Diciasettesima Quest

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  1. Eimhear
     
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    Con le varie boccette che riuscirono a trovare crearono una specie di pozione che, spalmata addosso, li fece passare attraverso il fuoco senza problemi. Lì arrivò la parte difficile, però. C’erano due possibili strade, una chiusa e l’altra con diverse stanze. Si guardarono, cercando di capire cosa fare.
    «So che l’unione fa la forza e tutto quello che volete, ma forse abbiamo più speranze di trovare qualcosa se ci dividiamo. E poi ci sarà Astrid a tenerci informati su quello che succede agli altri, no? Così se ci sono problemi andiamo in massa a salvarci!»
    La ragazza ancora non sapeva quanto sarebbero state veritiere quelle parole. Quando entrò nella stanza che aveva scelto si guardò attorno, non vedendo assolutamente niente. C’era solo una strana roccia che sembrava fatta apposta per essere spostata. Si avvicinò e iniziò a tirare e a spingere, facendo dondolare la roccia in modo da toglierla. Era sicura che sotto ci fosse qualcosa, magari proprio la chiave che avrebbe aperto la stanza chiusa che serviva a loro.
    Solo che non appena la roccia fu sfilata dal buco uscì qualcosa che non si era proprio aspettata di vedere. Andros, l’uomo che l’aveva rapita e tenuta con sé per un anno. Un anno di torture, un anno di sofferenze, un anno in cui tutto quello che aveva voluto era morire.
    «Non puoi sfuggirmi per sempre Eimhear, ti troverò ovunque tu vada e ti riprenderò con me»
    La voce calda dell’uomo le fa tornare in mente la prima volta che l’ha visto, in quel pub di Londra. Era così bello, sembrava un ragazzo terribilmente affascinante, ecco perché si era fatta portare fuori, in un vicolo. Era giovane, voleva solo godersi la vita. Non aveva nemmeno vent’anni, una ragazzina. Picchiata, costretta a terra e presa a calci, presa con forza e portata a casa. I vestiti strappati, il dolore delle sue unghie conficcate nella pelle, i tentativi di ribellarsi, le lacrime che le annebbiano la vista e il dolore del momento in cui entra violentemente in lei, il suo urlo disumano e il solo desiderio di morire.
    «No… Non sei reale, non puoi essere davvero qui» pensò, chiudendo gli occhi e cercando di scacciare quelle immagini che le rimbombavano nella mente. Il panico la stava paralizzando, non era capace di pensare a niente.
    Un’altra voce rimbombò nella stanza e Eimhear aprì gli occhi, trovandosi davanti una ragazzina di nove anni che la fissava con gli occhi spenti, totalmente privi di vita. Era sua sorella, Almha e aveva la stessa camicia da notte di quella notte, quando era stata rapita.
    «Come hai potuto lasciare che mi prendessero Eimhear?»
    Dalla buca sul terreno escono due figure oscure, senza volto, ma con un ghigno stampato sulla faccia. Prendono Almha per le braccia e cercano di trascinarla via, mentre Andros guarda la scena interessato.
    «Magari posso prendere lei, al posto tuo. Sembra più disponibile di te» mormorò l’uomo, e con un ghigno si avvicinò alla sorella, afferrando il lembo della sua camicia e strappandola, lasciando la ragazzina in lacrime con solo le mutandine addosso.
    «FERMATI, LASCIALA STARE!» urlò, ma non appena provò a muoversi sentì qualcuno afferrarla alle spalle e bloccarla. Riuscì a voltare appena la testa per vedere due occhi azzurri, freddi come il ghiaccio, gli occhi di quel mangiamorte che le ha scagliato il sectumsempra ad Azkaban.
    «Dove pensi di scappare? Non ho finito con te»
    Stava diventando davvero troppo da sopportare. La ragazza sentiva il cuore batterle velocissimo, il panico farsi strada in lei e bloccarle la mente. Non riusciva a respirare, non riusciva a pensare, non riusciva a fare niente. Era sola con le sue paure, quelle che la facevano urlare la notte e che la facevano rimpiangere di essere sempre così sola.
    «Lasciatemi andare, vi prego, voglio andarmene di qui, vi prego, vi prego, vi prego» continuava a pensare come un mantra mentre dalla buca uscivano altre due figure ammantate di nero, con i cappucci calati sul volto. Il gelo le penetrò nelle ossa, il fiato le si mozzò in gola. Dissennatori. Lei non sapeva generare un patronus con loro nei paraggi e non aveva nemmeno la bacchetta. Come poteva sconfiggere dei dissennatori senza bacchetta?
    Tutto quello che riuscì a fare fu urlare, urlare nella sua mente con tutta la potenza della sua mente. Un urlo disperato, di puro dolore e terrore, mentre le mani di Andros toccavano la sorellina in punti inviolabili e Castiel dietro di lei la gettava a terra iniziando a tirarle calci allo stomaco, alla testa, alle gambe e ridere, ridere fino a riempirle le orecchie. Eimhear non ce la faceva semplicemente più. Sperò che la uccidessero al più presto, così da porre fine a quel circo degli orrori in cui era finita.

