Sotto il segno del Marchio

Mangiamorte

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    Qualche ora prima

    Il pavimento di pietra era freddo sotto il ginocchio di Kostia.
    L'ampio appartamento che l'Ucraino aveva tenuto per sé, in cima alla torre principale del castello, era sorprendentemente spartano e simili alle celle dei piani inferiori sotto moltissimi aspetti. L'ucraino aveva scelto di vivere in uno spazio unico, arioso, reso luminoso dall'unica vetrata che si apriva nelle mura di pietra e da cui era possibile vedere tutto l'orizzonte in direzione del mare. Solo due porte, oltre a quella d'ingresso, si aprivano in quella stanza e, mentre una si limitava a portare alla sala da bagno, l'altra dava accesso ad una balconata da cui era possibile osservare il tratto di costa di fronte a cui sorgeva l'isola. Tutto era studiato nei minimi dettagli per essere semplice e funzionale, dalla struttura stessa della stanza all'arredamento. Uno scrittorio con una sedia, una poltrona, due librerie ricolme di libri e fascicoli: ogni cosa era strettamente subordinata alla propria utilità e nell'appartamento spiccava l'assoluta mancanza di qualsiasi segno identificativo di chi l'abitava. Niente foto, niente volumi personali, niente ricordi. Gli unici lussi erano il quadro appeso sopra il camino - l'originale del Giudizio Universale di Bosh - e l'ampio letto matrimoniale, morbido nello spesso strato di coperte che lo ricopriva e di fronte al quale, in quel momento, l'Ucraino stava inginocchiato.
    - Ruthie... - sussurrò alla figura asserragliata contro il muro, cercando di attirarne l'attenzione. Era quello il motivo per cui aveva insistito con Michael per essere lui a portare lì la rossa, e per dirle della sua promozione: scegliere la prigione di Azkaban per quello scopo aveva un significato simbolico che Kostia non poteva che condividere, ma lo aveva preoccupato l'idea di portarla lì - Ruthie, ascoltami - ripeté dolcemente. Erano arrivati lì con una passaporta che poi Kostia aveva distrutto, direttamente in quella stanza. A Ruthie erano bastati pochi istanti per capire dove si trovasse e, una volta compreso, la reazione che ne era seguita era stata perfino peggiore di quanto non si fosse aspettato. Violenta, seppur comprensibile - Non c'è motivo per cui tu debba temere questo luogo, Ruthie. Azkaban è tua e chiunque ti obbedirà come obbediscono a me, qui dentro - allungò una mano, sfiorandole la gamba con un dito, lentamente - Tu sei la Regina, in questo castello -


    Adesso

    Tutti gli invitati potevano arrivare di fronte al portone principale della fortezza, nell'unico luogo dell'isola dove fosse possibile materializzarsi. Una volta sul posto ciascuno di essi avrebbe trovato una guardia in uniforme nera che, senza dire una parola, lo avrebbe scortato attraverso l'ingresso e lungo tutto il percorso che dovevano fare i prigionieri al loro arrivo. Era un viaggio più lungo di quello diretto verso la stanza in cui si sarebbe tenuto il ricevimento, ma sicuramente più interessante: ognuno degli invitati sarebbe stato portato attraverso i primi cancelli, che venivano aperti al loro passaggio e richiusi dietro le spalle e poi condotto verso quelle zone che, adiacenti all'ingresso, servivano per l'accoglienza e lo smistamento degli stessi. Ogni angolo che svoltavano era pulito e perfettamente in ordine come l'uomo che regnava sul luogo. Tutti i mangiamorte potevano fermarsi in uno degli uffici dove venivano fotografati e catalogati i prigioniero, o piuttosto sostare a carezzare le macchie di sangue rappreso sui tavoli di legno della prima sala interrogatori. Il sadismo era abolito in quella prigione da quando Kostia vi regnava, ma molti dei suoi ospiti arrivavano in quel luogo in condizioni più adatte al San Mungo che ad Azkaban: suo compito era anche quello di rimetterli in forma perché potessero poi andare incontro al proprio destino, qualunque esso fosse.
    Dopo aver percorso un breve tratto dei sotterranei, dove le celle erano piccole, buie ed estremamente umide, le deviazioni finivano e ciascuno degli ospiti veniva condotto verso il Salone adiacente il cortile, dove il padrone di casa li stava aspettando.
    La stanza era larga quanto il cortile stesso, ed era il luogo dove i prigionieri venivano condotti per la loro ora d'aria in caso di maltempo. Era una stanza in pietra organizzata in maniera simile ad un'arena, con un camminamento che permetteva alle guardie di osservare i prigionieri dall'alto, pronte ad intervenire. Quei camminamenti erano vuoti, per quella sera, come gran parte della stanza che sovrastavano. Un'unico grande tavolo era stato lasciato al centro della stessa, imbandito con una ricchezza che stonava volutamente con l'austerità che li circondava. Michael avrebbe seduto a capotavola e lui alla sua destra, con Ruthie accanto. Gli altri posti erano stati lasciati liberi.
    - Ti ringrazio di avermi dato una mano - commentò in direzione di Olympia, osservando due guardie sistemare il braciere sul palco eretto in un angolo. Non sapeva come Michael avesse intenzione di comportarsi, a proposito della marchiatura, quindi anche lì aveva optato per una scenografia un po' spartana. Un palco, un braciere, un fuoco acceso e, sopra tutti, i loro stendardi. L'arazzo con il Marchio Oscuro, verde su nero, e quello con il simbolo del Ministero sistemato un poco più in basso, a destra. A sinistra, grigio su nero, spiccava quello con il simbolo di Azkaban cui Kostia, in un piccolo accesso di vanità, aveva fatto aggiungere il cerchio dell'anaconda che si mangiava la coda. Il suo simbolo - Non sarei riuscito a organizzare la cena con così poco preavviso, senza di te - aggiunse verso la donna, sorridendole. Gli ospiti iniziavano ad arrivare e sul tavolo erano già posati vini e antipasti.
    Pochi uomini avevano lo stesso occhio di una donna, a riguardo.
     
