Sarai la Prima #002

October

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    Erano passate quasi due settimane dall'ultima volta in cui aveva parlato con la sua prigioniera prediletta e, anche se lui aveva continuato ad osservarla, era stata anche l'ultima volta in cui lei aveva visto il suo carceriere. Non l'aveva punita per il pugno che gli aveva tirato in altro modo che non con quell'assenza, e Octber aveva potuto continuare la sua vita nella stessa identica maniera in cui aveva fatto fino a quel momento, con l'aggiunta dei piccoli benefici che Kostia le aveva promesso.
    Tutti i pomeriggi due guardie sempre diverse andavano a prenderla per portala alla biblioteca della prigione per tre ore, dove Kostia le aveva fatto trovare dei cartoni di libri vecchi e nuovi da catalogare e sistemare come meglio credeva. Aveva a sua disposizione anche un registro e tutto il necessario per potervi segnare sopra il lavoro svolto, o prendere piccole annotazioni. Materiale non magico, ovviamente, come tutti i libri che le aveva fatto portare: non aveva alcun desiderio che i suoi detenuti trovassero fra quelle pagine degli aiuti che lui non desiderava vi trovassero, e aveva fatto acquistare esclusivamente libri di narrativa o saggi di materie teoriche in cui non era possibile trovare alcun aiuto pratico. Aveva avuto il permesso di portare un libro alla volta in cella, in modo da poter passare il tempo in solitudine, e perfino un paio di vestiti diversi dall'informe tunica bianca riservata ai prigionieri di riguardo.
    Si trattava dei vestiti nuovi e puliti che Kostia le aveva promesso, due vestiti leggeri e semplici, che non richiedevano l'ausilio di lacci o fibbie che lei potesse utilizzare per fare del male a se stessa o agli altri, ma comunque più confortevoli, e che le stavano decisamente meglio.
    - Buonasera October - la salutò l'Ucraino, mettendo fine a quelle riflessioni personali. Si trovava su una delle balconate che costeggiavano il cortile interno della prigione, a parecchi metri d'altezza. Sotto di lui, tenuti a bada dalle figure brillanti di diversi patronus, una decina di dissennatori vagavano a destra e a sinistra, cercando un modo di aizzarsi contro le guardie.
    Tornavano sempre più spesso, quelle creature, adesso che Azkaban era stata ricostruita, e Kostia doveva ancora trovare un accordo che gli consentisse di venire a patti con loro nel migliore dei modi. Questione di tempo, probabilmente, e di quanti prigionieri avesse deciso di lasciare nelle loro mani. Chissà se la radiosa October avrebbe finito con l'essere una di loro - Cenerò qui stasera: avresti piacere di tenermi compagnia, o preferisci tornare nella tua camera? -
     
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    Dodici, tredici, quattordici...e avevo perso di nuovo il conto. Succedeva sempre a quell'altezza, quel piano era particolarmente bastardo, ogni volta doveva riniziare da capo perchè mi si incrociavano gli occhi e non riuscivo a capire se l'avevo contato o se invece era il numero quindici. Quel cortiletto infondo non offriva molti spunti, anzi era un posto piuttosto deprimente, perchè ti inseriva nel contesto giusto: era impossibile non dimenticarsi che eri in una prigione immensa. Era veramente immensa. C'erano piani sia sotto che sopra di noi in quel balcone. Ma almeno era aria di fuori e avevo scoperto che mi mancava non sentire il vento. Non lo avrei mai pensato ma era una delle cose che mi mancavano di più.Forse perchè faceva freddo in quel posto, perchè potevi aspettarti di veder crescere del muschio sui muri, di sentire l'umidità attraverso quelle lastre di pietra, che cercava di entrare, sentire il mare e le tempeste furiose e questo mi rassicurava un po' perchè sapeva di casa.
    Incrociai le braccia con più forza, per impedire al maglione di far entrare lo spiffero e stavo per riprendere a contare i piani dal fondo del cortile quando sentii la sua voce e il primo istinto fu di paura. Mi irrigidii come se mi avessero scoperto a fare qualcosa di terribilmente sbagliato, come se quel buonasera fosse un rimprovero.
    Mi voltai lentamente come se temessi di trovarlo effettivamente lì. Era curioso come tutto se ne stava andando via mentre la paura invece, quella non riusciva nessuno a lavarla via. La rabbia ogni tanto usciva fuori. Ma era una rabbia diversa, non più montata dall'odio, dall'ingiustizia di quella situazione. Era una rabbia che esplodeva così, dalla disperazione ma sempre meno spesso. E anche quella ormai si stava facendo sempre più piccola, non era più disperazione per il futuro, era sete di spazio, nervosismo...claustrofobia. Ecco forse poteva ridursi tutto in una sola parola: claustrofobia. Cercai di coprire le unghie con il maglione, chiudendo la manica nel pugno: dovevo smetterla di grattare il muro o mi sarei consumata le dita sul serio.
    Volevo rispondere ma sentivo ancora il cuore pomparmi nelle orecchie, ancora in allarme e non mi uscì niente. Mi limitai a un cenno del capo. Avevo paura di due cose: che ci fosse un motivo per il quale era venuto lì, visto che era la terza volta in mesi che si faceva vedere, e che il motivo avesse a che fare con il pugno che gli avevo dato.
    In ogni caso mi terrorizzava di più l'idea di tornarmene in..."camera"
    Scossi la testa squadrandolo da capo a piedi: non c'era niente di diverso dalle altre volte in cui l'avevo visto. Era una persona. Semplicemente una persona. Con una sola differenza..che però era particolarmente d'impatto: parlava.
    Non voglio tornare in camera
    e anche io parlavo. Anche se non ricordavo di avere una voce così. Nella mia testa era molto più bella. Ma nella mia testa era una scoperta incredibilmente affascinante ricordarsi che le persone parlano....
    Passato una buona giornata?
     