     
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    Se la fortuna fino a quel momento ci aveva quasi voltato le spalle, ora, con la ricerca degli ingredienti, sembrò quasi tornare a sorriderci. Miracolosamente, le dosi trovate dai quattro golem erano quelle che servivano per il filtro e così, con qualche sporadica parola, mi avvertirono che erano finalmente passati oltre il muro di fuoco. Dal silenzio che avvertii poi nella mia mente, però, dedussi che c'era qualcosa che non andava.
    «Cosa succede? Cosa c'è ora?»
    Quello che ricevetti in risposta furono pensieri perlopiù privati che analizzavano velocemente quello che si erano ritrovati d'avanti. Una porta chiusa da una parte e dall'altra diverse stanze.
    «So che l’unione fa la forza e tutto quello che volete, ma forse abbiamo più speranze di trovare qualcosa se ci dividiamo. E poi ci sarà Astrid a tenerci informati su quello che succede agli altri, no? Così se ci sono problemi andiamo in massa a salvarci!»
    Dividersi poteva non essere una cattiva idea anche se nessuno aveva idea delle trappole che avrebbe potuto trovare. Si divisero, alla fine, scegliendo ognuno una stanza mentre io, seduta ancora a gambe incrociate, fissavo attenta la schiena del golem originario.
    Ascoltando tutti e nessuno, cercando a mia volta di non stra pensare, mi ritrovai infine ancorata alla mente di Eimhear. Fu come essere nella sua testa, come se le immagini che catturavano i suoi occhi venissero rispecchiate sotto le mie palpebre. Scivolai all'indietro, le mani poggiate sulla pietra fredda mentre cercavo di capire cosa stava succedendo. Un nome, chiaro e distinto, si stampò inquietante nella mia mente, come segni di fuoco sulla carne. Andros. Non capivo il perchè di tutto quel terrore, non capivo come quell'uomo dal volto ignoto potesse spaventarla, non lo capii finchè i ricordi non sommersero la giovane Ministeriale. Mi ritrovai a spostare le mani avanti alla bocca dischiusa dallo sconcerto più totale mentre gli occhi, spalancati, fissavano un punto imprecisato del muro. La storia della Rossa sfilò nella mia mente senza che nè io nè lei avessimo possibilità di scelta e le sue paure più profonde diventarono, pe un breve lasso di tempo, le mie. Immersa in quello che lei stava vivendo, non riuscii quasi a credere a quanto stava succedendo eppure era tutto troppo sconcertante e doloroso perchè si potesse pensare ad altro che a cercare di dimenticare e farsi forza.
    «No… Non sei reale, non puoi essere davvero qui»
    E poi quella frase. Riuscii a focalizzarmi sulle parole della Rossa quel tanto che bastava per estraniarmi, almeno in parte, dalla situazione. Nonostante non volessi lasciarla sola in quello che stava vivendo, nonostante quei pensieri fossero oltremodo forti, talmente forti da trascinare via qualsiasi altro mio pensiero, riuscii, per qualche secondo, a tornare nella mia testa. Forse aveva ragione lei, forse non poteva essere lì sul serio. Nè lui, nè sua sorella, nè i dissennatori. Forse quello che lei vedeva non stava realmente accadendo.
    «Un...un momento Eimhear! Quello che sta accadendo non è reale, devi credermi, devi assolutamente credermi. Quelli che vedi non sono altro che mollicci, si stanno nutrendo delle tue paure e dei tuoi ricordi, per favore, ascoltami!.»
    Affrontare dei mollicci senza bacchetta, soprattutto se ci si portava dietro una storia come quella della ragazza, era oltremodo difficile se non addirittura impossibile. Non avrebbe potuto fare un riddikulus nè io avrei potuto farlo per lei.
    «Ridi, ridi, prova a ridere, sforzati di farlo. O se non riesci, prova almeno a convincerti che non sono reali e sforzati ancora. Fallo per te, fallo per lei.»
     
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  3. Fred.
     
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    Avrebbe preferito ascoltare un secondo parere riguardo al dividersi, ma tutti i suoi compagni seguirono il consiglio della rossa e partirono per una delle quattro stanze, mentre si rendevano conto che quella porta di pietra era invalicabile. Fred vi aveva passato delicatamente una mano argillosa, cercandovi anche una minima insenatura nella quale insinuarsi, ma niente. Si rassegnò dunque ad entrare nella prima stanza, lasciando che i suoi compagni entrassero nelle altre. Ognuno faceva per sé. E magari sarebbero riusciti a fare anche per tre. La stanza che aveva di fronte non pareva avere nulla si particolare: un'occhiata fugace gli fece intravedere qualche mobile spoglio. Ma il suo sopralluogo dovette interrompersi dal rumore della porta alle sue spalle che si apriva, facendo scattare la serratura. Ma che cazzo? Si precipitò a picchiare sul legno duro, cercando di sfondarla con la propria forza di Golem, ma niente. Era bloccato dentro. Un altro rumore attirò le sue attenzione, che proveniva dall'alto, come se un sciacquone fosse appena stato tirato. Solo in quel momento notò una grata sulla parte altre della parete davanti a lui, dal quale scendeva acqua. Acqua scura, e dall'odore riconobbe appartenere al lago nero. Merda. Ritornò a sbattere i pugnetti contro la porta. Aiuto! Qualcuno mi sente?!? Niente. Più lui aspettava che qualcuno lo aiutasse più il livello dell'acqua aumentava. Se non si fosse fosso sarebbe morto annegato. Fece un passo verso il mobile, almeno avrebbe avuto più tempo per pensare, prima che l'acqua gli arrivasse alla gola, ma non appena si mosse il pavimento si inclinò, mostrando a Fred qualcosa che gli era sfuggito prima: una ventola dotata di lame che iniziò a vorticare minacciosamente. Di male in peggio. Cazzocazzocazzo! Si mosse più velocemente verso l'armadio che, man mano che il pavimento si inclinava, più si spostava verso il centro della stanza, quindi verso di lui. Intanto l'acqua non cessava di sgorgare all'interno della stanza. Si arrampicò il più velocemente possibile, arrivando in cima e lì si guardò intorno. Almeno era lontano dalle lame, ma il livello dell'acqua stava salendo. L'unica possibilità pareva appigliarsi alla cosa più alta che trovava, ovvero la grata dal quale proveniva l'acqua. Attese che lo spostamento dell'armadio lo portasse vicino ad essa e si lanciò, aggrappando le manine argillose al ferro viscido. La potenza dell'acqua era micidiale, ma la tua forza di golem riusciva a resisterle. L'unica cosa che doveva preoccuparsi di fare era tenere lontane le vie respiratorie dall'acqua. E sporgendosi al di sopra della grata lo aiutò. Ora non gli restava che sperare che qualcuno aprisse la porta.
     