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  2. Pers.
     
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    C'era stato un tempo, nemmeno tanto lontano, in cui Persemone era una ragazza che non viveva nel tempo. C'era un tempo, davvero poco felice, in cui Persemone passava da un terrore infinito ad un'infinita disperazione e quel tempo, ormai segregato in un angolo molto remoto della sua mente, aveva un centro ben preciso. La prigione di Azkaban. Le mura da cui l'umidità sembrava penetrare in ogni dove erano perennemente sporche, sporche di sangue e di altri liquidi che prima di entrare in quella prigione la ragazza ormai irrimediabilmente rotta nell'anima non avrebbe mai potuto attribuire ad un essere umano. C'era il silenzio che sembrava sovrastare qualsiasi cosa, un silenzio così assoluto che minacciava di durare all'infinito e di inghiottire persino i pensieri, c'erano le lacrime versate senza essere viste e a volte c'erano le urla che parevano quelle di una bambina terrorizzata da un mostro invisibile. Soprattutto c'era l'infinito interrotto dalla quotidianità, quella quotidianità che sfiorava le sue labbra tumefatte per succhiarle via la vita. Nel presente, in questa stanza dalle pareti bianche, c'è la paura e c'è la voglia di scappare il più lontano possibile. In questa stanza c'è una ragazza che cerca di costringere il proprio corpo ad avanzare fino alla passaporta e a stringere le dita intorno ad essa, c'è la disperazione e la debolezza di qualcuno che vorrebbe piangere e pregare di essere lasciata in pace. In quest'altro presente c'è una nuova Azkaban, ma ancora troppo uguale alla precedente per ingannarla, ci sono cancelli di ferro e guardie dall'aspetto austero che la scortano come un tempo altre guardie avevano fatto la prima volta che aveva messo piede in quella che sembrava poter diventare la sua tomba. C'è il sudore che scivola dalla nuca e lungo la schiena facendo aderire la camicia inamidata contro la pelle umida, ci sono denti serrati e narici dilatate, c'è il pericolo di una reazione, sì, perchè persino il cane più mansueto può mordere se spaventato. In un altro presente forse ad aspettarla sarebbero stati volti amici, in questo futuro, nel futuro vero, ad attenderla ci sono maschere grottesce, brutte imitazioni di persone che fingono di essere potenti ma che sguazzano nel marciume rischiando di affogare in esso. Sopra ogni cosa c'è la certezza di non essere nel posto giusto e la speranza di poter sparire semplicemente non respirando.
     