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    Esistevano mille piccoli dettagli da cui si poteva capire quanto una persona venisse piagata dalla propria prigionia, e in che maniera. Mille particolari insignificanti cui una persona allenata a notarli sapeva dare il giusto peso, cercando l'equilibrio perfetto fra quello che era stato fatto e quello che c'era ancora da fare, scegliendo la strada più corretta da percorrere per giungere al migliore dei risultati possibile.
    Con October quella strada sembrava essere il non fare nulla, e Kostia aveva tutte le intenzioni di continuare a percorrerla, lasciandola a macinare per gran parte delle sue giornate in compiti di poco conto. L'ex-Auror, come piaceva chiamarli a De Sade, non veniva né torturata né picchiata, e nessuno aveva abusato di lei da quando lui stesso l'aveva catturata al San Mungo. Aveva una camera calda, con un letto comodo e lenzuola sempre pulite, e le venivano serviti tre pasti caldi ogni giorno, con abbastanza alternanza da poter rientrare in un'alimentazione sana e corretta. Aveva perfino dato disposizione di osservare cosa mangiava e cosa lasciava nel piatto, per capire cosa gradisse e cosa invece smettere di cucinarle, il tutto perché si sentisse il più a suo agio possibile.
    A October Fhest non mancava assolutamente nulla, se non la sua libertà, e l'agio in cui Kostia la lasciava vivere serviva proprio a sottolineare quella verità. A quello, e a privarla dell'odio che l'avrebbe mantenuta solida in condizioni più avverse.
    - Impegnativa direi - le rispose con un sorriso, indicando con un cenno del capo quanto stava succedendo nel cortile sotto di loro. La situazione pareva essere ormai sotto controllo, e nulla lasciava supporre che fosse una messa in scena preparata ad arte per lei. Non tanto le pretese dei Dissennatori, quelle erano ben vere, ma la loro presenza lì in quel momento si, quella era preparata. Per lei. October avrebbe potuto sentirsi lusingata se mai avesse scoperto quanta fatica faceva per lei - Vedo che indossi uno dei vestiti che ti ho fatto mandare...sono contento che ti piacciano - aggiunse un attimo dopo, gentile - Ti dona molto, direi. Come va con la biblioteca? Ho visto che hai fatto un ottimo lavoro, finora... -
     
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    Seguii il suo sguardo cadendo giù, fino in fondo al cartiletto ad osservare quelle ombre confinate dall'incantesimo.
    Lo ammetto non avevo dato molta importanza ai dissennatori. Infondo non sarebbe servito a molto: se volevano usarli li avrebbero usati, a discapito di quanto io potessi agitarmi a protestare. Forse non sarebbe cambiato poi molto...no. Non dovevo andarmi ad infilare in questi circoli viziosi, dovevo bloccare i pensieri prima che arrivassero. Avevo deciso che non dovevo mettere in discussione il compiere azioni irreversibili, era un punto fermo, non dovevo più ragionarci sopra. Non dovevo pensare affatto: avevo i libri, dovevo leggere e farli diventare il mio mondo reale, proiettarmi là dentro. Diventare assente.
    Spero tu ti sia fatto preparare una torta al cioccolato allora.
    mi voltai appoggiando la schiena contro il balconcino. In realtà non avevo intenzione di lamentarmi dei vestiti. Che mi piacessero o meno importava poco anche questo: bastava fossero comodi e che non bucassero la pelle. Se poi erano brutti e mi stavano male pazienza: non c'era nessuno a guardarmi e di certo nessuno su cui volevo fare colpo.
    Mi fiderò del tuo giudizio...
    nemmeno io potevo guardarmi: avevano pensato forse che avrei usato uno specchio per ficcarne una scheggia nell'occhio di qualche guardia. O per ficcarlo nei miei.........?
    Beh non ci sono molti tesserati al momento.....quindi forse va male...
    come poteva una biblioteca andare male? In ogni caso faceva passare delle ore, che non è mai male perchè sembrano sempre troppe.
    Di questo passo rischio seriamente di farmi una cultura....
    relativamente parlando. Nel senso letterario.
    Niente di interessante dal mondo reale?
    domandai stropicciandomi un occhio col maglione, come se mi fossi svegliata da pochi minuti. Sorrisi allo stesso modo: in maniera quasi stanca:
    Tranquillo scherzo....non era una domanda vera.
    ormai avevo imparato che non rispondeva, ma magari si era aspettato questa domanda quindi perchè non prenderlo in giro?
     