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    Avevano superato i primi ostacoli con relativa facilità, i danni erano stati minimi, ma non ci volevano certo anni di esperienza da Auror per capire che il “bello” doveva ancora iniziare. Muri di fuoco e lame taglienti erano soltanto l’antipasto.
    Il corridoio successivo lasciava intendere senza mezzi termini che dovevano trovare il modo per aprire la porta sbarrata e che la soluzione si trovava proprio nelle quattro stanze che si trovavano dalla parte opposta.
    L’idea di separarsi non gli piaceva granché, ma se volevano sfruttare al meglio il poco tempo a loro disposizione era necessario farlo.
    Ognuno scelse una porta da varcare conscio del fatto che aldilà c’era una trappola pronta a scattare ad attenderli. Non era la paura a dettargli quel senso di irrequietezza, ma qualcos’altro che ancora non riusciva a definire. Restò qualche istante a fissare la porta della stanza che aveva scelto, prima di tirare un profondo respiro e varcarne la soglia.
    Non appena fu dentro qualcosa scattò: un enorme statua si animò alle sue spalle bloccandogli l’unica via di fuga: l’entrata. Istintivamente la mano dell’Auror si posò contro il proprio petto annaspando sulla superficie fangosa del suo nuovo corpo. Fu proprio in quell’istante, mentre la statua si animava sollevando una mazza chiodata a decine di centimetri sopra la sua testa che Adam Carter riuscì a decifrare la ragione del turbamento che lo aveva colpito poco prima: si sentiva nudo, spoglio della propria magia.
    Fu l’addestramento Auror a cui si era sottoposto in Germania a fare la differenza. Con rapidità il piccolo corpo fangoso del Golem balzò all’indietro evitando per un soffio un colpo ben assestato della palla chiodata. Gli occhi artificiali di Adam stavano ancora fissando lo spuntone appuntito a poco più di due centimetri dal suo volto quando una forte vampata di calore lo raggiunse alle spalle. Ebbe a malapena il tempo di voltarsi per fissare le aperture infuocate che sputavano fiamme che minacciavano di sciogliere il suo corpicino argilloso lanciando fiammate di fuoco quando la palla alle sue spalle lasciò il terreno e l’enorme solco che aveva creato. L’istinto fu di nuovo la sua salvezza. Senza pensarci due volte Adam scivolò sotto le gambe della statua evitando per il rotto della cuffia un nuovo secondo colpo. In tutta quella situazione era la velocità allucinante di quella statua a essere il problema maggiore: le fiamme le poteva evitare o aggirare, ma come ci si difendeva da una malvagia statua inseguitrice dai riflessi felini?
    Tra una schivata di fortuna e l’altra la mente dell’Auror cercò di esaminare la situazione. Non poteva certo correre verso il fondo della stanza nella speranza che l’enorme statua si sfracellasse contro il muro, di certo sarebbe servito a ben poco sbattere roccia contro roccia se quella da distruggere era incantata. Probabilmente avrebbe continuato a inseguirlo anche se fosse stata ridotta ai soli piedi nel tentativo di pestarlo a morte. Tanto meno poteva correre il rischio di cadere in una delle bocchette fiammeggianti, anche se il corpo del golem avesse sopportato la temperatura di certo ne avrebbe risentito il suo corpo “reale”. L’unica nota positiva in tutta quella situazione era che se non altro non sarebbe stata la stanchezza a decidere le sue sorti, in quel corpo di d'argilla avrebbe potuto andare avanti per sempre senza portarsi dietro la fatica, piuttosto sarebbe stata un eventuale mossa falsa o la disattenzione a fare la differenza tra l'uscirne vivo e ridursi a una macchia d'argilla spappolata.
    SBAAAM!
    Svariati detriti di roccia lo investirono quando la mazza chiodata della statua colpi una la parete là dove pochi istanti prima si trovava la sua testa d’argilla.
    -Per tutti gli Ippogrifi! Chi ti ha incantato doveva essere incavolato nero!- fosse stato nel suo corpo umano avrebbe sudato freddo.
     
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  5. *Il Cappellaio*
     
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    Osservo il golem-Fred arrampicarsi velocemente verso l'alto, ed afferrare la salvezza della grata: chi ha creato le ancestrali trappole non si aspettava che la stanza venisse poi riempita di mobilia, nè che l'intruso avesse la capacità di non respirare: interminabili minuti trascorrono, ma l'acqua finalmente defluisce dal centro della stanza risucchiando e distruggendo mobili con le lame letali. Fred ha perso molto tempo, ma è tutto intero, e scende dirigendosi verso la porta ora nuovamente sbloccata: di una chiave o altro di interesse, nessuna traccia.

    Il golem-Adam invece, è nei guai contro una statua gigante e letali bocche infuocate: il suo addestramento Auror si fa sentire, il pericolo lo obbliga a muoversi, adattarsi alla situazione: e questa è la parola chiave, adattarsi. Un capo Auror, un mago abile dunque, saprà accorgersi che il golem è molto più di un mero burattino. La mente dell'auror sarà abbastanza aperta da comprendere che in questo stato, la forma umanoide è solo un vincolo non necessario?

    Eimhear invece è nei guai, la tortura psicologica a cui è sottoposta atterra la sua mente, mentre che controlla il golem: senza mente, il burattino di argilla è poco più di un giocattolo. Astrid cerca di aiutarla, ma ha un altro problema da affrontare: il corpo della Auror inizia a tremare per le convulsioni, la mente fuori controllo agita nervi e muscoli del suo corpo. Eimhear nemmeno se ne accorge, ma quali conseguenze può avere sulla sua salute?


    Mappa6



    Eccoci!

    Non avevo messo la mappa che pirla che sono U____U e voi non mi dite niente! :P

    In attesa del ritorno di Maximilian, proseguiamo. Fred: esci dalla stanza, puoi udire le urla di Eimhear e andare a salvarla, ti basta entrare e portarla fuori i mollicci non vi seguiranno, ruolatela come preferite. Astrid, reagisci a piacere alle convulsioni del corpo della donna. Adam, ti ho dato qualche indizio su come uscire dalla situazione, descrivi come intendi uscirne senza darne il risultato: se lo ritengo fattibile (=realistico) otterrai un grande beneficio per tutta la squadra. Fred e Eimhear, potete descrivere di dirigervi nella stanza delle chiavi radunandovi con Max.

    -Descrivete quanto richiesto

    -Scadenza post: giovedì ore 23.59
    -Prossimo post del cappellaio: venerdì mattina
     