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  3. lücinda
     
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    Ancora freschi erano quegl'incubi, notti passate tra urla disperate e calciare via le lenzuola, bagnate dal sudore, con le ciocche dei capelli appiccicate sulla fronte. Sogni che riguardavano quel posto che aveva segnato per sempre la vita di Lucinda, quella mura gelide e grigie, dove non filtrava per niente il sole, il freddo che aleggiava in quella stanza e in sudicio indumento sporco che mai aveva cambiato, con i capelli arruffati per i quali, in quegli anni, aveva perso la voglia di prendersi cura di loro, mantenerli perfetti senza nemmeno un piccolo capello fuori posto. Sette anni che sembravano essere una eternità, che erano passati il più lentamente possibile aumentando così la pazzia in Lucinda. Sette anni che però terminarono con la sua libertà, la sua fuga, qualcosa per cui aveva perso speranza e sembrava impossibile avere. Libertà che le era stata donata da quelle persone per cui adesso lavora e che tra non molto sarebbe stata una di loro a tutti gli effetti. Il debito per quella libertà donatagli non era ancora stato saldato, lo sarebbe stato quando Lucinda avrebbe provato la sensazione di ricevere quel marchio e sentirsi veramente una di loro, far parte di quella nuova famiglia che sempre avrebbe difeso e sempre avrebbe combattutto per loro.
    La sensazione di ritornare in quel luogo di cui tanto aveva timore l'agitava, luogo in cui credeva che non vi avrebbe messo mai più piede, nemmeno ora che non rischiava di essere rinchiusa una seconda volta. Camminare su quella strada, fermandosi d'innanzi all'ingresso di quella prigione, con una unica differenza che non vi entrava come una prigioniera, ma ne entrava come una persona libera, qualcuno che la prigione stessa aveva cambiato, a cui in parte ringraziava per la donna che era diventata, in parte era merito alla sua prigionia, che l'aveva resa forte e priva di qualsiasi paura se non per questo edificio. Essere scortata all'ingresso dalle guardie che non l'avevano ammanettata e che la portavano di peso, stringendole forte le braccia, lasciandole segni che le procuravano dolore per diversi giorni, era una strana e bizzara sensazione. Essere lì per un altro motivo che non era una condanna all'essere rinchiusa per l'eternità.
    Lucinda fu scortata nel luogo di ritrovo, osservando ciò che si ritrovava intorno a lei e le persone che si trovavano già qui, ma senza spiaccicare una parola, rimase in silenzio, poichè effettivamente non sapeva bene cosa dovesse dire.
     
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  4. °°Michael°°
     
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    Questa serata ti farà bene, ne sono convinto.
    Tu stammi vicino e comportati il più... naturalmente possibile.


    Stavo per dire "normalmente" ma il significato di normalità con Ichabod è molto vago.
    Ci ho messo delle ore per convincerlo a venire con me a questa serata privata tra Mangiamorte,
    cercando di fargli capire quanto fosse importante che presenziasse anche lui.
    La mia speranza è che frequentando gli altri, assistendo all'apposizione del Marchio Nero,
    passando un pò di tempo con me anche, la sua vera natura riaffiori e torni ad essere se stesso,
    quello di prima... chiunque fosse, qualunque cosa fosse.
    Mi piaceva il mio amico.

    E' un momento importante quello che celebreremo stasera,
    è un onore ricevere il Marchio.
    Ricordi quando è toccato a te?


    Non ne sono molto sicuro. A volte lo vedo osservare quel tatuaggio con sospetto
    e non più con l'orgoglio di quel giorno.
    Magari rivivere quel momento attraverso gli occhi delle nuove reclute
    sbloccherà qualche ricordo.
    Deve essere ancora tutto lì nella sua testa confusa. Deve per forza.
    Se non dovesse funzionare comunque ho già pronto un piano B,
    non rinuncerò a lui facilmente.
    Ichabod è sempre stato un fedele compagno e un caro amico, insieme ne abbiamo passate parecchie.
    Non lo abbandonerei mai in un momento come questo, farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo a guarire
    e spero che se mai un giorno dovesse capitare a me di bermi completamente il cervello
    lui faccia lo stesso.
    Questo è il mio concetto di lealtà, questa è l'amicizia in cui credo.

    Ci arriveremo smaterializzandoci.
    -gli spiego dopo avergli annunciato che la cena si svolgerà ad Azkaban e non a Londra-
    Ti ricordi come si fa, si?

    Nel dubbio meglio farlo insieme.

    Il portone della fortezza è enorme, pesante e corazzato.
    Anche se ormai questa è casa di Kostia e non una prigione per noi,
    l'idea di sentirlo chiudersi alle mie spalle mi rende inquieto.
    Niente in confronto del terrore che leggo sullo sguardo di Pack.
    Vederlo così mi spezza l'anima ma gli sorrido e lo scorto all'interno con la mia mano sulla sua spalla.
    I suoi occhi vagano ovunque, i miei invece seguono solo la guardia lungo strada che ci porterà al salone principale
    dove siamo attesi.
    Evito di soffermarmi ad osservare le prigioni,
    non faccio caso agli arnesi di tortura.
    L'idea che siano stati costruiti secoli addietro proprio per essere destinati a maghi come noi mi ripugna.
    Ma ora le cose sono cambiate, siamo noi i padroni.
    Forse per sempre, forse ancora per poco, ma nessuno lo dimenticherà,
    di questo me ne assicurerò personalmente.

