temo che, purtroppo, legarla sarà una scelta inevitabile per impedirle di farsi del male. Valuteremo di volta in volta l'eventuale uso di sedativi -
     
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    Ammetto di non riuscire quasi a trattenerla una risata quando il tipo qui, ha il coraggio di chiedermi come posso definirlo senza morale.
    Ma dico... Sul serio me lo chiede?!
    Secondo quale morale sarebbe giusto fare una lista ed una conseguente distinzione tra coloro che il sangue ce l'hanno puro e chi invece no?! Secondo quale morale sarebbe giusto adeguarsi ad un programma di leggi razziste che giustificano l'eventuale morte di persone o la carcerazione di persone colpevoli solo di non avere nei loro alberi genealogici alcun parente mago?! Come se poi questa potesse essere effettivamente una colpa.
    Piego le labbra, scuotendo appena il capo come divertito dal suo fingere di non vedere dove siano le sue colpe.
    Insomma, se io ammetto le mie, come può lui non accettare le sue?! Davvero si può essere così ciechi, dinanzi alla pagliuzza nel proprio occhio?!

    "Credo che la sua domanda, sia una risposta più che esaustiva." gli rispondo.
    Sul serio.
    Nel ruolo che investe, come può sentirsi moralmente ed eticamente sano?!
    Non prova ribrezzo per se stesso nel voler aiutare coloro che, da due anni a questa parte, hanno gettato il mondo magico in uno sconforto così grave da sembrare senza fine?!
    Hanno ucciso nel modo peggiore: portando via la speranza. E questo fa di lui, o di quelli come lui, un uomo con una morale?!

    "Noto che è perspicace." Sarcasmo.
    Sì, è ovvio che con unica persona che ne sappia di medimagia, intendo la Cuddy.
    Dubito ci sia qui in mezzo un altro laureato in medimagia. Inoltre Lisa che mi conosce da quando l'incubo della mia gamba è cominciato, oramai sa come aiutarmi a prendersi cura di me. Senza superflue sofferenze.
    Ma il dottor Preud- sì, è lo dico ancora con sarcasmo- non sembra essere dello stesso avviso e quando parla, mi ritrovo a stringere i denti e a trattenere la rabbia nei pugni chiusi.
    Lisa non è mai stata mia complice.
    Soprattutto non lo è stata nella mia dipendenza.
    Che colpa ne ha lei se il dolore alla gamba a volte era tanto e tale da costringermi a rincarare la dose coi pericolosi babbani antidolorifici da cui sono dipendente?! Che colpa ne ha lei, se ad ogni tentativo di disintossicazione, seguiva un fallimento epocale?!
    Quando arriva il suo ennesimo rifiuto nel volermi condurre dalla Cuddy, sento l'autocontrollo scemare del tutto e sfocare nell'ira che, per la crisi d'astinenza, per il dolore, provo. Quel ira che mi spinge a tremare in modo quasi incontrollabile.
    E certo la sua stupida teoria sulla disintossicazione che ritiene giusto attuare col sottoscritto, non mi aiuta a mantenere la calma.
    Faccio un altro passo, fregandomene della distanza che sarebbe saggio mantenere. Lo fisso negli occhi.

    "Preferisco la morte." Ad un'eventuale disintossicazione del genere.
    E prima di allontanarmi, accompagno le mie parole con un pugno, che dirigo verso il volto dell'uomo.
    So che non è da me. Ma sono stanco. Sono affranto.
    Sono solo e in astinenza.
    Posso farlo.
     
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    Ogni tanto si fermava a chiedersi il perché.
    Kostia non capiva cosa li spingesse ad aizzarsi contro di loro in quella maniera, assurda e senza speranza. Non era il primo cui cercava di tendere la mano eppure, pur essendo House il più intelligente con cui lo avesse mai fatto, la risposta fu esattamente la stessa. Li accusavano di essere dei cani rabbiosi e poi li mordevano, come le più idrofobe delle bestie. Kostia non era mai stato un ideologo del massacro, convinto assertore che il passo successivo alla presa di potere avrebbe dovuto essere l'integrazione di tutte le forze in campo e la creazione di qualcosa che stabilizzasse il tutto, sincretizzando ogni movimento in un corpo unico, eppure ogni occhiata di disprezzo gli comunicava il suo errore.
    Lui non voleva ucciderli tutti, ma loro si.
    Loro volevano uccidere lui.
    Non lo conoscevano, non sapeva niente di lui, eppure esprimevano giudizi e definivano accuse. Emettevano sentenze.
    Indietreggiò, portandosi due dita alla bocca. Il dolore che provava al labbro non era una nulla in confronto all'irritazione che gli aveva provocato il gesto dell'uomo. Aveva riposto tanta speranza nel suo intelletto - Molto bene - si limitò però ad annuire, muovendosi verso la porta. Era calmo, controllato come sua abitudine - Temo purtroppo non sia un'opzione praticabile. Se desidera la morte potrà infliggersela da solo, ma quando non sarà più sotto la mia responsabilità. Lei è in arresto, non è condannato a morte: questo però non significa che sia mio dovere fornirle le sue droghe -