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  6. Maximiliam Carter
     
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    Una chiave era un oggetto che manteneva un alone di mistero anche se non era incantata. Una chiave era capace di donare a chi la possedeva l'illusione di essere in grado di svelare un mistero, di poter passare facilmente anche l'ostacolo più difficile. Di essere autorizzato a passarlo, perché ammesso ad osservare quello che vi era oltre, fosse esso una camera colma di tesori o il semplice calore di una casa vissuta in famiglia.
    Ma se una chiave era un sogno, una stanza che ne fosse piena era al contempo il più bello dei sogni e il più profondo degli incubi. Avere la chiave di tutto significava essere ammessi ovunque, ma al contempo non averla di nulla. Come sapere quale chiave apparteneva a quale porta?
    Il Preside d'Argilla si mosse con passo incerto per la stanza, osservando le pareti che lo circondavano. Chiavi di ogni dimensione e fattura riempivano le pareti dal pavimento al soffitto, risplendendo suadenti e promettendo la soluzione ad ogni mistero di quella scuola. Lì, prometteva il tintinnare distratto che di tanto in tanto una chiave, come muovendosi da sola, faceva sbattendo contro la sua vicina, c'era la soluzione a qualsiasi mistero presente nella scuola. Una chiave per ogni porta, per ogni passaggio, per ogni baule. Per ogni segreto.
    E chi, se non lui, meritava di conoscere tutti i segreti della scuola?
    - AAAHHHHAAAAA!!! - ringhiò all'improvviso, venendo sbalzato al centro della stanza. Aveva allungato senza quasi rendersene conto la mano verso il muro, toccando una piccola chiave argentata che sembrava richiamarlo a se in maniera quasi ipnotica quando all'improvviso...non era sicuro di cosa fosse successo, ma il muro era sembrato corrergli incontro e colpirlo con forza, al corpo e al viso. Erano almeno trent'anni che non prendeva un pugno del genere...
    -...sto bene... - riuscì a dire, rialzandosi in piedi e toccandosi con cura il volto. Si sentiva stupido a massaggiarsi la faccia in quella maniera: la sensazione netta era quella di essersi rotto il naso, ma il golem il naso non lo aveva - Mi sono appena preso una pietra in pieno viso... - pensò a beneficio di tutti gli altri. Astrid...Astrid vedeva il suo corpo. No, meglio non pensarci.
    - La buona notizia è che sono sicuro di aver trovato la chiave per la porta di pietra - disse, scuotendo leggermente la testolina per riprendersi dal colpo - Quella cattiva è che non sono sicuro di quale sia. Questa stanza ne è piena, ce ne sono...ce ne saranno migliaia. E la prima che ho toccato ha fatto scattare una trappola. Ognuna sembra essere diversa dalle altre, dalla più semplice alla più decorata - aveva iniziato a spiegare, girando per la stanza e osservando attentamente ogni singola chiave su cui posava gli occhi.
    Poteva essere una qualsiasi di quelle che aveva di fronte.
    Ne osservò una in quello che pareva essere oro puro, forgiata a foggia del simbolo di Hogwarts. Quella, così simile alla chiave che possedeva lui in grado di chiudere i portoni della scuola, non era di sicuro, e nemmeno quella due file più in alto, identica a quella della presidenza. Quella accanto pareva essere la stessa che apriva il ripostiglio dell'aula di pozioni che Astrid e Fred avevano usato poco prima: aveva anche lo stesso graffio sull'anello, dovuto allo sfregarsi contro le altre chiavi. Poco più in là ce n'era una identica a quella che apriva i cancelli della scuola, e un intaglio a testa di falco ricordava in maniera inquietante le chiavi che aprivano il maniero. Ogni chiave che entrava ad Hogwats trovava per qualche tempo il suo doppione lì, se non funzionale, quanto meno nell'aspetto.
    - Voglio fare un tentativo... - pensò, dimenticandosi che ogni pensiero formulato in parole diventava una frase che gli altri potevano udire - La porta è in pietra, e in alchimia la pietra altro non è che terra sotto l'effetto del tempo. Nessuno degli altri elementi diventa solido con il tempo, ma c'è uno stadio intermedio fra la terra e la pietra...il legno. Il Legno è vita nella terra dove la pietra è Morte. Apri la morte usando la vita quindi...quindi potrebbe essere una chiave in legno - rifletté, osservando quelle che sembravano fatte in quel materiale. Anche lì erano molte, troppe per tirare ad indovinare, ma se aveva imboccato il sentiero giusto forse la risposta sarebbe venuta da sola. Niente animali...ne ideogrammi, ne stemmi araldici o...l'occhio gli cadde su una intagliata a foggia di Stella di David. Un simbolo ebraico ma, come aveva spiegato a lezione, anche un simbolo alchemico. Il simbolo della Pietra Filosofale e la Pietra era la Chiave della Vita, e dei Quattro Elementi.
    - ...speriamo in bene... - riuscì a dire, allungando la mano verso la chiave in legno, intagliata con il simbolo della Pietra.
     
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  7. Fred.
     
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    E così come era iniziato, tutto finì. Lentamente il fiotto d'acqua si attenuò, smettendo di inondare interamente il corpo del piccolo golem, mentre egli poté constatare con immensa gioia che le lame rotante si erano immediatamente bloccate. Un ulteriore rumore, uno scatto proveniente dalla porta, gli fece capire che essere fosse stata appena riaperta. Qualcuno aveva esaudito le sue preghiere. Timoroso che il marchingegno potesse riattivarsi scese in fretta a terra sul pavimento, ormai svuotato dall'acqua scura del lago e velocemente si diresse fuori, lanciando un ultimo sguardo all'interno mentre oltrepassava la porta. Si fermò appena fuori dall'uscio, immobile con gli occhi sbarrati e un respiro che - se fosse stato nel suo corpo sarebbe stato tremante - inspiegabilmente tranquillo. Inspiegabilmente perché lui aveva paura, in quel momento. Non si era mai trovato così in pericolo come dentro quella stanza, e l'idea di essere un golem invincibile - più o meno - non lo confortava, soprattutto se pensava che ogni colpo subito aveva delle ripercussioni sulla sua pelle reale. Aveva paura, dunque, e altro non desiderava che andarsene, che rimanere sotto le coperte, all'interno della sua stanza in torre, per l'eternità. Avrebbe voluto esprimere quelle preoccupazioni ad Astrid, l'unica con cui, in quel momento, non si vergognava di confidarsi, ma le parole che rivolse ad Eimhear lo paralizzarono. Ridi, ridi, prova a ridere, sforzati di farlo. O se non riesci, prova almeno a convincerti che non sono reali e sforzati ancora. Fallo per te, fallo per lei. Da una stanza adiacente alla sua provenivano, oltretutto, urla raccapriccianti. L'Auror era in difficoltà. Dei due Carter nemmeno l'ombra, dunque si precipitò dentro la sua stanza, scoprendo uno scenario che mai avrebbe voluto vedere. Le paure, pensava Fred, sono ciò che gli uomini hanno di più intimo, più dei desideri, più delle passioni. Le Paure distruggono, annientano. Guardò con quasi le lacrime agli occhi la scena di violenza che si stava compiendo all'interno di quella stanza, e si fece forza. Per quel che ne sapeva i mollicci avevano un briciolo di difficoltà a spaventare più di una persona alla volta. Certo, lì di mollicci ce n'erano sette, ma la sua apparizione poteva bastare per confonderli un attimo. Non appena si avvicinò ad Eimhear infatti essi ebbero come un'interferenza, come se non capissero su quale canale sintonizzarsi. Diede un calcio sugli stinchi ad uno dei due uomini, quello che stava picchiando la ragazza, e lo allontanò da lei, mentre, con un piccolo vortice quello si trasformava in sua sorella Math, agonizzante a terra, che lo guardava con occhi supplici. Per un attimo Fred si paralizzò, ma si dovette convincere che altro non era un molliccio, che si insinuava nel suo cuore scovando le sue più intime paure. Prese in braccio l'Auror e ignorando, con un moto di vergogna per non averle prestato soccorso, sua sorella, uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.. Appoggiato il golem a terra la guardò tremare ancora, e l'abbracciò con forza. Non sapeva se potesse funzionare, ma un abbraccio, diceva sua mamma, aiutava sempre. E' finito. E' tutto finito, Eimhear! Si districò lentamente da quell'abbraccio che in condizioni normali non le avrebbe mai conservato, prendendola per mano. Andiamo. Decise che non l'avrebbe mai più persa di vista. Lui e quel suo stupido pensiero di dover proteggere tutti e a qualsiasi costo. Nella stanza appena dopo quella di Fred intravide uno degli altri due golem alle prese con una stanza colma e ricolma di chiavi che fluttuavano. Il golem, che dalla voce riconobbe essere il preside Carter, stava avvicinando la sua mano argillosa ad una chiave di legno. Preside è sicuro?
     