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    - A dire il vero si - ammise dopo un lungo attimo di silenzio, passato ad osservarla con lo sguardo di qualcuno cui abbiano appena rovinato una piccola e innocente sorpresa. Uno sguardo calcolato anche quello, che il Mangiamorte si era posato sul viso per darle almeno l'illusione di una piccola vittoria. Feedback Positivi e Feedback Negativi. Se tutto fosse andato come voleva che andasse avrebbe potuto ricavare un libro di testo dagli appunti che stava raccogliendo su di lei - Ma confidavo di dividerla al termine della nostra cena, nella speranza che fosse di tuo gradimento - continuò, osservandola per un altro istante prima di minimizzare il tutto con un cenno della mano - Era solo un pensiero per portare alla tua attenzione qualcosa che qui, proprio per via dei dissennatori, vale più dell'oro - e lei abitava e lavorava in una parte della prigione da cui le creature erano tenute lontano con estrema attenzione. Non voleva che mettessero le loro lunghe dita sulla pelle candida del suo prezioso esperimento.
    Mosse qualche passo verso la porta che riconduceva all'interno, aprendola e facendosi un poco da parte, perché lei potesse entrare per prima. Una signora era sempre una signora - Per adesso stai lavorando perché possa essere utilizzata un giorno da chi sarà costretto a condividere la tua situazione: immagino conti molto poco quanti siano in grado di apprezzare in questo preciso, in confronto a coloro che lo faranno in futuro - riprese a parlare una volta all'interno - Ma se preferisci occuparti di altro... - lasciò la frase in sospeso, ansioso di conoscere la sua risposta. La biblioteca era il primo passo per condurli verso compiti che avrebbe apprezzato di più, che avrebbe eseguito con maggiore felicità, perché finisse con il sentirsi parte di quel mondo, e il confine tra prigioniero e carceriere potesse farsi via via sempre più labile.
    - Perché no? - le domandò, a metà fra il sereno e il perplesso. Era palese che si fosse resa conto di come le informazioni che le arrivavano erano centellinate e controllate, ma allo stesso modo lui non l'aveva mai privata del suo diritto di chiederle, o di accontentarla con qualche briciola - Ti interesserà sapere che tuo fratello è rientrato dalla missione all'estero in cui era impegnato...e anche che tutti i tuoi vecchi compagni siano ancora in libertà al momento - le mentì, evitando di farle sapere che la Murray giaceva al buio di una delle celle dei piani inferiori, in quel momento - Mi auguro per loro che siano migrati all'estero, e molto lontani da qui: Ares ha il dente avvelenato con tutti loro. E anche con me, a dire il vero - buttò lì, stringendosi nelle spalle, lasciando che lei capisse di essere la causa di quell'odio. Non era vero, ma sarebbe stato utile che lei lo credesse disposto ad esporsi almeno un poco per la sua salute.
    Poi, quasi ricordandosi all'improvviso di qualcosa di importante - Avevo chiesto di farti preparare una Sala da Bagno in caso avessi accettato. Qualcosa di più...confortevole...di quello cui sei abituata ora. Avresti piacere di provarla, prima di cena? -
     
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    Oh il cioccolato allora non si era ancora estinto. Sarebbe servito a palate là dentro: prigionieri grassi e felici invece di smunti e depressi. Anche se a dire la verità ero solo depressa al momento.
    Oh no...tornavamo dentro. Avrei preferito restare lì con i dissennatori a farmi il solletico ai piedi piuttosto che rientrare là dentro! Tuttavia non si protestava, e anche se lo facevi era completamente inutile e quindi da bravo cagnolino obbedii e tornai ad essere circondata da troppe pareti.
    Quando gli parlai della biblioteca...beh non dico che sembrava essersela presa ma..rispondeva molto sulla difensiva. Sembrava proprio tenerci tanto ai libri....
    Ho più senso dell'umorismo di te. Il che dovrebbe farti riflettere sai? Capisco che passi le giornate con quei simpatici signori succhianime ma...riprenditi eh? Se proprio devi farmi compagnia almeno non essere così pesante...
    fu questo il mio commento, alimentato forse dal piccolo fastidio che mi procuravano gli interni. Ma era la verità: era il mio unico contatto, passavo le giornate in silenzio, in solitudine, tra 4 muri e quando finalmente potevo parlare con qual uno...la pesantezza. Era piuttosto irritante sommato a tutto il resto.
    Non dico che non ci si impegnasse: probabilmente era proprio capace.
    Quello che mi sorprese parecchio fu il fatto che per la prima volta, mi stava dicendo qualcosa dell'esterno. Mi fermai ad ascoltarlo, come se muovendo anche un solo passo potessi perdermi qualche cosa di importante. Beh mi ero illusa anche stavolta. Niente di nuovo, ma almeno non avevano preso nessun'altro e Ivan stava ancora bene.
    Sorrisi come se l'idea che De Sade fosse arrabbiato con lui potesse realmente interessarmi...cosa voleva? una carezza sulla testa?
    Se è geloso per me possiamo benissimo fare a cambio così state un po' insieme....oppure posso sculacciarti al posto suo.
    risposi con semplicità....dove caspita stavamo andando? Mi fermai perchè andasse avanti e facesse strada.
    Come sta la faccia?
    Ovviamente stava bene. Aveva detto che era un guaritore, doveva essersela sistemata 5 minuti dopo che mi avevano riportata nella mia cuccia. E anche le mie mani erano ancora lì al loro posto....stavo giusto per dire qualcosa a riguardo, qualcosa che in effetti non mi sarebbe stato facile dire quando una parola mi fece drizzare le orecchie.
    Bagno. Aveva detto bagno. La prospettiva di farsi un bagno completo, senza doversi lavare a pezzi sopra a quel lavandino era semplicemente divina.
    Non avete paura che mi anneghi?
    probabilmente puzzavo talmenta tanto che avevano pensato che anche da morta avrei puzzato sicuramente meno: non confidavo molto sul mio naso, probabilmente era andato o si era abituato.
     