    Il giorno dopo

    Era stato sorvegliato a vista.
    Una guardia era sempre rimasta di fronte alla sua porta, sorvegliandone l'acuirsi dei sintomi e controllando che non si facesse male. Qualsiasi atto di violenza, anche contro se stesso, sarebbe stato bloccato con delicata fermezza, e il medico sarebbe stato rimesso a letto.
    Quando, il giorno dopo, Kostia tornò ancora a trovarlo House aveva una faccia perfino peggiore di quella che aveva il giorno prima - Non ha un bell'aspetto, ma immagino sia un bene nel suo caso. Si sta depurando -
     
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    Fase 3- Fase della contrattazione o del patteggiamento.

    Non ho mai creduto in una divinità. In quanto uomo di scienza, mi sono sempre e solo affidato a ciò che vedevo, ciò che toccavo.
    Ciò che non reagisce, non esiste. Anche composti chimicamente inerti trovano il loro antagonista con cui fare una reazione. E come ci si può affidare, invece, a qualcuno con cui non hai mai parlato, che non risponde e che non hai mai visto?! La fede se cieca è stupidità.
    Ho sempre confidato nelle mie abilità e nelle mie possibilità.
    Sicuro della mia forza e delle mie capacità, sono sempre andato avanti. Poche sono le volte in cui sono stato costretto a venire a patti con me stesso, perchè odio farlo.
    Eppure, disteso su questo letto, in preda a crampi e dolori, in quanto semplice e debole essere umano, come posso evitare di farlo?!
    Come posso evitare di pensare al "se resisto un'altra ora a questo dolore allora andrà meglio", e a promesse fittizie che io per primo so non riuscirò a mantenere mai?!
    "Se mi disintossicherò poi..."
    "Se guarirò poi"...
    Sono solo stupidi e vani tentativi di riprendere in mano la mia vita. Ma fare progetti, promettermi di essermi diverso, di fare le cose diversamente, non può riparare l'irreparabile, perchè sono un drogato, e questo me lo porterò dietro per tutta la vita.


    Fase 4- Fase della depressione


    Un lamento, prima di piegarmi su me stesso e chiudere la mano sulla coscia martoriata.
    Mentirei se dicessi che questa è stata la notte più lunga della mia vita, o la più dolorosa. E' stata una tra le tante, ma posso dire con certezza che è stata bruttissima. Il dolore, l'astinenza, il sentirmi solo e l'avere la consapevolezza che non c'è speranza che qualcosa cambi. Tutto resterà esattamente così chissà per quanto.
    Trattengo i conati fin quando mi è possibile, deciso a non muovermi per evitare di provare ancora più dolore.
    E se avessi abbastanza liquidi probabilmente piangerei. Per tutto. So che non servirebbe a nulla ma è il non vedere una via d'uscita.
    Io che ottengo sempre risultati, che futuro ho qui dentro?!
    Passata questa crisi d'astinenza, se non sarò morto nel frattempo, cosa ne sarà di me?! Passare tutto il giorno, tutti i giorni, seduto qui in questa minuscola cella ad aspettare che le mie ossa si consumino, non mi sembra così allettante.
    Stringo le lenzuola tra le mani, deglutendo a fatica, quando noto Preud entrare di nuovo.
    Quanto tempo è passato dalla sua ultima visita, non saprei dirlo e sebbene io versi in condizioni penose, non mi è passata la voglia di prenderlo a pugni.
    Vorrei rispondergli a tono, con qualche frase acidamente sarcastica, ma tutto ciò che viene fuori dalla mia bocca è bile acida che riverso sul pavimento.