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  8. Eimhear
     
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    Eimhear era persa nella sua testa, incapace di fuggire a quell’oblio che la stava soggiogando. Inutili le parole di Astrid, inutile il tentativo di dirle che non era reale, perché per lei lo era fin troppo. Era successo, non era una possibilità, ma una concretezza del passato a cui non poteva sfuggire. La scomparsa della sorella, il rapimento, Castiel… Era tutto reale e Eimhear lo stava solo rivivendo da capo.
    Per fortuna arrivò Fred in suo soccorso. Non se ne rese quasi conto, all’inizio, ma il contatto anche se freddo con l’altro corpo di argilla la aiutò a ricordarsi che non era più sola, non era in balia di quei mostri, non più. Era scappata da tutti, l’unica che era ancora persa era sua sorella, ma dentro di lei sapeva che era viva, da qualche parte.
    «Portami via di qui» mormorò debolmente, appoggiandosi totalmente a Fred, lasciando che sostenesse il suo peso e le sue paure. Per una volta in vita sua non aveva vergogna ad appoggiarsi a qualcuno, a far vedere che era debole. Aveva raccontato solo una volta quegli eventi ed era stato per denunciarli. Li aveva tenuti segreti al resto del mondo e ora sia Fred che Astrid sapevano tutto. Due ragazzini con il peso della sua vita, un peso che nessuno avrebbe dovuto avere.
    L’abbraccio e la stretta di mano la aiutarono ad andare avanti, a mettere un piede dietro l’altro e a seguire Fred in quel dedalo intricato, incurante che era ancora persa dentro la sua mente. Ci sarebbe voluto un po’ per tornare come prima, era impossibile rimettere tutto dentro la scatola una volta uscito, le serviva pace e tranquillità, cosa che non aveva.

     
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    Il balletto fra statua e golem andò avanti qualche minuto. Adam schivava con precisione ogni colpo sferrato dalla statua, la quale a sua volta rispondeva con una nuova minacciosa mossa. Avrebbero davvero potuto andare avanti così per sempre ma non era certo volontà dell’Auror passare la sua intera esistenza a giocare ad acchiapparella con una statua. Le soluzioni però sembravano essere ben poche. Avrebbe potuto chiedere ad Astrid di riportarlo indietro per uscire da quel tremendo loop in cui si era ficcato, Ma poi avrebbe perso l’occasione di dare una mano a suo padre e agli altri. Finire fuori gioco era decisamente fuori discussione, doveva pur esserci una via d’uscita. Quello che accadde l’attimo dopo fu solo frutto di un inconscia presa di coscienza: senza rendersene conto, tra una schivata e l’altra, aveva finito per ritrovarsi in un angolo del fondo della stanza. Da una parte una delle bocchette infuocate ruttava fiamme a più non posso e dall’altra la palla chiodata della statua sferzò l’aria sopra di lui coprendo un angolo di inclinazione che non gli avrebbe mai dato modo di evitarla, era spalle al muro e con ogni via di fuga chiusa. Nell’attimo in cui la palla chiodata stava per colpirlo però il corpo del golem si deformò appiattendosi contro la parete.
    Adam vide lo spuntone appuntito passargli a pochi millimetri dal volto mentre la mazza finiva di compiere l’ampia arcata quasi a rallentatore nella sua mente.
    Aveva totalmente dimenticato quella capacità che lo stesso Fred aveva avuto modo di sperimentare in biblioteca infilandosi nella cintura dei suoi pantaloni. Se avesse avuto un cuore ora l’avrebbe sentito battere all’impazzata su per la gola.
    Il punto ora era capire fino a che punto avrebbe potuto rivelarsi utile quella capacità in quel frangente…
    Avrebbe potuto tentare di sgattaiolare via dalla fessura della porta, o tentare di capire se esisteva un qualche pertugio nella nicchia da cui quella maledetta statua era sbucata… oppure…
    Senza perdere tempo e facendo ben attenzione a evitare le bocchette sputa fuoco Adam si staccò dalla parete ritornando ad assumere la forma originale, poi si appallottolò sul pavimento. Era incredibile come l’argilla rispondesse alla perfezione ai suoi comandi mentali, gli bastava immaginare una forma e quel corpo ne assumeva automaticamente le sembianze. Ricordò anche che esisteva un altro vantaggio che aveva dimenticato: quei golem erano dotati di una grande forza.
    Una volta assunta la forma sferica, Adam iniziò a rotolare per la stanza ad una velocità decisamente superiore a quella conseguita dalla forma umanoide, iniziando a rimbalzare qua e la per la stanza. Era stufo di essere attaccato, ora toccava a lui passare all’offensiva. Rotolò velocemente in direzione di una parete, per poi rimbalzarvi contro con forza puntando a tutta velocità verso della statua. Il suo scopo era colpirla a mezz’aria.

    Ci ho ragionato un sacco e... non ho trovato una soluzione migliore che potesse essere "attuabile/realistica"
     
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  10. *Il Cappellaio*
     
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    Adam Carter, non si può dire che non sia una persona che rifiuti di adattarsi alle circostanze. Conosco forse poco dei Carter, il loro nome è associato ad eventi, luoghi, persone importanti. Si dice che la loro Camera alla Gringott sia così vasta che tre Elfi DOmestici vi sono tutt'ora dispersi. Personalmente non ho mai controllato, sapete: non si sa mai cosa può accadere. Già la mia eternità è noiosa, immaginate passare anni tra atti di proprietà, Galeoni, e gioielli: non sono certo un nano!

    E la mia presenza qui, in questo non-luogo, è propria della mia noia: vederli affrontare gli ostacoli della paura, della debolezza, della viltà è davvero interessante. Adam muta sè stesso, cambia, non dite poi che sono ricchie basta: valorosi senza dubbio, i Carter. Il corpo cambia, si assottiglia, diviene una palla e fugge, fugge aldilà della statua di pietra.

    Adam varca una soglia, e sbam! Si ritrova in una stanza circolare, nella penombra, gli occhi del golem che scrutano il buio senza intravedere molto, se non un pilastro al centro della stanza, che si allarga ad altezza d'uomo a più del doppio della larghezza. Adam si avvicina, e si rende conto di essere alto quanto un uomo ora, il Golem scolpisce istintivamente le fattezze umane dell'Auror. Adam pensa, medita, e così fa il pilastro ricolmo di un liquido viscoso, scuotendo la superifice e rivelando un immagine, un sogno...