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    Tutto quello che Kostia poté fare fu allargare le braccia nel segno universale della rassegnazione, un gesto così inusuale per lui che chiunque lo avesse conosciuto più della sua rossa prigioniera avrebbe sicuramente pensato che avesse passato ore a provarlo di fronte allo specchio, per essere sicuro di compierlo nella maniera giusta - L'ultima volta che ho provato ad essere meno che formale con te mi hai tirato un pugno di pieno viso - le fece notare, fermandosi lungo il corridoio che portava alla loro destinazione. La issò per un attimo in viso, prima di riprendere a camminare. Atto due; scena terza - Non DEVO farti compagnia, October. Io DEVO far si che tu non esca più da questa prigione: il tentativo di renderti meno gravosa possibile questa prigionia è una cosa che faccio per te e... - sbuffò, in un altro di quei cenni che in realtà non gli appartenevano per nulla, troncando la sua stessa frase con un cenno della mano - Non importa - tagliò corto, per poi fermarsi ancora una volta di fronte ad una porta di legno, all'apparenza identica a tutte le altre. Doveva sforzarsi per apparire un minimo di cattivo umore, come se il suo comportamento l'avesse offeso, e per un lungo attimo si chiese se non fosse il caso di delegare il suo ruolo in quell'esperimento a qualcuno che sapesse essere più naturale nelle proprie espressioni.
    - Temo che il signor DeSade non sia geloso, quanto piuttosto ansioso di poterti mettere le mani addosso - le rispose - Ho chiesto che la tua cura restasse nelle mie mani perché preferirei evitarti gli orrori a cui ti sottoporrebbe per il solo gusto di abusare di te a suo piacimento. Forse chiedere un po' di gratitudine per questo è eccessivo, ma almeno preferirei non deridessi il mio desiderio di risparmiarti sofferenze e umiliazioni inutili - avrebbe dovuto chiedere ad Ares di venire davvero a farle visita, inscenando qualcosa che aiutasse a distorcere la sua visione del mondo adattandola alle parole che l'Ucraino le stava dicendo. Si, avrebbe potuto funzionare, e Ares si sarebbe sicuramente divertito a passare del tempo con lei.
    Allungò la mano verso la maniglia, aprendole la porta. La stanza da bagno che si celava dietro l'ingresso era spartana, priva di finestre, ma provvista di molte più comodità di quante lei fosse abituata ad avere negli ultimi tempi. C'era una vasca da bagno piena di acqua calda, due o tre saponi diversi, uno shampoo e, posati su una mensola sistemata sotto uno specchio, perfino due spazzole e una forbice, perché potesse sistemarsi i capelli. Posati su una sedia, a poca distanza dall'angolo adibito a soddisfare i bisogno primari, erano ordinatamente posati due o tre combinazioni di vestiti diversi, semplici anch'essi, ma appena più eleganti di quelli che le aveva fornito giorni prima - Non credo lo farai - le rispose, riflettendo sulla forbice che aveva lasciato sul posto. Una forbice priva di punta, ma comunque una possibile arma, apparentemente frutto di una svista. L'avrebbe presa per usarla su di lui o l'avrebbe lasciata lì?
    Non aggiunse altro, voltandosi verso le guardie che li avevano seguiti fino a lì - Attendete fuori da questa porta finché non avrà finito, per tutto il tempo che le servirà. Poi portatela da me - ordinò, incamminandosi verso la piccola sala da pranzo privata dove l'avrebbe attesa. Uno spazio piccolo, progettato per i pranzi degli ospiti di minor importanza, coloro che non meritavano d essere ammessi ai piani superiori, e alla torre che Kostia usava come sua residenza privata. No, non era esatto. In fondo, tutta Azkaban era una sua residenza privata.
     
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    Se prima mi era passato per la mente il pensiero di ringraziarlo per essersi fatto dare quel pugno, beh adesso quel pensiero se n'era andata. Funzionava così, ero combattuta tra un "grazie" e tra un "zitto che te lo meriti". Il punto fondamentale era che non mi fidavo di lui. Certo per adesso quello che aveva fatto vedere era tutto in direzione di agevolarmi la prigionia. Non mi aveva fatto niente e per adesso era vero. Ma...andiamo era troppo giovane per essere stato messo lì. I casi quindi erano due: o era un ottimo mediatore oppure era..beh bravo. Era quell'essere bravo che mi spaventava. Bravo per i mangiamorte significava tremendo per me. Il fatto che avesse usato la morte di mio fratello poteva suggerirmi quale fosse la sua tattica, ma di nuovo tornava quella vocina a dirmi: si, ma Ivan è ancora vivo. Non l'ha ridotto realmente in fin di vita. E di nuovo si insinuava un'altro dubbio: ma era poi vero? Come potevo esserne certa?
    La scelta era solo una: fidarsi o no. Non c'erano vie di mezzo, o mi fidavo del tutto o non mi fidavo di nulla, perchè fidarsi solo parzialmente era illogico. Le cose avevano la stessa probabilità di essere vere. Non avevo contatti. Poteva inventarsi di tutto.
    Le cose Kostia non si fanno per avere gratitudine. Le fai solo perchè ti va di farle o perchè te lo ordinano, non prendertela con me se non reagisco come vuoi tu.
    l'idea di finire nella mani di De Sade non sapevo quanto fosse reale. Non mi piaceva, ovvio. Ma anche quella aveva due facce della medaglia: tenere acceso l'odio, perchè sembrava che prendessi forza da quello e questa forza se ne stava andando. Ma sarebbe stato spiacevole. E a nessuno piace soffrire.
    Mi dispiace che tua mamma non ti facesse giocare con le bambole. Ma le persone sai...ogni tanto fanno come pare a loro.
    Principessa. Era sulla punta della lingua ma non lo dissi. Entrai nel bagno e rimasi da sola.
    La prima cosa a colpirmi fu lo specchio. Perchè erano mesi che non mi vedevo e rimasi ad osservarmi un bel po'. Da quando la mia pelle aveva quel colore? E le lentiggini? quando erano spuntate? Non sapevo dire se mi vedevo più bella o più brutta. Mi vedevo semplicemente differente.
    Rimasi un bel po' a mollo nell'acqua bollente, cercando di sistemare in qualche modo le unghie scheggiate e rotte, con tutti i bordi arrossati. Ma non c'era molto da fare per quelle a parte pulire bene. I capelli invece furono poco felici di incontrare una spazzola, soffrendo per la miriade di nodi che trovava lungo l'operazione. Alla fine usai le forbici solo per tagliare alcune matasse particolarmente rognose. Le forbici. Perchè mi aveva lasciato delle forbici? A che mai potevano servirmi?
    Beh a niente....anche se fossi riuscita a sgozzare tutti gli esseri umani di Azkaban uscire non sarebbe mica stato così semplice. E comunque non armata di forbici dalla punta arrotondata. Ma se me le aveva messe lì....probabilmente voleva che le prendessi...o era una prova?
    Ungherese bastardo....
    o da dove diamine venisse. Il problema era che avevo paura di pentirmi di averle lasciate là.....
    Alla fine non ero riuscita a trovare nessun posto dove nasconderle in maniera efficace. Mi infilai uno dei vestiti e le presi in mano, nascondendole alla meglio alle guardie il tempo per essere accompagnata di nuovo dal biondino.
    Aspettai che richiudessero la porta poi le tirai fuori:
    Giochiamo ad armi scoperte. Io le forbici le ho prese..... Adesso dimmi tu se devo cucirti un vestito o cosa...
     