    "Grandioso." biascico affaticato, pulendomi la bocca con la manica della maglia.
    "Alla prossima cercherò di depurarmi sulle sue scarpe." aggiungo, restando accovacciato su di un lato, con lo sguardo attento vacuo e stanco intento a non incontrare quello del mangiamorte.
    Sospiro sbattendo le palpebre tentando di mettere a fuoco ciò che ho dinanzi. Se non fossi così affaticato... e se ci fosse un po' più di luce.
    La prigionia è terribile.
    Ma questa è assurda.
    Come si può sperare di vivere a lungo in un posto in cui non c'è mai il sole? O comunque quasi mai. O comunque si sprofonda in uno stato depressivo acuto tale da annientare qualsiasi possibilità di riuscire più a vederlo.

    "Come fa a restare qui così a lungo..." gli chiedo con un filo di voce, senza osare guardarlo.
    Lo odio profondamente ma il non poter parlare con nessuno è anche peggio dell'averlo qui ogni giorno e non poter far nulla. Tanto vale...

    "... e a restare sano?" o comunque sano per i suoi canoni.
     
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    Era di nuovo nella sua cella, ancora seduto a controllare l'uomo che si andava via via deteriorando sdraiato sul suo letto. La cella in cui lo teneva segregato era grande come un piccolo appartamento, spartana ma con tutto ciò che serviva per poter essere considerata confortevole: Kostia sapeva che si trattava di una ben magra consolazione alla perdita della libertà in senso assoluto, ma questo non gli impediva di mostrarsi umano con chi si era guadagnato certe premure. Gregory House si sarebbe meritato un trattamento di riguardo anche solo per i progressi che la scienza medica aveva compiuto grazie a lui, e adesso si stava lasciando morire sotto la sua custodia.
    Kostia non era uno stupido.
    Monitorava la salute dell'uomo più volte al giorno, lo nutriva via flebo e faceva si che fosse sempre idratato e che non gli mancasse nulla ma, nonostante le sue premure, House sarebbe riuscito ad lasciarsi morire se lui non fosse stato più che attento. Era quasi piacevole avere finalmente per le mani una caso stimolante.
    - Gradisce un po' di aria fresca, Dottor House? - gli domandò, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi all'unica finestra che dava in direzione del mare. L'aprì, facendo entrare nella cella un po' di aria pulita e il profumo di salsedine. Se l'odore del vomito gli dava fastidio non lo aveva dato a vedere - Se davvero se lo sta chiedendo è perché non ha mai visitato questo posto prima che lo prendessi io in custodia - gli fece notare, tornando a sedersi - Io non sono un prigioniero più di quanto lei non era un malato al San Mungo: esattamente come lei all'ospedale, io posso andare e venire a mio piacimento -
    Piegò appena la testa di lato, gentile - Non è mio compito attribuirle colpe, quanto farle scontare quelle di cui altri l'hanno ritenuta colpevole, ma se questo è il suo parere sull'attuale stato della cose sono felice per lei che non abbia mai avuto il tempo, come giudice, di condannare qualcuno a venire rinchiuso qui prima che la ricostruissi - si strinse nelle spalle - Che il suo genio possa o meno condividere il mio parere non cambia il fatto che qui i prigionieri non vengono più lasciati in balia dei dissennatori, che tutte le celle sono dotate di servizi igienici e di riscaldamento per l'inverno. L'infermeria funziona e il cibo è tanto vario da poter sopperire a qualsiasi esigenza vitaminica o proteica - si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta - In caso non mi creda e voglia verificare di persona, però, non ha che da rimettersi in piedi e ricominciare a mangiare di sua volontà. Sarò ben lieto di avvalermi dei suoi consigli - esitò solo un attimo, sulla porta, prima di indicare il casino fatto dall'uomo - Manderò qualcuno a pulire e a cambiarle le lenzuola -

    Il giorno dopo

    Questa volta aveva portato lui, personalmente, la colazione di House. Caffé nero, che riempì la cella con il suo profumo, un bricco di latte e qualche tipo diverso di dolce. Al medico servivano zuccheri e caffeina per ripartire. Posò il vassoio sul tavolo di legno, indietreggiando verso la porta. Caffé e latte erano caldi, ma non tanto bollenti da poter essere trasformati in armi - Si sente meglio? -
     
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    Da sdraiato, ascolto le sue parole.
    Ho sempre apprezzato la capacità nell'altro di riuscire ad argomentare le proprie tesi. Ma se le tesi non hanno un supporto e non sono avvalorate da argomentazioni valide, la capacità di argomentare o meno, è superflua. Perchè sì, sono certo che questo posto sia stato terribile, ed ora avrà di certo acquisito una certa "umanità".
    Ma resta un posto di isolamento per coloro che non condividono le idee di chi ora ha assediato il governo.
    E senza libertà di pensiero e di parola, se non esiste la possibilità di dire la propria e tutto si limita ad un dover necessariamente condividere le idee altrui o tacere le proprie, che umanità può avere tutto questo?!