    CITAZIONE
    Passi per i sotterranei di Hogwarts. Un incantesimo, indistinto, viene pronunciato dalla figura che Adam ha davanti, che si insinua fra le fiamme illesa. Adam-che-vede la segue, vibrando di terrore mentre si getta fra le fiamme. Una parte della sua mente sussurra "pensatoio" e la propria anima si quieta. La donna attraversa a lunghi passi la zona, Adam vede ripercorrere i loro passi, sebbene le mura, i pavimenti, perfino gli ostacoli sembrino diversi. La donna svolta più volte, la folta chioma che nasconde il suo volto. Un'ultima volta, si avvicina ad una stanza vibrante: a terra, Adam riesce a distinguerli, dei segni magici tracciati in ogni dove, che risplendono di grigia luce: dopotutto il sogno è privo di colori. La donna apre una porta a doppio battente, una luce brilla intensa, e quando ella compie un passo, inizia a pulsare diversamente, i simboli si agitano e dentro un arcano oggetto, posto in fondo alla stanza, liquidi iniziano a ribollere. Adam lo vede, dietro vi è un enorme colonna di pietra che sale verso il soffitto e, percepisce, lungo tutto il castello. La donna agita la bacchetta: "Aresto Momentum" e la visione scompare...

    Se avessi una testa potrei scuoterla ora, mentre assieme ad Adam mi ritrovo oltre le sbarre di pietra, aldilà delle quali si trova il resto del gruppo: Maximilian Carter ha trovato la soluzione al suo enigma, e con maestria apre la soglia che lo separa dal loro obiettivo... non l'ultima, ahimè. I golem si avvicinano, percorrono il corridoio in fondo al quale si intravede una enorme porta: più avanzano, e più la porta ingigantisce innaturalmente, la prospettiva muta ed i quattro si ritrovano di fronte all'immane portone, sigillato da cinque catene, che nascono dalla pietra del castello per fondersi in un lucchetto al loro centro, cinque lucchetti per... quattro Golem? Ma sono davvero...quattro?

    Bentornati! La Quest giunge al termine, solo una enorme porta vi separa dal vostro obiettivo. Una porta con sei lucchetti, e nessuna chiave. Eppure, se scavate nella vostra memoria, nel vostro inconscio, nel vostro profondo io, troverete la chiave che cercate, e che aprirà uno dei lucchetti.

    -Rispondete tutti alla discussione ruolando come preferite la scena ed aprendo uno dei lucchetti
    -Non c'è alcun enigma nascosto, segreto, indizio nella Quest, nulla se non questo post e quel che ho detto: vi ho scritto bene dove trovare la chiave qui in spoiler quindi... postate di conseguenza come meglio credete. Non dirò alcunchè, non chiedetemi se è giusto, buttatevi e via :3

    -Scadenza post: Giovedì 24 ore 23.59
    -Prossimo post del Cappellaio (EPILOGO): Venerdì mattina
     
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  11. Eimhear
     
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    La rossa era ancora un po’ scombussolata. Sentiva il corpo ghiacciato, anche se era lontano e distante. Il corpo da golem non poteva sentire freddo, ma la sua mente era ancora umana e tutti sanno quanto è grande il potere della mente. Riusciva a far sentire freddo con quaranta gradi all’ombra e riusciva a far star male un corpo che non poteva star male.
    Quello che si trovò davanti la confuse. C’era un’enorme porta con cinque lucchetti, ma guardandosi intorno non c’era nessuna chiave. La stanza prima ne aveva molte, forse, ma nessuna sembrava quella giusta. La ragazza sospirò, affranta. Avevano affrontato tutte quelle prove per niente? Per ritrovarsi davanti ad un muro invalicabile e a dei lucchetti inapribili?
    Eppure nella sua mente c’era un ricordo lontano, ma brillante come una lucciola in mezzo alla notte più nera. Era di quando era piccola, di quando c’era ancora sua sorella…

    Fissa con gli occhi pieni di lacrime una scatola di legno. Il coperchio è abbassato e ad impedirle di aprirlo c’è un’enorme lucchetto rosa, messo lì da sua sorella. È il cofanetto delle sue bambole, quello dove tiene tutti i suoi segreti, anche quelli che non dice alla piccola Eimhear, gelosa di quegli angoli del mondo di sua sorella che lei non può raggiungere.
    È da due ore che sta seduta a terra, le gambe incrociate e la scatola posata sulle ginocchia. È tenace la bambina e non vuole arrendersi. Prova ancora una volta a tirare con forza il lucchetto, ma questo non cede.
    Sente un rumore dietro di se e spaventata si volta, credendo di trovare sua sorella che l’avrebbe di certo rimproverata per aver ficcato il naso nelle sue cose. Invece è sua madre. I suoi occhi color caramello la fissano con amore mentre si accuccia accanto a lei, accarezzandole la testolina rossa e dandole un delicato bacio sulla fronte.
    «Non bisogna mai perdere le speranze, bambina mia. A volte anche nell’oscurità più profonda si trova sempre una piccola luce di speranza. Chiudi gli occhi… Immagina che quel lucchetto si apra e mormora le paroline magiche”
    «Per favore e grazie?»
    «No sciocchina. Le parole hanno potere e c’è una formula che apre qualsiasi cosa, anche quella più impossibile da aprire, come una caverna senza porte. Apriti Sesamo. Queste sono le parole che devi pensare con forza e vedrai che il lucchetto si aprirà»
    La ragazzina fa come le ha detto la madre, strizzando con forza gli occhi e sperando che il lucchetto si apra. Dalle piccole e rosee labbra escono quelle due paroline appena accennate. Eimhear non vede sua madre che con la bacchetta casta un alohomora, sa solo che quando riapre gli occhi il lucchetto è aperto. Per lei è stata quella, la sua prima magia


    E con quella stessa speranza infantile Eimhear chiuse gli occhi, pregando con forza che tutta quella fatica non fosse stata vana, che il lucchetto, per magia, potesse aprirsi da solo, anche se irrazionale… Ma si sa che a volte la magia è tutt’altro che razionale e forse questa volta il destino è dalla loro parte.
    «Apriti Sesamo»
    Quelle due parole le rimbombano nella mente, come un’antica invocazione ad un potere che è mille volte più grande di lei, di tutti loro. Il potere della speranza.

    Io l'avevo detto che non avevo capito assolutamente niente .__.