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    Rallentò il passo mentre le parole di October lo raggiungevano alle spalle, fino a fermarsi del tutto. Lasciò che lei parlasse alla sua schiena, ascoltandola immobile, per poi riprendere a camminare senza degnarla di una parola di risposta. Il fermarsi era servito a farle capire che la stava ascoltando, il resto a darle solo qualche falso elemento su cui riflettere mentre lui iniziava a carezzare la possibilità di essersi davvero sbagliato con lei. Poteva essere tutto quel progetto ad essere frutto di principi sbagliati o essere lui a non averli saputi applicare con abbastanza abilità, ma probabilmente era semplicemente October ad essere poco ricettiva. Era forte quella ragazza, molto più di quanto aveva pensato che fosse all'inizio, e se questo rendeva solo più completi i suoi studi applicarli si stava rivelando alquanto arduo.
    October Fhest doveva essere "quella tonta", eppure si stava dimostrando provvista di un'intelligenza acuta e alquanto pungente. Un'astuzia quasi felina, di cui diede ulteriore prova quando lo raggiunse del tempo dopo, lavata e profumata come non lo era dal giorno della sua cattura. Kostia, seduto dietro ad un rosso tavolo di legno la osservò entrare, ammirandone le linee sinuose e concludendo che, se anche quel bagno era stata una gentilezza nei confronti della rossa, osservarla in quello stato di grazia era un premio anche per i suoi, di occhi. Quella prigionia la stava segnando in moltissimi modi, ma sicuramente le rendeva più giustizia della latitanza.
    - A dire il vero credevo le avresti usate per accorciarti un poco i capelli - le rispose, osservando le forbici che l'ex auror teneva strette in una mano - Per le doppie punte, o cose di questo genere - era quello il motivo per cui le aveva posate accanto alle spazzole, oltre che per l'ovvia trappola. Si alzò in piedi, girando intorno al tavolo fino ad andarle incontro, lentamente - E anche per capire se potessi fidarmi a starti vicino o se dovessi temere costantemente di trovarmi con la gola tagliata, invece di un labbro rotto - allungò la mano, con cautela, fino a chiudere le dita intorno a quelle della rossa. Facendo scivolare i polpastrelli sulla sua pelle liscia scese ad impugnare le forbici a sua volta, sfilandogliele delicatamente di mano.
    - Ma sono contento che tu non le abbia usate - chiarì un istante più tardi, allontanandosi da lei. Le forbici scivolarono in una delle tasche del suo completo, dimenticate - Tengo particolarmente alla mia gola, e i capelli così lunghi ti donano davvero molto, ora che sono puliti. Credo che lascerò quella stanza a tua disposizione almeno un paio di volte la settimana, se ti fa piacere -
     
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    Una volta avevo letto da qualche parte che le donne sono fatte per essere amate e gli uomini per essere rispettati. Beh avrei dovuto mettermi in testa la parte sugli uomini. Perchè fino ad adesso non stavo andando molto bene su quel fronte...e visto che non mi sentivo troppo combattiva oggi, probabilmente era meglio approfittarne per tenermi buono il carceriere.
    Non avrei saputo dire quanto stava fingendo o quanto era sincero con tutte queste storie, ma potevo sempre fingere di credere che stesse dicendo la verità qualsiasi cosa dicesse. Comportarmi come se ci credessi almeno. Dovevo iniziare ad esercitarmi: forse davvero non era una cattiva idea fidarsi.....E poi il bagno mi aveva tranquillizzato un po'.
    Ancora con questa storia del pugno? L'hai detto tu: la guerra è guerra. Infondo poteva andarti molto peggio, probabilmente ne uscirai solo con un livido durato quanto? Meno di due minuti e nient'altro. Non è male per una guerra, non trovi?
    Una gola tagliata....sul serio? Ok essere incazzati ma francamente non era un'ipotesi che avevo preso in seria considerazione. Qualche volta sì, ma era una delle tante valutazioni su come poter uscire. E veniva scartata subito: non volevo finire come Grethe e se ammazzavo lui potevo beccarmi una persona come quella che l'aveva uccisa. O De Sade. Che nessuno sapeva di preciso cosa facesse tranne che era un porco....ma preferivo non scoprirlo.
    Lo so che potevi evitarlo quindi scusa e..grazie per esserti fatto picchiare. Ne avevo bisogno. E comunque non ho le doppie punte.
    Mi tolse di mano le forbici, come se invece di qualcosa di scarsamente pericoloso tenessi in mano una pistola. Oh quanto mi dava fastidio che mi toccasse. Avrei voluto lasciarle, falle cadere a terra quelle stupide forbici purchè mi lasciasse subito la mano. Strinsi i denti per non farmi scappare una smorfia e ritrarmi.
    Non mi riuscì poi così bene. In realtà tagliargli la gola era da evitare solo perchè la mia situazione sarebbe peggiorata. Fuori da qui magari ci avrei seriamente pensato....
    Sì non sarebbe male.
    commentai quando mi venne offerto un altro privilegio. Osservai la stanza: sembrava zeppa di cose rispetto a quello a cui ero abituata.
    Non sembrava un pezzo di prigione e non era affatto male come sensazione. Non ero comunque tranquilla ma era diverso. Era un'altro tipo di irriquietezza, dato dal non sapere di preciso cosa mi aspettava per quella cena.
    Io non so se avevi in mente una scaletta di argomenti da dover affrontare durante la cena ma...se così non fosse, posso proporre una cosa?
    Non sapevo bene se andarmi a sedere da qualche parte o gironzolare o stare lì. Non ero da sola, ed ero abituata a muovermi senza avere nessuno nella stessa stanza. Mi sentivo tanto come quelle bestiole che papà portava a casa, le metteva in mezzo la salotto e loro restavano fermi, guardando in tutte le direzioni. Spiazzati del tutto. Incrociai le braccia stringendomi un po' nelle spalle
    Ma..potremmo tipo...fingere di non essere ad Azkaban? Fare le persone normali sai...
    Era una richiesta sincera per lo meno. Era un posto che non avevo mai visto, avrei preferito che l'angoscia, il senso di oppressione che mi dava ormai anche il tratto stanza-biblioteca, di dover stare sempre lì, di essere sempre lì, di non potermi muovere..restasse fuori dalla porta. Mi sarebbe davvero piaciuto avere una piccola pausa da quella sensazione.
     