    Kostia!
    -saluto il nuovo amico introducendo il vecchio-
    Bell'ambientino, si nota il tuo tocco ovunque.

    Un mezzo abbraccio prima di procedere presentandogli l'altro.

    Hai già conosciuto Ichabod Blackwood?
    Ti devo aver parlato così tanto di lui che anche se non vi siete ancora incontrati
    vi sembrerà di esservi sempre frequentati...


    E mi rendo conto invece che a Pack ho detto davvero poco di Kostia,
    di come mi ha salvato la vita e quanto gli devo,
    una mancanza alla quale dovrò rimediare.
    Ma intanto è altro che mi preme e mi avvicino all'orecchio dell'amico ucraino per farglielo presente.

    E' rientrato a Londra da poco dopo una lunga malattia,
    è ancora convalescente... se lo vedi un pò strano è per questo.


    E strano lo sembra davvero, completamente fuori posto in questo ambiente,
    e anche qualcosa di più.
    Devo cercare di distrarlo.

    Buonasera signore...

    Olympia, Persemone e Lucinda sono bellissime oltre che streghe molto dotate.
    Ares e gli altri si sono occupati personalmente della preparazione delle nuove reclute
    e mi fido ciecamente del loro operato.

    Vedi Ichabod? Osservale bene, queste due splendide streghe che riceveranno il sigillo stasera
    e la nostra bellissima compagna Olympia sono l'esempio di quel che vado dicendo ormai da tanto tempo...
    non ci sono più le donne di una volta, tutte casa e famiglia.
    Le donne moderne graffiano e sono affascinanti quanto pericolose.
    Sei stato fortunato tu a sposare Zulejka. A proposito, l'hai sentita da quando sei tornato?


    Distrarlo in ogni modo. Ma non sono convinto di aver trovato quello migliore.

    E invece tu che mi dici Kostia? Ruthie non è qui con te?

    Se si trovava da qualche parte in quella stanza si nascondeva bene...

     
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    Oh Merda.

    Oh Merda, merda, merda.

    Cosa diavolo è diventato Michael? Che razza di diavolo è diventato? Come siamo arrivati a questo? Ero così nervoso che durante il tragitto avevo acceso tre sigarette, e me ne era caduta una di mano. Mi ero passato le mani tra i capelli troppo cresciuti ed ero rimasto in silenzio molto, molto a lungo.

    “Secondo me non è il caso”
    Vedrai che ti divertirai, molla il…-ed imitò un neonato di altezza innaturale con la mano-…a casa e vieni!”
    “Non è il caso, non mi sento a mio agio”
    “Ci saranno donne e…”
    Negai con l’indice.
    “Sei uno di noi, alza quel culo” Asserì tagliente, divenendo serio.
    “No”
    “Lo farai”



    E' un momento importante quello che celebreremo stasera,è un onore ricevere il Marchio. Ricordi quando è toccato a te?
    “Come no…” Rispondo acido, come se quel raduno fosse la reincarnazione di un pigiama party dove le donne nemmeno si denudavano o prendevano a cuscinate. A casa Blackwood si respirava un’aria malsana, un odore di cadavere nell’aria, io eludevo e scansavo Ezekiel quando cominciava ad alludere a qualcosa per me incomprensibile e lui non mi faceva più partecipe magari pensando che ormai avevo mangiato la foglia. Non mi era ancora chiaro il perché stessero architettando questo contro di me, io, che a farmi i cazzi miei non ero ancora abituato. Non mi sarei mai sentito a mio agio in mezzo a delle persone che progettavano silenziosamente alle mie spalle chissà cosa. E poi non parliamo di un gruppo di persone qualunque, ma di loro. Loro che volevano farmi credere che fossi uno del gruppo, un amicone. Forse avrei dovuto tenere da conto quello che mi aveva detto la bruna al Ministero, oppure l’avrei dovuta riempire di pugni nello stomaco. Chiunque avrebbe pensato alla mia fortuna al momento, schierarsi al momento giusto nella fazione giusta. Chiunque ovviamente non sapeva che tutti i tagli, le bruciature e le cicatrici che avevo addosso non erano altro che un regalo dell’uomo che mi camminava di fianco, e dei suoi amichetti.

    “Sono perfidi tigrotto, solo Michael cercava di proteggerti!”
    “Mh?”
    “Michael! Te lo ricordi? Lavorava con te al Ministero!”
    “Mpf.. certo che lo ricordo. Cosa credi che sia? Un povero stronzo?”