     
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  12. Maximiliam Carter
     
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    I cinque lucchetti rappresentavano l'ennesimo ostacolo che la loro piccola squadra si trovava a fronteggiare quella notte, e per quanto lo riguardava erano già a dieci di troppo. Li aveva chiamati in biblioteca quella che pareva una vita prima, chiedendo loro di seguirlo in una missione a dir poco azzardata. Trovare delle pergamene che forse nemmeno esistevano per costruire un golem che non sapevano cos'avrebbe fatto per poi diventare a loro volta dei golem, rischiando di finire affettati, bruciati, tritati e un altro insieme di cose poco carine che sarebbero potute capitare loro e che avevano evitato per pura fortuna. Solo gli Dei sapevano cosa sarebbe successo se avesse provato a prendere la chiave sbagliata...
    - Direi che finora è stato facile - commentò quasi distrattamente, osservando i lucchetti con attenzione. A differenza di tutti loro, lui non poteva permettersi di mostrare debolezze se volevano avere qualche speranza di uscirne con qualche risultato. Non erano loro ad essere in pericolo, ma tutta la scuola, e confrontato a quello non c'era una sola difficoltà che Maximiliam non sarebbe stato disposto ad affrontare.
    Si avvicinò alla porta, muovendo il bastone per picchiettare su uno dei lucchetti, con la chiara intenzione di saggiare la resistenza della catena facendovi scorrere sopra il legno. Picchiettò con cura sul più basso dei lucchetti, prima sul corpo e poi sulla chiusura, passando poi a colpire un paio degli anelli che formavano la catena che usciva dal muro. Arrivò perfino a controllare l'ultimo anello, quello che entrava nella pietra dello stipite, prima di rendersi conto che lui non poteva avere alcun bastone in mano. Non in forma di Golem. Era talmente abituato a sentire quell'accessorio come parte di se stesso che non si era reso conto di come il corpo del golem aveva reagito a quel suo bisogno di appoggio allungando una parte della mano e consentendogli di usarla come solitamente usava il vecchio regalo di Adam.
    Perdersi a fare stupidi commenti sulla bellezza dell'attività sessuale di un Golem di fronte a certe particolarità del loro corpo sarebbe stato fin troppo semplice ma, essendo in presenza di alcuni dei suoi studenti, preferì di gran lunga evitare. E poi aveva altro a cui pensare in quel momento. La base di un'idea.
    Scosse la mano, lasciando che il bastone sparisse e tornando vicino al primo dei lucchetti che chiudeva la porta. Lo osservò attentamente, cercando qualche segno che suggerisse una soluzione diversa ma senza trovarlo. Nessuna runa visibile, e nessun richiamo alchemico da quanto riusciva a notare lui. Nulla, se non loro, quei lucchetti e la porta che chiudevano.
    Appoggiò un dito della mano sinistra alla serratura, lasciando che si allungasse all'interno adattandosi alla forma del meccanismo. Prima aveva avuto bisogno di un bastone ed il Golem gliene aveva fornito uno senza che nemmeno ci pensasse, ed ora che aveva bisogno di una chiave sperava che il suo corpo di argilla facesse lo stesso.
    O, quanto meno, che non gli staccasse il dito.
     
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  13.  
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    Per un istante fu come se l’aria venisse a mancargli nei polmoni, si sentiva frastornato, intontito come se si fosse appena svegliato da un brutto sogno. Ma l’esperienza che aveva appena vissuto era tanto reale quanto le tre figure dei suoi compagni di avventura che ora lo circondavano. In qualche assurdo modo Adam era sfuggito a quella maledetta trappola e alla statua assassina. In realtà non riusciva nemmeno a ricordare se fosse riuscito o meno a colpirla, la statua, prima di ritrovarsi immerso in quella visione. No, non una visione, un ricordo. Scosse la testa ancora turbato da quelle immagini sbiadite a cui aveva assistito e dalle varie domande che avevano portato con loro: che l’enorme colonna fosse in realtà la bomba che tanto stavano cercando? E cosa rappresentavano tutti quei simboli magici? Chi era quella donna e perché aveva usato quell’incantesimo? Significava forse che sarebbe bastato tanto poco a scongiurare la minaccia che verteva su Hogwarts?
    Adam non ebbe il tempo di cercare una risposta a tutte le sue domande, in qualche modo era certo che quella visione avrebbero trovato un senso al momento giusto, e allora avrebbe menzionato l’accaduto anche ai suoi compagni. Per ora però un altro problema si stagliava davanti a loro sotto forma di una grande porta incatenata da cinque lucchetti. Cinque… una coincidenza decisamente troppo palese per essere casuale. Ciò che mancava però erano le chiavi per aprirli. Eppure non sembrava esserci nulla di strano, nessuna prova da superare o testo da decifrare. Nulla. Soltanto loro, privi della propria magia, e quei cinque lucchetti.
    Sta volta, capì Adam, attaccarsi alla logica sembrava essere una strada senza sbocchi. Non potevano aver superato tutti quegli enigmi ed ostacoli per bloccarsi davanti a una semplice porta chiusa a chiave. Avevano uno scopo, lui aveva uno scopo ed era fermamente determinato a realizzarlo. Erano in gioco le vite di troppe persone, di un’intera generazione di maghi e streghe, ma ancora di più dei suoi figli. Fu in quel momento, davanti a quell'immensa porta, che per la prima volta da quando era venuto a conoscenza della maledetta bomba fu capace di ammettere con sé stesso la verità. Perché di questo si trattava in fondo, avrebbe potuto parlare di buoni propositi e sani principi da rispettare per tutto il giorno e propinarli ad ogni riunione dell’Ordine, ma ciò che smuoveva l’Auror non erano le responsabilità verso il regno magico, o le vite degli studenti in pericolo, ne tantomeno l’odio verso i Mangiamorte e il loro eterno bisogno di conquistare tutto e soggiogare tutti. No, a guidare Adam Carter ora era uno dei sentimenti più reconditi e antichi del mondo: l’egoismo. Erano i suoi figli e sua moglie, si trattava della sua famiglia e delle persone che aveva più care al mondo, non poteva e non doveva essere uno stupido lucchetto a mettersi fra lui e il suo obbiettivo: doveva salvare la sua famiglia e per farlo quel lucchetto doveva aprirsi.
     
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  14. Fred.
     