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    Il tremito che notò nella sua mano quando le sfilò le forbici dalle dita fu esattamente il motivo per cui pochi minuti dopo le tese la mano con il palmo verso l'alto, invitandola a posarvi sopra la sua come avrebbe fatto un qualsiasi gentiluomo in un salotto della Londra più elegante. Gli piaceva l'idea che lei si sentisse obbligata, in qualche maniera, ad abbattere da sola le barriere che aveva costruito per difendersi da lui o a lasciargli qualche punto nel campo della gentilezza e dell'educazione. Era così che credeva fosse giusto agire, lavorando lentamente sui fianchi e guadagnando terreno un centimetro alla volta, lentamente - Se credi di poterlo fare, sarò ben felice di accontentarti - le rispose, lasciando che il suo desiderio di alleggerirle la prigionia il più possibile restasse ancora fra di loro, portato dai fatti più che dalle parole.
    La condusse fino ad uno dei tavoli, e lo avrebbe fatto sia che lei avesse deciso di prendergli la mano sia che lo avesse rifiutato. Nulla sarebbe cambiato nel suo comportamento, qualunque fosse stata la sua scelta. Le scostò la sedia, facendola accomodare al tavolo, continuando impeccabile nell'interpretazione del suo ruolo - Che tu ci creda o no, October, non ho solo interessi professionali - continuò girando attorno al tavolo e andando a prendere posto di fronte a lei - E non ho nulla di cui devo parlarti, quindi sentiti libera di comportarti come preferisci - le disse ancora, ruotando lo sguardo per la stanza. Era un luogo piuttosto anonimo a dire il vero, una stanza dalle pareti di pietra e con tavoli e sedie di legno come quelle che potevano trovarsi in milioni di stanze simili, in tutta la Gran Bretagna. Un luogo come mille altri, sistemati nel cuore di una struttura unica.
    - Quindi... - ricominciò, apparentemente divertito da quel gioco - Dove siamo questa sera? Chi siamo? -
     
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    Fissai quella mano per un po'. beh? cosa voleva? avevo preso solo le forbici e già gliele avevo date. Non avevo gomme da sputare prima di cena, non avevo soldi per la mancia. Poi mi ricordai che alcune persone facevano queste cose. Dare la mano come nemmeno i miei nonni avevano fatto. Mi sporsi un po' per guardarla: se lo scordava che la prendevo. C'era sempre uno di quei parenti, che quando sei piccola i genitori ti obbligano ad andare a salutare con un bacio sulla guancia ma senti quel ribrezzo dato o da un'odore, o da qualcosa sulla pelle: un neo, una strana ruga, la pelle paonazza, troppi peli, zie coi baffi, zie stritolone. Ecco la sensazione era più o meno quella: lui non mi lasciava uscire, lui mi aveva catturata quindi non mi piaceva. Punto.
    La linea della vita non è poi così lunga....
    commentai continuando a tenere le braccia incrociate. E arrivati al tavolo non mi venne risparmiata la seconda galanteria. Lo fissai sconsolata, come se fosse incredibilmente senza speranza. Non saremmo mai andati d'accordo nemmeno su cose come sedersi. Poi capii il perchè di quella sensazione, non c'entrava proprio nulla il sedersi, e neppure quanto fosse ridicolo. Mi ripassò davanti l'identica scena di quasi un anno prima, a capodanno con Ioan che mi scostava la sedia. Merda. Proprio ora doveva venirmi da piangere? Mi pressai le maniche sugli occhi mentre andava al suo posto, per assicurarmi che non cadesse veramente niente. Ok. Come nuova. Mi schiarii la voce:
    Oh beh..tu sei un purosangue indubbiamente, di quelli che sono stati educati sin da piccoli a comportarsi in questi modi abbastanza ridicoli e anacronistici. Quindi non so se volente o nolente adesso hai tipo una scopa conficcata nel didietro che probabilmente non ti toglierai mai per cui...non saprei..genitori severi, anaffettivi, vita di regole e discipline, paccate di soldi, casa mausoleo....
    fissai il tavolo: posate normali. Grazie al cielo erano un numero umano.
    E francamente non so cosa sei venuto a fare in questo posto sempliciotto dove normalmente viene gente come me, che ha amiche che le ruttano in faccia, un fratello che appena trovava qualcosa di disgustoso me lo metteva nel letto, sulla faccia o nello shampo e che proprio non sopporta le eccessive gentilezze da purosangue altoborghese. A meno che il tipo in questione non mi piaccia. E tu non mi piaci.
    conclusi la frase scuotendo la testa, coi gomiti poggiati sul tavolo. Pessimo inizio. Ma o scoppiavo a piangere o partivo all'attacco e avevo scelto la seconda. La provocazione. Chissà magari se non si offendeva troppo poteva anche parlare un po'
    E allora tu rispondi....come una persona normale...che non lavora in una schifo di torre in mezzo all'acqua...e a cui non ho appena parlato come una stronza....??
    Lo incoraggiai, agitando le mani come per smuovere o staccare dal manico di scopa citato prima il venti/pre-trentenne che c'era da qualche parte.
    Era assurdo parlare così col carceriere. Ma non ne potevo più di stare in compagnia nient'altro di me stessa. Non mi piaceva parlare con me. Mi chiedevo come facevo ad avere anche solo mezzo amico.
     