    Zuleijka non capiva un cazzo di niente purtroppo. Forse per questo è diventata mia moglie. Mi guardo intorno, il contesto è così buio che posso senza paura sollevare gli occhiali da sole per spizzare all’interno delle celle. Non ci ero mai stato, eppure potevo vedermici seduto, potevo ricordare l’odore stantìo delle pareti che trasudavano sporcizia.

    “Ti prego non lasciarmi qui con lui… Mi alleno per la giuria. Sono convincente?”


    “Cosa?” Mi volto verso Michael scorgendolo molto distante. Lo raggiungo con calma e senza fretta, scorgendo ogni viso, ogni lineamento dei presenti, con aria torva, senza proferire parola, proprio come se li mi ci avessero trascinato e come se davvero non avessi la minima voglia. Dunque aveva parlato di me. Chissà in quali termini, magari come bestia da macello. Lo sguardo si posa dall’ucraino del quale sapevo verso la zona di portatrici sane di vagina. Non male, se mi avessero fatto la pelle sarei stato contento in fondo, avrei già saputo quale ultimo desiderio chiedere. “Incantato” Quegli occhi chiari mi catturarono subito, come se non ci fosse altro nella stanza. Come se non ci fosse nessun altro.
    Lo sguardo rimane fermo, lei non lo distoglie, io nemmeno, poi desisto. Era strano dirlo. Era strano dirmelo ma ero imbarazzato. Imbarazzato. Non risposi e mi calai gli occhiali da vista sul naso pregando che quelli potessero almeno nascondere quella disgustosa, pietosa sensazione che stavo provando.
     
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  6. Olympia~
     
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    Non aveva alcun motivo di temere Azkaban. Non vi era mai stata a parte quella volta, quasi due anni prima, quando avevano liberato tutti i detenuti. Non sapeva cosa significasse vivere tra quelle mura come prigioniero, viverne l'agonia. Non sapeva cosa avessero provato Ruthie o Persemone.
    Eppure, a suo modo, riusciva a trovare inquietante quel posto e a sentire un brivido lungo la schiena nel aggirarvisi dentro. Per quanto avesse insistito più volte con Kostia per visitare la prigione ora che gli apparteneva, non si sentiva a proprio agio tra quelle mura.
    Tuttavia come al solito ostentava la solita freddezza mentre dettava ordini a destra e manca alle persone addette alla preparazione della cena. Kostia le aveva chiesto un aiuto e lei inizialmente aveva esitato. Forse il fatto che fosse donna lasciava intendere che sapesse cavarsela nel far preparare una cena. Ma lei era negata anche nel scegliere il menù della serata. Aveva accettato, comunque sia. Dopotutto non avrebbe dovuto cucinare lei stessa, ma solo dirigere i preparativi.
    Aveva imparato da quell'unica sera in cui aveva cenato con Abel, che era sempre buona cosa partire con dell'ottimo vino e degli antipasti. La scelta del menù poi era ricaduta principalmente su piatti a base di carne, ovviamente basandosi sul proprio gusto personale.
    Era nella sala dove si sarebbe svolto il tutto quando Kostia la raggiunse.
    Ti ringrazio di avermi dato una mano
    Si voltò a guardarlo, stringendosi nelle spalle. Ne ho approfittato per far preparare i piatti che preferisco, disse con un sorriso sornione. Sono sicura che te la saresti cavata lo stesso comunque sia.
    Lisciò i pantaloni del tailleur che indossava, come se vi fosse stata della polvere sopra per poi congiungere le mani. Si mordicchiò il labbro inferiore volgendo lo sguardo verso l'alto per poi riportarlo su Kostia.
    Mi piace qui, non era esattamente una bugia. Per quanto trovasse il posto da brividi era comunque per molti versi affascinante. A distogliere la sua attenzione furono poi dei passi che si avvicinarono incerti. Si voltò per poi incrociare lo sguardo di Persemone.
    Ciao, Persemone, la guardò negli occhi, vieni, non c'è nulla di cui aver paura.
    Perché a giudicare dallo sguardo della bionda, di qualcosa doveva aver timore. Forse quel qualcosa era il fantasma dei ricordi che si aggirava per Azkaban e che solo lei poteva vedere.
    Le fece un gesto con la mano.
    Gli altri arrivarono quasi uno dietro l'altro. Lucinda, a cui Olympia rivolse un mezzo sorriso, notando quanto a sua volta apparisse a disagio; poi Michael, accompagnato da un uomo che non aveva mai visto ma dall'aspetto molto familiare.
    Ichabod Blackwood. Blackwood. Ecco perché non le appariva del tutto estraneo. Era identico al fratello, a parte qualche piccola differenza.
    Buonasera signore...
    Sorrise al Ministro, facendo un lieve cenno del capo portando poi lo sguardo in quello del Blackwood maggiore.
    Incantato
    Quella semplice parola le fece curvare le labbra in un sorriso compiaciuto, che si ampliò non appena l'altro distolse lo sguardo per primo, come se fosse stato a disagio. Un po' buio qui per degli occhiali da sole, osservò Olympia sempre con il sorriso sornione sulle labbra. A quel punto fu lei a distogliere lo sguardo, portandolo verso l'ingresso nel sentire nuovi passi. Un uomo dall'aspetto stravagante a cui degnò poca attenzione. Si chiese quando sarebbe arrivato Abel e con un gesto impaziente prese a tormentarsi una ciocca di capelli.
     