    Fase 5- Fase dell'accettazione.


    Stavolta, quando la porta della cella si apre, sono seduto.
    Sono stanco, provato, ma sto meglio. Fisicamente meglio.
    I conati e la nausea sono andati. Il tremore è sparito. Adesso potrei sembrare quasi una persona normale, più o meno sana.
    Ho avuto tempo per pensare, ho analizzato in modo clinico- ci ho provato- la situazione in cui mi trovo. Ho capito di star attraversando tutte le fasi dell'elaborazione della perdita. Tranne l'ultima.
    Perchè un uomo che si rassegna alla perdita è un uomo morto, ed io ho ancora qualche motivo per restare in vita. Sif, Ginny, Lisa.
    Quindi, ho deciso di abbandonare la patetica immagine che stavo dando di me stesso e cominciare ad essere me. Devo riprendere la mia vita in mano, è l'unica alternativa che mi resta. Questo o il lasciarsi andare definitivamente.

    "Clinicamente meglio." rispondo, osservandolo posare sul tavolo il vassoio con quella che dovrebbe essere la mia colazione.
    "Preud..." intervengo d'improvviso, spostando lo sguardo sulla parete mentre la mia mente vaga tra i ricordi.
    A mente lucida, o quasi, questo cognome non mi è nuovo.
    Di guaritori davvero geniali ne ho conosciuti pochi in tutta la mia vita, ed ora che la mia mente è sgombra ed il mio tempo è eccessivamente libero, posso impegnarmi nel dedicarmi all'altro piuttosto che continuare a piangermi addosso.

    "Niente a che fare con il Preud che formulò una variante dell'incantesimo amputante?"
    Ecco dove l'ho già sentito, o meglio, letto. Su Minerva Medica- La chirurgia in medimagia, qualche tempo fa lessi un articolo sull'anniversario dell'invenzione di questo importantissimo incanto che permetteva di amputare parti del corpo in modo efficace e senza dolori o eccessive perdite ematiche. Un traguardo in questo settore.
    Parliamo tuttavia di una scoperta di appena una ventina di anni fa o forse più. Ma magari è qualcuno che conosce. Oh sì, non glielo chiedo mica per fare due chiacchiere, ma sono intenzionato a conoscere qualcosa di più del nome dell'unica persona che ho la possibilità di vedere da quando sono qui dentro.
     
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    La prima cosa che capì nel vederlo, fu che ne stava uscendo. Ci aveva messo molto e doveva essere stato tremendamente doloroso, ma alla fine ne stava uscendo. Buffo. Probabilmente di lì a qualche tempo gli avrebbero chiesto di fargli ancora più male, magari di tagliarne via qualche pezzo superfluo, e lui avrebbe dovuto farlo, ma fino a quel momento sarebbe stato una persona molto più sana di quanto non fosse da anni. Nessuna scimmia sulle spalle, niente artigli infilati nella schiena. Considerata la stima che nutriva per il lavoro di quell'uomo era felice di aver fatto al sua parte nel preservarne la salute - Non mi crederà, ma ne sono felice - commentò solo, osservandolo da qualche passo di distanza. Fra le cose che non aveva alcuna intenzione di fare c'era quella di punirlo per un eventuale secondo pugno. Avrebbe decisamente incrinato la possibilità di costruire un rapporto professionale.
    Si voltò verso la porta, facendo un cenno alla guardia - Fai portare qualcosa da mangiare. Un pasto decente - ordinò, prima di tornare a concentrare tutta la sua attenzione sul prigioniero seduto di fronte a lui. Gli era stato servito cibo in abbondanza da quando era stato catturato, ma non era mai sembrato particolarmente intenzionato a mangiare. La guarigione forse gli aveva fatto venire fame.
    - Mio padre - annuì. Suo padre era - forse era stato, non avrebbe saputo dirlo - un grande guaritore. Un uomo dal pessimo carattere, quello si, ma nessuno era perfetto e lui era ciecamente concentrato sulla sua causa. La proprietà in Ucraina in cui li aveva riportati dopo il successo ottenuto con quell'incanto a Mosca era stata ben presto trasformata in un laboratorio di ricerca - Lo ha mai provato? -
     
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19 replies since 4/4/2014, 06:38   313 views
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