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    Fred era stanco. Non fisicamente, perché il suo nuovo corpo di argilla resisteva a tutto. A flussi d'acqua, ad asce penzolanti e persino a lame rotanti. E se avessero trovato altri ostacoli fisici al di là di quella porta di pietra esso avrebbe reagito esattamente come aveva fatto fino a quel momento: perfettamente. Il problema era la sua testa, la sua capacità di sopportazione di tutte quelle difficoltà. Quell'esperienza gli stava facendo capire quanto poco adatto sarebbe stato come Auror. Non che avesse mai contemplato l'idea di entrare nelle schiere di papà Carter, un giorno, però neanche l'aveva mai esclusa. In quel momento, però, il suo desiderio di diventare un fabbricante di bacchette, al sicuro dietro al calore di un suo ipotetico bancone, circondato da scatole dentro le quale erano celate le sue future creazioni, calzava perfettamente il suo desiderio di equilibrio e serenità. Si era immaginato più volte, nel corso di quell'anno, il proprio futuro e quello di Russell. Il fabbricante di bacchette e l'Auror. Il primo che snocciolava perle di saggezza sulle anime dei suoi legnetti in correlazione a quelle dei legittimi proprietari e il secondo che chiedeva rozzamente un consiglio su quale ragazza abbordare, in base alla bacchetta che teneva dentro la fodera. E in tutto questo non vi era alcuna allusione sessuale. O almeno così si poteva sperare, altrimenti Russell gli avrebbe dovuto parecchie spiegazioni.
    Fred, dunque, era stanco, e voleva uscire, voleva tornarsene a letto, alla sua vita da studente del primo anno che fino a quel momento aveva disprezzato, con il desiderio e l'ambizione di dimostrare qualcosa a chissà chi. Non era tagliato per dimostrare coraggio, ardimento, abilità particolari. Lui non era tagliato per l'attacco, quanto più per la difesa. Per la protezione. Dei suoi amici, di Nanà, della sua famiglia, di Math. Man mano che il tempo passava e più pensava al modo per riuscire ad uscire da quel labirinto, più gli si palesavano nella testa le immagini delle persone che amava e che amavano lui. Se mai avrebbe dovuto dimostrare qualcosa a qualcuno sarebbe stato l'amore che lo spingeva a proteggerli, a sacrificarsi. Ecco, lui era tagliato per il sacrificio. Probabilmente in quel momento non ne capiva il reale significato, il giovane e inesperto Fred, ma era così.
    Con il solo desiderio di uscire e di riabbracciare Russell, anche se lui non avrebbe voluto, si avvicinò ad uno dei lucchetti e lo abbracciò, facendo aderire il piccolo petto al freddo metallo. Non sapeva bene che cosa stesse facendo e soprattutto perché, ma lo fece, come se fosse l'unica cosa da fare in quel momento.
     
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  15. *Il Cappellaio*
     
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    I lucchetti, con un unico click, si aprono. Le catene svaniscono, i pesanti blocchi cadono a terra con tonfi sonori ma attutiti, quasi fossero costituiti da materiale molto più leggero di quel che sembrano. Le porte, lentamente, si aprono e schiudono di fronte ad essi mentre una luce rossastra, tenue ma sempre più forte, illumina il corridoio dove si trovano. Qualche passo, una svolta, alcune celle dimenticate e dentro una grande sala, un bagliore rosso che rivela l'ubicazione della fonte di luce. Sul pavimento, alcuni simboli magici, tracciati di luce e oscurità, pulsano in sincrono alla fonte luminosa.

    Eccolo: un grosso bozzolo, di vetro forse, al suo interno un ribollente liquido rossastro ove oscure ombre nuotano, vorticano, svaniscono e riappaiono. Avvolto attorno ad una immane colonna di pietra, larga almeno due metri, che corre verso l'alto e - è chiaro - supera il soffitto correndo lunga tutta l'altezza di Hogwarts. Una colonna di roccia così poderosa, se crollasse, porterebbe con sè gran parte dell'edificio, poco ma sicuro. I Golem si avvicinano un poco, come falene attratte dalla luce di una lampada, i sigilli sul pavimento iniziano a pulsare più velocemente, la luce vira ora dal rosso al giallo, il liquido inizia a fremere, agitarsi, mescolarsi, il bozzolo sembra dilatarsi per una pressione immane, il liquido e le luci vorticano sempre più veloci finchè in un istante, rapido e mortale, una immane luce nera avvolge i sensi dei membri dell'Ordine, condannandoli all'oblio.

    Poco dopo, Astrid, Fred, Maximilian, Adam ed Eimhear si svegliano, sollevando le membra un poco intorpidite dalla dura pietra della sezione proibita della biblioteca. Al centro del rituale, la creta fuma ancora, come se avesse assorbito l'immane palla di fuoco nei sotterranei. Di Golem di argilla, creta o quant'altro, non c'è traccia. Il braccio di Fred si lamenta, la testa di Eimhear vortica, il corpo di Adam è stanco per non parlare di quello di suo padre, eppure non c'è alcun segno sulla loro pelle che possa indicare il reale susseguirsi degli eventi appena accaduti. Dopotutto, il castello è ancora intero, Hogwarts si regge come sempre sulle sue enormi fondamenta di pietra... cosa rimane dunque, se non un..sogno? Forse molto di più, rifletto, mentre abbandono la connessione delle loro menti e mi ritiro nella fredda ad immota roccia. Una visione? Una Profezia? Una semplice Divinazione?

    Tutto questo e forse nulla, se non la consapevolezza di un enorme esplosivo sito nei sotterranei, celato in una precisa stanza. Sapranno forse che gli ostacoli incontrati altro non erano che nelle loro stesse menti, la pigrizia e l'incapacità di una mente abituata all'ordinario, di aprirsi e schiudersi allo straordinario, di pensare al futuro e non al passato, di vedere ciò che agli occhi è celato anzichè solo con lo sguardo? Adam, forse, ha lottato più di tutti, seguito strade ignote ai compagni, e per questo ottenuto una nebulosa quanto chiara visione. Una donna, la bomba, e un Aresto Momentum: incanto che, lo so bene, è conosciuto ed eseguito con maestria solo dai maghi più potenti, che ahimè di questi tempi scarseggiano notevolmente... ma dopotutto, non è affar mio: come sempre, proseguo nel mio osservare gli eventi mortali susseguirsi, gettando a volte un tratto di inchiostro dove serve, piegando la realtà per mio diletto. Sarà accaduto anche questa volta, con le antiche pergamene dei fondatori?


    Eccoci all'epilogo! :P
    Spero che la spiegazione di tutto quel che avete incontrato, tra cui vostre dimensioni, clichè, trappole ed enigmi figurativi sia stato di vostro gradimento. Ovviamente anche la ricerca stessa della chiave e poi dell'apertura dei lucchetti dipendeva soltanto da voi, mentre il proseguire i vostri passi in stanze-trabocchetto era una facile deviazione dalla strada che duramente, la vostra mente doveva percorrere. Ma in fondo siete tutti arrivati alla fine, ed ora possedete alcune importantissime informazioni!

    Se volete, postate pure un vostro post di epilogo.
    P.S. Ai fini degli avvenimenti spazio/temporali siete sempre rimasti in biblioteca ed "assopiti" per circa cinque minuti da quando avete completato il secondo rituale per la creazione dei Golem.

    Buon proseguimento di gioco, a presto! :3
     
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59 replies since 10/12/2012, 17:25   941 views
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