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  7. .dysdàimon.
     
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    Il suo nuovo alloggio a Londra puzzava di muffa. Era arrivata da troppo poco tempo e non aveva trovato il tempo per ripulire quel buco di casa. Si sarebbe potuta permettere una grande villa se solo questo non avrebbe dato troppi sospetti a quegli esseri inutili dei babbani. Era ricercava nel loro popolo, o mondo. In quella zozzeria, insomma. Continuavano a ricercarla me nessuno aveva in realtà il suo identikit preciso. Giravano per le varie stazioni di polizia diverse foto di Desdemona, tutte diverse tra loro. Aaaah, il beneficio di essere nata metamorfomagus! Guardò il suo riflesso allo specchio: aveva indossato quella che era la sua nuova divisa. Era riuscita ad attirare le giuste attenzioni ed era una dei nuovi aspiranti mangiamorte. Questo, oltre che a tanta fama le aveva donato quella splendida divisa che difficilmente avrebbe lasciato. Le stava a pennello. Il tessuto scuro le aderiva addosso quasi come a formare una seconda pelle, il bustino superiore le donava un'aria decisamente sexy e quel mantello era perfetto per nascondersi nella notte. Tutto di quella vita si preannunciava divinamente perfetto. Si premurò di prendere il suo amato coltello ed uscì da quell'umida e puzzolente casa. Forse aveva un po' esagerato affittando quella catapecchia. ance se era al centro della città non era comunque una delle soluzioni migliori. Si sarebbe dovuta smaterializzare da qualche parte ma prima aveva bisogno di caffeina l'avrebbe tenuta sveglia e con i sensi ben attivi. Non stava andando in battaglia ma un party ad Azkaban non prometteva comunque bene. Era stata contattata qualche giorno prima tramite gufo e la cosa l'aveva piacevolmente sorpresa. Finalmente avrebbe conosciuto tutti i componenti di quella fredda e meschina famiglia, avrebbe assistito al dono del marchio e si sarebbe fatta vedere. Troppi piccioni presi con una fava sola. A quel pensiero la mano destra andò subito a toccare il punto in cui aveva nascosto la sua amata bacchetta: era al suo posto, pronta per effettuare qualche incantesimo perfido e terribilmente appagante. Quando entrò nel primo bar che incontrò i presenti la guardarono sorpresi. Il suo abbigliamento non era di certo dei più usuali, soprattutto a Londra. Ma non se ne curò, al massimo l'avrebbero scambiata per una motociclista un po' troppo mascolina. Ordinò il suo caffè, pagò la scialba e brutta barista e fece per andarsene. Il freddo di Londra le faceva addensare il respiro riscaldato dalla bevanda calda che stava consumando. Stava cercando un posto appartato dove smaterializzarsi in tranquillità e, quando lo trovò, fece tutto nel modo più pulito e rapido. Si ritrovò davanti e mura della prigione con ancora il bicchiere da asporto mezzo pieno. Lo gettò a terra e si passò le mani sui pantaloni mentre prendeva un bel respiro prima di entrare. Era la prima volta che entrava ad Azkaban ma quello che vide non la sorprese. Qualcuno la scortò fino alla stanza che avrebbe ospitato il party. Tenne il passo con la testa alta e un'espressione di fierezza sul volto. Si sentiva privilegiata e fortunata, ad essere li. Quando le porte si aprirono Desdemona lasciò balenare lo sguardo tra i presenti. Vide Olympia insieme a Persemone, il ministro e Lucinda. Fu da lei che si diresse con fare deciso. «Questa sì che si prospetta una bella serata.» Le disse a mo di saluto. Quello era il meglio che poteva fare.