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    Sarebbe stato davvero troppo sperare che lei accettasse di prendergli la mano e di farsi accompagnare al tavolo. Avrebbe reso molto più facili le cose per entrambi, ma ormai era palese che October non aveva alcuna intenzione di rendergli le cose più semplici in nessuna circostanza - Raramente lo sono, nel nostro campo - le fece notare, seguendola fino al tavolo. Perfino per farla accomodare dovette attendere che lei si adeguasse ai suoi modi gentili e, non per la prima volta quel giorno, si chiese se di fronte a tanta diffidenza non fosse davvero meglio considerare fallito il suo esperimento e dedicare il proprio tempo ad altro. Aveva comunque imparato molto, da lei: si imparava più dai propri fallimenti che dai propri successi, in fondo.
    - Purosangue - le confermò quando lei ebbe terminato il suo poco lusinghiero monologo. Pareva che qualunque cosa facesse, quali che fossero le concessioni che le donava, non aiutavano in nessuna maniera ad avere un'opinione meno crudele da parte sua - Vita di regole, indubbiamente, e di disciplina. Ma anche di sacrificio e di fame - continuò - Nessuna paccata di soldi e nessuna casa mausoleo. Genitori severi e duri, ma non anaffettivi anche se, lo ammetto, mio padre raramente sapeva essere un esempio di simpatia. Immagino di poter dire di aver preso da lui, almeno per quanto riguarda te - anticipò la sua possibile battuta, pur sapendo di non assomigliare per niente all'uomo che lo aveva messo al mondo. Suo padre era stato poco affettuoso, era vero, e probabilmente molto più severo di quanto non si consigliava in quei giorni di amore e pedagogia ma, a differenza di suo figlio, era stato un uomo buono. Per quanto potesse esserlo un uomo qualsiasi nei tempi dell'Unione Sovietica, almeno.
    - E si, ti risponderò come farei se non fossimo in uno "schifo di torre in mezzo al mare", obbligati a sopportare una la presenza dell'altro - - le promise, inclinando appena la testa di lato - E come se lo "schifo" in questione non fosse, volente o nolente, l'unica casa che io abbia avuto da moltissimo tempo - aggiunse ancora, abbastanza sincero da poter quasi essere la verità.
    - Vengo in posti come questo per gli stessi motivi per cui ci vengono tutti gli altri - riprese un attimo dopo - Perché fa piacere sedersi ad un tavolo normale, in mezzo a gente normale, e magari ordinare anche qualcosa che sia possibile mangiare con le mani senza essere additati da tutti coloro che ti circondano. Perché sono cresciuto in posti come questo, fingendo di essere maggiorenne per poter ordinare qualcosa da bere e sperando di ottenere un sorriso dalla barista o dalla cameriera di turno, esattamente come tutti gli altri ragazzi - bugie su bugie, sistemate le une sulle altre come carte di un castello costruito con certosina pazienza. Aveva frequentato quel genere di locali, e ci era davvero cresciuto, ma sicuramente non come un ragazzo normale. Posti pieni di ubriachi e di persone pericolose che offrivano milioni di possibilità a chi sapeva coglierle.
    Una cosa però era assolutamente vera: nonostante le apparenze non era il purosangue altoborghese con cui lei era convinta di parlare.
    Si alzò in piedi - E perché posti di questo tipo garantiscono compagnia piacevole, al punto da essere quasi un reato ammorbare qualcuno con la propria presenza, se non desiderata. Buona serata -
     