     
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  8. -Joel-
     
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    Azkaban!
    Diciamoci la verità, io non ci ero mai entrato fino a quella sera..
    E così avevo deciso di cambiare quel poco la mia vita. Si con Antanasia era tutto stupendo, un succhia sangue cosa deve fare?
    Eravamo complici di sfide (se così vogliamo chiamarle) e tante cose vissute insieme.
    Adesso mi sentivo portato.. pronto per la sfida di entrare nell'ordine dei mangiamorte.. Dicono che di solito i vampiri se ne stanno solo soli in un angolino.
    Ma ci metterei la mano sul fuoco, perchè di certo non ero l'unico succhia sangue tra i mangiamorte.
    Ero venuto li proprio perchè mi avevano detto del marchio, il famoso marchio dei mangiamorte parecchio stimato e parlato con la mia Antanasia.
    Mi avvicinavo sempre di più a quella che era la prigione più nominata di tutto il mondo magico... Chissà com'era combinata adesso la struttura.. dopo che i mangiamorte l'hanno resa "diversa" dicono..
    Piano piano iniziai ad entrare a passi lenti insieme ad un uomo che mi accompagnava.
    Le prigioni, la struttura tenebrosa rendeva tutto più suggestivo.. Io AMO queste cose.
    Passo per passo ci addentriamo nella stanza del party, arricchita per bene e con già dentro figure di spicco..
    Entrai con passo elegante Buonasera! un saluto breve e onesto ai miei nuovi amici.
     
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  9.  
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    Forse era vero e probabilmente se la sarebbe cavata in ogni caso ma era stato piacevole, in un certo senso, abbandonare una parte del controllo che aveva su quello che lo circondava a favore di Olympia. Ci voleva qualcuno che dicesse alle cucine cosa preparare e come farlo, e che li sorvegliasse affinché eseguissero gli ordini a dovere. Ci voleva proprio perché tutti i suoi uomini erano tanto efficienti da non averne bisogno: Azkaban era una macchina perfettamente oliata dal terrore e dalla consapevolezza - Mi ha fatto piacere che tu abbia accettato, comunque - le rispose, consapevole di come il semplice fatto che le avesse chiesto qualcosa del genere fosse più importante dell'effettivo aiuto che aveva ricevuto.
    L'arrivo degli invitati interruppe però qualsiasi altro convenevole i due potessero scambiarsi in quel momento, e qualsiasi altra cosa Kostia avesse desiderato dirle rimase posata fra le sue labbra mentre le piegava a salutare Persemone, freddamente educato. Ecco una persona che avrebbe dovuto essere ospitata in una delle stanze che aveva mostrato ai suoi ospiti, rea di aver colpito qualcuno che l'ucraino avrebbe provato gusto a vendicare. Ma se Olympia l'aveva perdonata non sarebbe stato lui a spezzare quella tregua, e Kostia poteva solo restare in attesa di una nuova occasione per farle pagare anche quella.
    Lo stesso saluto distaccato venne riservato a Lucinda e allo strano personaggio tatuato che si fermò accanto alla porta. Silenziosi e rispettosi i due sembravano consapevoli del loro ruolo di semplici aspiranti, ben distanti dal meritarsi di stare alla loro tavola. Kostia aveva preparato qualcosa per coloro che non avevano il Marchio e non lo avrebbero ricevuto quella sera, qualcosa che serviva a calcare la mano sulle differenze fra i due gruppi. Essere lì era qualcosa che dovevano meritarsi, come avevano fatto tutti loro al momento opportuno.
    - Ministro Moon - la voce dell'uomo echeggiò per tutta la sala, impossibile a non udirsi. Kostia si voltò verso il loro Signore, chinando appena il capo in segno di rispetto - Michael - si corresse un attimo dopo, ben sapendo quanto il Ministro tenga a quella familiarità. Dalla confidenza, però, nasceva la mancanza di rispetto e quello era un errore che non avrebbe mai commesso - Mi piace che sia efficiente - rispose solo, ringraziando. C'erano dei lati di quella prigione/fortezza che avrebbe dovuto mostrargli prima della fine di quella serata, lati riservati ai suoi soli occhi. Era sicuro che Michael avrebbe apprezzato alcune dei suoi altri piccoli accorgimenti.
    L'uomo che lo accompagnava aveva un'aria strada, sperduta, e fu normale per Kostia confrontare all'istante la persona con la leggenda. Ichabod non sembrava la persona di cui Michael gli aveva parlato. Allungò una mano, annuendo alle parole del Minsitro. Malato - E' un piacere - se fosse stato malato mi avrebbe chiesto di controllarlo - Si, ho sentito molto parlare di te - e molto bene. Fin troppo, forse.
    Kostia piegò la testa, un attimo dopo. Ruthie non si vedeva ancora, e l'ucraino sperava che ce la facesse. Che finisse con l'accettare - Non si sente molto bene, ma spero ci raggiunga fra poco - Michael sa quanto Ruthie odi quel posto, quanto si sia rifiutata fino a quel giorno di mettervi piede. Fino a quel giorno. Probabilmente il Ministro l'aveva scelto apposta.
    A turbalo un poco furono però i due nuovi arrivi che si avvicinarono loro un attimo dopo. Due dei loro aspiranti avevano appena compiuto la distanza che separava la porta dal gruppetto con la grazia che avrebbero riservato ad una serata mondana. Sorridenti e brillanti, erano stati ammessi ad una cerimonia che avrebbe dovuto essere riservata a chi si era già conquistato il diritto di stare in mezzo a loro ma, invece che esserne grati o impauriti - rispettosi, perlomeno - una di loro si avvicinò alla sua amichetta e l'altro salutò allegro, come avrebbe fatto nel cortile di una scuola. Nessun saluto al proprietario del luogo, nessun timore per le mura fra cui si trovavano e, cosa peggiore di tutte, nessun cenno di rispetto per l'unico uomo davanti cui avrebbero perfino dovuto inginocchiarsi.
    Senza dire una sola parola Kostia Preud estrasse la propria bacchetta, quasi annoiato, e la puntò verso la ragazza che si era avvicinata a Lucinda, Desdemona. Avrebbe voluto dirle che aveva ragione, che quella sarebbe stata proprio una bella serata, ma l'unica parola che uscì dalle sue labbra fu la più temuta delle maledizioni - Crucio - sillabò, scatenando su di lei una breve quanto intensa epifania di dolore. Non voleva ucciderla, né umiliarla più del dovuto. Solo avere tutta la loro attenzione.
    - Chi non ha il Marchio - disse poi ad alta voce, pacato e controllato come sempre - o non lo riceverà stasera - chiarì - E' pregato di non allontanarsi dalla porta -
     
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    Una nuvola di fumo ed eccomi giungere ad Azkaban.
    Queste mura non hanno mai avuto il piacere di ospitarmi ma sono sicuro che l'odore che vi era prima non fosse come quello che si respira ora.
    Odore di casa.
    A quanto pare è la nuova residenza annuale del qui presente Kostia, che non sembra essere uno dei migliori amici di mio figlio.
    Non vedo perchè dovrei farmelo piacere io, ma è fortunato, preferisco conoscerle le persone prima di giudicarle non idonee.
    Sono convinto che tutta questa carne giovane che sta per essere marchiata abbia del potenziale, e non mi riferisco solo al davanzale di alcune.
    Gli onori di casa sono sempre dovuti al padrone, e al primo ministro, ma nulla mi vieta, dopo i saluti di rito, di avvicinarmi a Olympia, la vera ragione per cui mi trovo a presenziare a tale avvenimento, oltre al fatto che si tratta del primo vero invito di mio figlio.
    -Olympia , sei meravigliosa.-
    Un baciamano e poi le cingo la vita con un braccio, e le indico l'uomo che ha deciso di richiamare la nostra attenzione cruciando una delle due novelle.
    Pessima idea, un punto in meno nella scalata al suo indice di gradimento.
    -Abbastanza esibizionista, pessimo.-
    Vorrei chiederle dove si è cacciato Abel, ma riesco a contenermi, eppure sento che in questo momento abbia fiutato la mia presenza, e la confidenza che ho assunto con la sua donna.
    Sono sicuro che me lo vedrò arrivare a momenti.
     
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  11. Walden Grubbly-Plank
     
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    Doveva recarsi ad Azkaban , dove si stava svolgendo una specie di " festa " nella quale alcuni aspiranti Mangiamorte avrebbero ricevuto il marchio nero , mentre le nuove reclute avrebbero fatto conoscenza dei loro nuovi " colleghi " ....
    Si smaterializzo davanti al portone , l'unico luogo nel quale era possibile materializzarsi e smaterializzarsi liberamente dato che all'interno la cosa era proibita , superò velocemente i dissennatori di guardia , fortunatamente per loro l'avevano lasciato passare senza troppe storie , non sapeva qua l'era il luogo preciso in cui doveva andare ma a giudicare dalle voci che provenivano dai piani superiori capi che la " festa " doveva essere all'ultimo piano ....
    Aprì la porta proprio in cui quello che , a giudicare dalla aspetto , doveva essere il " padrone di casa " intento a parlare con alcuni Mangiamorte , la stanza era diversa da come se si aspettava , era molto più spartana e meno spaziosa .... L'unica finestra della fortezza di trovava proprio in quella stanza che un tempo doveva essere del ex direttore del carcere : - ....... Finalmente persone interessanti non come la comune marmaglia - disse a mo' di saluto posizionandosi vicino la porta come era stato detto di fare agli aspiranti Mangiamorte che quel giorno non avrebbero ricevuto il marchio nero , era pronto a godersi lo spettacolo offerto dai suoi simpatico colleghi ..
     
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