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    Il fatto che fosse purosangue non era poi così rilevante: lo ero anche io, Ma almeno non era un mezzosangue che però andava in giro a parlare di quanto fosse importante discendere solo ed esclusivamente da maghi. Un minimo di coerenza almeno.
    Forse però la mia provocazione si era spinta troppo in là. E probabilmente per quanto mi scocciasse ammetterlo non ero poi tanto diversa dalla tassorosso che aveva lasciato la scuola, pronta ad emettere giudizi così, dopo tre occhiate e due parole. Alla fine avevo avuto una bella vita fin'ora. Una vita facile. Non c'erano mai stati screzi con i miei genitori più grandi del cercare di far accettare a mamma che avrei fatto l'auror lontana da casa. Mi avevano sempre dimostrato di volermi bene. C'era sempre stato qualcosa da mangiare in casa e in caso contrario era semplicemente perchè non si era fatta la spesa.
    Insomma non mi fermavo mai a pensare che magari chi avevo davanti non aveva avuto la stessa vita, che era cresciuto in modo diverso. Bastava vedere come quello che era successo nell'ultimo anno aveva cambiato me. Non avevo mai provato un'odio così autentico. Non avevo mai desiderato così intensamente far del male a qualcuno. Non mi ero mai sentita così crudele e così nel giusto.
    Solo un anno e potevo essere una persona diversa. Una vita del tutto diversa e come sarei uscita io?
    Ma c'era anche un'altra cosa che non avrei mai detto: l'orgoglio. Per tutte le volte che ero passata da stupida mi ero convinta di non averlo. Eppure eccolo lì.
    Mi sorpresi a restare allibita quando si alzò e mi lasciò lì. Il restare senza parole? beh sì. Ma essere rimproverata da un mangiamorte era...era assurdo!
    E per di più se ne andava? Avrebbe dovuto restare lì qualsiasi merdata dicessi no? Nella mia testa era così. Eppure avevo una sedia vuota davanti. E nonostante me lo avesse detto almeno dieci volte realizzai un fatto che era come uno schiaffo in faccia: non era obbligato a stare lì.
    Improvvisamente mi sentii in colpa. E molto stupida.
    Ero ancora indecisa sul fare la sostenuta e restare là a mangiare da sola per la millecinquesima volta....con quel senso di colpa che si ha quando la gente fa cose del genere. No, non la volevo anche questa angoscia. Non era sopportabile anche questo.
    Oh merdaccia..
    sbottai spazientita sbattendo un piede in terra. Cavolo! Cheppalle! Afferrai la sedia e mi scostai quasi con violenza. Ma non mi alzai ancora, chiusi gli occhi ordinandomi mentalmente di metterlo da parte quell'orgoglio. Ah ma se era difficile! Non mi era mai piaciuto rincorrere le persone, o andare a chiedere scusa. Mi riusciva difficile anche con quelle persone a cui tenevo un sacco.
    Era un disagio fisico e mentale. E purtroppo si vedeva. Un sacco.
    Quando mi decisi ad alzare il culo lo raggiunsi dapprima spazientita:
    Io non riesco a chiedere scusa ne tantomeno ad ammettere dove sbaglio quindi...
    quindi avrebbe potuto considerare già tanto che fossi lì davanti a lui. Incapace di reggere uno sguardo per più di 5 secondi.
    Sbuffai:
    Mi dispiace ok? Hai fatto una cosa prima che....ho dovuto difendermi.
    e ora l'orgoglio andava messo in uno scatolone. Per dire una cosa che non riuscivo ad accettare...e a quanto pare non riuscivo nemmeno a dire. Era un circolo vizioso: non riuscivo a mettere insieme il coraggio di dirlo, e più tempo passavo in silenzio più sembrava diventare difficile parlare.
    Se è vero che tu esegui solo gli ordini, o peggio che "li aggiri" per rendermelo meno pesante...non ho nessuno con cui rifarmela. E quindi non voglio ammetterlo. Però sì tu stai facendo il tuo lavoro e...
    ennesimo sbuffo. Ma tu guarda se dovevo sul serio ritrovarmi in queste situazioni in prigione! Anche del carceriere offeso dovevo preoccuparmi? Mi morsi il labbro. Merda! Era come andare a stringere la mano a chi ti ha sterminato la famiglia.
    e non sei tenuto a fare quello che fai per me quindi...
    quindi? quindi basta. L'orgoglio stava sbattendo con tutte le sue forze contro la scatola dove l'avevo rinchiuso. Dovevo dargli di nuovo una pedata per farlo star zitto.
    ...torni a sedere?
    sillabai guardando da tutt'altra parte.
     
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    Aveva quasi creduto che lei lo avrebbe lasciato uscire dalla porta. Sarebbe stato la chiusura definitiva del loro rapporto, la dimostrazione finale del suo fallimento e, con essa, di qualsiasi riguardo questo portasse nei suoi confronti. Kostia non avrebbe saputo dire se, mentre si fermava a pochi passi dall'uscita, October si rendesse conto di quanto rinunciare all'orgoglio le stesse salvando la vita, ma ne dubitava: i pericoli maggiori erano quelli che non si vedevano intenti ad avvicinarsi. Lui ci aveva fondato un'intera carriera su quel principio.
    Si voltò a fissarla in silenzio, serio in viso, osservando quelle parole uscirle dalle labbra una dopo l'altra, con la pesantezza dei macigni. Aveva sottovalutato il suo orgoglio, molto più di quanto non fosse consigliabile fare. Doveva imparare a non fidarsi così tanto dei rapporti scritti da altri - Va bene - decise infine, dopo aver finto di rifletterci per qualche momento. Nella sua testa macchinavano numerose idee, piani d'azione che cercava di sistemare in maniera che collimassero uno con l'altro come pezzi di un puzzle che faticava a risolvere. Andava bene anche quello: più erano difficili e più gli piacevano.
    - Cercherei di farlo per chiunque si trovasse al tuo posto... - chiarì mentre tornava al posto che aveva scelto di occupare. Aveva un'aria grave in volto, un'espressione frutto di ore ed ore di pratica alla specchio. L'espressione che si era allenato a mantenere di fronte ad un cadavere trovato in pubblico, o ai rari funerali cui presenziava - ...Forse non tutto... - ammise - ...ma abbastanza. Non importa quanto poco posso piacerti, October, ma non intendo lasciarti nelle mani di DeSade e dei suoi, non sapendo quello che ti farebbero - October era una sua preda, un suo trofeo, e non avrebbe permesso a nessuno di metterle le mani addosso. Che lei però desse pure l'interpretazione che preferiva alla cosa. Voleva che si avvicinasse, che provasse simpatia per lui.
    Piegò le labbra in un sorriso tirato, forse più sincero proprio perché così poco credibile - Ma non voglio rovinarti ulteriormente questa piccola serata di libertà - riprese - Arredamento pacchiano e pessima compagnia: dove siamo, questa sera? -
     
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